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lunedì 6 aprile 2009

Giurisdizione tributaria: quid iuris per gli atti non riompresi nell'alenco di cui all'art. 19 del D.lgs. 546/92?


I limiti esterni della giurisdizione del gidice tributario e gli avvisi di verifica
fonti:
http://www.studiolegalelaw.it/consulenza-legale/8961

"Nella stessa sentenza, inoltre, si è precisato che “tale principio… non può mai comportare una doppia tutela (dinanzi al giudice amministrativo e a quello ordinario o tributario) nei confronti di atti impostivi o di atti del procedimento impositivo.
Quest’ultimo corollario, nel caso, riveste natura decisiva del punto in esame non essendo dubitabile (né essendo stato dubitato del) la sussistenza, in capo al contribuente, del potere di contestare innanzi agli organi di giustizia tributaria la legittimità anche degli “ordini di verifica” de quibus in quanto atti prodromici del provvedimento impositivo eventualmente adottato all’esito di quanto emerso da quella verifica."


Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 17 gennaio 2007 alla Direzione Regionale per la Campania dell’Agenzia delle Entrate ed al MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE (depositato il 6 febbraio 2007), la (…) premesso che con ricorso depositato il 18 settembre 2002 aveva chiesto al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (cui riteneva spettare l’afferente “controllo di legittimità… sulla scorta del disposto dell’art. 7, comma 4, della legge 27 luglio 2000 n. 212″) l’”annullamento” (1) “degli ordini di verifica” (”n. 1009 del 2 settembre 2002 e n. 1126 del 9 settembre 2002″) della sua “contabilità aziendale per gli anni 1997-1998″, “emessi dall’Ufficio Ispettivo Regionale dell’Agenzia delle Entrate”, nonché (2) di “tutti gli atti dell’amministrazione relativi alle procedure indicate, coevi, precedenti o successivi” in quanto (a) “del tutto carenti sotto il profilo del rispetto dell’obbligo di motivazione (artt. 3 legge 241/90 e 7 legge 212/2000)” e (b) “successivi alla verifica generale ai fini delle imposte dirette e dell’IVA per gli anni ‘97 e ‘98, già conclusasi in data 28 dicembre 2000…, cui erano seguiti avvisi di rettifica dell’Ufficio IVA…, per le stesse annualità ‘97 e ‘98, notificati in data 11 marzo 2002 e divenuti definitivi a seguito di pagamento delle imposte richieste” -, in forza di un solo, complesso motivo, chiedeva di cassare (con “vittoria” delle spese processuali) la sentenza n. 3199/06 depositata il 26 maggio 2006 con la quale il Consiglio di Stato aveva rigettato il suo appello avverso la decisione (n. 2806/04, depositata il 9 marzo 2004) del giudice amministrativo di primo grado che aveva dichiarato “l’inanimissibilità del suo ricorso… per difetto di giurisdizione”.
Nel controricorso notificato il 21 febbraio 2007 (depositato il giorno 8 marzo 2007) il Ministero intimato e l’Agenzia, delle Entrate instavano per il rigetto dell’impugnazione, con “ogni consequenziale pronuncia in ordine alle spese del… giudizio”.
Motivi della decisione
1. Nella sentenza gravata, il Consiglio di Stato - premesso aver la (…) dedotto “da un lato che il provvedimento impugnato (… ordine di rinnovo della verifica) non rientra tra gli atti tributari devoluti ai sensi dell’art. 2 del decreto_legislativo_546_1992 alla giurisdizione del giudice tributario; dall’altro che tale provvedimento, costituendo esercizio di potestà amministrativa, esibisce profili di autonomia rispetto alla determinazione finale ed è dunque ex se ed immediatamente contestabile avanti al giudice amministrativo” -, confermando l’inammissibilità del ricorso (”per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo”) dichiarata dal TAR, ha disatteso l’appello della società (la quale aveva eccepito “l’insussistenza dei presupposti legali in base ai quali poteva essere ordinata la verifica e dunque aziona, in sostanza, la pretesa a non essere sottoposta a tale forma di controllo amministrativo”) osservando:
- “l’appellante non deduce il carattere lesivo delle specifiche modalità con le quali è stata in concreto espletata la verifica”: di conseguenza “non viene qui in rilievo il dibattuto problema della tutela (specie cautelare) del contribuente a fronte di indagine istruttoria dell’amministrazione che si svolga in modo potenzialmente lesivo del diritto del professionista o dell’imprenditore alla riservatezza o ad evitare intralci nell’esercizio dell’attività economica”; “tale tutela”, comunque, “in quanto volta a proteggere diritti soggettivi non degradabili”, “non potrebbe… essere richiesta al giudice degli interessi”;
- essendosi “conclusa con l’adozione di un atto di accertamento”, la “verifica fiscale” contestata “costituisce espletamento di attività istruttoria finalizzata alla determinazione autoritativa dell’imposta” per cui “l’ordine di rinnovo della verifica e la verifica stessa costituiscono momento strumentale e prodromico rispetto alla esatta determinazione del presupposto di imposta, contenuta nell’atto di accertamento eccesso (corrige: emesso) nei confronti del destinatario del controllo, concretizzandosi perciò in attività giuridicamente infraprocedimentale e dunque non immediatamente lesiva”-, conseguentemente (”dunque”) “spiega… effetto il principio consolidato secondo cui gli atti istruttori ancorché illegittimi non sono autonomamente impugnabili per difetto di concreta lesività, dovendo la relativa contestazione essere differita al momento dell’impugnazione, per illegittimità derivata, del provvedimento finale” sì che, “per quanto… interessa”, “i vizi del procedimento tributario non sono immediatamente contestabili ma, ridondando in vizi del provvedimento finale e cioè dell’atto di accertamento, vanno… dedotti nell’ambito dell’impugnazione di questo”: “nel caso in esame, dunque, l’illegittimità della verifica o dell’ordine di rinnovo della stessa non può essere fatta valere anticipatamente ed in via autonoma ma va invece deddotta mediante impugnazione del provvedimento finale avanti alla commissione tributaria, rientrando pacificamente l’atto di accertamento in questione fra quelli sui quali solo il giudice tributario è fornito di giurisdizione (cfr. art. 2 D. l.vo n. 546 del 1992)” (come “di fatto avvenuto, avendo la società impugnato con successo avanti al giudice tributario l’atto di accertamento”).
Il giudice a quo osserva, ancora:
- “in tal modo l’attività di verifica fiscale”, diversamente da quanto sostenuto dalla appellante, non risulta “sottratta al controllo giurisdizionale, con violazione del precetto di cui all’art. 113 secondo comma della Costituzione” perché “il differimento della impugnazione… non incide sulla giustiziabilità dell’atto istruttorio ma costituisce mera applicazione della regola processuale secondo la quale per agire in giudizio (ed ottenere una pronuncia di merito) occorre avere quell’interesse concreto il quale, al cospetto della funzione amministrativa procedimentalizzata, si radica e diventa attuale solo al momento dell’adozione del provvedimento finale”;
- “sulle conclusioni sin qui raggiunte non incide il disposto dell’art. 7 comma 4 della legge_212_2000 (Statuto del contribuente) secondo cui “la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti” in quanto lo stesso “non attribuisce… al giudice amministrativo nuovi ambiti di cognizione in materia tributaria, ma si limita a confermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa ove la stessa discenda dal criterio di riparto ordinario, come acquisito in giurisprudenza”: “la giurisdizione generale di legittimità può tuttora essere adita solo se la controversia non sia devoluta al giudice tributario e solo se la posizione giuridica che si pretende lesa abbia consistenza di interesse legittimo (cfr. VI Sez. 30 settembre 2004 n. 6353)”.
In definitiva, per il Consiglio di Stato, “la controversia rientra nell’area riservata alla giurisdizione del giudice tributario speciale e non sussiste quindi il presupposto per il ricorso agli organi di giustizia amministrativa”.
3. La (…)- denunziando “violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo, “violazione dell’art. 103, comma 1, Cost.” nonché “violazione dell’art. 7, comma 4, della legge 27 luglio 2000 n. 212″ - chiede di cassare tale decisione formulando (ex art. 366 bis c.p.c.) il seguente
“quesito di diritto”
“dichiarare la spettanza della giurisdizione al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7, comma 4, della I. 27 luglio 2000, n. 212, recante “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”, in relazione all’impugnazione degli ordini di verifica con cui l’Agenzia delle Entrate, in difetto dei presupposti che legittimano la riapertura di una verifica e violando l’obbligo di motivazione prescritto per gli atti dell’Amministrazione finanziaria dallo Statuto del contribuente, ha autorizzato il compimento di atti di indagine tributaria con riferimento ad un periodo di imposta per cui si era già svolta ed era stata conclusa una verifica generale, in quanto nella fattispecie ricorrono tutti i presupposti della giurisdizione amministrativa: ovvero in senso negativo, la non spettanza della controversia al giudice tributario, per la mancata inclusione degli ordini di verifica nel novero degli atti assoggettati a tale giurisdizione dall’art. 19 d.lgs. n. 546/1992; e, in senso positivo, la presenza di una situazione giuridica che si pretende lesa, avente la consistenza dell’interesse legittimo, ma anche di libertà costituzionalmente garantite, e l’interesse concreto ed attuale ad agire per la rimozione degli atti impugnati.
A. A sostegno dì tale richiesta la ricorrente - assumendo avere “entrambi i Collegi… posto a fondamento della propria decisione la negazione che possa darsi un’incidenza immediata nella sfera giuridica del contribuente sottoposto a verifica prima che un atto di accertamento sia adottato, e… quindi negato che il medesimo contribuente possa avere un interesse ad agire avverso l’ordine di verifica che ritenga illegittimo” -, in primo luogo, osserva:
- “il principio… in base al quale gli “atti istruttori”, in quanto aventi carattere infraprocedimentale, non sono autonomamente impugnabili per inidoneità a creare una lesione immediata nella sfera giuridica del privato, non può ritenersi… applicabile nel caso dell’attività di indagine fiscale della p.a., la quale si connota per gli incisivi poteri riconosciuti all’amministrazione, i quali sono in grado di comprimere fortemente, in modo da esigere una tutela immediata avverso i medesimi, le libertà (di domicilio, di corrispondenza, di libertà di iniziativa economica, ecc.) del soggetto che li subisce (talvolta imponendo non solo un pati, ma anche un obbligo positivo, un facere), e che, proprio in considerazione di ciò, si caratterizza altresì per la minuziosa regolamentazione dei presupposti e delle modalità di esercizio del potere medesimo, in chiave prettamente garantistica nei confronti del contribuente”;
- “in relazione alla situazione azionata [da essa].. non vale obiettare l’esistenza di una dualità di situazioni giuridiche in capo al contribuente” (”diritti soggettivi/interessi legittimi, di cui i primi tutelabili di fronte al giudice ordinario”) in quanto “laddove egli si dolga di una verifica che ritiene illegittima, ad essere lesa non è solo “la posizione complessiva del contribuente (…) a che la potestà amministrativa venga esercitata in conformità alle regole poste dall’ordinamento per l’esercizio della stessa”, ovvero l’interesse legittimo, ma anche, inevitabilmente, le posizioni soggettive aventi rango costituzionale, per l’evidente ragione che le stesse possono essere limitate solo nei casi e “nei modi indicati dalla legge” (… TAR, a pag. 3) “l’indicazione di effettuare le verifiche presso i locali del contribuente solo in presenza di effettive esigenze, durante l’orario di lavoro e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile, così come quelle che inducono a limitare la permanenza nei locali e che impongono di esaminare i documenti in luoghi diversi da quelli del contribuente, ove questi lo richieda”, infatti, “si muovono nell’ottica di attuare il bilanciamento delle contrapposte posizioni secondo i criteri della necessarietà e della proporzionalità, i quali discendono direttamente dai precetti costituzionali racchiusi negli artt. 2, 13, 14 e 15 Cost., che sovrintendono alle libertà inviolabili”).
- gli stessi criteri sono ritraibili dai principi di imparzialità e buon andamento dettati dall’art. 97 Cost., il quale… è menzionato dall’art. 1 dello Statuto (assieme agli artt. 3, 23 e 53 Cost.), come disposizione alla cui attuazione è diretto lo Statuto medesimo”; “ai medesimi principi rispondono, poi, le prescrizioni che concernono la motivazione di tutti gli atti dell’amministrazione (secondo l’ampia formula utilizza dal legislatore all’art. 7, comma l, dello Statuto del contribuente), l’esposizione delle ragioni che hanno giustificato la verifica, il divieto di richiedere documenti e informazioni di cui l’amministrazione già dispone, e, non ultimo, l’obbligo di improntare il rapporto con i contribuenti ai principi di buona fede e collaborazione”.
Secondo la ricorrente, invero, “lo stesso Consiglio di Stato (”richiamando l’orientamento sul punto di questa… Corte (… sez. un. civ. 25 ottobre 1998 n. 10186 e… 28 ottobre 2005 n. 20994)”) ha riconosciuto che “quando la vertenza ha ad oggetto la contestazione della legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, ossia quando l’atto amministrativo sia assunto nel giudizio non come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede l’annullamento, la posizione del cittadino si concreta come posizione di interesse legittimo (CdS, sez. VI, n. 556/2006… ), per cui il fatto che l’azione sia proposta a tutela (anche) di un diritto costituzionale non è discriminante ai fini della giurisdizione, risultando invece decisiva la circostanza che l’azione sia diretta (o meno) contro un’atto che costituisce esercizio di un pubblico potere (… in tal senso anche la sentenza delle Sezioni unite Civili della Corte di Cassazione dell’8 marzo 2006 n. 4908, che afferma la giurisdizione del G.O. in relazione alla domanda di risarcimento dei danni alla salute, sulla base del rilievo dato alla mancanza, nella fattispecie, “di provvedimenti della pubblica amministrazione o di suoi concessionari, che siano stati impugnati o dei quali si chiede l’annullamento ” e ivi ravvisando solo “comportamenti (…), che non possono incidere negativamente sulle posizioni di diritto soggettivo fatte valere dagli interessati”)”: “nel caso di specie [essa] istante si doleva dell’illegittimità degli atti adottati dall’Amministrazione nell’esercizio del proprio potere (discrezionale) di autorizzare la verifica tributaria, per cui, anche sotto questo profilo, doveva ritenersi correttamente incardinata la controversia dinanzi al giudice amministrativo”. A conclusione del punto la società afferma che il giudice a quo (il quale ha ritenuto “la controversia rientrante nell’area riservata alla giurisdizione tributaria”) ha “errato… nel considerare l’art. 7, comma 4, dello Statuto non applicabile” perché nella fattispecie ricorrono “tutti i presupposti della giurisdizione amministrativa”;
- “in senso negativo, la non spettanza della controversia al giudice tributario, per la mancata inclusione degli ordini di verifica nel novero degli atti assoggettati a tale giurisdizione dall’art. 19 d.lgs. n. 546/1992″: peraltro “il carattere “residuale” del ricorso al G.A. in caso di atti aventi natura tributaria, che i due Collegi sembrano porre a presupposto delle decisioni prese, non si deduce dalla disposizione in esame” (scilicet, quella del quarto comma dell’art. 7) “che, viceversa, costituisce applicazione dell’art. 103, comma 1, Cost., il quale espressamente dispone che il plesso giurisdizionale costituito dai TAR e dal Consiglio di Stato sia il giudice “naturale” degli interessi legittimi, principio cui si deroga nel caso della giurisdizione tributaria, ma solo nei casi previsti dalla legge (e cioè per l’impugnazione degli atti elencati all’art. 19 D. Lgs. 546/92), per cui a fronte dell’esercizio illegittimo dell’attività di indagine fiscale, ed in presenza delle condizioni per agire in giudizio, si riespande la regola (generale, non residuale) della giurisdizione del G.A.”;
- “in senso positivo, la presenza di una situazione giuridica che si pretende lesa, avente la consistenza dell’interesse legittimo, ma anche di libertà costituzionalmente garantite, e l’interesse concreto ed attuale ad agire per la rimozione degli atti impugnati”.
B. ” In relazione”, poi, “all’interesse ad agire”, “la ricordante sostiene che “negare la tutela immediata a fronte degli ordini di verifica che costituiscono reitera di altre verifiche già effettuate, senza il rispetto dei requisiti di forma e di sostanza previsti dalla legge, ed affermare l’esistenza di una tutela “differita”, equivalga a negarla del tutto” atteso che “invece di bloccare un’attività di indagine, di cui [essa] contestava fondamento e modalità,… ha dovuto subire per ben due volte le conseguenze negative dei processi verbali di constatazione redatti in esito alla verifica illegittima, vedendosi costretta ad adire la commissione tributaria per ottenere l’annullamento degli avvisi di rettifica adottati su quella base, con… inutile dispendio anche delle risorse pubbliche”.
Secondo la società, invero, non è fondato asserire che il “differimento” della tutela non incida sulla giustiziabilità dell’atto, ai sensi dell’art. 113 Cost. (pag. 6 della sentenza del Consiglio di Stato)” perché, pur essendo “vero… che nell’ordinamento tributario (e solo in questo) si conosce la figura del “differimento della tutela”", “questa risulterebbe (costituzionalmente) ammissibile non semplicemente per via della non lesività attuale dell’atto” (”condizione che… non ricorre nel caso di specie, in cui sono immediatamente ed autonomamente rilevabili i vizi della reitera della verifica”) ma “sulla base della circostanza che le ragioni della lesione sono esternate (o pienamente conoscibili) solo con il provvedimento finale”.
La ricorrente, infine (”conclusivamente”), osserva che “ammettere la giurisdizione del giudice amministrativo nella fattispecie in esame non equivale” (come “affermato dalle Amministrazioni resistenti”) “ad introdurre una giurisdizione concorrente a quella delle Commissioni tributarie” attesa “la diversità della tutela atttenibile, in quanto il giudizio (in sede di tutela differita) davanti alle Commissioni avrebbe ad oggetto solo la pretesa del singolo, quale contribuente, di pagare imposte e sanzioni in misura non superiore a quella dovuta, ma detto giudizio non tutelerebbe quegli interessi di natura patrimoniale e non patrimoniale direttamente “pregiudicati dall’attività ispettiva, non aventi necessariamente riflesso sull’ammontare del debito d’imposta, quali, ad esempio, la libertà di domicilio o la riservatezza”: “quella ottenuta con l’impugnazione dell’atto di accertamento”, infatti, secondo la… “sarebbe, alla fine, una tutela incompleta, nel senso che le lesioni alla sfera della riservatezza o del domicilio, rimarrebbero tali anche se il successivo atto di accertamento venisse annullato dai giudici di merito”.
C. In terzo (ed ultimo) luogo la ricorrente contesta il “contrario avviso espresso dal giudice amministrativo… sulla presenza dei presupposti per agire sulla base dell’art. 7, comma 4 legge n. 212 del 2000 affermando che “né il TAR, né il Consiglio di Stato, pervengono ad una chiara definizione dell’ambito di applicazione della norma di cui all’art. 7, comma 4, dello Statuto del contribuente” e sostiene di non “comprende(re), in particolare, che significato abbia l’affermazione in base alla quale “tale disposizione non attribuisce (…) al giudice amministrativo nuovi ambiti di cognizione in materia tributaria, ma si limita a confermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa ove la stessa discenda dal criterio di riparto ordinario, come acquisito in giurisprudenza ” e ancora “dunque la giurisdizione generale di legittimità può tuttora essere adita solo se la controversia non sia devoluta al giudice tributario e solo se la posizione giuridica che si pretende lesa abbia consistenza di interesse legittimo”": secondo la società a questo modo di argomentare… non solo non chiarisce realmente quale sia il concreto ambito applicativo della disposizione di cui si tratta, in relazione ai confini della giurisdizione, ma,.. giunge ad una conclusione che può dirsi ampiamente errata” perché, come “ricordato”, gli “stessi giudici di Palazzo Spada…, aderendo all’orientamento sul punto di (questa)… Corte, hanno affermato come, ai fini dell’individuazione della giurisdizione, non sia decisiva la natura della situazione fatta valere, quanto piuttosto la circostanza che ad essere impugnato sia un atto costituente esercizio di un pubblico potere, per concludere come in tale ultimo caso la giurisdizione appartenga sempre al giudice amministrativo, anche quando vengano in questione diritti fondamentali (v. CdS, sezione VI, sentenza n. 556/2006, cit.)” (”il TAR Napoli… aveva limitato l’applicazione della disposizione di cui all’art. 7, comma 4, ai casi “in cui non consegue alcun atto impositivo per intervenuta decadenza dell’azione accertatrice ovvero la verifica tributaria illegittimamente condotta non conduca ad alcun rilievo…”).
“Su questo punto decisivo della controversia”, pertanto, secondo la ricorrente, “l’argomentazione del giudice di seconde cure appare totalmente erronea con riferimento alla determinazione della giurisdizione amministrativa”: “in considerazione del “criterio di riparto ordinario, come acquisito in giurisprudenza”", infatti, “nelle ipotesi richiamate dal TAR non si verterebbe in materia di interessi legittimi, ma di diritti soggettivi, sottoposti ad un comportamento fattuale della p.a. lesivo della loro consistenza per cui la loro violazione in ipotesi siffatte dovrebbe rilevare davanti al giudice ordinario, non già davanti a quello amministrativo”.
La ricorrente, infine, non ritiene “logico il ragionamento dell’Amministrazione procedente volto a contraddire il principio della giurisdizione amministrativa, di cui all’art. 7, comma 4, cit.,… attraverso le argomentazioni espresse dal Consiglio di Stato in Adunanza Generale nel parere del 22 gennaio 2001, in quanto il tentativo di delimitare la giurisdizione del giudice amministrativo contenuto in detto parere si basava su disposizioni formulate nella proposta di decreto legislativo di dubbia costituzionalità, che non a caso non sono mai state emanate e non risultano affatto accolte dal decreto legislativo n. 32 del 2001, adottato sulla base della delega di cui”all’art. 16 della legge n. 212 del 2000″ per cui “resta… valido che con l’espressione “organi di giustizia amministrativa” si intenda il complesso “TAR-Consiglio di Stato”, come afferma non solo il parere citato, ma anche il parere del 5 dicembre 2000 del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria”.
4. Il ricorso deve essere respinto perché infondato.
A. Sul primo profilo di doglianza va, innanzitutto, ribadito (in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria) che (Cass. sez. un., 29 aprile 2003 n. 6693 (ordinanza interlocutoria), da cui gli excerpta testuali che seguono)
(a) “nella disciplina del contenzioso tributario quale risultante… dal d.lgs. 31.XII.1992, n. 546 (art. 2 sia nel testo originario, che in quello novellato dall’art. 12, comma 2, L. 28.XII.2001 n. 448) la tutela giurisdizionale dei contribuenti, con riguardo ai tributi cui le norme citate hanno riferimento, è affidata in esclusiva alla giurisdizione delle commissioni tributarie, concepita comprensiva di ogni questione afferente all’esistenza ed alla consistenza dell’obbligazione tributaria (cfr., in terminis, ex multis, Cass. SS.UU. civ., sent. n. 103 del 12.III/2001)” e
(b) tale esclusività “non” è “suscettibile di venir meno in presenza di situazioni di carenza di un provvedimento impugnabile e, quindi, di impossibilità di proporre contro tale provvedimento quel reclamo che costituisce il veicolo di accesso, ineludibile, a detta giurisdizione” perché siffatte “situazioni” (’”quando fattualmente riscontrate”) incidono “unicamente sull’accoglibilità della domanda (ossia sul merito), valutabile esclusivamente dal giudice avente competenza giurisdizionale sulla stessa, e non già sulla giurisdizione di detto giudice (cfr., in proposito; ex aliis, Cass. SS.UU. civ., sent. n. 11217 del 13.XI.1997)”.
La giurisdizione (piena ed esclusiva) del giudice tributario fissata dall’art. 2 del D. Lg.vo n. 546 del 1992, poi, non ha ad “oggetto” solo gli atti per così dire “finali” del procedimento amministrativo di imposizione tributaria (ovverosia gli atti definiti, propriamente, come “impugnabili” dall’art. 19 D. Lg.vo n. 546 del 1992) ma investe - nei limiti, ovviamente, dei “motivi” sottoposti dal contribuente all’esame di quel giudice ai sensi dell’art. 18, comma 2, lett. e), stesso D. Lg.vo - tutte Ie fasi del procedimento che hanno portato alla adozione ed alla formazione di quell’atto tanto che l’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o alla regolarità (formale e/o sostanziale) su un qualche atto “istruttorio” prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto “finale” impugnato: “la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria”, infatti (Cass., un., 4 marzo 2008 n. 5791; ma già, Cass., un., 25 luglio 2007 n. 16412), “è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa.
Siffatta latitudine della giurisdizione tributaria - estesa (come detto) anche al controllo della regolarità (formale e sostanziale) di tutte le fasi del procedimento di imposizione fiscale - evidenzia l’applicabilità (vanamente, “pertanto, contestata dalla ricorrente) anche agli “atti istruttori” fiscali - nonostante la compressione (”comprimere fortemente”, dice la ricorrente) delle “libertà” (”di domicilio, di corrispondenza, di libertà di iniziativa economica, ecc.”) indicate dalla contribuente posta in essere dagli stessi - del principio della non autonoma (ed immediata) impugnabilità proprio in quanto “aventi carattere infraprocedimentali”.
“Per quanto attiene”‘, inoltre, specificamente “alla problematica della riconducibilità dell’atto impugnato alle categorie indicate dal D. Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 19″, queste sezioni unite (sentenza 27 marzo 2007 n. 7388) - confermato che (giusta “una consolidata giurisprudenza… (da ultima, sez. un., ord. n. 22245/06)”) ” tale problematica… non attiene alla giurisdizione, ma alla proponibilità della domanda” -, pur rilevando (”non possono non rilevare”) che “la mancata inclusione degli atti in contestazione nel catalogo contenuto in detto articolo comporterebbe una lacuna di tutela giurisdizionale, in violazione dei principi contenuti negli articoli 24 e 113 Cost.”, hanno specificato esser ” compito della commissione tributaria verificare se l’atto in contestazione possa ritenersi impugnabile nell’ambito delle categorie individuate dall’art. 19 del d.l.vo n. 546 del 1992″.
“Il carattere esclusivo della giurisdizione tributaria”, ancora (Cass., un., 27 marzo 2007 n. 7388), “non consente che atti non impugnabili in tale sede siano devoluti, in via residuale, ad altri giudici, secondo le ordinarie regole di riparto della giurisdizione (Sez. Un., ord. N. 13793/04)”: l’attribuzione al giudice tributario di una controversia che può concernere la lesione di interessi legittimi, infatti, come chiarito, ” non incontra un limite nell’art. 103 Cost.” perché (”secondo una costante giurisprudenza costituzionale”: “da ultime, ordinanze n. 165 e 414 del 2001 e sentenza n. 240 del 2006″ ) ” non esiste una riserva assoluta di giurisdizione sugli interessi legittimi a favore del giudice amministrativo, potendo il legislatore attribuire la relativa tutela ad altri giudici”.
In secondo luogo, poi, deve evidenziarsi che l’incidenza della specifica attività amministrativa contestata su “posizioni soggettive aventi rango costituzionale” (in particolare, come adduce la ricorrente, su “posizioni soggettive” tutelate dai “precetti costituzionali racchiusi negli artt. 2, 13, 14 e 15 Cost., che sovraintendono alle liberti inviolabili”), limitabili quindi “solo nei casi e “nei modi indicati dalla legge”", non consente affatto di ravvisare nell’eventuale lesione di quelle “posizioni” (o “situazione ” composita”) una “situazione giuridica… avente la consistenza di interesse legittimo” perché le condizioni fissate per la legale temporanea “violabilità” di quelle libertà lasciano integra la originaria consistenza di diritto soggettivo delle stesse attesa la loro mera, temporalmente e funzionalmente limitata, compressione.
Il preteso “difetto”, negli “ordini” qui impugnati, “dei presupposti” di legge - lamentato dalla ricorrente -, quindi, non lede un mero interesse legittimo ma integra (se sussistente) la lesione di un vero e proprio diritto soggettivo del contribuente nei cui confronti viene eseguita la verifica ordinata perché solo l’esistenza di quei “presupposti” (che nella specie si assumono, in ipotesi, mancanti) rendono legittima l’azione accertativa e fa sorgere, a carico del contribuente verificato, gli obblighi di “pati” detta azione nonché di “facere” quanto eventualmente le afferenti norme gli impongano per consentire agli inquirenti di svolgere appieno la propria attività, il tutto sempre a prescindere dall’eventuale esito, negativo per l’Ufficio, del controllo stesso.
È appena il caso di evidenziare, di poi, che l’eventuale esito negativo per l’”Ufficio dell’attività di accertamento (con conseguente non emissione di alcun provvedimento fiscale) compiuta in forza di ordini ritenuti illegittimi dal contribuente integra fattispecie del tutto diversa da quella in esame (conclusasi con l’emissione di un provvedimento impositivo, come evidenziato dal giudice a quo) e, comunque, porta la valutazione di quel fatto nell’orbita giurisdizionale del giudice ordinario (quindi, non del giudice amministrativo) siccome ipoteticamente lesiva di diritti aquisitamente soggettivi del contribuente a subire, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, verifiche fiscali e di conseguenza, le connesse compressioni legali ai suoi corrispondenti diritti (anche costituzionalmente garantiti, come espone la stessa società ricorrente), al di fuori dei casi e delle ipotesi previste dalle afferenti leggi che attribuiscono e circoscrivono il sorgere e l’esercizio del potere fiscale di controllo.
B. In “ordine alla legittimità del differimento al momento della impugnazione dell’atto impositivo della tutela giurisdizionale per vizi e/o per irregolarità concernenti atti compiuti nel corso dell’iter amministrativo conclusosi con l’adozione dell’atto impositivo notificato è sufficiente ricordare il pensiero (”costantemente affermato”, come dice lo stesso giudice delle leggi) della Corte Costituzionale (decisione 23 novembre 1993 n. 406, che ricorda ” da ultimo le sentenze n. 154 del 1992; n. 15 del 1991; n. 470 del 1990; n. 530 del 1989″) secondo cui “gli artt. 24 e 113 della Costituzione non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità, la quale” può essere differita ad un momento successivo ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia”, sempre che “il legislatore” osservi “il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa, in conformità al principio della piena attuazione della garanzia stabilita dalle suddette norme costituzionali”: nel caso, non si ravvisano né sono state dedotte difficoltà della “tutela giurisdizionale” relativa agli atti qui impugnati quali conseguenti al differimento di quella tutela al momento della emissione dell’atto di imposizione fiscale.
C. Il “corretto ambito applicativo” della disposizione dettata dal quarto comma dell’art. 7 legge 27 luglio 2000 n. 212 (secondo cui ” la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti” - di cui la ricorrente lamenta la mancata delimitazione -, infine, è stato già precisato nella sentenza 13 luglio 2005 n. 14692 di queste sezioni unite per la quale quella disposizione riconferma “il carattere esclusivo e pieno della giurisdizione ordinaria in materia tributaria”, “non fa che enfatizzare un principio già generalmente riconosciuto” e “comporta”, “salvo espresse previsioni di legge”, “una naturale competenza del giudice amministrativo” soltanto “sull’impugnazione di atti amministrativi… a contenuto generale o normativo, come i regolamenti e le delibere tariffarie e di atti” (”aventi natura provvedimentale”) “che costituiscano un presupposto dell’esercizio della potestà impositiva e in relazione ai quali esiste un generale potere di disapplicazione del giudice cui è attribuita la giurisdizione sul rapporto tributario.
Nella stessa sentenza, inoltre, si è precisato che “tale principio… non può mai comportare una doppia tutela (dinanzi al giudice amministrativo e a quello ordinario o tributario) nei confronti di atti impostivi o di atti del procedimento impositivo.
Quest’ultimo corollario, nel caso, riveste natura decisiva del punto in esame non essendo dubitabile (né essendo stato dubitato del) la sussistenza, in capo al contribuente, del potere di contestare innanzi agli organi di giustizia tributaria la legittimità anche degli “ordini di verifica” de quibus in quanto atti prodromici del provvedimento impositivo eventualmente adottato all’esito di quanto emerso da quella verifica.
In ordine al punto concernente la “tutela”, innanzi agli organi di giustizia tributaria, “nei confronti” di tutti gli “atti del procedimento impositivo”, è sufficiente ricordare le decisioni di questa Corte nelle quali si è ammessa la sindacabilità, da parte di detti organi:
(a) degli atti prodromici del “procedimento impositivo” quali i provvedimenti emessi dal Procuratore della Repubblica ex artt. 33 DPR 29 settembre 1973 n. 600 e 52, comma 2, DPR 26 ottobre 1972 n. 633, di autorizzazione alla perquisizione domiciliare e/o personale da parte degli organi fiscali inquirenti (Cass., trib.: 19 ottobre 2005 n. 20253; 12 ottobre 2005 n. 19837; 1° ottobre 2004 n. 19690; 3 dicembre 2001 n. 15230; 19 giugno 2001 n. 8344);
(b) del preventivo invito al pagamento (contenuto nell’art. 60, comma 6, DPR n. 633/72), quale adempimento necessario e prodromico alla iscrizione a ruolo dell’imposta sul valore aggiunto (Cass., trib.: 18 aprile 2008 n. 10179 e 14 aprile 2006 n. 8859);
(c) dell’”invito al pagamento” notificato dal Comune al contribuente quale atto prodromico all’iscrizione a ruolo (Cass., trib., 6 dicembre 2004 n. 22869);
d) dell’invito di cui all’art. 51, comma 2, n. 2, DPR 26 ottobre 1972 n. 633, per fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari (Cass., trib., 18 aprile 2003 n. 6232);
e) dell’invito al pagamento menzionato nell’art. 67, comma 2, lett. a) DPR 28 gennaio 1988 n. 43 (Cass., trib., 12 marzo 2002 n. 3540) e,
f) più in generale, sulla scorta dei principi affermati da queste sezioni unite (sentenza n. 16412 del 2007, cit.), sulla mancata notifica di un atto prodromico quale vizio proprio” (ex art. 19, terzo comma, D. Lg.vo n. 546 del 1992) dell’atto notificato al contribuente (Cass., trib., 25 gennaio 2008 n. 1652).
5. Per la sua totale soccombenza la (…) sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere alle amministrazioni pubbliche le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate, nella misura indicata in dispositivo, in base al valore indeterminato della controversia ed all’attività difensiva espletata da dette amministrazioni.

[3] P.Q.M.

Rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice tributario; condanna la (…) a rifondere alle amministrazioni pubbliche le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi €. 4.000,00 (quattromila/00) per onorario, oltre spese generali e spese prenotate a debito.

Giurisdizione tributaria: quid iuris per gli atti non riompresi nell'alenco di cui all'art. 19 del D.lgs. 546/92?


I limiti esterni della giurisdizione del gidice tributario e gli avvisi di verifica
fonti:
http://www.studiolegalelaw.it/consulenza-legale/8961

"Nella stessa sentenza, inoltre, si è precisato che “tale principio… non può mai comportare una doppia tutela (dinanzi al giudice amministrativo e a quello ordinario o tributario) nei confronti di atti impostivi o di atti del procedimento impositivo.
Quest’ultimo corollario, nel caso, riveste natura decisiva del punto in esame non essendo dubitabile (né essendo stato dubitato del) la sussistenza, in capo al contribuente, del potere di contestare innanzi agli organi di giustizia tributaria la legittimità anche degli “ordini di verifica” de quibus in quanto atti prodromici del provvedimento impositivo eventualmente adottato all’esito di quanto emerso da quella verifica."


Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 17 gennaio 2007 alla Direzione Regionale per la Campania dell’Agenzia delle Entrate ed al MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE (depositato il 6 febbraio 2007), la (…) premesso che con ricorso depositato il 18 settembre 2002 aveva chiesto al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (cui riteneva spettare l’afferente “controllo di legittimità… sulla scorta del disposto dell’art. 7, comma 4, della legge 27 luglio 2000 n. 212″) l’”annullamento” (1) “degli ordini di verifica” (”n. 1009 del 2 settembre 2002 e n. 1126 del 9 settembre 2002″) della sua “contabilità aziendale per gli anni 1997-1998″, “emessi dall’Ufficio Ispettivo Regionale dell’Agenzia delle Entrate”, nonché (2) di “tutti gli atti dell’amministrazione relativi alle procedure indicate, coevi, precedenti o successivi” in quanto (a) “del tutto carenti sotto il profilo del rispetto dell’obbligo di motivazione (artt. 3 legge 241/90 e 7 legge 212/2000)” e (b) “successivi alla verifica generale ai fini delle imposte dirette e dell’IVA per gli anni ‘97 e ‘98, già conclusasi in data 28 dicembre 2000…, cui erano seguiti avvisi di rettifica dell’Ufficio IVA…, per le stesse annualità ‘97 e ‘98, notificati in data 11 marzo 2002 e divenuti definitivi a seguito di pagamento delle imposte richieste” -, in forza di un solo, complesso motivo, chiedeva di cassare (con “vittoria” delle spese processuali) la sentenza n. 3199/06 depositata il 26 maggio 2006 con la quale il Consiglio di Stato aveva rigettato il suo appello avverso la decisione (n. 2806/04, depositata il 9 marzo 2004) del giudice amministrativo di primo grado che aveva dichiarato “l’inanimissibilità del suo ricorso… per difetto di giurisdizione”.
Nel controricorso notificato il 21 febbraio 2007 (depositato il giorno 8 marzo 2007) il Ministero intimato e l’Agenzia, delle Entrate instavano per il rigetto dell’impugnazione, con “ogni consequenziale pronuncia in ordine alle spese del… giudizio”.
Motivi della decisione
1. Nella sentenza gravata, il Consiglio di Stato - premesso aver la (…) dedotto “da un lato che il provvedimento impugnato (… ordine di rinnovo della verifica) non rientra tra gli atti tributari devoluti ai sensi dell’art. 2 del decreto_legislativo_546_1992 alla giurisdizione del giudice tributario; dall’altro che tale provvedimento, costituendo esercizio di potestà amministrativa, esibisce profili di autonomia rispetto alla determinazione finale ed è dunque ex se ed immediatamente contestabile avanti al giudice amministrativo” -, confermando l’inammissibilità del ricorso (”per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo”) dichiarata dal TAR, ha disatteso l’appello della società (la quale aveva eccepito “l’insussistenza dei presupposti legali in base ai quali poteva essere ordinata la verifica e dunque aziona, in sostanza, la pretesa a non essere sottoposta a tale forma di controllo amministrativo”) osservando:
- “l’appellante non deduce il carattere lesivo delle specifiche modalità con le quali è stata in concreto espletata la verifica”: di conseguenza “non viene qui in rilievo il dibattuto problema della tutela (specie cautelare) del contribuente a fronte di indagine istruttoria dell’amministrazione che si svolga in modo potenzialmente lesivo del diritto del professionista o dell’imprenditore alla riservatezza o ad evitare intralci nell’esercizio dell’attività economica”; “tale tutela”, comunque, “in quanto volta a proteggere diritti soggettivi non degradabili”, “non potrebbe… essere richiesta al giudice degli interessi”;
- essendosi “conclusa con l’adozione di un atto di accertamento”, la “verifica fiscale” contestata “costituisce espletamento di attività istruttoria finalizzata alla determinazione autoritativa dell’imposta” per cui “l’ordine di rinnovo della verifica e la verifica stessa costituiscono momento strumentale e prodromico rispetto alla esatta determinazione del presupposto di imposta, contenuta nell’atto di accertamento eccesso (corrige: emesso) nei confronti del destinatario del controllo, concretizzandosi perciò in attività giuridicamente infraprocedimentale e dunque non immediatamente lesiva”-, conseguentemente (”dunque”) “spiega… effetto il principio consolidato secondo cui gli atti istruttori ancorché illegittimi non sono autonomamente impugnabili per difetto di concreta lesività, dovendo la relativa contestazione essere differita al momento dell’impugnazione, per illegittimità derivata, del provvedimento finale” sì che, “per quanto… interessa”, “i vizi del procedimento tributario non sono immediatamente contestabili ma, ridondando in vizi del provvedimento finale e cioè dell’atto di accertamento, vanno… dedotti nell’ambito dell’impugnazione di questo”: “nel caso in esame, dunque, l’illegittimità della verifica o dell’ordine di rinnovo della stessa non può essere fatta valere anticipatamente ed in via autonoma ma va invece deddotta mediante impugnazione del provvedimento finale avanti alla commissione tributaria, rientrando pacificamente l’atto di accertamento in questione fra quelli sui quali solo il giudice tributario è fornito di giurisdizione (cfr. art. 2 D. l.vo n. 546 del 1992)” (come “di fatto avvenuto, avendo la società impugnato con successo avanti al giudice tributario l’atto di accertamento”).
Il giudice a quo osserva, ancora:
- “in tal modo l’attività di verifica fiscale”, diversamente da quanto sostenuto dalla appellante, non risulta “sottratta al controllo giurisdizionale, con violazione del precetto di cui all’art. 113 secondo comma della Costituzione” perché “il differimento della impugnazione… non incide sulla giustiziabilità dell’atto istruttorio ma costituisce mera applicazione della regola processuale secondo la quale per agire in giudizio (ed ottenere una pronuncia di merito) occorre avere quell’interesse concreto il quale, al cospetto della funzione amministrativa procedimentalizzata, si radica e diventa attuale solo al momento dell’adozione del provvedimento finale”;
- “sulle conclusioni sin qui raggiunte non incide il disposto dell’art. 7 comma 4 della legge_212_2000 (Statuto del contribuente) secondo cui “la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti” in quanto lo stesso “non attribuisce… al giudice amministrativo nuovi ambiti di cognizione in materia tributaria, ma si limita a confermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa ove la stessa discenda dal criterio di riparto ordinario, come acquisito in giurisprudenza”: “la giurisdizione generale di legittimità può tuttora essere adita solo se la controversia non sia devoluta al giudice tributario e solo se la posizione giuridica che si pretende lesa abbia consistenza di interesse legittimo (cfr. VI Sez. 30 settembre 2004 n. 6353)”.
In definitiva, per il Consiglio di Stato, “la controversia rientra nell’area riservata alla giurisdizione del giudice tributario speciale e non sussiste quindi il presupposto per il ricorso agli organi di giustizia amministrativa”.
3. La (…)- denunziando “violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo, “violazione dell’art. 103, comma 1, Cost.” nonché “violazione dell’art. 7, comma 4, della legge 27 luglio 2000 n. 212″ - chiede di cassare tale decisione formulando (ex art. 366 bis c.p.c.) il seguente
“quesito di diritto”
“dichiarare la spettanza della giurisdizione al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7, comma 4, della I. 27 luglio 2000, n. 212, recante “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”, in relazione all’impugnazione degli ordini di verifica con cui l’Agenzia delle Entrate, in difetto dei presupposti che legittimano la riapertura di una verifica e violando l’obbligo di motivazione prescritto per gli atti dell’Amministrazione finanziaria dallo Statuto del contribuente, ha autorizzato il compimento di atti di indagine tributaria con riferimento ad un periodo di imposta per cui si era già svolta ed era stata conclusa una verifica generale, in quanto nella fattispecie ricorrono tutti i presupposti della giurisdizione amministrativa: ovvero in senso negativo, la non spettanza della controversia al giudice tributario, per la mancata inclusione degli ordini di verifica nel novero degli atti assoggettati a tale giurisdizione dall’art. 19 d.lgs. n. 546/1992; e, in senso positivo, la presenza di una situazione giuridica che si pretende lesa, avente la consistenza dell’interesse legittimo, ma anche di libertà costituzionalmente garantite, e l’interesse concreto ed attuale ad agire per la rimozione degli atti impugnati.
A. A sostegno dì tale richiesta la ricorrente - assumendo avere “entrambi i Collegi… posto a fondamento della propria decisione la negazione che possa darsi un’incidenza immediata nella sfera giuridica del contribuente sottoposto a verifica prima che un atto di accertamento sia adottato, e… quindi negato che il medesimo contribuente possa avere un interesse ad agire avverso l’ordine di verifica che ritenga illegittimo” -, in primo luogo, osserva:
- “il principio… in base al quale gli “atti istruttori”, in quanto aventi carattere infraprocedimentale, non sono autonomamente impugnabili per inidoneità a creare una lesione immediata nella sfera giuridica del privato, non può ritenersi… applicabile nel caso dell’attività di indagine fiscale della p.a., la quale si connota per gli incisivi poteri riconosciuti all’amministrazione, i quali sono in grado di comprimere fortemente, in modo da esigere una tutela immediata avverso i medesimi, le libertà (di domicilio, di corrispondenza, di libertà di iniziativa economica, ecc.) del soggetto che li subisce (talvolta imponendo non solo un pati, ma anche un obbligo positivo, un facere), e che, proprio in considerazione di ciò, si caratterizza altresì per la minuziosa regolamentazione dei presupposti e delle modalità di esercizio del potere medesimo, in chiave prettamente garantistica nei confronti del contribuente”;
- “in relazione alla situazione azionata [da essa].. non vale obiettare l’esistenza di una dualità di situazioni giuridiche in capo al contribuente” (”diritti soggettivi/interessi legittimi, di cui i primi tutelabili di fronte al giudice ordinario”) in quanto “laddove egli si dolga di una verifica che ritiene illegittima, ad essere lesa non è solo “la posizione complessiva del contribuente (…) a che la potestà amministrativa venga esercitata in conformità alle regole poste dall’ordinamento per l’esercizio della stessa”, ovvero l’interesse legittimo, ma anche, inevitabilmente, le posizioni soggettive aventi rango costituzionale, per l’evidente ragione che le stesse possono essere limitate solo nei casi e “nei modi indicati dalla legge” (… TAR, a pag. 3) “l’indicazione di effettuare le verifiche presso i locali del contribuente solo in presenza di effettive esigenze, durante l’orario di lavoro e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile, così come quelle che inducono a limitare la permanenza nei locali e che impongono di esaminare i documenti in luoghi diversi da quelli del contribuente, ove questi lo richieda”, infatti, “si muovono nell’ottica di attuare il bilanciamento delle contrapposte posizioni secondo i criteri della necessarietà e della proporzionalità, i quali discendono direttamente dai precetti costituzionali racchiusi negli artt. 2, 13, 14 e 15 Cost., che sovrintendono alle libertà inviolabili”).
- gli stessi criteri sono ritraibili dai principi di imparzialità e buon andamento dettati dall’art. 97 Cost., il quale… è menzionato dall’art. 1 dello Statuto (assieme agli artt. 3, 23 e 53 Cost.), come disposizione alla cui attuazione è diretto lo Statuto medesimo”; “ai medesimi principi rispondono, poi, le prescrizioni che concernono la motivazione di tutti gli atti dell’amministrazione (secondo l’ampia formula utilizza dal legislatore all’art. 7, comma l, dello Statuto del contribuente), l’esposizione delle ragioni che hanno giustificato la verifica, il divieto di richiedere documenti e informazioni di cui l’amministrazione già dispone, e, non ultimo, l’obbligo di improntare il rapporto con i contribuenti ai principi di buona fede e collaborazione”.
Secondo la ricorrente, invero, “lo stesso Consiglio di Stato (”richiamando l’orientamento sul punto di questa… Corte (… sez. un. civ. 25 ottobre 1998 n. 10186 e… 28 ottobre 2005 n. 20994)”) ha riconosciuto che “quando la vertenza ha ad oggetto la contestazione della legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, ossia quando l’atto amministrativo sia assunto nel giudizio non come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede l’annullamento, la posizione del cittadino si concreta come posizione di interesse legittimo (CdS, sez. VI, n. 556/2006… ), per cui il fatto che l’azione sia proposta a tutela (anche) di un diritto costituzionale non è discriminante ai fini della giurisdizione, risultando invece decisiva la circostanza che l’azione sia diretta (o meno) contro un’atto che costituisce esercizio di un pubblico potere (… in tal senso anche la sentenza delle Sezioni unite Civili della Corte di Cassazione dell’8 marzo 2006 n. 4908, che afferma la giurisdizione del G.O. in relazione alla domanda di risarcimento dei danni alla salute, sulla base del rilievo dato alla mancanza, nella fattispecie, “di provvedimenti della pubblica amministrazione o di suoi concessionari, che siano stati impugnati o dei quali si chiede l’annullamento ” e ivi ravvisando solo “comportamenti (…), che non possono incidere negativamente sulle posizioni di diritto soggettivo fatte valere dagli interessati”)”: “nel caso di specie [essa] istante si doleva dell’illegittimità degli atti adottati dall’Amministrazione nell’esercizio del proprio potere (discrezionale) di autorizzare la verifica tributaria, per cui, anche sotto questo profilo, doveva ritenersi correttamente incardinata la controversia dinanzi al giudice amministrativo”. A conclusione del punto la società afferma che il giudice a quo (il quale ha ritenuto “la controversia rientrante nell’area riservata alla giurisdizione tributaria”) ha “errato… nel considerare l’art. 7, comma 4, dello Statuto non applicabile” perché nella fattispecie ricorrono “tutti i presupposti della giurisdizione amministrativa”;
- “in senso negativo, la non spettanza della controversia al giudice tributario, per la mancata inclusione degli ordini di verifica nel novero degli atti assoggettati a tale giurisdizione dall’art. 19 d.lgs. n. 546/1992″: peraltro “il carattere “residuale” del ricorso al G.A. in caso di atti aventi natura tributaria, che i due Collegi sembrano porre a presupposto delle decisioni prese, non si deduce dalla disposizione in esame” (scilicet, quella del quarto comma dell’art. 7) “che, viceversa, costituisce applicazione dell’art. 103, comma 1, Cost., il quale espressamente dispone che il plesso giurisdizionale costituito dai TAR e dal Consiglio di Stato sia il giudice “naturale” degli interessi legittimi, principio cui si deroga nel caso della giurisdizione tributaria, ma solo nei casi previsti dalla legge (e cioè per l’impugnazione degli atti elencati all’art. 19 D. Lgs. 546/92), per cui a fronte dell’esercizio illegittimo dell’attività di indagine fiscale, ed in presenza delle condizioni per agire in giudizio, si riespande la regola (generale, non residuale) della giurisdizione del G.A.”;
- “in senso positivo, la presenza di una situazione giuridica che si pretende lesa, avente la consistenza dell’interesse legittimo, ma anche di libertà costituzionalmente garantite, e l’interesse concreto ed attuale ad agire per la rimozione degli atti impugnati”.
B. ” In relazione”, poi, “all’interesse ad agire”, “la ricordante sostiene che “negare la tutela immediata a fronte degli ordini di verifica che costituiscono reitera di altre verifiche già effettuate, senza il rispetto dei requisiti di forma e di sostanza previsti dalla legge, ed affermare l’esistenza di una tutela “differita”, equivalga a negarla del tutto” atteso che “invece di bloccare un’attività di indagine, di cui [essa] contestava fondamento e modalità,… ha dovuto subire per ben due volte le conseguenze negative dei processi verbali di constatazione redatti in esito alla verifica illegittima, vedendosi costretta ad adire la commissione tributaria per ottenere l’annullamento degli avvisi di rettifica adottati su quella base, con… inutile dispendio anche delle risorse pubbliche”.
Secondo la società, invero, non è fondato asserire che il “differimento” della tutela non incida sulla giustiziabilità dell’atto, ai sensi dell’art. 113 Cost. (pag. 6 della sentenza del Consiglio di Stato)” perché, pur essendo “vero… che nell’ordinamento tributario (e solo in questo) si conosce la figura del “differimento della tutela”", “questa risulterebbe (costituzionalmente) ammissibile non semplicemente per via della non lesività attuale dell’atto” (”condizione che… non ricorre nel caso di specie, in cui sono immediatamente ed autonomamente rilevabili i vizi della reitera della verifica”) ma “sulla base della circostanza che le ragioni della lesione sono esternate (o pienamente conoscibili) solo con il provvedimento finale”.
La ricorrente, infine (”conclusivamente”), osserva che “ammettere la giurisdizione del giudice amministrativo nella fattispecie in esame non equivale” (come “affermato dalle Amministrazioni resistenti”) “ad introdurre una giurisdizione concorrente a quella delle Commissioni tributarie” attesa “la diversità della tutela atttenibile, in quanto il giudizio (in sede di tutela differita) davanti alle Commissioni avrebbe ad oggetto solo la pretesa del singolo, quale contribuente, di pagare imposte e sanzioni in misura non superiore a quella dovuta, ma detto giudizio non tutelerebbe quegli interessi di natura patrimoniale e non patrimoniale direttamente “pregiudicati dall’attività ispettiva, non aventi necessariamente riflesso sull’ammontare del debito d’imposta, quali, ad esempio, la libertà di domicilio o la riservatezza”: “quella ottenuta con l’impugnazione dell’atto di accertamento”, infatti, secondo la… “sarebbe, alla fine, una tutela incompleta, nel senso che le lesioni alla sfera della riservatezza o del domicilio, rimarrebbero tali anche se il successivo atto di accertamento venisse annullato dai giudici di merito”.
C. In terzo (ed ultimo) luogo la ricorrente contesta il “contrario avviso espresso dal giudice amministrativo… sulla presenza dei presupposti per agire sulla base dell’art. 7, comma 4 legge n. 212 del 2000 affermando che “né il TAR, né il Consiglio di Stato, pervengono ad una chiara definizione dell’ambito di applicazione della norma di cui all’art. 7, comma 4, dello Statuto del contribuente” e sostiene di non “comprende(re), in particolare, che significato abbia l’affermazione in base alla quale “tale disposizione non attribuisce (…) al giudice amministrativo nuovi ambiti di cognizione in materia tributaria, ma si limita a confermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa ove la stessa discenda dal criterio di riparto ordinario, come acquisito in giurisprudenza ” e ancora “dunque la giurisdizione generale di legittimità può tuttora essere adita solo se la controversia non sia devoluta al giudice tributario e solo se la posizione giuridica che si pretende lesa abbia consistenza di interesse legittimo”": secondo la società a questo modo di argomentare… non solo non chiarisce realmente quale sia il concreto ambito applicativo della disposizione di cui si tratta, in relazione ai confini della giurisdizione, ma,.. giunge ad una conclusione che può dirsi ampiamente errata” perché, come “ricordato”, gli “stessi giudici di Palazzo Spada…, aderendo all’orientamento sul punto di (questa)… Corte, hanno affermato come, ai fini dell’individuazione della giurisdizione, non sia decisiva la natura della situazione fatta valere, quanto piuttosto la circostanza che ad essere impugnato sia un atto costituente esercizio di un pubblico potere, per concludere come in tale ultimo caso la giurisdizione appartenga sempre al giudice amministrativo, anche quando vengano in questione diritti fondamentali (v. CdS, sezione VI, sentenza n. 556/2006, cit.)” (”il TAR Napoli… aveva limitato l’applicazione della disposizione di cui all’art. 7, comma 4, ai casi “in cui non consegue alcun atto impositivo per intervenuta decadenza dell’azione accertatrice ovvero la verifica tributaria illegittimamente condotta non conduca ad alcun rilievo…”).
“Su questo punto decisivo della controversia”, pertanto, secondo la ricorrente, “l’argomentazione del giudice di seconde cure appare totalmente erronea con riferimento alla determinazione della giurisdizione amministrativa”: “in considerazione del “criterio di riparto ordinario, come acquisito in giurisprudenza”", infatti, “nelle ipotesi richiamate dal TAR non si verterebbe in materia di interessi legittimi, ma di diritti soggettivi, sottoposti ad un comportamento fattuale della p.a. lesivo della loro consistenza per cui la loro violazione in ipotesi siffatte dovrebbe rilevare davanti al giudice ordinario, non già davanti a quello amministrativo”.
La ricorrente, infine, non ritiene “logico il ragionamento dell’Amministrazione procedente volto a contraddire il principio della giurisdizione amministrativa, di cui all’art. 7, comma 4, cit.,… attraverso le argomentazioni espresse dal Consiglio di Stato in Adunanza Generale nel parere del 22 gennaio 2001, in quanto il tentativo di delimitare la giurisdizione del giudice amministrativo contenuto in detto parere si basava su disposizioni formulate nella proposta di decreto legislativo di dubbia costituzionalità, che non a caso non sono mai state emanate e non risultano affatto accolte dal decreto legislativo n. 32 del 2001, adottato sulla base della delega di cui”all’art. 16 della legge n. 212 del 2000″ per cui “resta… valido che con l’espressione “organi di giustizia amministrativa” si intenda il complesso “TAR-Consiglio di Stato”, come afferma non solo il parere citato, ma anche il parere del 5 dicembre 2000 del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria”.
4. Il ricorso deve essere respinto perché infondato.
A. Sul primo profilo di doglianza va, innanzitutto, ribadito (in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria) che (Cass. sez. un., 29 aprile 2003 n. 6693 (ordinanza interlocutoria), da cui gli excerpta testuali che seguono)
(a) “nella disciplina del contenzioso tributario quale risultante… dal d.lgs. 31.XII.1992, n. 546 (art. 2 sia nel testo originario, che in quello novellato dall’art. 12, comma 2, L. 28.XII.2001 n. 448) la tutela giurisdizionale dei contribuenti, con riguardo ai tributi cui le norme citate hanno riferimento, è affidata in esclusiva alla giurisdizione delle commissioni tributarie, concepita comprensiva di ogni questione afferente all’esistenza ed alla consistenza dell’obbligazione tributaria (cfr., in terminis, ex multis, Cass. SS.UU. civ., sent. n. 103 del 12.III/2001)” e
(b) tale esclusività “non” è “suscettibile di venir meno in presenza di situazioni di carenza di un provvedimento impugnabile e, quindi, di impossibilità di proporre contro tale provvedimento quel reclamo che costituisce il veicolo di accesso, ineludibile, a detta giurisdizione” perché siffatte “situazioni” (’”quando fattualmente riscontrate”) incidono “unicamente sull’accoglibilità della domanda (ossia sul merito), valutabile esclusivamente dal giudice avente competenza giurisdizionale sulla stessa, e non già sulla giurisdizione di detto giudice (cfr., in proposito; ex aliis, Cass. SS.UU. civ., sent. n. 11217 del 13.XI.1997)”.
La giurisdizione (piena ed esclusiva) del giudice tributario fissata dall’art. 2 del D. Lg.vo n. 546 del 1992, poi, non ha ad “oggetto” solo gli atti per così dire “finali” del procedimento amministrativo di imposizione tributaria (ovverosia gli atti definiti, propriamente, come “impugnabili” dall’art. 19 D. Lg.vo n. 546 del 1992) ma investe - nei limiti, ovviamente, dei “motivi” sottoposti dal contribuente all’esame di quel giudice ai sensi dell’art. 18, comma 2, lett. e), stesso D. Lg.vo - tutte Ie fasi del procedimento che hanno portato alla adozione ed alla formazione di quell’atto tanto che l’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o alla regolarità (formale e/o sostanziale) su un qualche atto “istruttorio” prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto “finale” impugnato: “la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria”, infatti (Cass., un., 4 marzo 2008 n. 5791; ma già, Cass., un., 25 luglio 2007 n. 16412), “è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa.
Siffatta latitudine della giurisdizione tributaria - estesa (come detto) anche al controllo della regolarità (formale e sostanziale) di tutte le fasi del procedimento di imposizione fiscale - evidenzia l’applicabilità (vanamente, “pertanto, contestata dalla ricorrente) anche agli “atti istruttori” fiscali - nonostante la compressione (”comprimere fortemente”, dice la ricorrente) delle “libertà” (”di domicilio, di corrispondenza, di libertà di iniziativa economica, ecc.”) indicate dalla contribuente posta in essere dagli stessi - del principio della non autonoma (ed immediata) impugnabilità proprio in quanto “aventi carattere infraprocedimentali”.
“Per quanto attiene”‘, inoltre, specificamente “alla problematica della riconducibilità dell’atto impugnato alle categorie indicate dal D. Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 19″, queste sezioni unite (sentenza 27 marzo 2007 n. 7388) - confermato che (giusta “una consolidata giurisprudenza… (da ultima, sez. un., ord. n. 22245/06)”) ” tale problematica… non attiene alla giurisdizione, ma alla proponibilità della domanda” -, pur rilevando (”non possono non rilevare”) che “la mancata inclusione degli atti in contestazione nel catalogo contenuto in detto articolo comporterebbe una lacuna di tutela giurisdizionale, in violazione dei principi contenuti negli articoli 24 e 113 Cost.”, hanno specificato esser ” compito della commissione tributaria verificare se l’atto in contestazione possa ritenersi impugnabile nell’ambito delle categorie individuate dall’art. 19 del d.l.vo n. 546 del 1992″.
“Il carattere esclusivo della giurisdizione tributaria”, ancora (Cass., un., 27 marzo 2007 n. 7388), “non consente che atti non impugnabili in tale sede siano devoluti, in via residuale, ad altri giudici, secondo le ordinarie regole di riparto della giurisdizione (Sez. Un., ord. N. 13793/04)”: l’attribuzione al giudice tributario di una controversia che può concernere la lesione di interessi legittimi, infatti, come chiarito, ” non incontra un limite nell’art. 103 Cost.” perché (”secondo una costante giurisprudenza costituzionale”: “da ultime, ordinanze n. 165 e 414 del 2001 e sentenza n. 240 del 2006″ ) ” non esiste una riserva assoluta di giurisdizione sugli interessi legittimi a favore del giudice amministrativo, potendo il legislatore attribuire la relativa tutela ad altri giudici”.
In secondo luogo, poi, deve evidenziarsi che l’incidenza della specifica attività amministrativa contestata su “posizioni soggettive aventi rango costituzionale” (in particolare, come adduce la ricorrente, su “posizioni soggettive” tutelate dai “precetti costituzionali racchiusi negli artt. 2, 13, 14 e 15 Cost., che sovraintendono alle liberti inviolabili”), limitabili quindi “solo nei casi e “nei modi indicati dalla legge”", non consente affatto di ravvisare nell’eventuale lesione di quelle “posizioni” (o “situazione ” composita”) una “situazione giuridica… avente la consistenza di interesse legittimo” perché le condizioni fissate per la legale temporanea “violabilità” di quelle libertà lasciano integra la originaria consistenza di diritto soggettivo delle stesse attesa la loro mera, temporalmente e funzionalmente limitata, compressione.
Il preteso “difetto”, negli “ordini” qui impugnati, “dei presupposti” di legge - lamentato dalla ricorrente -, quindi, non lede un mero interesse legittimo ma integra (se sussistente) la lesione di un vero e proprio diritto soggettivo del contribuente nei cui confronti viene eseguita la verifica ordinata perché solo l’esistenza di quei “presupposti” (che nella specie si assumono, in ipotesi, mancanti) rendono legittima l’azione accertativa e fa sorgere, a carico del contribuente verificato, gli obblighi di “pati” detta azione nonché di “facere” quanto eventualmente le afferenti norme gli impongano per consentire agli inquirenti di svolgere appieno la propria attività, il tutto sempre a prescindere dall’eventuale esito, negativo per l’Ufficio, del controllo stesso.
È appena il caso di evidenziare, di poi, che l’eventuale esito negativo per l’”Ufficio dell’attività di accertamento (con conseguente non emissione di alcun provvedimento fiscale) compiuta in forza di ordini ritenuti illegittimi dal contribuente integra fattispecie del tutto diversa da quella in esame (conclusasi con l’emissione di un provvedimento impositivo, come evidenziato dal giudice a quo) e, comunque, porta la valutazione di quel fatto nell’orbita giurisdizionale del giudice ordinario (quindi, non del giudice amministrativo) siccome ipoteticamente lesiva di diritti aquisitamente soggettivi del contribuente a subire, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, verifiche fiscali e di conseguenza, le connesse compressioni legali ai suoi corrispondenti diritti (anche costituzionalmente garantiti, come espone la stessa società ricorrente), al di fuori dei casi e delle ipotesi previste dalle afferenti leggi che attribuiscono e circoscrivono il sorgere e l’esercizio del potere fiscale di controllo.
B. In “ordine alla legittimità del differimento al momento della impugnazione dell’atto impositivo della tutela giurisdizionale per vizi e/o per irregolarità concernenti atti compiuti nel corso dell’iter amministrativo conclusosi con l’adozione dell’atto impositivo notificato è sufficiente ricordare il pensiero (”costantemente affermato”, come dice lo stesso giudice delle leggi) della Corte Costituzionale (decisione 23 novembre 1993 n. 406, che ricorda ” da ultimo le sentenze n. 154 del 1992; n. 15 del 1991; n. 470 del 1990; n. 530 del 1989″) secondo cui “gli artt. 24 e 113 della Costituzione non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità, la quale” può essere differita ad un momento successivo ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia”, sempre che “il legislatore” osservi “il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa, in conformità al principio della piena attuazione della garanzia stabilita dalle suddette norme costituzionali”: nel caso, non si ravvisano né sono state dedotte difficoltà della “tutela giurisdizionale” relativa agli atti qui impugnati quali conseguenti al differimento di quella tutela al momento della emissione dell’atto di imposizione fiscale.
C. Il “corretto ambito applicativo” della disposizione dettata dal quarto comma dell’art. 7 legge 27 luglio 2000 n. 212 (secondo cui ” la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti” - di cui la ricorrente lamenta la mancata delimitazione -, infine, è stato già precisato nella sentenza 13 luglio 2005 n. 14692 di queste sezioni unite per la quale quella disposizione riconferma “il carattere esclusivo e pieno della giurisdizione ordinaria in materia tributaria”, “non fa che enfatizzare un principio già generalmente riconosciuto” e “comporta”, “salvo espresse previsioni di legge”, “una naturale competenza del giudice amministrativo” soltanto “sull’impugnazione di atti amministrativi… a contenuto generale o normativo, come i regolamenti e le delibere tariffarie e di atti” (”aventi natura provvedimentale”) “che costituiscano un presupposto dell’esercizio della potestà impositiva e in relazione ai quali esiste un generale potere di disapplicazione del giudice cui è attribuita la giurisdizione sul rapporto tributario.
Nella stessa sentenza, inoltre, si è precisato che “tale principio… non può mai comportare una doppia tutela (dinanzi al giudice amministrativo e a quello ordinario o tributario) nei confronti di atti impostivi o di atti del procedimento impositivo.
Quest’ultimo corollario, nel caso, riveste natura decisiva del punto in esame non essendo dubitabile (né essendo stato dubitato del) la sussistenza, in capo al contribuente, del potere di contestare innanzi agli organi di giustizia tributaria la legittimità anche degli “ordini di verifica” de quibus in quanto atti prodromici del provvedimento impositivo eventualmente adottato all’esito di quanto emerso da quella verifica.
In ordine al punto concernente la “tutela”, innanzi agli organi di giustizia tributaria, “nei confronti” di tutti gli “atti del procedimento impositivo”, è sufficiente ricordare le decisioni di questa Corte nelle quali si è ammessa la sindacabilità, da parte di detti organi:
(a) degli atti prodromici del “procedimento impositivo” quali i provvedimenti emessi dal Procuratore della Repubblica ex artt. 33 DPR 29 settembre 1973 n. 600 e 52, comma 2, DPR 26 ottobre 1972 n. 633, di autorizzazione alla perquisizione domiciliare e/o personale da parte degli organi fiscali inquirenti (Cass., trib.: 19 ottobre 2005 n. 20253; 12 ottobre 2005 n. 19837; 1° ottobre 2004 n. 19690; 3 dicembre 2001 n. 15230; 19 giugno 2001 n. 8344);
(b) del preventivo invito al pagamento (contenuto nell’art. 60, comma 6, DPR n. 633/72), quale adempimento necessario e prodromico alla iscrizione a ruolo dell’imposta sul valore aggiunto (Cass., trib.: 18 aprile 2008 n. 10179 e 14 aprile 2006 n. 8859);
(c) dell’”invito al pagamento” notificato dal Comune al contribuente quale atto prodromico all’iscrizione a ruolo (Cass., trib., 6 dicembre 2004 n. 22869);
d) dell’invito di cui all’art. 51, comma 2, n. 2, DPR 26 ottobre 1972 n. 633, per fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari (Cass., trib., 18 aprile 2003 n. 6232);
e) dell’invito al pagamento menzionato nell’art. 67, comma 2, lett. a) DPR 28 gennaio 1988 n. 43 (Cass., trib., 12 marzo 2002 n. 3540) e,
f) più in generale, sulla scorta dei principi affermati da queste sezioni unite (sentenza n. 16412 del 2007, cit.), sulla mancata notifica di un atto prodromico quale vizio proprio” (ex art. 19, terzo comma, D. Lg.vo n. 546 del 1992) dell’atto notificato al contribuente (Cass., trib., 25 gennaio 2008 n. 1652).
5. Per la sua totale soccombenza la (…) sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere alle amministrazioni pubbliche le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate, nella misura indicata in dispositivo, in base al valore indeterminato della controversia ed all’attività difensiva espletata da dette amministrazioni.

[3] P.Q.M.

Rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice tributario; condanna la (…) a rifondere alle amministrazioni pubbliche le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi €. 4.000,00 (quattromila/00) per onorario, oltre spese generali e spese prenotate a debito.

lunedì 16 marzo 2009

fotocopia di fattura inviata a mezzo fax: il costo non è certo

Cassazione, sez. Tributaria, sent. 25 febbraio 2009, n. 4502
"In altri termini, le fotocopie di documenti originali, che non risultino smarrite o distrutte per cause non imputabili al contribuente, non hanno lo stesso valore probatorio degli originali, apparendo anzi come una documentazione sospetta. "
...
"Il ragionamento appare errato perche' non tiene conto del fatto che proprio la irregolarita' della documentazione non consente di ritenere sussistente il requisito della certezza del costo (il cui onere probatorio grava sul contribuente), alla quale segue poi la verifica della inerenza e della competenza."

Fatto
La controversia ha ad oggetto un avviso di accertamento con il quale il competente ufficio finanziario recuperava a tassazione, tra l'altro, costi considerati privi di documentazione, perche' certificati con copie di fatture ricevute via fax, invece che con gli atti originali.
La societa' ... ... spa, destinataria dell'avviso di accertamento ha proposto ricorso vittoriosamente dinanzi alla competente commissione provinciale. La commissione tributaria regionale, invece, accogliendo l'appello dell'Agenzia delle Entrate, ha ritenuto legittimo il recupero effettuato in relazione alle fotocopie dei fax, considerando che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, impone la conservazione degli originali degli atti ricevuti e che le fotocopie non offrono le stesse garanzie dei documenti originali.
Avverso questa decisione ha proposto ricorso la societa' contribuente, sostenuto da due motivi. L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Diritto
Il ricorso non puo' trovare accoglimento.
Con il primo motivo, la societa' ricorrente denunciando la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, e vizi di motivazione, sostiene che erroneamente la CTR ha ritenuto che la copia del fax non abbia la stessa efficacia probatoria dell'originale, posto che, comunque, la fattura trasmessa a mezzo fax non e' la fattura originale.
La tesi della ricorrente non e' condivisibile. E' ben vero che il documento che incorpora la fattura trasmessa a mezzo fax e' sostanzialmente una copia dell'originale. Ma e' altrettanto vero che l'originale del fax offre maggiori garanzie perche', non puo' esser frutto di un fotomontaggio, almeno da parte del ricevente. Peraltro, il legislatore, ove mai si fosse trattato di fax trasmesso per mezzo di un personal computer, ha imposto l'obbligo di conservare il supporto elettronico fino al momento della stampa, proprio per evitare il rischio di manipolazioni (a monte come a valle), insito in ogni riproduzione meccanografica non confrontabile con l'originale.
L'obbligo di conservare la documentazione originale, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, e' norma speciale rispetto al regime ordinario della prova documentale dettato dal codice civile, che equipara la copia all'originale se non ci sia espressa contestazione sulla conformita' (art. 2712 c.c.). La diversita' della disciplina trae origine dalla tendenziale indisponibilita' del rapporto tributario e del suo regime probatorio. D'altra parte non risulta che il contribuente abbia giustificato in qualche modo il fatto di non aver conservato gli originali (allegando, ad esempio, la distruzione accidentale o per causa di forza maggiore degli originali), si che la violazione della legge, anche ammesso che le si volesse attribuire un carattere meramente formale, sarebbe comunque sospetta, in relazione al comportamento tenuto dal contribuente. In altri termini, le fotocopie di documenti originali, che non risultino smarrite o distrutte per cause non imputabili al contribuente, non hanno lo stesso valore probatorio degli originali, apparendo anzi come una documentazione sospetta. Specialmente se, come e' accaduto nella specie, non sono allegate valide ragioni che giustifichino la mancata esibizione degli originali.
Con il secondo motivo la societa' ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 TUIR e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, sul rilievo che anche ammesso che la documentazione prodotta non fosse formalmente corretta, la deducibilita' dei costi deve essere comunque riconosciuta in quanto non e' mai stata posta in dubbio la loro effettivita', inerenza e competenza. Il ragionamento appare errato perche' non tiene conto del fatto che proprio la irregolarita' della documentazione non consente di ritenere sussistente il requisito della certezza del costo (il cui onere probatorio grava sul contribuente), alla quale segue poi la verifica della inerenza e della competenza.
Conseguentemente, il ricorso deve essere rigettato. Sussistono giuste ragioni per compensare le spese del giudizio di legittimita', attesa la novita' della questione.

P.Q.M.

La Corte:
Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimita'.
Cosi' deciso in Roma, il 2 dicembre 2008.

fotocopia di fattura inviata a mezzo fax: il costo non è certo

Cassazione, sez. Tributaria, sent. 25 febbraio 2009, n. 4502
"In altri termini, le fotocopie di documenti originali, che non risultino smarrite o distrutte per cause non imputabili al contribuente, non hanno lo stesso valore probatorio degli originali, apparendo anzi come una documentazione sospetta. "
...
"Il ragionamento appare errato perche' non tiene conto del fatto che proprio la irregolarita' della documentazione non consente di ritenere sussistente il requisito della certezza del costo (il cui onere probatorio grava sul contribuente), alla quale segue poi la verifica della inerenza e della competenza."

Fatto
La controversia ha ad oggetto un avviso di accertamento con il quale il competente ufficio finanziario recuperava a tassazione, tra l'altro, costi considerati privi di documentazione, perche' certificati con copie di fatture ricevute via fax, invece che con gli atti originali.
La societa' ... ... spa, destinataria dell'avviso di accertamento ha proposto ricorso vittoriosamente dinanzi alla competente commissione provinciale. La commissione tributaria regionale, invece, accogliendo l'appello dell'Agenzia delle Entrate, ha ritenuto legittimo il recupero effettuato in relazione alle fotocopie dei fax, considerando che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, impone la conservazione degli originali degli atti ricevuti e che le fotocopie non offrono le stesse garanzie dei documenti originali.
Avverso questa decisione ha proposto ricorso la societa' contribuente, sostenuto da due motivi. L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Diritto
Il ricorso non puo' trovare accoglimento.
Con il primo motivo, la societa' ricorrente denunciando la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, e vizi di motivazione, sostiene che erroneamente la CTR ha ritenuto che la copia del fax non abbia la stessa efficacia probatoria dell'originale, posto che, comunque, la fattura trasmessa a mezzo fax non e' la fattura originale.
La tesi della ricorrente non e' condivisibile. E' ben vero che il documento che incorpora la fattura trasmessa a mezzo fax e' sostanzialmente una copia dell'originale. Ma e' altrettanto vero che l'originale del fax offre maggiori garanzie perche', non puo' esser frutto di un fotomontaggio, almeno da parte del ricevente. Peraltro, il legislatore, ove mai si fosse trattato di fax trasmesso per mezzo di un personal computer, ha imposto l'obbligo di conservare il supporto elettronico fino al momento della stampa, proprio per evitare il rischio di manipolazioni (a monte come a valle), insito in ogni riproduzione meccanografica non confrontabile con l'originale.
L'obbligo di conservare la documentazione originale, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, e' norma speciale rispetto al regime ordinario della prova documentale dettato dal codice civile, che equipara la copia all'originale se non ci sia espressa contestazione sulla conformita' (art. 2712 c.c.). La diversita' della disciplina trae origine dalla tendenziale indisponibilita' del rapporto tributario e del suo regime probatorio. D'altra parte non risulta che il contribuente abbia giustificato in qualche modo il fatto di non aver conservato gli originali (allegando, ad esempio, la distruzione accidentale o per causa di forza maggiore degli originali), si che la violazione della legge, anche ammesso che le si volesse attribuire un carattere meramente formale, sarebbe comunque sospetta, in relazione al comportamento tenuto dal contribuente. In altri termini, le fotocopie di documenti originali, che non risultino smarrite o distrutte per cause non imputabili al contribuente, non hanno lo stesso valore probatorio degli originali, apparendo anzi come una documentazione sospetta. Specialmente se, come e' accaduto nella specie, non sono allegate valide ragioni che giustifichino la mancata esibizione degli originali.
Con il secondo motivo la societa' ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 TUIR e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, sul rilievo che anche ammesso che la documentazione prodotta non fosse formalmente corretta, la deducibilita' dei costi deve essere comunque riconosciuta in quanto non e' mai stata posta in dubbio la loro effettivita', inerenza e competenza. Il ragionamento appare errato perche' non tiene conto del fatto che proprio la irregolarita' della documentazione non consente di ritenere sussistente il requisito della certezza del costo (il cui onere probatorio grava sul contribuente), alla quale segue poi la verifica della inerenza e della competenza.
Conseguentemente, il ricorso deve essere rigettato. Sussistono giuste ragioni per compensare le spese del giudizio di legittimita', attesa la novita' della questione.

P.Q.M.

La Corte:
Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimita'.
Cosi' deciso in Roma, il 2 dicembre 2008.

lunedì 16 febbraio 2009

news dalle Commissioni Tributarie e dalla S.C. sez. Tributaria

Premessa introduttiva
Continuiamo, anche in questa puntata della rubrica, ad illustrare i massimari delle sentenze che hanno affrontato il tema dell’onere della prova.
Il riferimento è sempre quello di casi pratici di rilevante interesse (fatturazioni false, conti bancari, redditometro), mentre si segnalano per una lettura più attenta due sentenze che disciplinano il potere del Giudice di sopperire le mancanze di parte onerata.
****
Operazioni fittizie
L’Amministrazione finanziaria che intenda contestare la sussistenza di determinate operazioni economiche asserite come fittizie ovvero inesistenti non deve limitarsi a generiche affermazioni od al mero disconoscimento della documentazione offerta dal contribuente essendo onerata della dimostrazione, anche tramite indizi e presunzioni, di simile asserzione. D’altro canto, in dipendenza di circostanziata contestazione spetta al contribuente dimostrare l’effettività delle operazioni qualificate come inesistenti.(Cassazione, sentenza n. 29396/08)
Indici rivelatori della sussistenza di un vincolo societario
La sussistenza del vincolo sociale costituisce apprezzamento di fatto - la cui valutazione è demandata al giudice del merito - pregiudiziale al fine di legittimare l’accertamento ai fini delle imposte sui redditi fondato sulla convinzione dell’esistenza di una società di fatto della quale il contribuente sia parte integrante. Indice rivelatore di siffatta esistenza ben può essere identificato nella circostanza secondo la quale il corrispettivo delle commesse affidate ad un soggetto viene ad essere assolto da soggetto diverso ovvero nell’utilità tratta dall’intermediazione di un soggetto in favore di un altro.(Cassazione, sentenza n. 29437/08)
Onere della prova e obblighi del Giudice Tributario
E’ principio già enunciato dalla Corte quello secondo cui “A fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove in forza dei poteri istruttri attribuitigli dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, perché tali poteri sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale delle parti nel processo, solo per sopperire all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra. (Nella specie, in applicazione del riferito principio la Suprema Corte ha confermato la pronuncia impugnata che aveva rigettato l’appello dell’Ufficio per essersi questo limitato ad asserzioni labiali dei fatti, mai allegando supporti do! cumentali e atteso, altresì, le doglianze generiche contenute nell’appello, sul negato rilievo probatorio della documentazione extra contabile mai messa peraltro a disposizione della commissione)” (Cassazione civile, sez. trib., 14 aprile 2007, n. 10970).(Cassazione, sentenza n. 683/09)
Conti bancari
Qualora dall’esame dei conti e rapporti intrattenuti dai soci con istituti di credito si abbia motivo di ritenere sussistente una materia imponibile superiore a quella dichiarata, l’Amministrazione finanziaria è ammessa alla rettifica competendo al contribuente la dimostrazione che quanto emerso dalle rilevazioni e movimentazioni dei conti e rapporti è estraneo alla determinazione del reddito d’impresa. A tale fine, non è sufficiente il semplice riferimento alla gestione di altre attività dovendosi all’uopo indicare quali risultanze si riferiscono a ciascuna realtà operativa.(Cassazione, sentenza n. 1444/09)
Fatture false
La documentazione aziendale (fatture e libri contabili) è strumento idoneo a dimostrare l’esistenza delle operazioni riportate, ed incombe sull’Amministrazione che intenda disconoscere tale documentazione (nel caso di specie asserendo che determinate operazioni documentate con fatture erano in realtà inesistenti) l’onere di provarne, anche attraverso presunzioni, l’inattendibilità.(Cassazione, sentenza n. 1023/08)
Redditometro senza prova
Gli accertamenti effettuati mediante redditometro si sottraggono all’obbligo di motivazione ex art. 3, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria è esonerata da qualunque prova ulteriore rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva individuati dal redditometro e posti a base della pretesa fiscale (nel caso di specie: possesso di automobili), gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presupposto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore(Cassazione, sentenza n. 25386/07)

news dalle Commissioni Tributarie e dalla S.C. sez. Tributaria

Premessa introduttiva
Continuiamo, anche in questa puntata della rubrica, ad illustrare i massimari delle sentenze che hanno affrontato il tema dell’onere della prova.
Il riferimento è sempre quello di casi pratici di rilevante interesse (fatturazioni false, conti bancari, redditometro), mentre si segnalano per una lettura più attenta due sentenze che disciplinano il potere del Giudice di sopperire le mancanze di parte onerata.
****
Operazioni fittizie
L’Amministrazione finanziaria che intenda contestare la sussistenza di determinate operazioni economiche asserite come fittizie ovvero inesistenti non deve limitarsi a generiche affermazioni od al mero disconoscimento della documentazione offerta dal contribuente essendo onerata della dimostrazione, anche tramite indizi e presunzioni, di simile asserzione. D’altro canto, in dipendenza di circostanziata contestazione spetta al contribuente dimostrare l’effettività delle operazioni qualificate come inesistenti.(Cassazione, sentenza n. 29396/08)
Indici rivelatori della sussistenza di un vincolo societario
La sussistenza del vincolo sociale costituisce apprezzamento di fatto - la cui valutazione è demandata al giudice del merito - pregiudiziale al fine di legittimare l’accertamento ai fini delle imposte sui redditi fondato sulla convinzione dell’esistenza di una società di fatto della quale il contribuente sia parte integrante. Indice rivelatore di siffatta esistenza ben può essere identificato nella circostanza secondo la quale il corrispettivo delle commesse affidate ad un soggetto viene ad essere assolto da soggetto diverso ovvero nell’utilità tratta dall’intermediazione di un soggetto in favore di un altro.(Cassazione, sentenza n. 29437/08)
Onere della prova e obblighi del Giudice Tributario
E’ principio già enunciato dalla Corte quello secondo cui “A fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove in forza dei poteri istruttri attribuitigli dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, perché tali poteri sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale delle parti nel processo, solo per sopperire all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra. (Nella specie, in applicazione del riferito principio la Suprema Corte ha confermato la pronuncia impugnata che aveva rigettato l’appello dell’Ufficio per essersi questo limitato ad asserzioni labiali dei fatti, mai allegando supporti do! cumentali e atteso, altresì, le doglianze generiche contenute nell’appello, sul negato rilievo probatorio della documentazione extra contabile mai messa peraltro a disposizione della commissione)” (Cassazione civile, sez. trib., 14 aprile 2007, n. 10970).(Cassazione, sentenza n. 683/09)
Conti bancari
Qualora dall’esame dei conti e rapporti intrattenuti dai soci con istituti di credito si abbia motivo di ritenere sussistente una materia imponibile superiore a quella dichiarata, l’Amministrazione finanziaria è ammessa alla rettifica competendo al contribuente la dimostrazione che quanto emerso dalle rilevazioni e movimentazioni dei conti e rapporti è estraneo alla determinazione del reddito d’impresa. A tale fine, non è sufficiente il semplice riferimento alla gestione di altre attività dovendosi all’uopo indicare quali risultanze si riferiscono a ciascuna realtà operativa.(Cassazione, sentenza n. 1444/09)
Fatture false
La documentazione aziendale (fatture e libri contabili) è strumento idoneo a dimostrare l’esistenza delle operazioni riportate, ed incombe sull’Amministrazione che intenda disconoscere tale documentazione (nel caso di specie asserendo che determinate operazioni documentate con fatture erano in realtà inesistenti) l’onere di provarne, anche attraverso presunzioni, l’inattendibilità.(Cassazione, sentenza n. 1023/08)
Redditometro senza prova
Gli accertamenti effettuati mediante redditometro si sottraggono all’obbligo di motivazione ex art. 3, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria è esonerata da qualunque prova ulteriore rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva individuati dal redditometro e posti a base della pretesa fiscale (nel caso di specie: possesso di automobili), gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presupposto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore(Cassazione, sentenza n. 25386/07)

venerdì 23 gennaio 2009

Decreto Anti Crisi e Mutui prima casa


Mutui prima casa: le novità introdotte dal decreto anticrisi
Circolare Ministero Economia e finanze 29.12.2008 n° 17852

Per i mutui a tasso non fisso erogati entro il 31 ottobre 2008 a persone fisiche per l'acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell'abitazione principale ad eccezione di quelle di categoria A1, A8 e A9, le rate da corrispondere nel 2009 sono calcolate con riferimento al maggiore tra un tasso di interesse pari al 4%, senza spread, spese varie o altro tipo di maggiorazione e il tasso contrattuale alla data di sottoscrizione del contratto e, comunque, per un ammontare non superiore a quanto previsto dalle condizioni contrattuali in essere.
E' quanto spiega la Circolare 29 dicembre 2008, n. 17852 con la quale il Ministero dell'Economia e delle Finanze illustra alcune delle novità introdotte con il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 in materia di mutui per la prima casa, precisando che la differenza tra gli importi a carico del mutuatario e le rate da corrispondere, in base al contratto di mutuo sottoscritto, è a carico dello Stato.
In particolare, il contributo dello Stato a favore dei mutuatari per la riduzione dell'importo delle rate di mutuo a tasso non fisso nel corso del 2009 viene corrisposto dalle banche mutuanti, senza alcun costo per il cliente, alla data di scadenza di ciascuna rata.Le rate interessate sono tutte quelle da corrispondere nel corso del 2009 ed il criterio di calcolo individuato dalla legge si applica all'intero importo della rata (non solo al rateo riferibile al 2009).
(Altalex, 15 gennaio 2009)


MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE,
CIRCOLARE 29 dicembre 2008, n. 17852

Articolo 2 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 - Mutui prima casa.
Agli istituti autorizzati all'esercizio dell'attivita' bancaria
Premessa
L'art. 2, commi da 1 a 3 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 prevede che per i mutui a tasso non fisso erogati entro il 31 ottobre 2008 a persone fisiche per l'acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell'abitazione principale ad eccezione di quelle di categoria A1, A8 e A9, le rate da corrispondere nel 2009 siano calcolate con riferimento al maggiore tra un tasso di interesse pari al 4%, senza spread, spese varie o altro tipo di maggiorazione e il tasso contrattuale alla data di sottoscrizione del contratto e, comunque, per un ammontare non superiore a quanto previsto dalle condizioni contrattuali in essere.
Il provvedimento si applica anche ai mutui che sono stati oggetto di operazioni di rinegoziazione di cui all'art. 3 del decreto-legge 28 maggio 2008, n. 93 convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 126.
La differenza tra gli importi a carico del mutuatario ai sensi dell'art. 2 comma 1 del decreto-legge n. 185/2008 e le rate da corrispondere ai sensi del contratto di mutuo sottoscritto, e' posta a carico dello Stato.
E' previsto inoltre che, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, siano definite le modalita' tecniche per il pagamento della differenza.Nelle more della procedura di conversione del decreto-legge n. 185, si ritiene opportuno fornire alcuni chiarimenti interpretativi per la concreta applicazione delle disposizioni sopra richiamate.
Modalita' per la corresponsione del contributo
Il contributo dello Stato a favore dei mutuatari per la riduzione dell'importo delle rate di mutuo a tasso non fisso nel corso del 2009 - ai sensi dell'art. 2, commi da 1 a 3 del decreto-legge n. 185/2008 - viene corrisposto dalle banche mutuanti, senza alcun costo per il cliente, alla data di scadenza di ciascuna rata.Le rate interessate sono tutte quelle da corrispondere nel corso del 2009.Il criterio di calcolo individuato dalla legge si applica all'intero importo della rata e non solo al rateo riferibile al 2009.
La banca mutuante, a causa di difficolta' di carattere organizzativo, potrebbe non essere in condizioni di corrispondere il contributo gia' per le prime rate in scadenza nel 2009. Si ravvisa l'obbligo di adoperarsi per contenere al massimo eventuali ritardi, che comunque non dovrebbero ragionevolmente estendersi oltre il mese di febbraio 2009.
Il mutuatario deve naturalmente essere tenuto indenne da ogni effetto di tali ritardi. In particolare, ogni contributo deve essere accreditato con valuta del giorno di scadenza della rata cui e' relativo.
In caso di mutui che sono stati oggetto di operazioni di cartolarizzazione o di emissione di obbligazioni bancarie garantite, ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130, il contributo viene corrisposto dalla banca cedente (originator) ovvero dal soggetto incaricato della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento (servicer).
Roma, 29 dicembre 2008.
Il direttore generale del Tesoro: Grilli

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