sabato 21 marzo 2009

il reato continuato è fictio iuris: le circostanze si applicano solo ai reati cui si riferiscono e non al reato continuato unitariamente considerato

19.03.2009
Applicazione delle circostanze nel caso di reato continuato

Accogliendo la concezione del reato continuato come fictio iuris, le Sezioni Unite hanno affermato il principio secondo cui le circostanze si applicano solamente ai reati cui si riferiscono, e non al reato continuato unitariamente considerato.

Cassazione penale Sentenza, Sez. SS.UU., 23/01/2009, n. 3286

Nel caso di reato continuato, le circostanze attenuanti della speciale tenuità e della integrale riparazione del danno, rispettivamente considerate al n. 4 e al n. 6 dell’art. 62 c.p., si applicano solo ai reati cui si riferiscono.
Il principio è stato affermato dalle Sezioni Unite penali, chiamate a comporre un contrasto che, da tempo, si trascinava nella giurisprudenza di legittimità, divisa circa l’applicazione delle attenuanti in esame – e, correlativamente, dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 c.p. - al reato più grave, ovvero a tutti i reati avvinti dal vincolo della continuazione.
Al fondo di questa diatriba, vi è la querelle, mai sopita, circa la considerazione unitaria del reato continuato ovvero l’autonomia giuridica delle singole violazione commesse in esecuzione del medesimo disegno criminoso.
E difatti le Sezioni Unite, per risolvere il contrasto, hanno proprio preso le mosse dalla natura giuridica dell’istituto in esame, riprendendo le argomentazioni espresse in un precedente del 1995; in quell’occasione, seppure in tema di computo dei termini di durata massima della custodia cautelare, le Sezioni Unite sottolinearono che «l'unificazione legislativa dei reati deve affermarsi là dove vi sia una disposizione apposita in tal senso o dove la soluzione unitaria garantisca un risultato favorevole al reo, non dovendo e non potendo dimenticarsi che il trattamento di maggior favore per il reo è alla base della ratio, della logica, appunto, del reato continuato» (Sez. un., 26 febbraio 1997 n. 1, Mammoliti).
Il dato che emerge dal sistema, dunque, è il seguente: l’autonomia dei singoli reati è la regola, l’eccezione è la considerazione unitaria del reato continuato, la quale «deve essere espressamente prevista da “apposita disposizione” e, comunque deve garantire un risultato favorevole al reo». Un’interpretazione, questa, avallata dalla Corte costituzionale, che ha più volte rimarcato la fictio alla base del reato continuato.
Emblematica, al proposito, la disciplina della prescrizione. Nella versione originaria dell’art. 158 c.p. la prescrizione decorreva dalla data di cessazione del reato continuato – ossia dalla data di commissione dell’ultimo reato realizzato in esecuzione del medesimo disegno criminoso. A seguito della novella apportata dalla l. n. 251 del 2005 all’art.158 c.p., il termine di prescrizione decorrere, in maniera autonoma, dalla data di commissione di ciascun reato.
Pertanto, hanno evidenziato le Sezioni Unite, «attualmente ciò che connotata e distingue il reato continuato è solo la valutazione quod poenam». Breve: «il reato continuato si configura quale particolare ipotesi di concorso di reati che va considerato unitariamente solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, mentre, per tutti gli altri effetti non espressamente previsti, la considerazione unitaria può essere ammessa esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo». Il corollario da questa premessa vien da sé: «i reati uniti dal vincolo della continuazione, con riferimento alle circostanze attenuanti e aggravanti, conservano la loro autonomia e si considerano come reati distinti».
Si tratta di un’interpretazione a nostro avviso esatta, in quanto sposa la tesi dell’unità fittizia del reato continuato, che, a seguito della riforma del 1974 - che cancellò dal testo dell’art. 81, comma 2, c.p. la formula “le diverse violazioni si considerano come un solo reato” - è stata recepita dal legislatore.
Del resto, come affermò la Corte costituzionale nello scrutinare la previgente disciplina prevista dall’art. 158 c.p. in tema di prescrizione, che contrastava con il carattere del favor rei caratterizzate l’istituto della continuazione, il «legislatore resta libero di considerare il reato continuato ora come un tutto unitario ora come una pluralità scomponibile di reati, salvo il solo limite di non addivenire a scelte viziate da irrazionalità» (così Corte cost. n. 254 del 1985, nonché n. 5 del 2009 con riferimento alla vigente disciplina, quale risultate dalle modifiche apportate dalla l. n. 251 del 2005).
Quali le ricadute applicative di questa soluzione? In primo luogo, ciò rileva ai fini dell’individuazione del reato di più grave. Si pensi al caso in cui l’imputato, chiamato a rispondere di lesioni gravi (art. 583 c.p.) e di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), abbia risarcito il danno provocato alla vittima; in tal caso, ancorché il delitto di lesioni gravi astrattamente sia punito più severamente (reclusione da 3 a 7 anni) rispetto al delitto di resistenza (da 6 mesi a cinque anni), in concreto, per effetto dell’applicazione dell’attenuante ex art. 62 n. 6 c.p., magari con giudizio di prevalenza, il delitto più grave, in relazione a cui determinare la pena base, è quello di cui all’art. 337 c.p.
In secondo luogo, gli effetti si colgono anche in relazione all’aumento della pena a titolo di continuazione; ove la circostanza attenuante accede al solo reato satellite, ciò comporterà un aumento più contenuto, rispetto a quello che il giudice avrebbe operato in assenza dell’attenuante.

Stefano Corbetta, Giudice Penale presso il Tribunale di Milano
Tratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2009

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...