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giovedì 4 febbraio 2010

Risarcimento del danno da fermo tecnico del veicolo

Cassazione III civile n. 1688 del 27-01-2010


Assicurativo,risarcimento,preventivi,fattura,riparazioni,iva, fermo tecnico


" il risarcimento del danno da fatto illecito ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l'evento lesivo e, quindi, trova presupposto e limite nell'effettiva perdita subita da quel patrimonio in conseguenza del fatto stesso, indipendentemente dagli esborsi materialmente effettuati (tra le varie, cfr. Cass. 5 luglio 2002, n. 9740)."




REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SENESE Salvatore - Presidente
Dott. FILADORO Camillo - Consigliere
Dott. CHIARINI Maria Margherita - Consigliere
Dott. SPIRITO Angelo - rel. Consigliere
Dott. D'AMICO Paolo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 14069/2005 proposto da:
*****, elettivamente domiciliato in ROMA, *****, presso lo studio dell'avvocato *****, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ***** giusta delega in calce al ricorso; - ricorrente -


contro


***** ASSIC. SPA, ***** SRL; - intimati -


avverso la sentenza n. 637/2005 del TRIBUNALE di TARANTO, 3^ SEZIONE CIVILE, emessa il 24/10/2004, depositata il 10/02/2005, R.G.N. 2013/1998;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/11/2009 dal Consigliere Dott. ANGELO SPIRITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso p.q.r..
Svolgimento del processo
Ottenuta dal pretore di Taranto la condanna della ditta ***** e della ***** Ass.ni s.p.a. al risarcimento del danno, il ***** propose appello per il mancato riconoscimento, da parte del primo giudice, dell'anticipazione dell'IVA sulle riparazioni da effettuare sul veicolo, nonchè del danno da "fermo tecnico".
Il Tribunale di Manduria respinse l'impugnazione sul presupposto della mancata prova sia in ordine all'avvenuta riparazione del veicolo, sia in ordine al suo mancato utilizzo.
Il ***** propone ricorso per cassazione a mezzo di tre motivi.
Non si difendono gli intimati.
Motivi della decisione


I primi due motivi - attraverso i quali il ricorrente lamenta la mancata condanna dei convenuti al pagamento dell'IVA sulle riparazioni da effettuare sulla vettura, nonchè la mancata liquidazione del danno da fermo tecnico - sono fondati.
Occorre, infatti, ribadire il consolidato principio giurisprudenziale, di ordine generale, in ragione del quale il risarcimento del danno da fatto illecito ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l'evento lesivo e, quindi, trova presupposto e limite nell'effettiva perdita subita da quel patrimonio in conseguenza del fatto stesso, indipendentemente dagli esborsi materialmente effettuati (tra le varie, cfr. Cass. 5 luglio 2002, n. 9740).
Più in particolare ed in applicazione di questo stesso principio, è stato affermato che, poichè il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e conseguenziali, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento comprende anche l'IVA, pur se la riparazione non è ancora avvenuta - e a meno che il danneggiato, per l'attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell'IVA versata - perchè l'autoriparatore, per legge (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 18), deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente (Cass. 14 ottobre 1997, n. 10023).
Con riferimento poi al cosiddetto danno da fermo tecnico subito dal proprietario dell'autovettura danneggiata a causa della impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione, è stato affermato che è possibile la liquidazione equitativa di detto danno anche in assenza di prova specifica in ordine al medesimo, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall'uso effettivo a cui esso era destinato. L'autoveicolo è, difatti, anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, ed è altresì soggetta a un naturale deprezzamento di valore, del veicolo (Cass. 9 novembre 2006, n. 23916).
La sentenza, che non s'è adeguata agli enunciati principi, deve essere, dunque, cassata sul punto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., può emettere la decisione nel merito, come da dispositivo.
Resta assorbito il terzo motivo di ricorso che concerne le spese di causa, dovendosi in questa sede provvedere sulle spese dell'intero processo.
Sussistono i giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese dell'intero processo.


P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata nel punto in cui ha respinto la domanda di condanna dei convenuti al pagamento dell'IVA sulle riparazioni e del danno da c.d. "fermo tecnico" e condanna i convenuti in solido al pagamento in favore dell'attore degli importi per tali voci, così come indicati nella CTU, oltre interessi e rivalutazione alla data della presente sentenza. Compensa interamente tra le parti le spese dell'intero processo.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010

Risarcimento del danno da fermo tecnico del veicolo

Cassazione III civile n. 1688 del 27-01-2010

Assicurativo,risarcimento,preventivi,fattura,riparazioni,iva, fermo tecnico

" il risarcimento del danno da fatto illecito ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l'evento lesivo e, quindi, trova presupposto e limite nell'effettiva perdita subita da quel patrimonio in conseguenza del fatto stesso, indipendentemente dagli esborsi materialmente effettuati (tra le varie, cfr. Cass. 5 luglio 2002, n. 9740)."


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SENESE Salvatore - Presidente
Dott. FILADORO Camillo - Consigliere
Dott. CHIARINI Maria Margherita - Consigliere
Dott. SPIRITO Angelo - rel. Consigliere
Dott. D'AMICO Paolo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 14069/2005 proposto da:
*****, elettivamente domiciliato in ROMA, *****, presso lo studio dell'avvocato *****, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ***** giusta delega in calce al ricorso; - ricorrente -

contro

***** ASSIC. SPA, ***** SRL; - intimati -

avverso la sentenza n. 637/2005 del TRIBUNALE di TARANTO, 3^ SEZIONE CIVILE, emessa il 24/10/2004, depositata il 10/02/2005, R.G.N. 2013/1998;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/11/2009 dal Consigliere Dott. ANGELO SPIRITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso p.q.r..
Svolgimento del processo
Ottenuta dal pretore di Taranto la condanna della ditta ***** e della ***** Ass.ni s.p.a. al risarcimento del danno, il ***** propose appello per il mancato riconoscimento, da parte del primo giudice, dell'anticipazione dell'IVA sulle riparazioni da effettuare sul veicolo, nonchè del danno da "fermo tecnico".
Il Tribunale di Manduria respinse l'impugnazione sul presupposto della mancata prova sia in ordine all'avvenuta riparazione del veicolo, sia in ordine al suo mancato utilizzo.
Il ***** propone ricorso per cassazione a mezzo di tre motivi.
Non si difendono gli intimati.
Motivi della decisione

I primi due motivi - attraverso i quali il ricorrente lamenta la mancata condanna dei convenuti al pagamento dell'IVA sulle riparazioni da effettuare sulla vettura, nonchè la mancata liquidazione del danno da fermo tecnico - sono fondati.
Occorre, infatti, ribadire il consolidato principio giurisprudenziale, di ordine generale, in ragione del quale il risarcimento del danno da fatto illecito ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l'evento lesivo e, quindi, trova presupposto e limite nell'effettiva perdita subita da quel patrimonio in conseguenza del fatto stesso, indipendentemente dagli esborsi materialmente effettuati (tra le varie, cfr. Cass. 5 luglio 2002, n. 9740).
Più in particolare ed in applicazione di questo stesso principio, è stato affermato che, poichè il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e conseguenziali, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento comprende anche l'IVA, pur se la riparazione non è ancora avvenuta - e a meno che il danneggiato, per l'attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell'IVA versata - perchè l'autoriparatore, per legge (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 18), deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente (Cass. 14 ottobre 1997, n. 10023).
Con riferimento poi al cosiddetto danno da fermo tecnico subito dal proprietario dell'autovettura danneggiata a causa della impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione, è stato affermato che è possibile la liquidazione equitativa di detto danno anche in assenza di prova specifica in ordine al medesimo, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall'uso effettivo a cui esso era destinato. L'autoveicolo è, difatti, anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, ed è altresì soggetta a un naturale deprezzamento di valore, del veicolo (Cass. 9 novembre 2006, n. 23916).
La sentenza, che non s'è adeguata agli enunciati principi, deve essere, dunque, cassata sul punto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., può emettere la decisione nel merito, come da dispositivo.
Resta assorbito il terzo motivo di ricorso che concerne le spese di causa, dovendosi in questa sede provvedere sulle spese dell'intero processo.
Sussistono i giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese dell'intero processo.

P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata nel punto in cui ha respinto la domanda di condanna dei convenuti al pagamento dell'IVA sulle riparazioni e del danno da c.d. "fermo tecnico" e condanna i convenuti in solido al pagamento in favore dell'attore degli importi per tali voci, così come indicati nella CTU, oltre interessi e rivalutazione alla data della presente sentenza. Compensa interamente tra le parti le spese dell'intero processo.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010

venerdì 25 dicembre 2009

.... vacanze di Natale: ecco qualcosina sul danno da vacanza rovinata

Cassazione, SEZ. III CIVILE - 6 luglio 2009, n.15798 - (2177)







Viaggi,turismo,vacanza rovinata,eventi eccezionali,prospettivo informativo





"Di vero, l'assunto dell'attuale ricorrente, secondo il quale vi sarebbe stata omessa informazione di un pericolo e di un danno alla sua pelle, dovuti alla interazione tra la bassa marea e la presenza dell'alga ustionante, che, invece, la compagnia era tenuta a rappresentarli, non comporta, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, alcun nesso di causalita' tra l'asserita negligenza informativa e la fotodermatite, determinata, peraltro, da un raro, a dire della ricorrente, microrganismo."







Motivi della decisione



1. - Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2729 c.c., in relazione agli artt. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e 360 n. 5 c.p.c. “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettata dalle parti”) la Z. sostiene che il giudice dell'appello avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile la prova da lei articolata.



Riconosce la ricorrente che la prova fu articolata in primo grado, ma non venne coltivata in sede di precisazione delle conclusioni, sebbene poi riproposta in appello (p. 8 ricorso).



Il motivo e' inammissibile, perche' non censura la ratio decidendi del giudice dell'appello di cui riconosce i presupposti di fatto.



Ne consegue l'assorbimento del secondo motivo circa il nesso eziologico, disconosciuto dalla sentenza impugnata.



Peraltro, per suffragare il suo convincimento, il giudice del merito affronta anche “per esigenze di completezza argomentative” le doglianze dell'attuale ricorrente.



Argomenta il giudice che “la sorte del giudizio non sarebbe stata diversa se la Z. avesse dimostrato la rilevanza causale del microrganismo ustionante presente nelle acque antistanti al villaggio turistico, poiche' ai fini dell'accertamento della responsabilita' della compagnia di viaggio, la danneggiata avrebbe altresi' dovuto provare non solo che la controparte fosse stata a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della presenza dell'alga marina in quel tratto di mare e nel periodo in cui ebbe luogo la vacanza e della probabilita' di un contatto aggressivo facilitato dalla bassa marea, ma anche che ella, se informata di tale eventualita', si sarebbe astenuta dallo stipulare il contratto (di viaggio n.d.r.) o lo avrebbe concluso a condizioni diverse” (p. 5 sentenza impugnata).



Simile motivazione non risulta ne' insufficiente ne' contraddittoria non ravvisandosi nel ragionamento del giudice del merito ne' il mancato esame di un punto decisivo della controversia, prospettato dalla parte (in quanto, come esposto, la Corte territoriale esamina proprio il punto sulla richiesta di apposita CTU per disattenderla) ne' un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate (Cass. n. 2399/04).



Ne' puo' dedursi di aver in tal modo posto a carico del viaggiatore-consumatore la prova di conoscenza delle circostanze da parte della Ventaglio.



Infatti, il giudice dell'appello, investito della domanda risarcitoria, ha accertato che la Ventaglio ha agito secondo il criterio della diligenza professionale (art. 1176 c.c.) e della buona fede precontrattuale e contrattuale (artt. 1175, 1337, 1374, 1375 c.c.), in quanto ha ritenuto che “il fenomeno della bassa marea, quale situazione favorevole all'azione nociva di eventuali microrganismi acquatici” non fosse riconducibile “al novero di quelle informazioni di carattere generale” che l'organizzatore del viaggio deve mettere a disposizione del “consumatore”.

Al riguardo, va evidenziato che l'organizzatore di viaggi turistici, in base ai principi contenuti nella Convenzione di Bruxelles del 23 aprile 1970, concernente il contratto di viaggio deve adottare tutte le misure idonee ad evitare danni a coloro che vi partecipano (Cass. n. 4636/97); e' tenuto ad una condotta che non superi il livello medio di diligenza (Cass. n. 20787/04).

Pertanto, una volta informato il viaggiatore, come e' stato fatto nella specie, delle prestazioni promesse (trasporto, alloggio, attivita' sportive, escursioni e quant'altro), e messo a disposizione di questi il cd. opuscolo informativo menzionato dall'art. 9 del decr. leg.vo n. 111/95, che contempla tra le informazioni generali quelle sole notizie, di carattere per lo piu' amministrativo, necessarie per recarsi all'estero e indicato nel documento di viaggio i servizi forniti e le condizioni atte a giustificarne l'annullamento, nulla piu' incombe al detto organizzatore per dimostrare di aver adempiuto con la dovuta diligenza ai suoi obblighi.

Nella specie, il CTU e la relazione del CT di parte hanno solo indicato come causa probabile, ma non certa, che la fotodermatite sia stata causata da un microrganismo acquatico (p. 4 sentenza impugnata), per cui la probabilita' della causa non si configura come causalita' necessaria ed esclude di per se' ogni responsabilita' precontrattuale, rinvenibile soltanto in una negligenza informativa, che allo stato, non e' stata ritenuta, dovendosi ragionevolmente considerare che esula dalla esperienza dell'organizzatore del viaggio e dalla sua necessaria professionalita' la cognizione della bassa marea in un posto e della esistenza di microrganismi infetti nello stesso.

Di vero, l'assunto dell'attuale ricorrente, secondo il quale vi sarebbe stata omessa informazione di un pericolo e di un danno alla sua pelle, dovuti alla interazione tra la bassa marea e la presenza dell'alga ustionante, che, invece, la compagnia era tenuta a rappresentarli, non comporta, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, alcun nesso di causalita' tra l'asserita negligenza informativa e la fotodermatite, determinata, peraltro, da un raro, a dire della ricorrente, microrganismo.

Di qui l'assorbimento degli altri profili in esso contenuti circa il danno patrimoniale, danno morale, rimborso spese e da vacanza rovinata.

In conclusione il ricorso va respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti integralmente le spese del presente giudizio.

.... vacanze di Natale: ecco qualcosina sul danno da vacanza rovinata

Cassazione, SEZ. III CIVILE - 6 luglio 2009, n.15798 - (2177)



Viaggi,turismo,vacanza rovinata,eventi eccezionali,prospettivo informativo


"Di vero, l'assunto dell'attuale ricorrente, secondo il quale vi sarebbe stata omessa informazione di un pericolo e di un danno alla sua pelle, dovuti alla interazione tra la bassa marea e la presenza dell'alga ustionante, che, invece, la compagnia era tenuta a rappresentarli, non comporta, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, alcun nesso di causalita' tra l'asserita negligenza informativa e la fotodermatite, determinata, peraltro, da un raro, a dire della ricorrente, microrganismo."



Motivi della decisione

1. - Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2729 c.c., in relazione agli artt. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e 360 n. 5 c.p.c. “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettata dalle parti”) la Z. sostiene che il giudice dell'appello avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile la prova da lei articolata.

Riconosce la ricorrente che la prova fu articolata in primo grado, ma non venne coltivata in sede di precisazione delle conclusioni, sebbene poi riproposta in appello (p. 8 ricorso).

Il motivo e' inammissibile, perche' non censura la ratio decidendi del giudice dell'appello di cui riconosce i presupposti di fatto.

Ne consegue l'assorbimento del secondo motivo circa il nesso eziologico, disconosciuto dalla sentenza impugnata.

Peraltro, per suffragare il suo convincimento, il giudice del merito affronta anche “per esigenze di completezza argomentative” le doglianze dell'attuale ricorrente.

Argomenta il giudice che “la sorte del giudizio non sarebbe stata diversa se la Z. avesse dimostrato la rilevanza causale del microrganismo ustionante presente nelle acque antistanti al villaggio turistico, poiche' ai fini dell'accertamento della responsabilita' della compagnia di viaggio, la danneggiata avrebbe altresi' dovuto provare non solo che la controparte fosse stata a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della presenza dell'alga marina in quel tratto di mare e nel periodo in cui ebbe luogo la vacanza e della probabilita' di un contatto aggressivo facilitato dalla bassa marea, ma anche che ella, se informata di tale eventualita', si sarebbe astenuta dallo stipulare il contratto (di viaggio n.d.r.) o lo avrebbe concluso a condizioni diverse” (p. 5 sentenza impugnata).

Simile motivazione non risulta ne' insufficiente ne' contraddittoria non ravvisandosi nel ragionamento del giudice del merito ne' il mancato esame di un punto decisivo della controversia, prospettato dalla parte (in quanto, come esposto, la Corte territoriale esamina proprio il punto sulla richiesta di apposita CTU per disattenderla) ne' un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate (Cass. n. 2399/04).

Ne' puo' dedursi di aver in tal modo posto a carico del viaggiatore-consumatore la prova di conoscenza delle circostanze da parte della Ventaglio.

Infatti, il giudice dell'appello, investito della domanda risarcitoria, ha accertato che la Ventaglio ha agito secondo il criterio della diligenza professionale (art. 1176 c.c.) e della buona fede precontrattuale e contrattuale (artt. 1175, 1337, 1374, 1375 c.c.), in quanto ha ritenuto che “il fenomeno della bassa marea, quale situazione favorevole all'azione nociva di eventuali microrganismi acquatici” non fosse riconducibile “al novero di quelle informazioni di carattere generale” che l'organizzatore del viaggio deve mettere a disposizione del “consumatore”.
Al riguardo, va evidenziato che l'organizzatore di viaggi turistici, in base ai principi contenuti nella Convenzione di Bruxelles del 23 aprile 1970, concernente il contratto di viaggio deve adottare tutte le misure idonee ad evitare danni a coloro che vi partecipano (Cass. n. 4636/97); e' tenuto ad una condotta che non superi il livello medio di diligenza (Cass. n. 20787/04).
Pertanto, una volta informato il viaggiatore, come e' stato fatto nella specie, delle prestazioni promesse (trasporto, alloggio, attivita' sportive, escursioni e quant'altro), e messo a disposizione di questi il cd. opuscolo informativo menzionato dall'art. 9 del decr. leg.vo n. 111/95, che contempla tra le informazioni generali quelle sole notizie, di carattere per lo piu' amministrativo, necessarie per recarsi all'estero e indicato nel documento di viaggio i servizi forniti e le condizioni atte a giustificarne l'annullamento, nulla piu' incombe al detto organizzatore per dimostrare di aver adempiuto con la dovuta diligenza ai suoi obblighi.
Nella specie, il CTU e la relazione del CT di parte hanno solo indicato come causa probabile, ma non certa, che la fotodermatite sia stata causata da un microrganismo acquatico (p. 4 sentenza impugnata), per cui la probabilita' della causa non si configura come causalita' necessaria ed esclude di per se' ogni responsabilita' precontrattuale, rinvenibile soltanto in una negligenza informativa, che allo stato, non e' stata ritenuta, dovendosi ragionevolmente considerare che esula dalla esperienza dell'organizzatore del viaggio e dalla sua necessaria professionalita' la cognizione della bassa marea in un posto e della esistenza di microrganismi infetti nello stesso.
Di vero, l'assunto dell'attuale ricorrente, secondo il quale vi sarebbe stata omessa informazione di un pericolo e di un danno alla sua pelle, dovuti alla interazione tra la bassa marea e la presenza dell'alga ustionante, che, invece, la compagnia era tenuta a rappresentarli, non comporta, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, alcun nesso di causalita' tra l'asserita negligenza informativa e la fotodermatite, determinata, peraltro, da un raro, a dire della ricorrente, microrganismo.
Di qui l'assorbimento degli altri profili in esso contenuti circa il danno patrimoniale, danno morale, rimborso spese e da vacanza rovinata.
In conclusione il ricorso va respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti integralmente le spese del presente giudizio.

domenica 20 dicembre 2009

le micropermanenti, il danno morale e quello esistenziale: ancora qualche spunto di incostituzionalità

Il risarcimento delle micro-permanenti e l’incostituzionalità dell’art. 139 C.D.A.







Giudice di Pace , sez. V civile, ordinanza 30.11.2009 (Fabio Quadri)











Dopo le note sentenze “gemelle” delle Sezioni Unite della Corti di Cassazione, il dibattito si è spostato sulla risarcibilità o meno del danno morale. Il problema principale è senz’altro da ravvisarsi in quei casi, come quelli previsti dall’art. 139 del C.d.A., laddove il risarcimento è determinato da tabelle stabilite per legge nelle quali non si fa menzione del danno morale ma si “codifica” unicamente il risarcimento del danno biologico.













Il Giudice di Pace di Torino, con l’ordinanza depositata in data 30 novembre 2009, ha ulteriormente approfondito l’argomento ed ha ritenuto che, senza modifica legislativa, l’art. 139 C.d.A. debba ritenrsi incostituzionale.













L’ordinanza in questione spicca senza dubbio per l’approfondimento degli argomenti e per la confutazione di tutte le precedenti ordinanze della Corte Costituzionale sul tema. Crediamo che, questa volta, la Corte Costituzionale non potrà dichiarare semplicemente “l’inammissibilità” della stessa, come ha fatto ripetutamente in passato, ravvisando omissioni o incoerenze nelle varie ordinanze di remissione agli atti. Il Giudice di Pace di Torino, infatti, non ha lasciato nulla al caso ed ha affrontato la questione a 360°, indicando esattamente quali, e perché, siano le norme della carta costituzionale violate e perché non sia possibile dare una “interpretazione costituzionalmente orientata” alla norma. Scriva il Giudice di Pace: “ L’art. 139 del D.Lgs. n. 209/2005 non consente invece al Giudice alcuna possibilità di adeguare al caso concreto la sua liquidazione soprattutto nei casi in cui gli importi previsti da detta norma risultino inferiori alla reale entità del danno; per contro, non potrebbe escludersi nemmeno che, in certi casi del tutto particolari, gli importi previsti possano risultare addirittura superiori al danno effettivo ed il Giudice finisca quindi per dover liquidare somma appunto superiore al danno effettivo senza poter intervenire in alcun modo. Non si vede quindi in quale modo poter salvare la norma con un’interpretazione costituzionalmente orientata”.













Certo che, il numero elevato delle ordinanze trasmesse alla Corte Costituzionale sull’argomento dovrebbe a questo punto far riflettere in maniera un po’ più approfondita i Giudici delle leggi.













(Altalex, 11 dicembre 2009. Nota di Fabio Quadri)

































risarcimento

micro-permanenti

Fabio Quadri









































Giudice di Pace













Torino













Sezione V Civile













Ordinanza 30 novembre 2009













Nella causa civile iscritta al n.15643/09 del Ruolo Generale













avente per oggetto: risarcimento danni da incidente stradale













Promossa da:













C. D. residente in Torino, ed elettivamente domiciliato in Torino, c. Tassoni, n. 12 presso lo studio dell’avvocato Massimo Perrini che lo rappresenta e difende come da delega in atti.













Contro:













UNIQA PROTEZIONE s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore con sede in Udine, Viale Venezia n. 99 ed elettivamente domiciliata in Torino c. Matteotti n. 53 presso lo studio dell’avvocato Angelo Formica che la rappresenta e difende in forza di delega in atti.













CONVENUTA













Nonché Contro:













A. T. residente in Rivalta (TO), v, Giaveno n. 46/2













Altro CONVENUTO CONTUMACE













Il Giudice di Pace dott. Polotti di Zumaglia Alberto













ha depositato la seguente





















ORDINANZA













Premesso:













- con atto di citazione notificato il 26/3/2009 il sig. C. D. conveniva in giudizio la Uniqa Assicurazioni s.p.a. chiedendo il risarcimento dei danni patiti a seguito di incidente stradale verificatosi il 31/1/2008; asseriva l’attore che in tale data era trasportato sulla Lancia Y targata XXXXXXX di proprietà e condotta dal sig. A. T. assicurata per la responsabilità civile obbligatoria dalla Uniqa Assicurazioni s.p.a., e che detto veicolo veniva urtato dalla Fiat Tipo targata ZZZZZZZ di proprietà del sig. XXXXXXXXXXXXXXXXXX ed assicurata per la responsabilità civile obbligatoria dalla Reale Mutua Assicurazioni;













- all’udienza di comparizione il G.d.P. rilevava la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del vettore che veniva quindi evocato in giudizio dalla difesa attorea senza che peraltro esso vettore provvedesse a costituirsi in giudizio alla successiva udienza, per cui verificata la presenza delle condizioni di legge ne veniva dichiarata la contumacia; sempre all’udienza di comparizione la difesa attorea dichiarava che per mero errore aveva evocato in giudizio l’Uniqa Assicurazioni s.p.a. omettendo l’esatta sua denominazione di Uniqa Protezione e quest’ultima si costituiva regolarmente in giudizio alla successiva udienza dichiarando in sostanza di assumere la gestione della lite in luogo di Uniqa Assicurazioni s.p.a che veniva quindi estromessa dal giudizio;













- espletate le prove ammesse, le parti all’udienza del 19/10/2009 precisavano le conclusioni e chiedevano che la causa venisse trattenuta a sentenza; la difesa attorea chiedeva in via preliminare, ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 139 d.l.vo 7/9/2005 n. 209 in riferimento agli articoli 2, 3, 10 , 24 e 32 della Costituzione, sospendersi il giudizio e disporre l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;













- la risoluzione della questione di legittimità costituzionale così preliminarmente sollevata può indubbiamente esplicare notevoli conseguenze sulla decisione del giudizio in corso, posto che nello stesso non è in discussione la responsabilità di parte convenuta ma essenzialmente il risarcimento del danno alla persona patito dall’attore per la cui quantificazione dovrebbe farsi obbligatoriamente riferimento a quanto stabilito dall’articolo139 del d.l.vo n. 209/2005, il che non consentirebbe di giungere ad un’adeguata personalizzazione del danno, per cui si ritiene necessario sollevarla per quanto in appresso verrà precisato, sospendendo il giudizio in attesa della decisione della corte Costituzionale;













- le argomentazioni esposte dalla difesa dell’attore possono sinteticamente così riassumersi: premesso che il danno patito dallo stesso attore è tale da non poter essere adeguatamente risarcito in considerazione delle sue particolari caratteristiche che fanno si che la sua quantificazione, ove effettuata con riferimento ad un’adeguata sua personalizzazione come ritenuto dall’attuale evoluzione legislativa esuli dai criteri di legge, vengono effettuate le seguenti critiche all’art 139 del d.lvo n. 209/2005: a) violazione dell’art. 76 della Costituzione da parte di detta norma per l’introduzione di un limite per la liquidazione del danno alla persona non previsto dalla legge delega 23/7/2003 n. 229 ed inferiore a quanto in precedenza liquidato con le tabelle in uso presso i vari tribunali; a 1) illegittimità costituzionale degli artt. 5 della legge n. 57/2001 e 23 della legge n. 273/2002 laddove, a seguito di caducazione dell’art. 139, si giungesse ad una reviviscenza di dette norme dovendosi applicare gli ordinari criteri risarcitori del danno alla persona comunemente adottati dalla giurisprudenza di merito e di legittimità; b) violazione dell’articolo 3 comma 2 della Costituzione a fronte dello squilibrio esistente tra la personalizzazione del danno dell’infortunato effettuata secondo le tabelle in uso presso i vari Tribunali e quella concessa dai criteri di cui all’art. 139 che pongono limiti rigidi, squilibrio che è ancora più evidente se si prende in considerazione anche solo il fatto che un’invalidità del 10%, allo stato, viene liquidata con le suindicate tabelle, mentre quella del 9% viene liquidata con i criteri di detta norma ed ulteriore difformità di trattamento è evidenziabile dopo l’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte laddove venne rivisitata la liquidazione del danno non patrimoniale soprattutto con riferimento ai contenuti del danno biologico con conseguente impossibilità di riconoscere il danno morale come in precedenza accadeva nella pratica; c) violazione dell’articolo 3 comma 1 della Costituzione con riferimento al soggetto danneggiante od alla tipologia della causa del danno; sotto il primo aspetto viene preso in considerazione il fatto che la procedura di risarcimento diretto prevista dall’art. 149 del d.l.vo n. 209/2005 si affianca senza sostituirla, alla procedura ordinaria, nel senso che il danneggiato può agire per il risarcimento del suo danno sia nei confronti della propria assicurazione sia nei confronti del danneggiante con il risultato che nel rapporto assicurato assicuratore operano necessariamente i criteri dell’articolo 139 mentre nel rapporto tra danneggiante e danneggiato regolato dalle norme ordinarie potrebbe aversi una liquidazione dello stesso danno secondo le tabelle in uso presso i singoli Tribunali con risultati ovviamente difformi; riguardo al secondo aspetto viene invece in considerazione il fatto che il danneggiato da eventi della circolazione stradale viene risarcito con i limiti di legge, mentre questi finirebbero per non operare per il soggetto danneggiato da altri eventi; d) violazione degli articoli 2 e 24 della Costituzione in relazione ad una corretta e necessaria personalizzazione del danno, posto che il limitato incremento del 20% concesso dalla legge non tiene conto delle diverse effettive ricadute che uno stesso pregiudizio può provocare a vari soggetti portando ad un livellamento dei risarcimenti soprattutto nella valutazione dei risvolti dinamico relazionali che in concreto possono avere conseguenze differenti da soggetto a soggetto; e) violazione dell’articolo 32 della Costituzione per il mancato risarcimento della sofferenza fisica e morale quale limite del diritto alla salute e ciò in particolare dopo l‘intervento delle Sezioni Unite della Cassazione laddove si ritenga che il danno morale resti compreso nel danno biologico tanto più che il primo non consiste solo nel dolore fisico preso in considerazione nella quantificazione del secondo ma anche nella sofferenza morale. La difesa attorea rilevava infine l’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 139 in relazione ai mutati indirizzi giurisprudenziali quali recepiti dal diritto vivente posto che detta norma non lascia spazi di manovra al giudicante il quale si deve limitare ad un conteggio matematico che impedisce un’adeguata personalizzazione del danno.





















OSSERVA





















Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 139 del d.l.vo 7/9/2005 n. 209





















1) Richiami sui precedenti legislativi e sulle questioni sorte in ordine agli stessi





















Prima di procedere all’esame della questione di legittimità costituzionale sollevata è opportuno ricordare quanto a suo tempo osservato in ordine all’articolo 5 della legge 5/3/2001 n. 57 con il quale si introdussero le tabelle per la liquidazione del danno biologico per i postumi da lesioni pari o inferiori al nove per cento ed all’art. 23 della legge 12/12/2002 n. 273 che introdusse la possibilità di aumento dell’ammontare del danno biologico liquidato in forza di tali tabelle, in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.













In ordine al momento in cui entrarono in vigore dette norme, che si può dire rappresentino l’antecedente storico dell’articolo 139 del d.l.vo n. 209/2005, si deve ricordare che lo stesso art. 5 della legge n. 57/2001 prevedeva che i competenti Ministeri provvedessero alla predisposizione di una specifica tabella delle menomazioni all’integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità il che avvenne con il decreto ministeriale 3/7/2003 (in G.U. 11/9/2003 n. 211) per cui l’articolo 5 della legge n. 57/2001 risultò di fatto applicabile solo dopo l’entrata in vigore di detto decreto ministeriale.





















Di recente si è osservato che da quel momento venne introdotto “…un regime speciale per il danno biologico lieve o da micropermanente (sino a 9 punti) in deroga al regime ordinario codificato dall’articolo 2056 c.c. e con la previsione (introdotta da successiva novella n. 273 del 2002) del potere di correzione della stima del danno nella misura del 25%, così delimitando il potere di personalizzazione del danno, ampiamente sostenuto dalla Corte Costituzionale (1986 n. 194) e della Corte di Cassazione (incluso il punto 4.9 del preambolo sistematico delle SU 11/11/1008 n. 26973 e 26974).













Le tabelle ministeriali in questione, per atto amministrativo, appaiono in contrasto con la definizione amplia del danno biologico considerata, anche per le micropermanenti, dall’art. 139 secondo comma del codice delle assicurazioni, che determina la struttura complessa del danno biologico nelle sue quattro componenti essenziali ( fisica e psichica e riferito alle perdite della vita attiva e della vita di relazione), tanto da determinare gli stessi tribunali a ritenerle orientative e non vincolanti, in attesa di una loro riformulazione nel rispetto della forma regolamentare e per decreto presidenziale.” ( così in motivazione Cass.13/5/2009 n. 11048)





















Si ritiene poi di ricordare che attenta dottrina, all’entrata in vigore dell’articolo 5 della legge n. 57/2001, rilevò trattarsi di norma di portata generale ma con tre limiti applicativi e cioè causale, oggettivo e temporale. In ordine alla limitazione causale che qui maggiormente può interessare, detta dottrina osservò che tale norma appariva difficilmente compatibile con il combinato disposto degli articoli 3 e 32 Costit. perché se la salute è un bene dell’individuo e tutti gli individui sono uguali non si comprende perché una stessa lesione debba essere risarcita in modo diverso a seconda che derivi da una caduta dal motorino piuttosto che da una caduta da cavallo; inoltre se l’intento del legislatore era stato quello di eliminare le disparità di trattamento derivanti da diversi orientamenti giurisprudenziali le stesse non sarebbero state eliminate permanendo in tutti quei casi in cui il danno alla salute sia derivato da un fattore estraneo alla circolazione dei veicoli.





















La giurisprudenza di merito, con riferimento al richiamato articolo 5 della legge n. 57/2001 sollevò a suo tempo numerose questioni di sua illegittimità costituzionale che si conclusero con le ordinanze della Corte Costituzionale n. 126/2003, 64/2004, 434/2004 e 33/2006 le quali, con varie motivazioni, dichiararono la manifesta inammissibilità delle questioni poste.





















Di fatto si deve però rilevare:













- l’ordinanza n. 126/2003 dichiarò la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art 5 della legge n. 57/2001 perché le questioni di incostituzionalità risultarono sollevate con ordinanza “…priva, nel suo complesso, degli elementi idonei a dare valido ingresso al giudizio di legittimità costituzionale, quanto alla necessaria motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle questioni stesse, non essendovi sufficienti indicazioni sulle ragioni per cui si configurerebbe la violazione del parametro costituzionale…”;













- l’ordinanza n. 64/2004 si limitò a restituire gli atti al giudice rimettente al fine di una nuova valutazione sulla rilevanza, alla luce dello ius superveniens costituito dall’art. 23 comma 3 della legge n. 273/2002 che aveva sostituito il comma 4 dell’art. 5 della legge n. 57/2001, cui seguì, dopo che il giudice rimettente aveva nuovamente rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, l’ordinanza n. 33/2006 che, a sua volta, rilevò che detto giudice aveva omesso ogni descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale limitandosi a confermare la rilevanza delle questioni evidenziate con la precedente ordinanza di rimessione e la Corte escluse l’idoneità di una motivazione per relationem anche se dello stesso Giudice ed anche se già ad essa sottoposta con conseguente inammissibilità della proposta questione di legittimità;













- l’ordinanza n. 434/2004 affermò che l’art. 5 della legge n. 57/2001 nella parte in cui disciplina la liquidazione delle micropermanenti “…è applicabile soltanto all’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore e non anche nel rapporto tra danneggiato e danneggiante, che è indipendente dal contratto assicurativo..” per cui trattandosi nel caso di specie di danno di una convenuta che aveva esplicato domanda riconvenzionale senza che poi si sia fatto intervenire nel giudizio l’assicuratore dell’attrice, che tale danno avrebbe dovuto pagare, la questione è stata dichiarata inammissibile, mentre per quanto poteva riguardare l’eventuale rilevanza della questione nel rapporto tra danneggiato e danneggiante la questione è stata dichiarata inammissibile per mancanza di motivazione al riguardo.





















Da quanto sin qui rilevato può desumersi che la questione nodale e cioè l’eventuale incostituzionalità di una norma che ponga una tabellazione rigida per la liquidazione delle micro permanenti solo per i danni da circolazione dei veicoli, non è stata di fatto esaminata con riferimento all’art 5 della legge n. 57/2001, posto che le varie ordinanze di rimessione alla Corte vennero respinte solo perché prive di basilari elementi che potessero venir presi in considerazione dalla stessa.





















Tanto rende dunque ancora attuali le critiche come sopra ricordate a suo tempo formulate dalla dottrina alla predetta legge n. 57/2001 alle quali, si può tuttora far riferimento, per avvalorare i dubbi di incostituzionalità dell’articolo 139 del d.l.vo n. 209/2005, dubbi, che devono essere ora esaminati anche con riferimento agli attuali indirizzi della giurisprudenza in tema di valutazione del danno alla persona per gli ulteriori motivi che in appresso verranno svolti.





















2) Violazione dell’articolo 2 della Costituzione per la fissazione di un limite al risarcimento del danno alla persona senza un adeguato contemperamento degli interessi in gioco.





















Il quesito che ci si deve preliminarmente porre è se il legislatore possa stabilire che la vittima di un illecito aquiliano non possa pretendere più di una somma predeterminata a titolo di risarcimento indipendentemente dall’effettiva consistenza del pregiudizio subito.





















Di tale questione la Corte Costituzionale ebbe ad occuparsi in svariate occasioni.





















Per quanto qui interessa e per i risvolti che le decisioni adottate possono riverberare sulla questione qui sollevata, si può ricordare la sentenza 2/5/1985 n. 132 con la quale la Corte Costituzionale venne chiamata a stabilire se fossero o meno contrari alla Costituzione gli articoli 1 della legge 19/5/1932 n. 841 e 2 della legge 3/12/1962 n. 1832 nella parte in cui, dando esecuzione all’articolo 22 della Convenzione di Varsavia del 12/10/1929 e successive modifiche, stabilivano che la responsabilità del vettore aereo per il risarcimento del danno alla persona fosse contenuta entro il limite di 250.000 franche Poincaré.





















In motivazione detta sentenza osservò: “ Si può intanto precisare che l’aver comunque sancito un limite alla responsabilità del vettore non basta ad integrare la prospettata ipotesi di illegittimità costituzionale sebbene importi una deroga al principio del risarcimento integrale del danno …Occorre vedere più da vicino se la limitazione dell’obbligo risarcitorio sia giustificata dallo stesso contesto normativo in cui essa si colloca, nel senso che la denunciata disciplina pattizia riesca a comporre gli interessi del vettore con un sistema di ristoro del danno non lesivo della norma costituzionale di raffronto…Ad avviso della Corte deve trattarsi di una soluzione normativa atta ad assicurare l’equilibrato componimento degli interessi in gioco: e dunque, per un verso sostenuta dalla necessità di non comprimere indebitamente la sfera di iniziativa economica del vettore, per l’altro, congeniata secondo criteri che, in ordine all’imputazione della responsabilità o alla determinazione della consistenza del limite in discorso, comportano idonee e specifiche salvaguardie del diritto fatto valere da chi subisce il danno ….”





















Nei termini in cui essa è configurata “.. la norma che di fronte alle lesioni corporee…esclude il ristoro integrale del danno non è assistita da un idoneo titolo giustificativo .













Occorre quindi concludere che essa lede la garanzia eretta dall’articolo 2 Costituzione a presidio inviolabile della persona.”





















Come rilevato da attenta dottrina le norme limitatrici della responsabilità del vettore aereo vennero dichiarate costituzionalmente illegittime non perché fissassero un limite al risarcimento, ma perché non realizzavano l’”equo contemperamento” tra l’interesse della vittima al risarcimento integrale e quello del vettore aereo allo svolgimento della propria attività, in particolare non fissando né un meccanismo che garantisse alla vittima la certezza del ristoro ( ad esempio per una responsabilità oggettiva), né criteri di adeguamento dell’importo del massimale.





















Si tratta a questo punto di vedere se l’articolo 139 del codice delle assicurazioni violi o meno l’articolo 2 della Costituzione facendo applicazione dei principi come sopra affermati: premesso dunque che la semplice previsione di un tetto risarcitorio non può costituire di per se violazione del richiamato articolo2 Costit, occorre allora vedere se tale norma realizzi l’equo contemperamento degli interessi in gioco.





















Ma il contemperamento degli interessi in gioco si deve ammettere che da tale norma non è realizzato, visto che a fronte della rigida limitazione risarcitoria imposta al danneggiato questi non ottiene alcun vantaggio diretto od indiretto nei confronti del responsabile o del suo assicuratore come potrebbe essere ad esempio una responsabilità oggettiva dell’assicuratore stesso. Non pare poi ragionevole sostenere che l’interesse all’esercizio dell’attività assicurativa possa essere ritenuto preminente su quello all’integrale risarcimento del danno alla persona. In sostanza, la sproporzione del trattamento delle rispettive posizioni risulta evidente tanto più se si considera anche che l’assicuratore ha già ottenuto un vantaggio, sul piano commerciale, dall’introduzione dell’obbligatorietà dell’assicurazione contro il rischio della responsabilità civile per la circolazione dei veicoli.





















Di conseguenza, si può rilevare l’assenza dell’equo contemperamento tra i contrapposti interessi che come si è visto è il presupposto della legittimità costituzionale di qualsiasi norma limitativa del diritto al risarcimento e da ciò deriva il contrasto dell’articolo 139 cod. assic. con il richiamato articolo 2 della Costituzione.





















A conclusioni similari, sia pur esaminando il problema da diversa angolatura, è pervenuta la giurisprudenza di merito laddove venne precisato: “ Da più parti ci si è interrogati, tenuto conto della valenza costituzionale del risarcimento del danno alla persona, alla luce del secondo comma dell’art. 3 della Costituzione e del principio della necessaria integralità del risarcimento, circa il rischio di illegittimità costituzionale dell’introduzione di limitazioni massime al risarcimento del danno alla persona, che non appaiano ragionevolmente giustificate da un interesse pubblico di rilievo costituzionale.













Almeno in linea di principio non sembra da escludersi la sussistenza di un apprezzabile interesse pubblico all’introduzione di un limite legale massimo al risarcimento, al fine di stabilizzare il mercato assicurativo e soprattutto di garantire una certa uniformità dei risarcimenti sul territorio nazionale di una loro minima prevedibilità da parte degli operatori del settore.













Il riconoscimento astratto dell’ammissibilità dell’introduzione di soglie-limite, di per sé non contrastanti con la Costituzione, non significa però che il legislatore non debba rispettare parametri di ragionevolezza per introdurre le soglie.













E’ in tale scenario che matura il sospetto di incostituzionalità delle norme di cui agli articoli 138 e 139 Codice delle Assicurazioni ove le stesse fossero reinterpretate alla luce del<<nuovo>> art. 2059 c.c. così come concepito dalle Sezioni Unite.” ( così in motivazione Corte d’Appello di Torino 30/10/2009 n. 1315)





















3) Violazione dell’articolo 3 comma 1 della Costituzione con riferimento all’eziologia del danno ed al soggetto danneggiante.





















Già si è in precedenza accennato come in dottrina, criticando l’articolo 5 della legge n. 57/2001, si sia osservato come tale norma apparisse difficilmente compatibile con il combinato disposto degli articoli 3 e 32 Costit. perché se la salute è un bene dell’individuo e tutti gli individui sono uguali non si comprende perché una stessa lesione debba essere risarcita in modo diverso a seconda che derivi da una caduta dal motorino piuttosto che da una caduta da cavallo.





















Identico ragionamento può ora venir fatto nei confronti dell’articolo 139 codice delle assicurazioni il cui disposto vale nei confronti dei danni alla persona conseguenti alla circolazione dei veicoli ed in caso di azione diretta del danneggiato contro l’assicuratore non essendovi ragione per discostarsi anche da quanto affermato dall’ordinanza n. 434/2004 in riferimento all’art. 5 della legge n. 57/2001 laddove precisò che detta noma nella parte in cui disciplina la liquidazione delle micropermanenti “…è applicabile soltanto all’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore e non anche nel rapporto tra danneggiato e danneggiante, che è indipendente dal contratto assicurativo..”





















Ed allora identica lesione può venir risarcita con gli importi di cui al d.m. 19/6/2009 se conseguente a circolazione dei veicoli mentre può venir risarcita con i criteri di cui alla tabella adottata dal Tribunale di Milano, che risulta oggi utilizzata da ben 44 Tribunali (v. Guida al diritto - Dossier n. 9 Novembre 2009, p. 6), se conseguente ad altra e diversa causa, come cadere in una buca stradale, eccetera.





















Ma le differenze in termini monetari risultano notevoli se si pensa che nel primo caso in forza del punto base del decreto ministeriale ad un soggetto di dieci anni che abbia riportato un 1% di invalidità da circolazione, viene corrisposto euro 728,16, mentre allo stesso soggetto che abbia riportato sempre un’invalidità dell’1% cadendo in una buca può venir corrisposto l’importo di euro 1.276,00 e con l’aumentare dell’invalidità le differenze risultano ancora maggiori se si pensa che un 9% in un soggetto di 24 anni con la tabella ministeriale viene risarcito con euro 14.017,81 e con euro 18.620,00 con la tabella di Milano.





















La differenza di trattamento in presenza di identiche situazioni, che consegue a quanto appena rilevato, risulta allora evidente con conseguente violazione dell’articolo 3 comma 1 della Costituzione.





















Quanto appena rilevato si riflette anche nei confronti del soggetto danneggiante tenuto al risarcimento, posto che se questi è un assicuratore contro il quale sia stata proposta l’azione diretta sarà obbligato ad un risarcimento calcolato con i criteri di cui alla tabella ministeriale, mentre tanto non avverrà per il danneggiante tenuto a sensi dell’art. 2043 e seguenti c.c.





















Ma le conseguenze di tale situazione possono avere effetti particolari anche nei confronti dell’assicuratore che sia tenuto in forza di un contratto per garanzie che non consentano l’azione diretta contro di esso.





















Può di fatto accadere che un soggetto responsabile, ad esempio, a sensi dell’art. 2051 c.c. per danno cagionato da cose in custodia od a sensi dell’art. 2052 c.c. per danni cagionati da animale, venga convenuto in giudizio per rispondere di danni a persona dei quali debba rispondere a sensi di dette norme e venga condannato al risarcimento degli stessi; ma la quantificazione di detti danni potrà essere effettuata non necessariamente con i criteri di cui all’art. 139 codice delle assicurazioni non essendo impedito al giudicante di adottare anche altri criteri che potrebbero essere magari quelli di cui alla tabella di Milano o comunque quella del Tribunale competente.





















Ed allora al momento in cui il danneggiante – assicurato si rivolgerà alla propria compagnia di assicurazione per essere manlevato dalle richieste del danneggiato, a sensi dell’art. 1917 c.c., l’assicuratore si troverà a dover intervenire per il risarcimento di un danno liquidato con criteri diversi e quasi sicuramente ben più elevati da quelli che sarebbero stati utilizzati se il danno fosse stato invece provocato dalla circolazione dei veicoli.





















Nell’ambito dei giudizi per il risarcimento di danni alla persona da circolazione stradale si potrà avere una situazione anche più complessa come osservato nelle esaurienti e ben motivate note conclusive depositate dalla difesa attorea, nelle quali si rileva come dopo l’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza 19/6/2009 n. 180 la procedura di risarcimento prevista dall’art. 149 cod. assic. si affianca, senza sostituirla obbligatoriamente, a quella ordinaria, nel senso che al danneggiato è consentito agire sia contro la propria assicuratrice che contro il responsabile del danno, il che comporta risultati economici diversi, visto che, nel primo caso, la liquidazione del danno sarebbe vincolata ai parametri della tabella ministeriale e nel secondo caso si avrebbe invece una liquidazione con i più favorevoli valori tabellari in uso presso i vari Tribunali, con evidenti e irragionevoli disparità di trattamento a seconda del soggetto che venga evocato in giudizio.













La situazione diventa poi ancora più complessa nel caso in cui il danneggiato agisca cumulativamente contro l’assicuratore con l’azione diretta , magari a sensi dell’articolo 149 cod. assic. e contestualmente contro il responsabile del danno a sensi degli artt. 2043- 2054 c.c. con il risultato che al primo potrebbe chiedere il risarcimento del danno da micro permanente ma con il limite della tabella di legge ed al secondo potrebbe chiedere il risarcimento con le altre tabelle per ottenere il totale risarcimento e quest’ultimo potrebbe venir così condannato ad importo superiore a quello invece posto a carico dell’assicuratore per cui per non essere poi esposto in proprio dovrebbe porre una domanda di manleva a sensi dell’art. 1917 c.c. nei confronti del proprio stesso assicuratore.













Da quanto sin qui precisato resta dunque confermata l’irragionevolezza della scelta legislativa con evidente violazione della norma costituzionale ed in particolare dell’art. 3 comma 1.





















4) Violazione dell’articolo 3 della Costituzione come principio di uguaglianza dinanzi alla legge sotto il profilo dell’uguale trattamento di situazioni di fatto diverse , dell’articolo 2 per la limitazione all’effettiva tutela giurisdizionale conseguente alla limitazione al risarcimento e dell’articolo 24.





















L’articolo 139 cod. assic., fissati i criteri e le misure per il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, come precisa al suo primo comma, prevede al comma 3 che l’ammontare del danno biologico, liquidato a sensi di detta norma, possa essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.













E’ appena il caso di sottolineare che, in ogni caso, l’aumento del quinto non può prescindere dal concreto accertamento, nel singolo caso, della sussistenza di conseguenze pregiudizievoli ulteriori e diverse rispetto a quelle ordinariamente derivanti da invalidità dello stesso grado di quella accertata, e tali da incidere negativamente su una qualsiasi delle attività vitali cui la vittima era dedita prima del sinistro.













E’ evidente anzitutto che il differente aumento del risarcimento consentito in relazione all’entità delle lesioni, potrebbe porre una certa discriminazione, visto che per le lesioni di lieve entità si è mantenuto il limite del 20% già in precedenza prefissato, mentre per le altre si è previsto il limite del 30% il che peraltro potrebbe essere giustificato dalla maggior importanza di queste ultime.













Si deve però, rilevare, per quanto riguarda le lesioni di lieve entità, che è senz’altro vero che le stesse non comportano, in genere, conseguenze pratiche immediate sull’attività dinamico relazionale del soggetto, ma ciò non può escludere la presenza di casi del tutto particolari nei quali un limite alla personalizzazione può risultare irragionevole.













Basti pensare ad esempio che determinate menomazioni di un ginocchio o di un piede vengono quantificate con percentuali che, a seconda dell’importanza delle medesime, possono venir quantificate dal 5 al 9 %.













Ma le conseguenze di lesioni del genere possono influire anche pesantemente su attività ludico sportive che il singolo infortunato dimostri di praticare. Si pensi ad un soggetto che nel tempo libero partecipi a gare amatoriali di ballo e che in conseguenza di una anchilosi della I metatarso – falangea del piede (per la quale si riconosce un 5%) non possa più ballare a quel livello, dovendo così rinunciare a gareggiare con le soddisfazioni di prima, o ad un soggetto appassionato sciatore che a causa di una ridotta flessione del ginocchio (che può giungere sino al 9%) si ritrovi con evidenti difficoltà a praticare detto sport, dovendo così rinunciare ad escursioni di un certo impegno.













L’adeguamento al caso concreto concesso al giudice per una personalizzazione del danno consente di riconoscere, con la tabella ministeriale attuale, nei casi ipotizzati, ad un soggetto di 40 anni, che abbia riportato un 5% di invalidità per la lesione al piede un risarcimento di euro 4.642,02 per il danno biologico, ed al massimo euro 928,40 (corrispondente all’aumento del 20%) per le conseguenze influenti sugli aspetti dinamico relazionali della sua vita concretantisi nel caso di specie nel non poter più partecipare a gare amatoriali di ballo. Nel caso dello sciatore, sempre quarantenne, che si ritrovi a dover limitare sensibilmente la sua attività sportiva, avremo, per il 9% di riduzione della flessione del ginocchio, euro 12.811,98 per il biologico, ed euro 2.562,39, come massimo di aumento per l’adeguamento del risarcimento al suo reale danno. Come si può rilevare gli aumenti consentiti dalla legge non sono certo tali da compensare i pregiudizi che in tali casi vengono provocati.













Si tratta ovviamente di casi limite che però rappresentano danni rientranti certo nel danno non patrimoniale di cui all’articolo 2059 c.c. che “…costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del cosiddetto danno morale soggettivo ( e cioè della sofferenza contingente e del turbamento d’animo transeunte, determinati da un fatto illecito integrante reato), ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’articolo 185 c.p.)” ( Cass. 19/2/2009 n. 4053)













Resta comunque il fatto che in casi del genere, nei quali le conseguenze delle lesioni influiscono pesantemente sulle condizioni soggettive dei danneggiati, si vengono ad avere liquidazioni in forza dell’art. 139 cod. che non coprono la reale entità del danno, mentre altrettanto non potrebbe dirsi per identiche lesioni che abbiano colpito individui con diverse condizioni soggettive. E’ infatti bensì vero che sarebbe praticamente impossibile trovare due soggetti che conducano vite assolutamente identiche, ma è altrettanto vero che fratture agli arti da cui siano derivate menomazioni motorie provocheranno disagi ben diversi a chi pratichi attività sportiva rispetto a chi non la pratichi.













E tanto evidenzia come il sistema posto in essere con l’articolo 139 cod. assic. porta a trattare in maniera uguale situazioni di fatto diverse con evidente violazione del principio di uguaglianza di fronte alla legge.













La situazione si è però resa ancora più complessa dopo che le Sezioni Unite con la sentenza 11/11/2008 n. 26972 hanno affermato la natura unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale ed hanno anche precisato che “ Quando il fatto illecito integra gli estremi di un reato, spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale, nella sua più ampia accezione, ivi compreso il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva causata dal reato. Tale pregiudizio può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità), e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad esempio derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto): in quest’ultimo caso, però, di esso il giudice dovrà tener conto nella personalizzazione del danno biologico o di quello causato dall’evento luttuoso, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione.”













Ed allora del danno non patrimoniale di cui ai casi particolari in precedenza evidenziati si dovrebbe tenere conto globalmente nella personalizzazione del danno biologico con il limite dell’aumento del 20% che finisce, però, per determinare un livellamento del risarcimento particolarmente con riferimento ai risvolti dinamico relazionali provocati dallo stesso danno.













Di conseguenza, impedendosi al giudicante di personalizzare la liquidazione del danno biologico adeguandola alle caratteristiche del singolo caso concreto con il limite suindicato che porta a concedere importi inadeguati, si deve ammettere la violazione anche dell’articolo 2 della Costituzione determinandosi un’irragionevole compressione del diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale il che porta anche ad una violazione dell’articolo 24 della Costituzione.













E’ appena il caso di ricordare che nella prassi precedente si consideravano come pregiudizi distinti e separati il danno biologico e quello cosiddetto morale e si giungeva ad una loro separata liquidazione, per cui attraverso la liquidazione del secondo si poteva tener conto di quelle conseguenze dannose il cui risarcimento avrebbe potuto superare la soglia del quinto di legge.













Con l’attuale indirizzo, che non consente la duplicazione del risarcimento di danni già di fatto risarciti con il danno biologico non è più possibile per le micro permanenti cercare di adeguare il risarcimento alla reale entità del danno quale risultante da situazioni, sia pur particolari, come quelle in precedenza evidenziate, quanto meno prendendo in considerazione quella parte di danno che costituendo una sofferenza dell’individuo, già rientra nel danno biologico. Ed allora si potrebbe cercare di giungere ad una liquidazione adeguata del danno sulla scorta delle allegazioni e prove fornite dal danneggiato al fine di individuare quella norma la cui violazione ha provocato un danno non patrimoniale, ovviamente diverso dal danno biologico inteso nella sua più ampia accezione, operazione questa che per le micro permanenti, in genere, diventa operazione di indubbia difficoltà se non impossibilità, mentre nei casi di cui sopra potrebbe forse risultare una via praticabile.













In punto si ritiene opportuno ricordare essere stato affermato che “…la peculiarità del danno non patrimoniale viene individuata nella sua tipicità, avuto riguardo alla natura dell’art. 2059 c.c., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge (e quindi ai fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno) ovvero ai diritti costituzionali inviolabili presieduti dalla tutela minima risarcitoria, con la precisazione in quest’ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il pregiudizio conseguentemente sofferto che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave ( e cioè superi la soglia minima di tollerabilità, imposta dai doveri di solidarietà sociale) e che il danno non sia futile ( vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura immaginario).”













(Cass. SS. UU. 19/8/2009 n. 18356; v. anche Cass. 25/9/2009 n. 20684)













5) Violazione dell’articolo 76 della Costituzione per la previsione di un limite non previsto dalla legge delega 23/7/2003 n. 229













La l. n. 229/2003 all’art. 4 dispone testualmente: “ Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di assicurazioni, ai sensi e secondo i principi e criteri direttivi di cui all’articolo 20 della legge 15/3/1997 n. 59, come sostituito dall’articolo 1 della presente legge, e nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie e agli accordi internazionali; b) tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti più deboli, sotto il profilo della trasparenza delle condizioni contrattuali, nonché dell’informativa preliminare, contestuale e successiva alla conclusione del contratto, avendo riguardo anche alla correttezza dei messaggi pubblicitari e del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale servizio…”













Il codice delle assicurazioni doveva quindi tutelare i contraenti più deboli con adeguata informazione avendo anche riguardo alla correttezza dei messaggi pubblicitari e del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali del relativo servizio. Ma aver riguardo alla correttezza del processo di liquidazione dei sinistri compresi gli aspetti strutturali del servizio non sembra possa significare anche porre dei limiti al risarcimento, limite questo che non risulta sia stato previsto dalla legge delega.













Si può dunque rilevare come l’introduzione di valori tabellari vincolanti per il Giudice oltre tutto con importi inferiori a quelli normalmente utilizzati dai Tribunali nelle vicende diverse da quelle di cui alla circolazione dei veicoli, si ponga in posizione opposta rispetto ai criteri guida della legge delega che risultano pur sempre indirizzati alla tutela del contraente più debole e comunque del consumatore del servizio assicurativo, posizione questa che indubbiamente può certamente rinvenirsi nell’assicurato che a sensi dell’art. 149 agisca direttamente contro il proprio assicuratore per i danni alla persona che restano contenuti nel limite previsto dall’articolo 139.













Infatti, l’assicurato che come conducente del proprio veicolo abbia riportato un danno alla persona che si sia concretato in una micro permanente, otterrà un risarcimento che non necessariamente potrebbe corrispondere al suo intero danno proprio per la presenza del limite al risarcimento previsto dall’art. 139 richiamato dall’articolo 149, e tanto non pare in linea con la tutela del contraente più debole il ché pare oggi contrastare anche con gli accordi internazionali, se si pensa che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (in G.U. 23/1/2008 n. 223) precisa testualmente all’articolo 38: “ Nella politica dell’Unione è garantito un elevato livello di protezione dei consumatori.”













Da quanto sin qui detto emerge allora come l’articolo139 del d.l.vo n. 209/2005 risulti costituzionalmente illegittimo difettando della necessaria autorizzazione parlamentare e ponendosi quindi in contrasto con l’articolo 76 della Costituzione.













IMPOSSIBILITA’ DI UN’INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA DELLA NORMA













L’articolo 139 del d.l.vo n. 209/2005 segue di fatto quanto già previsto dall’articolo 5 della legge n. 57/2001 che aveva il chiaro intento di contenere i costi del servizio assicurativo, intento che evidentemente si è inteso proseguire anche con il predetto articolo139.













Ma oltre all’eccesso di delega come sopra evidenziato del quale indubbiamente si deve tenere conto, resta il fatto che un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma non può allo stato, prescindere dagli attuali principi giurisprudenziali, quali recepiti dal diritto vivente ed indirizzati alla personalizzazione della liquidazione del singolo danno alla persona ed al suo intero ristoro cui tende appunto tale operazione.













L’art. 139 del d.l.vo n. 209/2005 non consente invece al Giudice alcuna possibilità di adeguare al caso concreto la sua liquidazione soprattutto nei casi in cui gli importi previsti da detta norma risultino inferiori alla reale entità del danno; per contro, non potrebbe escludersi nemmeno che, in certi casi del tutto particolari, gli importi previsti possano risultare addirittura superiori al danno effettivo ed il Giudice finisca quindi per dover liquidare somma appunto superiore al danno effettivo senza poter intervenire in alcun modo.













Non si vede quindi in quale modo poter salvare la norma con un’interpretazione costituzionalmente orientata.













SULLA RILEVANZA DELLA QUESTIONE DI ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE FORMULATA













Occorre preliminarmente osservare che nel caso di specie lo stesso assicuratore con sua comunicazione scritta precisò di aver valutato il danno alla persona patito dall’attore riconoscendo un danno biologico dell’1,5% ed una invalidità temporanea massima di giorni10 oltre ad una invalidità temporanea minima di giorni 15, conclusioni queste cui l’attore aderì.













Si tratta di vertenza nella quale non si sono poste discussioni sulla responsabilità che non risulta contestata dall’assicuratrice che, anzi, formulò una precisa offerta, ma si discute essenzialmente sull’entità del danno risarcibile che l’assicuratrice parrebbe aver valutato rigorosamente secondo i parametri dell’art .139 e non tenendo conto del danno morale transeunte, ne delle condizioni soggettive dell’infortunato che, ove considerate, già avrebbero consentito un’offerta di maggior importo in forza dell’aumento del 20% previsto dalla norma. Non si dimentichi che non è da escludersi a priori la possibilità che in determinati casi anche una micro permanente possa provocare un danno non patrimoniale di una certa evidenza.













Peraltro, secondo l’attore, il suo danno supera l’importo offerto dall’assicuratrice e chiede per un suo integrale risarcimento adottarsi quanto meno le tabelle normalmente utilizzate dal Tribunale per le controversie diverse da quelle derivanti dalla circolazione dei veicoli con esclusione dunque della tabella prevista dall’art. 139 cod. assic. a suo avviso non satisfattiva del suo intero danno.













Al di la delle considerazioni che potranno venir fatte in sede di sentenza resta il fatto che la difesa attorea, chiedendo il risarcimento del danno sulla base della tabella ordinaria, tende a superare, di fatto, anche l’eventuale incremento del 20% di cui alla tabella dell’art. 139 e ciò per l’influenza delle lesioni sulla sua vita lavorativa e di relazione che di fatto non si possono escludere a priori, mentre quanto risultante agli atti potrebbe darne conferma, eventualmente anche solo in via indiretta o comunque presuntiva.













A sostegno di tale impostazione si deve rilevare che con una copiosa documentazione relativa a prestazioni mediche corredate con ricevute di esborsi di una certa rilevanza non certo usuale per casi del genere, si tende a comprovare la necessità di terapie antalgiche anche oltre la durata della temporanea con evidenti problematiche fisiche e conseguenti ripercussioni sulla vita di relazione del danneggiato.













Il teste escusso nel corso dell’istruttoria confermò poi che il danneggiato accusa ancora difficoltà nell’effettuare attività che comportino uno spostamento della sua testa con ripercussioni sulla sua attività lavorativa e chiaramente anche sulla sua vita di relazione.













Resta dunque il fatto che l’attuale domanda non potrebbe essere esaminata nella sua completezza, laddove si debbano applicare rigorosamente i criteri dell’art. 139 che impedirebbero di procedere ad una adeguata valutazione del danno o meglio ad una sua personalizzazione alla luce dell’articolo 2059 c.c. come ora concepito dalle Sezioni Unite. E’ allora evidente l’interesse della parte ad una pronuncia sulla legittimità costituzionale di detta norma che, laddove confermata, impedirebbe appunto una valutazione adeguata della sua domanda impedendo comunque una personalizzazione del suo danno quale da essa richiesta, che potrebbe quindi non venir integralmente risarcito.













Tanto precisato la questione di legittimità costituzionale come sopra enunciata appare a questo Giudice seria e non manifestamente infondata e rilevante nel processo il cui esito resta ad essa collegato per cui lo stesso non può essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione.













P.Q.M.













Il Giudice di Pace di Torino, visti gli articoli 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1984 n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva questione di legittimità costituzionale dell’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 con riferimento agli articoli 2, 3, 24 e 76, della Costituzione nonché del principio della ragionevolezza.





















Ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso.













Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.





















Torino 26 novembre 2009





















Depositata il 30 novembre 2009.







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