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mercoledì 15 ottobre 2008

09.10.2008
Pagamento sistematico di "tangenti" e fattispecie corruttiva
Nel pagamento sistematico di "tangenti" da parte di imprenditori per aggiudicarsi pubbliche commesse è ravvisabile la corruzione e non la concussione "ambientale".
Cassazione penale Sentenza, Sez. VI, 19/09/2008, n. 36154

Interessante sentenza della Cassazione che coglie l’esatto discrimine tra la corruzione e la concussione.
Secondo la Corte, integra la fattispecie della corruzione (articolo 319 c.p.), e non quella della concussione anche cosiddetta "ambientale" (articolo 317 c.p.), una situazione in cui si apprezzi il sistematico pagamento di tangenti da parte di imprenditori di opere pubbliche, nella quale, in un contesto di costante flusso delle commesse, vengano privilegiati gli imprenditori che si siano opportunamente organizzati a tal fine, con conseguente disattivazione dei meccanismi propri della libera concorrenza.
Infatti, argomenta il giudice di legittimità, l’inserimento in un sistema nel quale il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della "tangente" siano costanti, non è agevole cogliere nella parte privata, specie se identificabile con un gruppo imprenditoriale ben attrezzato sotto il profilo organizzativo e sotto quello economico, lo stato di soggezione, indispensabile per la configurazione della concussione, anche ambientale, posto che, in tale situazione, detta parte mira principalmente ad assicurarsi vantaggi al di fuori degli schemi legali, approfittando proprio dei meccanismi criminosi e divenendo protagonista del sistema illecito.
In effetti, non sempre è facile distinguere, in concreto, tra corruzione e concussione.
La difficoltà, anzi, si accentua allorchè si discuta della possibile configurabilità della concussione "ambientale", giacchè soprattutto in questo caso non è sempre semplice cogliere i profili del rapporto intersoggettivo che si determina tra il privato e il pubblico ufficiale e, conseguentemente, il ruolo -di vittima o, alternativamente, di concorrente necessario- del primo.
In realtà, l'elemento fondamentale per distinguere tra la corruzione e la concussione è da individuare nell'apprezzamento del rapporto tra le volontà dei soggetti.
Nella corruzione il rapporto è paritario: vi è, in sostanza, una situazione di par condicio in forza della quale entrambe le parti si accordano liberamente e senza condizionamenti, mercanteggiando l'attività d'ufficio ciascuno per una finalità di profitto proprio.
Nella concussione manca questo rapporto paritario. Il privato, infatti, anche se non sempre si trova in una condizione addirittura di timore o di paura (il c.d. metus publicae potestatis) nei confronti del pubblico ufficiale, sicuramente sempre versa in una situazione di assoggettamento psicologico conseguente alla condotta abusiva del pubblico ufficiale che lo induce o costringe alla prestazione o alla promessa di prestazione solo per evitare un danno.
Peraltro, l'apprezzamento del rapporto -paritetico o no- tra le parti non è sempre immediatamente percepibile, anche perché non è facile la ricostruzione processuale degli stati d'animo psicologici, quali sono l'assoggettamento alla volontà altrui o, per converso, la piena libertà di autodeterminazione.
Occorre, quindi, ricercare nella fattispecie concreta tutti gli elementi indiziari che possano contribuire a fare chiarezza.
In questa prospettiva, utili elementi indiziari possono essere ricavati, come nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, dai "rapporti di forza" esistenti tra il pubblico ufficiale e il privato.
Non è infatti discutibile che, nell'apprezzamento del requisito della par condicio, inteso nei termini suesposti, notevole spessore indiziario dovrà ascriversi alla disamina dei contatti tra le parti e dei reciproci "rapporti di forza" (rilevante sarà il giudizio sul "potere economico" del privato, di norma direttamente proporzionale alla capacità di resistenza rispetto ad un'ipotizzabile pretesa illecita del pubblico agente), estendendosi, laddove possibile, la considerazione anche alle condotte antecedenti e susseguenti l'attività incriminata (per riferimenti, cfr. anche Cassazione, Sezione VI, 19 ottobre 2001, Berlusconi; Sezione VI, 3 novembre 2003, PG ed altro in proc. Di Giacomo).
A nostro avviso, poi, fondamentale elemento indiziario, utile per cogliere l’esatto discrimine tra le fattispecie di che trattasi, è costituito anche dall'apprezzamento della "finalità" che ha mosso il privato, giacchè questa finalità può fornire un contributo essenziale per ricostruire la posizione del privato rispetto a quella del pubblico ufficiale: se il privato si è mosso per perseguire un vantaggio indebito che non avrebbe potuto ottenere se non "pagando", non sembra dubitabile che debba ravvisarsi la corruzione; diverso discorso occorre fare, invece, dovendosi qualificare il fatto come concussione, nell'ipotesi in cui il privato abbia "pagato" solo per avere ciò di cui aveva diritto o addirittura per evitare un maggior danno prospettatogli, direttamente o indirettamente, dal pubblico ufficiale.
Di ciò vi è traccia anche nella sentenza in esame, laddove la Corte ha apprezzato nella vicenda, come ricostruita in sede di merito, che gli imprenditori si erano mossi a pagare sistematicamente sì da potersi aggiudicare le commesse pubbliche "disattivando" i meccanismi della libera concorrenza.

Giuseppe Amato, Procuratore della Repubblica di PineroloTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008
09.10.2008
Pagamento sistematico di "tangenti" e fattispecie corruttiva
Nel pagamento sistematico di "tangenti" da parte di imprenditori per aggiudicarsi pubbliche commesse è ravvisabile la corruzione e non la concussione "ambientale".
Cassazione penale Sentenza, Sez. VI, 19/09/2008, n. 36154

Interessante sentenza della Cassazione che coglie l’esatto discrimine tra la corruzione e la concussione.
Secondo la Corte, integra la fattispecie della corruzione (articolo 319 c.p.), e non quella della concussione anche cosiddetta "ambientale" (articolo 317 c.p.), una situazione in cui si apprezzi il sistematico pagamento di tangenti da parte di imprenditori di opere pubbliche, nella quale, in un contesto di costante flusso delle commesse, vengano privilegiati gli imprenditori che si siano opportunamente organizzati a tal fine, con conseguente disattivazione dei meccanismi propri della libera concorrenza.
Infatti, argomenta il giudice di legittimità, l’inserimento in un sistema nel quale il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della "tangente" siano costanti, non è agevole cogliere nella parte privata, specie se identificabile con un gruppo imprenditoriale ben attrezzato sotto il profilo organizzativo e sotto quello economico, lo stato di soggezione, indispensabile per la configurazione della concussione, anche ambientale, posto che, in tale situazione, detta parte mira principalmente ad assicurarsi vantaggi al di fuori degli schemi legali, approfittando proprio dei meccanismi criminosi e divenendo protagonista del sistema illecito.
In effetti, non sempre è facile distinguere, in concreto, tra corruzione e concussione.
La difficoltà, anzi, si accentua allorchè si discuta della possibile configurabilità della concussione "ambientale", giacchè soprattutto in questo caso non è sempre semplice cogliere i profili del rapporto intersoggettivo che si determina tra il privato e il pubblico ufficiale e, conseguentemente, il ruolo -di vittima o, alternativamente, di concorrente necessario- del primo.
In realtà, l'elemento fondamentale per distinguere tra la corruzione e la concussione è da individuare nell'apprezzamento del rapporto tra le volontà dei soggetti.
Nella corruzione il rapporto è paritario: vi è, in sostanza, una situazione di par condicio in forza della quale entrambe le parti si accordano liberamente e senza condizionamenti, mercanteggiando l'attività d'ufficio ciascuno per una finalità di profitto proprio.
Nella concussione manca questo rapporto paritario. Il privato, infatti, anche se non sempre si trova in una condizione addirittura di timore o di paura (il c.d. metus publicae potestatis) nei confronti del pubblico ufficiale, sicuramente sempre versa in una situazione di assoggettamento psicologico conseguente alla condotta abusiva del pubblico ufficiale che lo induce o costringe alla prestazione o alla promessa di prestazione solo per evitare un danno.
Peraltro, l'apprezzamento del rapporto -paritetico o no- tra le parti non è sempre immediatamente percepibile, anche perché non è facile la ricostruzione processuale degli stati d'animo psicologici, quali sono l'assoggettamento alla volontà altrui o, per converso, la piena libertà di autodeterminazione.
Occorre, quindi, ricercare nella fattispecie concreta tutti gli elementi indiziari che possano contribuire a fare chiarezza.
In questa prospettiva, utili elementi indiziari possono essere ricavati, come nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, dai "rapporti di forza" esistenti tra il pubblico ufficiale e il privato.
Non è infatti discutibile che, nell'apprezzamento del requisito della par condicio, inteso nei termini suesposti, notevole spessore indiziario dovrà ascriversi alla disamina dei contatti tra le parti e dei reciproci "rapporti di forza" (rilevante sarà il giudizio sul "potere economico" del privato, di norma direttamente proporzionale alla capacità di resistenza rispetto ad un'ipotizzabile pretesa illecita del pubblico agente), estendendosi, laddove possibile, la considerazione anche alle condotte antecedenti e susseguenti l'attività incriminata (per riferimenti, cfr. anche Cassazione, Sezione VI, 19 ottobre 2001, Berlusconi; Sezione VI, 3 novembre 2003, PG ed altro in proc. Di Giacomo).
A nostro avviso, poi, fondamentale elemento indiziario, utile per cogliere l’esatto discrimine tra le fattispecie di che trattasi, è costituito anche dall'apprezzamento della "finalità" che ha mosso il privato, giacchè questa finalità può fornire un contributo essenziale per ricostruire la posizione del privato rispetto a quella del pubblico ufficiale: se il privato si è mosso per perseguire un vantaggio indebito che non avrebbe potuto ottenere se non "pagando", non sembra dubitabile che debba ravvisarsi la corruzione; diverso discorso occorre fare, invece, dovendosi qualificare il fatto come concussione, nell'ipotesi in cui il privato abbia "pagato" solo per avere ciò di cui aveva diritto o addirittura per evitare un maggior danno prospettatogli, direttamente o indirettamente, dal pubblico ufficiale.
Di ciò vi è traccia anche nella sentenza in esame, laddove la Corte ha apprezzato nella vicenda, come ricostruita in sede di merito, che gli imprenditori si erano mossi a pagare sistematicamente sì da potersi aggiudicare le commesse pubbliche "disattivando" i meccanismi della libera concorrenza.

Giuseppe Amato, Procuratore della Repubblica di PineroloTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

giovedì 9 ottobre 2008

Il giudicato copre il dedotto ed il deducibile: Ambito e portata del principio

02.10.2008

Estensione del giudicato alle questioni deducibili

Nell'ambito della giurisdizione esclusiva il giudicato sul rapporto controverso si estende, oltre che sulle questioni effettivamente proposte in giudizio, anche quelle su quelle deducibili in via di azione ed eccezione (deducibile), che costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari.
Consiglio di Stato Sentenza 08/09/2008, n. 4288
Con sentenza n. 612 del 2006, la Sezione sesta del Consiglio di Stato confermava la sentenza n. 13085 del 2004 con la quale il T.A.R. del Lazio, dichiarava in parte inammissibili ed in parte infondati i ricorsi proposti da due docenti universitari per l’’annullamento del provvedimento del 19 settembre 2003, con il quale il commissario straordinario dell’azienda Policlinico Umberto I li aveva rimossi dall’esercizio delle funzioni assistenziali di dirigente medico di secondo livello da loro al momento espletate.
Peraltro, la Sezione, nella parte motiva, dichiarava che i due docenti avevano diritto allo svolgimento delle funzioni assistenziali presso una struttura dell’università di pari livello presso la quale erano precedentemente incardinati salvo l’eventuale risarcimento dei danni.
I ricorrenti, rilevato che l’amministrazione non aveva dato soddisfazione all’indicato diritto, facevano istanza per l’ottemperanza al giudicato.
L’Amministrazione eccepiva la carenza di interesse al ricorso e, nel merito, escludeva che l’ottemperanda decisione contenesse statuizioni implicanti alcuna pronuncia di accertamento ovvero di condanna nei suoi confronti.
Con sentenza n. 4288 del 2008, la sesta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto il ricorso per l’ottemperanza.
A sostegno della decisione, detto giudice ha richiamato il principio secondo il quale, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile ed inoltre che, alla stregua del novellato art. 111 della Costituzione, è ammesso il ricorso in questione al fine di determinare le condizioni per ottemperare ai precetti contenuti nella decisione.
Guido Salemi,
Consigliere di Stato,
Giudice al Tribunale superiore delle acque pubbliche e
Componente della Commissione tributaria centrale
Tratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

Il giudicato copre il dedotto ed il deducibile: Ambito e portata del principio

02.10.2008

Estensione del giudicato alle questioni deducibili

Nell'ambito della giurisdizione esclusiva il giudicato sul rapporto controverso si estende, oltre che sulle questioni effettivamente proposte in giudizio, anche quelle su quelle deducibili in via di azione ed eccezione (deducibile), che costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari.
Consiglio di Stato Sentenza 08/09/2008, n. 4288
Con sentenza n. 612 del 2006, la Sezione sesta del Consiglio di Stato confermava la sentenza n. 13085 del 2004 con la quale il T.A.R. del Lazio, dichiarava in parte inammissibili ed in parte infondati i ricorsi proposti da due docenti universitari per l’’annullamento del provvedimento del 19 settembre 2003, con il quale il commissario straordinario dell’azienda Policlinico Umberto I li aveva rimossi dall’esercizio delle funzioni assistenziali di dirigente medico di secondo livello da loro al momento espletate.
Peraltro, la Sezione, nella parte motiva, dichiarava che i due docenti avevano diritto allo svolgimento delle funzioni assistenziali presso una struttura dell’università di pari livello presso la quale erano precedentemente incardinati salvo l’eventuale risarcimento dei danni.
I ricorrenti, rilevato che l’amministrazione non aveva dato soddisfazione all’indicato diritto, facevano istanza per l’ottemperanza al giudicato.
L’Amministrazione eccepiva la carenza di interesse al ricorso e, nel merito, escludeva che l’ottemperanda decisione contenesse statuizioni implicanti alcuna pronuncia di accertamento ovvero di condanna nei suoi confronti.
Con sentenza n. 4288 del 2008, la sesta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto il ricorso per l’ottemperanza.
A sostegno della decisione, detto giudice ha richiamato il principio secondo il quale, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile ed inoltre che, alla stregua del novellato art. 111 della Costituzione, è ammesso il ricorso in questione al fine di determinare le condizioni per ottemperare ai precetti contenuti nella decisione.
Guido Salemi,
Consigliere di Stato,
Giudice al Tribunale superiore delle acque pubbliche e
Componente della Commissione tributaria centrale
Tratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

martedì 5 agosto 2008

Regolamento di Giudisdizione: Ammissibilità

31.07.2008
Processo civile e legge forense all'attenzione delle Sezioni Unite civili
Il regolamento preventivo di giurisdizione, disciplinato dall'art. 41 c.p.c., è istituto di natura straordinaria ed eccezionale e pertanto può essere esperito soltanto con riferimento alle questioni di giurisdizione di cui all'art. 37 c.p.c., e cioè alle questioni attinenti alla giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o del giudice speciale, ed alla giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero, concludendo che il regolamento è inammissibile in una controversia tra privati nella quale non sia coinvolta la pubblica amministrazione.
Cassazione civile Ordinanza, Sez. SS.UU., 13/06/2008, n. 15916

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione civile hanno esaminato recentemente la seguente questione concernente la fattispecie degli onorari professionali.
Gli avvocati Sergio C. ed Ennio L. convennero innanzi al Tar del Lazio la s.r.l. Alse Medica e l'Azienda Policlinico Umberto I di Roma, chiedendo ai sensi della l. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, la liquidazione di compensi professionali per Euro 169.566,19 quali compensi per l'attività professionale svolta innanzi a detto giudice a favore della suddetta società e nei confronti dell'Azienda Policlinico di Roma.
La s.r.l. Alse Medica, costituitasi innanzi al giudice adito eccependo, tra l'altro, il difetto di giurisdizione, propone regolamento preventivo innanzi alle Sezioni Unite.
Hanno resistito con controricorso gli avvocati C. e L. nonché l'Azienda Policlinico Umberto I di Roma, nei cui confronti non è stata formulata alcuna domanda nel giudizio instaurato innanzi al TAR.
La soc. ricorrente assumeva che il TAR non ha giurisdizione in merito perché la previsione di cui agli artt. 28 e 29 della legge forense è espressamente formulata per il processo civile e non può essere estesa analogicamente ad altri processi, stante il divieto di cui all'art. 14 preleggi; aggiunge che, comunque, sussisterebbe il difetto assoluto di giurisdizione in quanto l'art. 28 citato dispone che il procedimento speciale di liquidazione può essere attivato solo dopo la decisione della causa, mentre nella specie il procedimento è sospeso; deduce, inoltre, altre varie questioni che dimostrerebbero la inammissibilità nella specie del procedimento di liquidazione in discorso.
Il P.G. ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, affermando che il regolamento preventivo di giurisdizione, disciplinato dall'art. 41 c.p.c., è istituto di natura straordinaria ed eccezionale e pertanto può essere esperito soltanto con riferimento alle questioni di giurisdizione di cui all'art. 37 c.p.c., e cioè alle questioni attinenti alla giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o del giudice speciale, ed alla giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero, concludendo che il regolamento è inammissibile in una controversia tra privati nella quale non sia coinvolta la pubblica amministrazione.
I Giudici di legittimità hanno ritenuto che la richiesta del P.G. non potesse essere condivisa per le seguenti ragioni.
Nel nostro sistema giurisdizionale, le sezioni unite civili costituiscono il supremo organo regolatore della giurisdizione e in tale funzione non sussiste limitazione, se non quella che nella fattispecie sottoposta a regolamento si ponga effettivamente una questione di giurisdizione, e cioè che non sia censurato il modo di esercizio della giurisdizione, ma la violazione dei limiti esterni di essa..
Orbene, l'art. 41 c.p.c., prevede che, sin quando la causa non sia decisa nel merito, ciascuna parte può chiedere alle sezioni unite della Corte di Cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui all'art. 37 c.p.c.; detta disposizione concerne le ipotesi di difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali.
Dal raccordo delle due disposizioni citate risulta palese che la giurisprudenza delle medesime sezioni unite richiamata dal P.G. a conforto della proprie richieste (n. 7800/2005) attiene all'ipotesi in cui una questione di giurisdizione sia sollevata davanti al giudice ordinario senza che sia parte una pubblica amministrazione.
Non v'è dubbio, infatti, che in tal caso nessuna questione di giurisdizione si potrebbe porre, perché le controversie tra privati non possono che spettare al giudice ordinario, e ciò è valido in ogni caso, anche se il giudice adito debba vagliare situazioni con aspetti di pubblico interesse o possa trovarsi a disapplicare atti amministrativi, in quanto - data l'estraneità dell'amministrazione pubblica - le questioni suddette attengono al merito e non alla giurisdizione. Non sussiste invece alcun limite alla possibilità di regolare la giurisdizione in ogni altra ipotesi in cui si ponga la questione davanti a un giudice speciale.
Se in linea di principio non dovrebbe verificarsi che innanzi al giudice speciale non sia parte una pubblica amministrazione (la l. n. 1034 del 1971, art. 3, dispone che "sono devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi per incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge contro atti e provvedimenti emessi dagli organi centrali dello stato e degli enti pubblici a carattere ultraregionale"), deve ovviamente consentirsi alla sezioni unite della corte di cassazione rimediare ad eventualità patologiche in cui il giudice speciale non abbia rilevato d'ufficio il difetto della propria giurisdizione in una controversia instaurata innanzi ad esso da un soggetto privato nei confronti di un altro soggetto privato, non potendosi consentire che una situazione di erronea individuazione del giudice possa consolidarsi non per il mancato rilievo d'ufficio a cui abbia fatto seguito l'acquiescenza delle parti - che costituirebbe un effetto fisiologico del giudicato - ma per la mancanza di un mezzo di tutela; non può infatti ammettersi che la parte privata convenuta da altra parte privata innanzi ad un giudice palesemente privo di giurisdizione non abbia alcuno strumento per far valere tale difetto.
Ritenuta, pertanto, l'ammissibilità del regolamento, la Suprema Corte ha anche rilevato la piena fondatezza dell'istanza, essendo palese il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda proposta dagli avvocati Sergio C. e Ennio L. nei confronti della s.r.l. Alse Medica perché - a prescindere da ogni possibile rilievo sulla ammissibilità in concreto della domanda stessa, che esulano dall'ambito del presente regolamento, contrariamente a quanto ritiene la parte istante - essa non può che competere al giudice ordinario, trattandosi di controversia privata avente ad oggetto la pretesa degli onorari professionali del difensore nei confronti del proprio cliente sulla base del procedimento speciale di cui alla l. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, espressamente attinente a onorari giudiziali in materia civile. Per tali motivi, le Sezioni Unite hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario, innanzi al quale hanno rimesse le parti.

Ferdinando Bruno, Avvocato e Solicitor, LLM, PhD, Professore a contratto di International fiscal systems and financial instruments presso l'Università di LuganoTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

Regolamento di Giudisdizione: Ammissibilità

31.07.2008
Processo civile e legge forense all'attenzione delle Sezioni Unite civili
Il regolamento preventivo di giurisdizione, disciplinato dall'art. 41 c.p.c., è istituto di natura straordinaria ed eccezionale e pertanto può essere esperito soltanto con riferimento alle questioni di giurisdizione di cui all'art. 37 c.p.c., e cioè alle questioni attinenti alla giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o del giudice speciale, ed alla giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero, concludendo che il regolamento è inammissibile in una controversia tra privati nella quale non sia coinvolta la pubblica amministrazione.
Cassazione civile Ordinanza, Sez. SS.UU., 13/06/2008, n. 15916

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione civile hanno esaminato recentemente la seguente questione concernente la fattispecie degli onorari professionali.
Gli avvocati Sergio C. ed Ennio L. convennero innanzi al Tar del Lazio la s.r.l. Alse Medica e l'Azienda Policlinico Umberto I di Roma, chiedendo ai sensi della l. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, la liquidazione di compensi professionali per Euro 169.566,19 quali compensi per l'attività professionale svolta innanzi a detto giudice a favore della suddetta società e nei confronti dell'Azienda Policlinico di Roma.
La s.r.l. Alse Medica, costituitasi innanzi al giudice adito eccependo, tra l'altro, il difetto di giurisdizione, propone regolamento preventivo innanzi alle Sezioni Unite.
Hanno resistito con controricorso gli avvocati C. e L. nonché l'Azienda Policlinico Umberto I di Roma, nei cui confronti non è stata formulata alcuna domanda nel giudizio instaurato innanzi al TAR.
La soc. ricorrente assumeva che il TAR non ha giurisdizione in merito perché la previsione di cui agli artt. 28 e 29 della legge forense è espressamente formulata per il processo civile e non può essere estesa analogicamente ad altri processi, stante il divieto di cui all'art. 14 preleggi; aggiunge che, comunque, sussisterebbe il difetto assoluto di giurisdizione in quanto l'art. 28 citato dispone che il procedimento speciale di liquidazione può essere attivato solo dopo la decisione della causa, mentre nella specie il procedimento è sospeso; deduce, inoltre, altre varie questioni che dimostrerebbero la inammissibilità nella specie del procedimento di liquidazione in discorso.
Il P.G. ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, affermando che il regolamento preventivo di giurisdizione, disciplinato dall'art. 41 c.p.c., è istituto di natura straordinaria ed eccezionale e pertanto può essere esperito soltanto con riferimento alle questioni di giurisdizione di cui all'art. 37 c.p.c., e cioè alle questioni attinenti alla giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o del giudice speciale, ed alla giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero, concludendo che il regolamento è inammissibile in una controversia tra privati nella quale non sia coinvolta la pubblica amministrazione.
I Giudici di legittimità hanno ritenuto che la richiesta del P.G. non potesse essere condivisa per le seguenti ragioni.
Nel nostro sistema giurisdizionale, le sezioni unite civili costituiscono il supremo organo regolatore della giurisdizione e in tale funzione non sussiste limitazione, se non quella che nella fattispecie sottoposta a regolamento si ponga effettivamente una questione di giurisdizione, e cioè che non sia censurato il modo di esercizio della giurisdizione, ma la violazione dei limiti esterni di essa..
Orbene, l'art. 41 c.p.c., prevede che, sin quando la causa non sia decisa nel merito, ciascuna parte può chiedere alle sezioni unite della Corte di Cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui all'art. 37 c.p.c.; detta disposizione concerne le ipotesi di difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali.
Dal raccordo delle due disposizioni citate risulta palese che la giurisprudenza delle medesime sezioni unite richiamata dal P.G. a conforto della proprie richieste (n. 7800/2005) attiene all'ipotesi in cui una questione di giurisdizione sia sollevata davanti al giudice ordinario senza che sia parte una pubblica amministrazione.
Non v'è dubbio, infatti, che in tal caso nessuna questione di giurisdizione si potrebbe porre, perché le controversie tra privati non possono che spettare al giudice ordinario, e ciò è valido in ogni caso, anche se il giudice adito debba vagliare situazioni con aspetti di pubblico interesse o possa trovarsi a disapplicare atti amministrativi, in quanto - data l'estraneità dell'amministrazione pubblica - le questioni suddette attengono al merito e non alla giurisdizione. Non sussiste invece alcun limite alla possibilità di regolare la giurisdizione in ogni altra ipotesi in cui si ponga la questione davanti a un giudice speciale.
Se in linea di principio non dovrebbe verificarsi che innanzi al giudice speciale non sia parte una pubblica amministrazione (la l. n. 1034 del 1971, art. 3, dispone che "sono devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi per incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge contro atti e provvedimenti emessi dagli organi centrali dello stato e degli enti pubblici a carattere ultraregionale"), deve ovviamente consentirsi alla sezioni unite della corte di cassazione rimediare ad eventualità patologiche in cui il giudice speciale non abbia rilevato d'ufficio il difetto della propria giurisdizione in una controversia instaurata innanzi ad esso da un soggetto privato nei confronti di un altro soggetto privato, non potendosi consentire che una situazione di erronea individuazione del giudice possa consolidarsi non per il mancato rilievo d'ufficio a cui abbia fatto seguito l'acquiescenza delle parti - che costituirebbe un effetto fisiologico del giudicato - ma per la mancanza di un mezzo di tutela; non può infatti ammettersi che la parte privata convenuta da altra parte privata innanzi ad un giudice palesemente privo di giurisdizione non abbia alcuno strumento per far valere tale difetto.
Ritenuta, pertanto, l'ammissibilità del regolamento, la Suprema Corte ha anche rilevato la piena fondatezza dell'istanza, essendo palese il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda proposta dagli avvocati Sergio C. e Ennio L. nei confronti della s.r.l. Alse Medica perché - a prescindere da ogni possibile rilievo sulla ammissibilità in concreto della domanda stessa, che esulano dall'ambito del presente regolamento, contrariamente a quanto ritiene la parte istante - essa non può che competere al giudice ordinario, trattandosi di controversia privata avente ad oggetto la pretesa degli onorari professionali del difensore nei confronti del proprio cliente sulla base del procedimento speciale di cui alla l. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, espressamente attinente a onorari giudiziali in materia civile. Per tali motivi, le Sezioni Unite hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario, innanzi al quale hanno rimesse le parti.

Ferdinando Bruno, Avvocato e Solicitor, LLM, PhD, Professore a contratto di International fiscal systems and financial instruments presso l'Università di LuganoTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...