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lunedì 2 marzo 2009

La rivalutazione dei beni d'impresa: è stata "riproposta" con la manovra 2008/2009

Manovra economica 2008/2009: rivalutazione dei beni immobili d’impresa
Articolo di Giuseppe Zambon 25.02.2009
in http://www.altalex.com/

Con i commi da 16 a 23 dell’art. 15 del D.L. 185/2008 (c.d. decreto “anticrisi”) è riproposta la rivalutazione dei beni d’impresa, ma solo per i beni immobili (fabbricati e terreni sia strumentali sia non strumentali) con l’esclusione di quelli classificati quali beni merce (alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa) e delle aree edificabili. Il legislatore nell’ultimo comma dedicato alla rivalutazione richiama, in quanto applicabili, gli articoli 11, 13 e 15 dell’ultima disposizione di rivalutazione, il collegato alla Finanziaria 2000 - Legge n. 342 del 21 novembre 2000 (i cui termini erano già stati riaperti dalle leggi Finanziarie 2002 e 2006, con modifiche, e 2004 senza modifiche), e le disposizioni attuative dei decreti ministeriali 162/2001 e 86/2002. A queste disposizioni, quindi, mi rifarò nel commento.
In linea generale la rivalutazione dei beni non è ammessa dal Codice civile.
L’art. 2426 stabilisce, infatti, che le immobilizzazioni devono essere iscritte in bilancio al costo d’acquisto o di produzione; deroghe a tale criterio sono consentite solo in casi eccezionali e in particolar modo quando previste da specifiche disposizioni di legge, come nel nostro caso.
La finalità che si intende perseguire con le disposizioni sulla rivalutazione è quella di permettere, ai soggetti ammessi dalla norma, in deroga appunto all’art. 2426 del Codice civile, l’adeguamento ai valori effettivi della rappresentazione contabile dei beni immobili, permettendo altresì il riconoscimento fiscale di detti maggiori valori mediante il sostenimento di un costo fiscale ridotto rispetto alla tassazione che sarebbe normalmente applicabile. E' quindi ammessa anche una rivalutazione effettuata ai soli fini civilistici senza esborso di imposte sostitutive per il riconoscimento fiscale.
Vediamo più nel dettaglio come funziona questa nuova rivalutazione:
SOGGETTIAMMESSI: come previsto dal comma 16, dell’art. 15 del cosiddetto decreto “anticrisi”, alle disposizioni sulla rivalutazione sono ammesse, se residenti nel territorio dello Stato, le S.p.a., le S.a.p.a., le S.r.l., le società cooperative, le società di mutua assicurazione e gli enti pubblici e privati diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali [soggetti di cui all’art. 73, c. 1, lett. a) e b) del T.U.I.R.]; sono inoltre ammesse per espressa previsione legislativa, sempre se residenti, le S.n.c., le S.a.s. e le società ad esse equiparate (sono escluse soltanto le società semplici, così come precisato dalla C.M. 5/E del 26.01.2001).
La rivalutazione può essere eseguita solo se NON sono stati adottati i principi contabili internazionali (IAS), in quanto, in questo caso, i valori contabili sono già stati adeguati al valore normale (fair value), generando un disallineamento civilistico/fiscale per il quale è già prevista una norma di affrancamento.
Fin qui l’elenco dei soggetti che parrebbe esaustivo, operato dal legislatore nel primo degli otto commi che, nell’art. 15 del Decreto Legge 185/2008, si occupano di disciplinare la rivalutazione facoltativa dei beni immobili.
Utilizzando la tecnica legislativa del rinvio, però, nel comma 23 è richiamato, tra gli altri, in quanto applicabile, l’art. 15 della Legge n. 342/2000; all’epoca l’art. 10 di detta legge individuava i soggetti destinatari della rivalutazione nelle sole società di capitali ed enti commerciali residenti e con l’art. 15, intitolato “Ulteriori soggetti ammessi alle rivalutazioni”, venivano attratti al beneficio le ditte individuali, le società personali, gli enti non commerciali e i soggetti non residenti che esercitano attività commerciali in Italia senza stabile organizzazione, indipendentemente dal regime contabile applicato (ordinario o semplificato). La stessa Circolare 207/2000 commentando il c.d. collegato alla Finanziaria 2000, spiegava che destinatari erano i soggetti titolari di reddito d’impresa senza alcuna distinzione della forma giuridica con la quale l’attività veniva esercitata. Giacché nulla è detto al proposito nella relazione illustrativa al D.L. 185/2008, chiedevamo una netta presa di posizione da parte dell’Agenzia per ammettere o escludere dalla disposizione di rivalutazione i soggetti elencati nell’art. 15 della Legge 342/2000 e non inclusi nel comma 16 dell’art. 15 del c.d. decreto “anticrisi”, giacché la norma, in virtù del richiamo legislativo, sembra diretta anche a costoro.
Un ulteriore elemento a conferma della possibilità di rivalutare gli immobili per le ditte individuali è contenuto nel comma 21 dell’art. 15 del D.L. 185/2008, laddove è contemplata la possibilità di destinazione al consumo personale o familiare dell’imprenditore degli immobili rivalutati.
L'Agenzia delle Entrate è intervenuta nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17/01/2009 confermando quanto già affermato nella circolare 207/2000 stante il rinvio effettuato dall'art. 23 del decreto in esame all'art. 15 della L. 342/2000 ammettendo, quindi, alla rivalutazione anche le imprese individuali, gli enti non commerciali e i soggetti non residenti che esercitano attività commerciali in Italia senza stabile organizzazione; ininfluente è poi i regime contabile applicato (ordinario o semplificato).In caso di diritto di superficie la facoltà di rivalutazione spetta, qualora il bene sia comunque relativo all’impresa, al titolare di tale diritto reale (Circolare Agenzia Entrate n. 6/E del 13.02.2006 - risposta 6.7). Il D.M. 162/2001 ammette alla rivalutazione anche le imprese in liquidazione volontaria1 (salvo il recupero a tassazione ordinaria nel caso di distribuzione del saldo di rivalutazione) e, in luogo dei concedenti, gli affittuari e usufruttuari che, in base alle scelte negoziali adottate, deducono gli ammortamenti nell’ambito dei contratti di affitto o usufrutto d’azienda.2
Sono senz’altro esclusi, invece, dall’ambito soggettivo di applicazione della rivalutazione le persone fisiche esercenti lavoro autonomo, arti e professioni, anche in forma associata, le persone fisiche esercenti attività agricola che produce reddito fondiario e non d’impresa e gli enti non commerciali per i beni relativi all’attività istituzionale; sono escluse, inoltre, le imprese sottoposte a procedure concorsuali (Circolare Assonime n. 13/2001).
BENI RIVALUTABILI: la possibilità di rivalutazione è prevista per tutti gli immobili patrimonializzati tra le immobilizzazioni (sono quindi esclusi quelli considerati beni merce e patrimonializzati nelle rimanenze d‘esercizio), strumentali e non strumentali con la sola esclusione delle aree fabbricabili, risultanti dal bilancio in corso al 31.12.2007 ovvero acquisiti entro tale data in caso di contabilità semplificata. Sono, pertanto, rivalutabili:
Fabbricati strumentali per destinazione: qualunque categoria catastale, purché utilizzati direttamente dall‘impresa;
Fabbricati strumentali per natura: solo categorie catastali A/10 - C - D - E, se non direttamente dall’impresa;
Fabbricati non strumentali: solo categorie catastali da A1 ad A11 escluso A10, se non utilizzati direttamente dall’impresa;
Terreni agricoli o comunque NON a destinazione edificatoria: allo scopo si ricorda la recente interpretazione restrittiva che il legislatore ha fornito per il concetto di area edificabile. Infatti il decreto legge 223/2006 (art. 36, c. 2) ha stabilito che, ai fini dell’Iva, dell’imposta di registro, delle imposte sui redditi e dell’Ici, «un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo». In altri termini, per qualificare un’area come edificabile è sufficiente che:
l’utilizzabilità edificatoria dell’area risulti dal Piano regolatore generale del Comune o da un altro strumento urbanistico equipollente;
lo strumento urbanistico sia solamente «adottato» dal Comune.
Pertanto, per considerare, sotto il profilo fiscale, un’area come edificabile, non occorre che:
l’area sia immediatamente edificabile: non occorre cioè che la potenzialità edificatoria sia attuale ma è sufficiente che si tratti di un’edificabilità potenziale;
l’area sia inserita anche in un piano attuativo;
il piano regolatore sia approvato oltre che adottato: l’approvazione è il momento finale dell’iter che conduce all’entrata in vigore di uno strumento urbanistico, mentre l’adozione è uno stadio intermedio che evidenzia la volontà comunale, ma che non ha il crisma della definitività.
TEMPISTICA, MODALITA‘ E REGOLE: la rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio (rendiconto per gli enti) dell’esercizio successivo a quello in corso al 31.12.2007, il cui termine di approvazione (ovviamente sempre che la stessa sia dovuta) scade dopo il 29 novembre 2008 (quindi nel bilancio relativo al 2008 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare).
E’ previsto l’obbligo di rivalutare tutti i beni immobili appartenenti alla medesima categoria omogenea; le categorie individuate dal legislatore sono due:
BENI IMMOBILI AMMORTIZZABILI: tipicamente i fabbricati strumentali per natura e per destinazione;
BENI IMMOBILI NON AMMORTIZZABILI: tipicamente i fabbricati non strumentali e i terreni, con l’esclusione per questi ultimi di quelli che, purché non edificabili, appartengono ad imprese che operano in particolari settori di attività quali le industrie dei trasporti e delle telecomunicazioni (Gruppo 19 del D.M. 31,12,1998 specie I, II, III, IV, V, XII) e quelli che, in quanto strumentali per l’esercizio dell’impresa e purché non edificabili, sono sottratti alla loro naturale destinazione e partecipano al processo produttivo (in questa casistica rientrano i terreni permanentemente adibiti da imprese edili a deposito di materiale).
Nel caso in cui alcune unità immobiliari, pur incluse in una delle due precedenti categorie omogenee, sia illegittimamente esclusa dalla rivalutazione, la conseguenza sarà il disconoscimento degli effetti fiscali della rivalutazione per tutti gli altri immobili appartenenti alla medesima categoria omogenea e il recupero a tassazione dei maggiori ammortamenti effettuati o delle minori plusvalenze o maggiori minusvalenze dichiarate applicando le sanzioni previste per l’infedele dichiarazione (Circolare n. 57/E del 18/06/2001).
Come già scritto anche nel paragrafo precedente, i beni immobili rivalutabili devono risultare dal bilancio in corso al 31.12.2007.
La formulazione legislativa è decisamente infelice (e non risulta modificata in sede di conversione) perché, anche se dal prosieguo del testo si comprende comunque l’intenzione del legislatore, non esiste un bilancio “in corso”, ma eventualmente un esercizio in corso: l’art. 10 della Legge 342/2000, infatti, più correttamente recitava: “risultanti dal bilancio relativo all’esercizio chiuso entro il 31 dicembre 1999”; nella norma attuale, quindi, il testo corretto sarebbe: “risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2007”.
L’art. 2, c. 1, del D.M. 162/2001 prevedeva che la destinazione dei beni risultanti nel bilancio relativo all’esercizio di riferimento (2007) dovevano risultare anche dal bilancio o rendiconto, in relazione al quale la rivalutazione era effettuata (2008); stabiliva, inoltre, che si possono rivalutare i beni posseduti alla fine dell’esercizio con riferimento al quale viene eseguita la rivalutazione (2008), acquisiti fino al termine dell’esercizio in corso alla data del periodo di riferimento (2007).
Il comma 3 del medesimo articolo 2 considerava avvenuta l’acquisizione dei beni alla data del trasferimento del diritto di proprietà o altro diritto reale o della consegna con clausola di riserva di proprietà, escludendo di fatto i cespiti condotti in locazione finanziaria, ancorché contabilizzati con il sistema finanziario (facoltativo per i soggetti non IAS) anziché con quello patrimoniale previsto dai principi contabili (OIC).3
Conferma in questo senso è venuta dall'Agenzia Entrate, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009, che ha ribadito il concetto per cui i beni oggetto di contratto di leasing possono essere rivalutati esclusivamente dall'utilizzatore e purché purché il diritto di riscatto sia stato esercitato entro l'esercizio in corso alla data del 31.12.2007.
Dovendo procedere alla rivalutazione nell’esercizio successivo a quello nel quale è prevista l’iscrizione a bilancio, si pone il problema se possa essere rivalutato un bene immobile che nel bilancio di riferimento (2007) sia iscritto in modo tale da possedere i requisiti richiesti dalla norma e nell’esercizio successivo (2008) ne sia stata modificata la classificazione, perdendo i requisiti o transitando dal gruppo omogeneo dei beni ammortizzabili a quello dei non ammortizzabili. L’Amministrazione finanziaria ha già avuto modo di esprimere il proprio parere nella Circolare n. 57/E del 18.06.2001, dove ha chiarito che i requisiti di appartenenza alle diverse categorie omogenee di immobili sono quelli esistenti alla data della chiusura del bilancio in cui la rivalutazione è eseguita (2008), ferma restando la loro ininterrotta collocazione tra le immobilizzazioni materiali dell’esercizio di riferimento (2007) e dell’esercizio nel cui bilancio la rivalutazione è effettuata (2008). Non è pertanto possibile rivalutare un immobile classificato tra i beni merce nel 2008 anche se era immobilizzato nel 2007 e viceversa, ovvero un terreno che era agricolo nel 2007 divenuto edificabile nel 2008, mentre dovrebbe essere il bilancio 2008 a decidere la categoria omogenea di appartenenza (ammortizzabili o non ammortizzabili).
Anche per l'attuale rivalutazione l'Agenzia Entrate ha confermato quanto già affermato con la circolare n. 57/E del 2001 sopra citata, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009
Per individuare il valore economico costituente il limite massimo alla rivalutazione, l’art. 11, c. 2, della Legge n. 342/2000 pone due criteri alternativi:
da un lato, il criterio del cosiddetto valore interno, basato sulla consistenza dei beni, sulla loro capacità produttiva e sulla loro effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa;
dall’altro, il criterio del valore di mercato, basato sui valori correnti e sulle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri.
La rivalutazione degli immobili facenti parte di ciascuna categoria omogenea deve essere eseguita sulla base di un unico criterio per tutti gli immobili ad essa appartenenti (art. 4, c. 8, D.M. 162/2001).
I valori rivalutati iscritti in bilancio e nell’inventario non possono in nessun caso superare quelli effettivamente attribuibili, individuati con i criteri di cui sopra. In altre parole il limite massimo della rivalutazione è pari al valore di mercato, meno il valore netto contabile, diminuito anche della quota di ammortamento figurativo dell’anno 2008 calcolato sul valore non rivalutato.
L’art. 6 del D.M. 162/2001, richiamato dalla norma attuale, specifica ancora meglio tale concetto denominandolo “Limite economico della rivalutazione” e stabilendo che il valore netto del bene risultante dal bilancio nel quale la rivalutazione è eseguita, incrementato della maggiore quota di ammortamento derivante dal valore rivalutato, non può superare il valore d’uso o di mercato. Ciò significa che il valore netto del bene immobile, ottenuto stanziando la quota di ammortamento calcolata sul costo storico ante rivalutazione, rappresenta il massimo consentito.
ESEMPIO:
Supponiamo l’esistenza di un immobile iscritto in bilancio per il costo storico di euro 100.000 da 10 anni e mai rivalutato, con coefficiente di ammortamento del 3% e fondo ammortamento al 31.12.2007 pari ad euro 30.000 e conseguente valore netto contabile di euro 70.000.
Supponiamo altresì che oggi il suo valore sul mercato immobiliare sia pari ad euro 200.000. Il limite massimo di rivalutazione dovrà essere così calcolato:
LIMITE MASSIMO DI RIVALUTAZIONE: € 200.000,00 (valore di mercato) - € 70.000,00 (valore netto contabile) + € 3.000,00 (quota figurativa di ammortamento del 3% sul costo ante rivalutazione) = € 133.000
Conseguentemente avremo:
VALORE RIVALUTATO DELL’IMMOBILE: € 233.000 (100.000 + 133.000)
F.DO AMM.TO POST RIVALUTAZIONE: € 36.990 (30.000 + 6.990 quota sul valore rivalutato)
VALORE NETTO CONTABILE POST RIVALUTAZIONE: € 196.010 (233.000 - 36.990)
Risulta quindi soddisfatta l’equazione secondo la quale il nuovo valore netto contabile (196.010) già aumentato della quota di ammortamento calcolata sul nuovo valore di bilancio, non supera il valore di mercato (200.000)
Sempre il D.M. 162/2001 all’art. 5 si occupa anche delle tecniche contabili da utilizzare per rilevare l’avvenuta rivalutazione e, nel rispetto dei criteri civilistici, indica tre possibili criteri di contabilizzazione (vedi esempi in appendice):
Rivalutare sia i valori dell’attivo lordo sia i relativi fondi di ammortamento, utilizzando un unico coefficiente di rivalutazione, in modo da mantenere invariata la durata del processo di ammortamento e la misura dei coefficienti applicati. Tale modalità è consigliata dallo IAS 16 e dal principio contabile nazionale OIC 16; (rivalutazione di tipo monetario).
Rivalutare solo i valori dell’attivo lordo senza operare specularmente anche sui relativi fondi, allungando di conseguenza il relativo periodo di ammortamento; (rivalutazione di tipo economico).
Ridurre in tutto o in parte i fondi di ammortamento, modalità da utilizzarsi quando gli ammortamenti contabilizzati negli anni precedenti siano stati eccedenti rispetto a quelli fisiologici, ad esempio perché si è fruito in larga misura degli ammortamenti anticipati.
L’Agenzia delle Entrate nella Circolare 57/E del 18.06.2001, ha avuto modo di affermare che all’interno della medesima categoria omogenea possono essere utilizzate modalità contabili differenti a seconda dei beni rivalutati, tuttavia, sempre all’interno della stessa categoria deve essere utilizzato lo stesso criterio di rivalutazione (es. valore di mercato, valore interno di utilizzo, ecc.), come già evidenziato precedentemente.
Anche i beni immobili completamente ammortizzati possono essere rivalutati, purché risultino ancora iscritti in bilancio, nel rendiconto o nel libro cespiti per i soggetti in contabilità semplificata, sempre nel limite del valore di mercato, dell’effettiva possibilità di utilizzazione e della capacità produttiva (art. 2, c. 2, D.M. 162/2001). La rivalutazione di questi immobili comporta implicitamente la “riapertura” del piano di ammortamento, cioè l’allungamento della vita utile stimata del bene.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze lascia, quindi, aperte tutte le possibilità contabili e rinvia ai criteri civilistici per l’adozione della scelta più corretta, non ritenendo opportuno e nemmeno possibile regolare con norme di carattere fiscale, delle valutazioni di carattere squisitamente aziendale.
Gli amministratori e il collegio sindacale (qualora esistente) devono indicare e motivare nelle loro relazioni i criteri seguiti nella rivalutazione delle due categorie di beni ammesse e attestare che la rivalutazione non eccede il limite di valore previsto quale importo massimo rivalutabile (art. 11, c. 3, Legge 342/2000).
Al riguardo l’Assonime con la Circolare n. 13/2001, ha precisato che per poter attestare che i maggiori valori emersi in sede di rivalutazione non superino il valore economico dei beni interessati, i membri del collegio sindacale dovranno acquisire dagli amministratori informazioni in merito alle modalità seguite per la stima dei beni stessi.
Inoltre, pur non essendo obbligatoriamente richiesta, trattandosi di immobili si ritiene opportuno far redigere una perizia, salvo che i beni stessi non siano oggetto di contratti preliminari, potendosi in quel caso rifarsi al prezzo contrattualmente pattuito.
Per i soggetti in contabilità ordinaria la rivalutazione deve essere annotata nella nota integrativa (per le società di capitali e gli enti che la devono redigere) e nell’inventario relativo all’esercizio in cui la rivalutazione viene eseguita dove deve essere indicato anche il prezzo di costo, con le eventuali rivalutazioni operate in conformità a precedenti leggi di rivalutazione, dei beni rivalutati (articolo 11, commi 1 e 4, Legge 342/2000)
Per i soggetti in contabilità semplificata, la rivalutazione potrà essere effettuata per i beni che risultino acquisiti entro il 31 dicembre 2007 dai registri di cui agli articoli 16 (beni ammortizzabili) e 18 (registri IVA integrati ai fini delle imposte dirette) del DPR 600/73 e successive modificazioni. La rivalutazione è consentita a condizione che venga redatto un apposito prospetto bollato e vidimato che dovrà essere presentato, a richiesta, all’amministrazione finanziaria, dal quale risultino i prezzi di costo e la rivalutazione compiuta (art. 15, c. 2, Legge 342/2000)
Dell’avvenuta rivalutazione bisognerà darne conto all'Agenzia delle Entrate nel prossimo Modello UNICO/2009 compilando il quadro RQ.
SALDO ATTIVO DI RIVALUTAZIONE:
Il saldo attivo lordo risultante dalle rivalutazioni eseguite, per i soggetti in contabilità ordinaria, deve essere imputato a capitale o accantonato in una speciale riserva in sospensione d’imposta intitolata al D.L. 185/2008; detta riserva dovrà essere ridotta dell’imposta sostitutiva eventualmente assolta per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori (vedi paragrafo successivo), determinando il saldo attivo netto; l’imposta sostitutiva costituisce un debito tributario ed è indeducibile (questa imposta, quindi, non transita nel conto economico, ma viene rilevata direttamente come debito in diminuzione della riserva di rivalutazione).
L’art. 13 della Legge n. 342/2000, richiamato in quanto applicabile dal D.L. 185/2008, stabiliva che, in assenza di affrancamento (vedi paragrafo successivo):
La riserva, ove non venga imputata a capitale, può essere ridotta soltanto con l’osservanza delle disposizioni dei commi secondo e terzo dell’articolo 2445 del codice civile e cioè:
Comma 2: L’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione. La riduzione deve comunque effettuarsi con modalità tali che le azioni proprie eventualmente possedute dopo la riduzione non eccedano la decima parte del capitale sociale.
Comma 3: La deliberazione può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.
In caso di utilizzazione della riserva a copertura di perdite, non si può fare luogo a distribuzione di utili fino a quando la riserva non è integrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria, non applicandosi le disposizioni dei commi secondo e terzo dell’art. 2445 del codice civile.
Se il saldo attivo viene attribuito ai soci o ai partecipanti mediante riduzione della riserva ovvero mediante riduzione del capitale sociale o del fondo di dotazione o del fondo patrimoniale, le somme attribuite ai soci o ai partecipanti, aumentate dell’imposta sostitutiva corrispondente all’ammontare distribuito, concorrono a formare il reddito imponibile della società o dell’ente e il reddito imponibile dei soci o dei partecipanti. In caso di attribuzione, inoltre, si considera che le riduzioni del capitale deliberate dopo l’imputazione a capitale delle riserve di rivalutazione, comprese quelle già iscritte in bilancio a norma di precedenti leggi di rivalutazione, abbiano anzitutto per oggetto, fino al corrispondente ammontare, la parte del capitale formata con l’imputazione di tali riserve.
Considerato che la rivalutazione deve essere operata sul valore contabile residuo del bene, inteso come costo storico al netto degli ammortamenti effettuati (per i soggetti che eseguono la riclassificazione del bilancio in forma U.E., sostanzialmente è l’importo ivi esposto), per saldo attivo lordo si intende la differenza tra valore rivalutato e valore contabile residuo.
Nell’esempio riportato nel precedente riquadro, il saldo attivo lordo è così determinato:
VALORE DI BILANCIO 100.000FONDO AMMORTAMENTO 30.000VALORE CONTABILE NETTO 70.000
VALORE DI MERCATO 200.000VALORE CONTABILE NETTO 70.000SALDO ATTIVO DI RIVALUTAZIONE (lordo) 130.000
L’evidenziazione ed utilizzazione del saldo attivo richiede la redazione di un bilancio e, dunque, non può essere applicata dai soggetti in contabilità semplificata; per costoro, in assenza di un bilancio che dia evidenza contabile al patrimonio dell’impresa, le informazioni relative alle rivalutazioni dovranno risultare (come visto nel precedente paragrafo) da un prospetto che dovrà evidenziare solo i prezzi di costo e le rivalutazioni operate. Ne consegue, pertanto, che l’ipotesi della tassabilità della distribuzione del saldo attivo non affrancato (vedi paragrafo successivo) non è applicabile ai soggetti in contabilità semplificata (Circolare Agenzia Entrate n. 5/E del 26.01.2001)
Se l’impresa, dopo la rivalutazione, modifica il proprio regime contabile gli effetti fiscali del saldo attivo di rivalutazione (che non sia stato affrancato) vengono definiti dalla Circolare n. 57/2001 e sono i seguenti:
Passaggio dalla contabilità ordinaria alla semplificata: la riserva di rivalutazione aumentata dell’imposta sostitutiva concorre a formare il reddito imponibile nel primo esercizio di applicazione del nuovo regime di contabilità;
Passaggio dalla contabilità semplificata all’ordinaria: l’iscrizione in contabilità dei bei rivalutati non comporta la ricostruzione di alcuna riserva di rivalutazione.
IMPOSTE SOSTITUTIVE PER IL RICONOSCIMENTO FISCALE DEI MAGGIORI VALORI E PER L’AFFRANCAMENTO DELLA RISERVA:
La rivalutazione dei beni immobili in deroga alle norme del Codice civile, ha inizialmente riflessi solo civilistici di adeguamento dei valori contabili a quelli di mercato, al fine di rappresentare meglio la reale patrimonializzazione dell’azienda e aumentare il patrimonio netto contabile A COSTO ZERO (senza benefici fiscali).
Riconoscimento fiscale: Dopo le modifiche introdotte in sede di conversione del D.L. 185/2008, il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione, può essere riconosciuto anche ai fini fiscali (imposte sui redditi e Irap) a decorrere dal quinto (precedentemente terzo) esercizio successivo a quello in cui è avvenuta la rivalutazione (2013), mediante il versamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali, nella misura del 7% (precedentemente 10%) per gli immobili ammortizzabili e del 4% (precedentemente 7%) per quelli non ammortizzabili. Nel caso di cessione a titolo oneroso, di assegnazione ai soci, di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore, degli immobili rivalutati, prima dell’inizio del sesto (precedentemente quarto) anno successivo a quello in cui è avvenuta la rivalutazione (2014), ai fini del calcolo di plusvalenze o minusvalenze si ha riguardo al valore dell’immobile prima della rivalutazione. In altri termini si prescinde dal valore rivalutato e si torna al precedente valore di bilancio. L'Agenzia Entrate, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009, ha affermato che la condizione del trasferimento giuridico del diritto alla proprietà del bene si ritiene verificata anche nel caso in cui l'immobile fosse oggetto di un'operazione di sale and lease back. In tutti i casi di trasferimento della proprietà prima del decorso del periodo di osservazione, al soggetto che ha effettuato la rivalutazione è attribuito un credito d’imposta pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva riferita ai bene trasferito anzitempo (Art. 3, c. 3, D.M. 86/2002). L’ammontare del credito d’imposta non transita dal conto economico, ma come l’imposta sostitutiva pagata deve essere contabilizzato (ovviamente in aumento anziché in diminuzione) nel saldo attivo di rivalutazione, nella misura relativa al maggior valore attribuito ai beni immobili oggetto del trasferimento.
Con il decreto legge soprannominato “decreto incentivi” approvato dal Consiglio dei Ministri del 06.02.2009 e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, le percentuali dell'imposta sostitutiva vengono ridotte dal 7% al 3% per gli immobili ammortizzabili e dal 4% al 1,5% per gli immobili NON ammortizzabili. Nessuna modifica viene apportata alla durata dei due periodi di sospensione dell'efficacia fiscale necessari per sfruttare i benefici previsti dalla norma. Non viene modificata nemmeno la percentuale di imposta sostitutiva dovuta per affrancare la riserva di rivalutazione in sospensione d'imposta (vedi paragrafo successivo).
Affrancamento della riserva: il saldo attivo di rivalutazione che, come abbiamo visto diventa, per i soggetti in contabilità ordinaria, una riserva in sospensione d’imposta, può essere affrancato con l’applicazione in capo alla società di una imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali nella misura del 10%. Nessun interesse avranno a fruire dell’affrancamento, i soggetti in contabilità semplificata in quanto, come visto al paragrafo precedente non vi è ipotesi di tassabilità in caso di distribuzione. Poiché le riserve affrancate confluiscono tra quelle di utili, in caso di distribuzione troverà applicazione anche per tali riserve la presunzione di cui all’art. 47, c. 1 T.U.I.R. di prioritaria distribuzione delle riserve di utili rispetto alle riserve di capitali (Circolare Agenzia Entrate n. 6/E del 13.02.2006).
Gli effetti dell’affrancamento devono essere distinti tra società e soci:
Effetti per la società:
la riserva non è più considerata in sospensione d’imposta;
la riserva è liberamente distribuibile tra i soci;
l’eventuale distribuzione non concorre a formare il reddito imponibile della società.
Effetti per i soci partecipanti in soggetti IRES:
soci persone fisiche non imprenditori:
partecipazione qualificata: tassazione sul 49,72% del dividendo distribuito, nel modello UNICO PF;
partecipazione non qualificata: assoggettamento a ritenuta a titolo d’imposta del 12,50%;
soci che detengono la partecipazione nell’ambito dell’attività d’impresa: indipendentemente dal fatto che la partecipazione sia qualificata o non qualificata,concorre alla formazione del reddito il 49,72% del dividendo distribuito;
soci soggetti IRES: concorre alla formazione del reddito il 5% del dividendo distribuito.
Effetti per i soci partecipanti in società di persone:
Considerato che l’eventuale distribuzione non concorre a formare il reddito imponibile della società, nessuna ulteriore tassazione avverrà in capo al socio per trasparenza.
La norma prevede che entrambe le imposte sostitutive possano essere versate, a scelta del contribuente, in unica soluzione o in tre rate annuali di pari importo. La scadenza del versamento in unica soluzione o della prima rata coincide con il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi relative all‘anno con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita (20.06.2009), mentre le due rate successive alla prima, maggiorate degli interessi legali del 3% annuo, scadranno con il termine di pagamento del saldo delle imposte sui redditi dei due esercizi successivi (20.06.2010 e 20.06.2011).
Le imposte, in quanto sostitutive di imposte sui redditi e Irap, sono indeducibili e sono compensabili con i crediti utilizzabili in F24.
APPENDICE
ESEMPIO DI REGISTRAZIONI CONTABILI
IMMOBILE ISCRITTO IN BILANCIO DA DIECI ANNI AL SUO VALORE STORICO E MAI RIVALUTATO PRIMA
Valore in bilancio dell’immobile: 100.000
Aliquota ammortamento: 3%
Fondo ammortamento al 10° anno: 30.000 (100.000 * 3%)
Valore netto contabile: 70.000 (100.000 – 30.000)
Valore di mercato: 200.000
Valore netto contabile: 70.000
Saldo attivo di rivalutazione: 130.000
coefficiente di rivalutazione = Valore di mercato / Valore netto contabile = 200.000/ 70.000 = 2,85714
valore bilancio rivalutato = Valore bilancio*coefficiente di rivalutazione = 100.000*2,85714 = 285.714
fondo ammortamento rivalutato = fondo ammortamento*coefficiente di rivalutazione = 30.000 * 2,85714 = 85.714
Valore prima della
Rivalutazione
Valore dopo la
Rivalutazione
Differenza
Valore contabile netto
70.000
200.000
130.000
Valore di bilancio
100.000
285.714
185.714
Fondo ammortamento
30.000
85.714
55.714
1° ipotesi: RIVALUTAZIONE DI TIPO MONETARIO: (iscrizione del maggior valore sia nei costi sia nel fondo ammortamento = invarianza durata processo di ammortamento)
Immobili a # 185.714
Fondo ammortamento 55.714
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 126.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%)(*) 3.900
(*) importo così determinato: 130.000 * 3%
Questo metodo permette di mantenere inalterato il periodo di ammortamento fissato per il singolo bene.
Ipotizzando che il coefficiente di ammortamento sia pari al 3% si avrà che:
senza la rivalutazione: sarebbero stati necessari ancora 23,3 anni per giungere al completo ammortamento de valore netto residuo pari a € 70.000
con la rivalutazione: il risultato è analogo: applicando la medesima aliquota (3%) al valore di bilancio rivalutato del cespite ( 285.714) si determina una quota annua di ammortamento pari a 8.571,42 che, moltiplicata per 23,33 (33,33–10), ottiene 200.000 (ovvero il nuovo valore netto del cespite rivalutato).
2° ipotesi: RIVALUTAZIONE DI TIPO ECONOMICO: (iscrizione della rivalutazione solo all’attivo lordo dell’immobile)
Immobili a # 130.000
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 126.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%) 3.900
In questo caso la rivalutazione è interamente imputata al costo del cespite, senza influenzare il valore del fondo ammortamento. Di conseguenza si verificherà un allungamento del periodo di ammortamento del bene.
3° ipotesi: (iscrizione della rivalutazione a diretta diminuzione del fondo di ammortamento)
Fondo ammortamento a # 30.000
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 26.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%) 3.900
In questo caso il risultato ottenuto è analogo e omologo a quello descritto nella 2° ipotesi (infatti l’immobile continua ad essere iscritto al costo iniziale pari a 100.000 e il fondo ammortamento viene azzerato).
Pertanto:
le quote di ammortamento continuano ad essere conteggiate sul valore in bilancio del bene 100.000;
il processo di ammortamento è allungato.
______________
1 In merito alla possibilità di includere nell’ambito di applicazione soggettivo della norma anche i soggetti sottoposti a procedure concorsuali, si può ipotizzare un differente trattamento per le imprese interessate dalle procedure di liquidazione volontaria, concordato preventivo e amministrazione straordinaria, relativamente alle quali l’inclusione nel novero dei soggetti ammessi alla rivalutazione potrebbe derivare dalla finalità delle procedure che tendono alla continuazione dell’esercizio dell’attività economica, rispetto a quello previsto per le società interessate dalle procedure di fallimento, concordato fallimentare e liquidazione coatta amministrativa la cui esclusione dall’ambito di applicazione soggettivo della norma dovrebbe derivare proprio dalla particolare situazione in cui si trovano. (Circ. Ufficio Studi Consiglio Naz. Rag. Commercialisti, Draft n. 37 del 23/11/2000)
2 Nel caso di affitto e usufrutto d’azienda l’Agenzia delle Entrate ha precisato quanto segue: “Nell’ipotesi in cui non sia stata contrattualmente prevista la deroga alle disposizioni dell’art. 2561 del codice civile, concernenti l’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili, gli ammortamenti vengono calcolati e dedotti dall’affittuario o usufruttuario e, pertanto, sarà quest’ultimo che potrà effettuare la rivalutazione. Al termine dell’affitto o dell’usufrutto, l’azienda sarà trasferita al concedente, comprensiva dei beni rivalutati e della relativa riserva di rivalutazione, nell’ipotesi in cui quest’ultima non sia stata già utilizzata per copertura di perdite o distribuita. L’imposta sostitutiva riferibile alla riserva trasferita al concedente costituirà per quest’ultimo credito d’imposta usufruibile in caso di distribuzione della stessa. Nell’ipotesi in cui, invece, le parti, in deroga all’art. 2561 del c.c., si siano accordate prevedendo che il concedente continuerà a calcolare gli ammortamenti,la rivalutazione potrà essere effettuata solo da quest’ultimo.” (Circolare n. 57/E del 18/06/2001)
3 Si ricorda che nel punto 22 della Nota integrativa deve essere predisposto un prospetto informativo dei contratti di locazione finanziaria nel quale venga rappresentata l’operazione secondo il metodo finanziario previsto dallo IAS 17; più precisamente devono essere indicati il valore attuale delle rate di canone non scadute, l’onere finanziario effettivo attribuibile all’esercizio e l’ammontare complessivo del valore dei beni che sarebbe stato iscritto nell’attivo patrimoniale, se fossero stati considerati immobilizzi.

La rivalutazione dei beni d'impresa: è stata "riproposta" con la manovra 2008/2009

Manovra economica 2008/2009: rivalutazione dei beni immobili d’impresa
Articolo di Giuseppe Zambon 25.02.2009
in http://www.altalex.com/

Con i commi da 16 a 23 dell’art. 15 del D.L. 185/2008 (c.d. decreto “anticrisi”) è riproposta la rivalutazione dei beni d’impresa, ma solo per i beni immobili (fabbricati e terreni sia strumentali sia non strumentali) con l’esclusione di quelli classificati quali beni merce (alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa) e delle aree edificabili. Il legislatore nell’ultimo comma dedicato alla rivalutazione richiama, in quanto applicabili, gli articoli 11, 13 e 15 dell’ultima disposizione di rivalutazione, il collegato alla Finanziaria 2000 - Legge n. 342 del 21 novembre 2000 (i cui termini erano già stati riaperti dalle leggi Finanziarie 2002 e 2006, con modifiche, e 2004 senza modifiche), e le disposizioni attuative dei decreti ministeriali 162/2001 e 86/2002. A queste disposizioni, quindi, mi rifarò nel commento.
In linea generale la rivalutazione dei beni non è ammessa dal Codice civile.
L’art. 2426 stabilisce, infatti, che le immobilizzazioni devono essere iscritte in bilancio al costo d’acquisto o di produzione; deroghe a tale criterio sono consentite solo in casi eccezionali e in particolar modo quando previste da specifiche disposizioni di legge, come nel nostro caso.
La finalità che si intende perseguire con le disposizioni sulla rivalutazione è quella di permettere, ai soggetti ammessi dalla norma, in deroga appunto all’art. 2426 del Codice civile, l’adeguamento ai valori effettivi della rappresentazione contabile dei beni immobili, permettendo altresì il riconoscimento fiscale di detti maggiori valori mediante il sostenimento di un costo fiscale ridotto rispetto alla tassazione che sarebbe normalmente applicabile. E' quindi ammessa anche una rivalutazione effettuata ai soli fini civilistici senza esborso di imposte sostitutive per il riconoscimento fiscale.
Vediamo più nel dettaglio come funziona questa nuova rivalutazione:
SOGGETTIAMMESSI: come previsto dal comma 16, dell’art. 15 del cosiddetto decreto “anticrisi”, alle disposizioni sulla rivalutazione sono ammesse, se residenti nel territorio dello Stato, le S.p.a., le S.a.p.a., le S.r.l., le società cooperative, le società di mutua assicurazione e gli enti pubblici e privati diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali [soggetti di cui all’art. 73, c. 1, lett. a) e b) del T.U.I.R.]; sono inoltre ammesse per espressa previsione legislativa, sempre se residenti, le S.n.c., le S.a.s. e le società ad esse equiparate (sono escluse soltanto le società semplici, così come precisato dalla C.M. 5/E del 26.01.2001).
La rivalutazione può essere eseguita solo se NON sono stati adottati i principi contabili internazionali (IAS), in quanto, in questo caso, i valori contabili sono già stati adeguati al valore normale (fair value), generando un disallineamento civilistico/fiscale per il quale è già prevista una norma di affrancamento.
Fin qui l’elenco dei soggetti che parrebbe esaustivo, operato dal legislatore nel primo degli otto commi che, nell’art. 15 del Decreto Legge 185/2008, si occupano di disciplinare la rivalutazione facoltativa dei beni immobili.
Utilizzando la tecnica legislativa del rinvio, però, nel comma 23 è richiamato, tra gli altri, in quanto applicabile, l’art. 15 della Legge n. 342/2000; all’epoca l’art. 10 di detta legge individuava i soggetti destinatari della rivalutazione nelle sole società di capitali ed enti commerciali residenti e con l’art. 15, intitolato “Ulteriori soggetti ammessi alle rivalutazioni”, venivano attratti al beneficio le ditte individuali, le società personali, gli enti non commerciali e i soggetti non residenti che esercitano attività commerciali in Italia senza stabile organizzazione, indipendentemente dal regime contabile applicato (ordinario o semplificato). La stessa Circolare 207/2000 commentando il c.d. collegato alla Finanziaria 2000, spiegava che destinatari erano i soggetti titolari di reddito d’impresa senza alcuna distinzione della forma giuridica con la quale l’attività veniva esercitata. Giacché nulla è detto al proposito nella relazione illustrativa al D.L. 185/2008, chiedevamo una netta presa di posizione da parte dell’Agenzia per ammettere o escludere dalla disposizione di rivalutazione i soggetti elencati nell’art. 15 della Legge 342/2000 e non inclusi nel comma 16 dell’art. 15 del c.d. decreto “anticrisi”, giacché la norma, in virtù del richiamo legislativo, sembra diretta anche a costoro.
Un ulteriore elemento a conferma della possibilità di rivalutare gli immobili per le ditte individuali è contenuto nel comma 21 dell’art. 15 del D.L. 185/2008, laddove è contemplata la possibilità di destinazione al consumo personale o familiare dell’imprenditore degli immobili rivalutati.
L'Agenzia delle Entrate è intervenuta nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17/01/2009 confermando quanto già affermato nella circolare 207/2000 stante il rinvio effettuato dall'art. 23 del decreto in esame all'art. 15 della L. 342/2000 ammettendo, quindi, alla rivalutazione anche le imprese individuali, gli enti non commerciali e i soggetti non residenti che esercitano attività commerciali in Italia senza stabile organizzazione; ininfluente è poi i regime contabile applicato (ordinario o semplificato).In caso di diritto di superficie la facoltà di rivalutazione spetta, qualora il bene sia comunque relativo all’impresa, al titolare di tale diritto reale (Circolare Agenzia Entrate n. 6/E del 13.02.2006 - risposta 6.7). Il D.M. 162/2001 ammette alla rivalutazione anche le imprese in liquidazione volontaria1 (salvo il recupero a tassazione ordinaria nel caso di distribuzione del saldo di rivalutazione) e, in luogo dei concedenti, gli affittuari e usufruttuari che, in base alle scelte negoziali adottate, deducono gli ammortamenti nell’ambito dei contratti di affitto o usufrutto d’azienda.2
Sono senz’altro esclusi, invece, dall’ambito soggettivo di applicazione della rivalutazione le persone fisiche esercenti lavoro autonomo, arti e professioni, anche in forma associata, le persone fisiche esercenti attività agricola che produce reddito fondiario e non d’impresa e gli enti non commerciali per i beni relativi all’attività istituzionale; sono escluse, inoltre, le imprese sottoposte a procedure concorsuali (Circolare Assonime n. 13/2001).
BENI RIVALUTABILI: la possibilità di rivalutazione è prevista per tutti gli immobili patrimonializzati tra le immobilizzazioni (sono quindi esclusi quelli considerati beni merce e patrimonializzati nelle rimanenze d‘esercizio), strumentali e non strumentali con la sola esclusione delle aree fabbricabili, risultanti dal bilancio in corso al 31.12.2007 ovvero acquisiti entro tale data in caso di contabilità semplificata. Sono, pertanto, rivalutabili:
Fabbricati strumentali per destinazione: qualunque categoria catastale, purché utilizzati direttamente dall‘impresa;
Fabbricati strumentali per natura: solo categorie catastali A/10 - C - D - E, se non direttamente dall’impresa;
Fabbricati non strumentali: solo categorie catastali da A1 ad A11 escluso A10, se non utilizzati direttamente dall’impresa;
Terreni agricoli o comunque NON a destinazione edificatoria: allo scopo si ricorda la recente interpretazione restrittiva che il legislatore ha fornito per il concetto di area edificabile. Infatti il decreto legge 223/2006 (art. 36, c. 2) ha stabilito che, ai fini dell’Iva, dell’imposta di registro, delle imposte sui redditi e dell’Ici, «un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo». In altri termini, per qualificare un’area come edificabile è sufficiente che:
l’utilizzabilità edificatoria dell’area risulti dal Piano regolatore generale del Comune o da un altro strumento urbanistico equipollente;
lo strumento urbanistico sia solamente «adottato» dal Comune.
Pertanto, per considerare, sotto il profilo fiscale, un’area come edificabile, non occorre che:
l’area sia immediatamente edificabile: non occorre cioè che la potenzialità edificatoria sia attuale ma è sufficiente che si tratti di un’edificabilità potenziale;
l’area sia inserita anche in un piano attuativo;
il piano regolatore sia approvato oltre che adottato: l’approvazione è il momento finale dell’iter che conduce all’entrata in vigore di uno strumento urbanistico, mentre l’adozione è uno stadio intermedio che evidenzia la volontà comunale, ma che non ha il crisma della definitività.
TEMPISTICA, MODALITA‘ E REGOLE: la rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio (rendiconto per gli enti) dell’esercizio successivo a quello in corso al 31.12.2007, il cui termine di approvazione (ovviamente sempre che la stessa sia dovuta) scade dopo il 29 novembre 2008 (quindi nel bilancio relativo al 2008 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare).
E’ previsto l’obbligo di rivalutare tutti i beni immobili appartenenti alla medesima categoria omogenea; le categorie individuate dal legislatore sono due:
BENI IMMOBILI AMMORTIZZABILI: tipicamente i fabbricati strumentali per natura e per destinazione;
BENI IMMOBILI NON AMMORTIZZABILI: tipicamente i fabbricati non strumentali e i terreni, con l’esclusione per questi ultimi di quelli che, purché non edificabili, appartengono ad imprese che operano in particolari settori di attività quali le industrie dei trasporti e delle telecomunicazioni (Gruppo 19 del D.M. 31,12,1998 specie I, II, III, IV, V, XII) e quelli che, in quanto strumentali per l’esercizio dell’impresa e purché non edificabili, sono sottratti alla loro naturale destinazione e partecipano al processo produttivo (in questa casistica rientrano i terreni permanentemente adibiti da imprese edili a deposito di materiale).
Nel caso in cui alcune unità immobiliari, pur incluse in una delle due precedenti categorie omogenee, sia illegittimamente esclusa dalla rivalutazione, la conseguenza sarà il disconoscimento degli effetti fiscali della rivalutazione per tutti gli altri immobili appartenenti alla medesima categoria omogenea e il recupero a tassazione dei maggiori ammortamenti effettuati o delle minori plusvalenze o maggiori minusvalenze dichiarate applicando le sanzioni previste per l’infedele dichiarazione (Circolare n. 57/E del 18/06/2001).
Come già scritto anche nel paragrafo precedente, i beni immobili rivalutabili devono risultare dal bilancio in corso al 31.12.2007.
La formulazione legislativa è decisamente infelice (e non risulta modificata in sede di conversione) perché, anche se dal prosieguo del testo si comprende comunque l’intenzione del legislatore, non esiste un bilancio “in corso”, ma eventualmente un esercizio in corso: l’art. 10 della Legge 342/2000, infatti, più correttamente recitava: “risultanti dal bilancio relativo all’esercizio chiuso entro il 31 dicembre 1999”; nella norma attuale, quindi, il testo corretto sarebbe: “risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2007”.
L’art. 2, c. 1, del D.M. 162/2001 prevedeva che la destinazione dei beni risultanti nel bilancio relativo all’esercizio di riferimento (2007) dovevano risultare anche dal bilancio o rendiconto, in relazione al quale la rivalutazione era effettuata (2008); stabiliva, inoltre, che si possono rivalutare i beni posseduti alla fine dell’esercizio con riferimento al quale viene eseguita la rivalutazione (2008), acquisiti fino al termine dell’esercizio in corso alla data del periodo di riferimento (2007).
Il comma 3 del medesimo articolo 2 considerava avvenuta l’acquisizione dei beni alla data del trasferimento del diritto di proprietà o altro diritto reale o della consegna con clausola di riserva di proprietà, escludendo di fatto i cespiti condotti in locazione finanziaria, ancorché contabilizzati con il sistema finanziario (facoltativo per i soggetti non IAS) anziché con quello patrimoniale previsto dai principi contabili (OIC).3
Conferma in questo senso è venuta dall'Agenzia Entrate, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009, che ha ribadito il concetto per cui i beni oggetto di contratto di leasing possono essere rivalutati esclusivamente dall'utilizzatore e purché purché il diritto di riscatto sia stato esercitato entro l'esercizio in corso alla data del 31.12.2007.
Dovendo procedere alla rivalutazione nell’esercizio successivo a quello nel quale è prevista l’iscrizione a bilancio, si pone il problema se possa essere rivalutato un bene immobile che nel bilancio di riferimento (2007) sia iscritto in modo tale da possedere i requisiti richiesti dalla norma e nell’esercizio successivo (2008) ne sia stata modificata la classificazione, perdendo i requisiti o transitando dal gruppo omogeneo dei beni ammortizzabili a quello dei non ammortizzabili. L’Amministrazione finanziaria ha già avuto modo di esprimere il proprio parere nella Circolare n. 57/E del 18.06.2001, dove ha chiarito che i requisiti di appartenenza alle diverse categorie omogenee di immobili sono quelli esistenti alla data della chiusura del bilancio in cui la rivalutazione è eseguita (2008), ferma restando la loro ininterrotta collocazione tra le immobilizzazioni materiali dell’esercizio di riferimento (2007) e dell’esercizio nel cui bilancio la rivalutazione è effettuata (2008). Non è pertanto possibile rivalutare un immobile classificato tra i beni merce nel 2008 anche se era immobilizzato nel 2007 e viceversa, ovvero un terreno che era agricolo nel 2007 divenuto edificabile nel 2008, mentre dovrebbe essere il bilancio 2008 a decidere la categoria omogenea di appartenenza (ammortizzabili o non ammortizzabili).
Anche per l'attuale rivalutazione l'Agenzia Entrate ha confermato quanto già affermato con la circolare n. 57/E del 2001 sopra citata, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009
Per individuare il valore economico costituente il limite massimo alla rivalutazione, l’art. 11, c. 2, della Legge n. 342/2000 pone due criteri alternativi:
da un lato, il criterio del cosiddetto valore interno, basato sulla consistenza dei beni, sulla loro capacità produttiva e sulla loro effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa;
dall’altro, il criterio del valore di mercato, basato sui valori correnti e sulle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri.
La rivalutazione degli immobili facenti parte di ciascuna categoria omogenea deve essere eseguita sulla base di un unico criterio per tutti gli immobili ad essa appartenenti (art. 4, c. 8, D.M. 162/2001).
I valori rivalutati iscritti in bilancio e nell’inventario non possono in nessun caso superare quelli effettivamente attribuibili, individuati con i criteri di cui sopra. In altre parole il limite massimo della rivalutazione è pari al valore di mercato, meno il valore netto contabile, diminuito anche della quota di ammortamento figurativo dell’anno 2008 calcolato sul valore non rivalutato.
L’art. 6 del D.M. 162/2001, richiamato dalla norma attuale, specifica ancora meglio tale concetto denominandolo “Limite economico della rivalutazione” e stabilendo che il valore netto del bene risultante dal bilancio nel quale la rivalutazione è eseguita, incrementato della maggiore quota di ammortamento derivante dal valore rivalutato, non può superare il valore d’uso o di mercato. Ciò significa che il valore netto del bene immobile, ottenuto stanziando la quota di ammortamento calcolata sul costo storico ante rivalutazione, rappresenta il massimo consentito.
ESEMPIO:
Supponiamo l’esistenza di un immobile iscritto in bilancio per il costo storico di euro 100.000 da 10 anni e mai rivalutato, con coefficiente di ammortamento del 3% e fondo ammortamento al 31.12.2007 pari ad euro 30.000 e conseguente valore netto contabile di euro 70.000.
Supponiamo altresì che oggi il suo valore sul mercato immobiliare sia pari ad euro 200.000. Il limite massimo di rivalutazione dovrà essere così calcolato:
LIMITE MASSIMO DI RIVALUTAZIONE: € 200.000,00 (valore di mercato) - € 70.000,00 (valore netto contabile) + € 3.000,00 (quota figurativa di ammortamento del 3% sul costo ante rivalutazione) = € 133.000
Conseguentemente avremo:
VALORE RIVALUTATO DELL’IMMOBILE: € 233.000 (100.000 + 133.000)
F.DO AMM.TO POST RIVALUTAZIONE: € 36.990 (30.000 + 6.990 quota sul valore rivalutato)
VALORE NETTO CONTABILE POST RIVALUTAZIONE: € 196.010 (233.000 - 36.990)
Risulta quindi soddisfatta l’equazione secondo la quale il nuovo valore netto contabile (196.010) già aumentato della quota di ammortamento calcolata sul nuovo valore di bilancio, non supera il valore di mercato (200.000)
Sempre il D.M. 162/2001 all’art. 5 si occupa anche delle tecniche contabili da utilizzare per rilevare l’avvenuta rivalutazione e, nel rispetto dei criteri civilistici, indica tre possibili criteri di contabilizzazione (vedi esempi in appendice):
Rivalutare sia i valori dell’attivo lordo sia i relativi fondi di ammortamento, utilizzando un unico coefficiente di rivalutazione, in modo da mantenere invariata la durata del processo di ammortamento e la misura dei coefficienti applicati. Tale modalità è consigliata dallo IAS 16 e dal principio contabile nazionale OIC 16; (rivalutazione di tipo monetario).
Rivalutare solo i valori dell’attivo lordo senza operare specularmente anche sui relativi fondi, allungando di conseguenza il relativo periodo di ammortamento; (rivalutazione di tipo economico).
Ridurre in tutto o in parte i fondi di ammortamento, modalità da utilizzarsi quando gli ammortamenti contabilizzati negli anni precedenti siano stati eccedenti rispetto a quelli fisiologici, ad esempio perché si è fruito in larga misura degli ammortamenti anticipati.
L’Agenzia delle Entrate nella Circolare 57/E del 18.06.2001, ha avuto modo di affermare che all’interno della medesima categoria omogenea possono essere utilizzate modalità contabili differenti a seconda dei beni rivalutati, tuttavia, sempre all’interno della stessa categoria deve essere utilizzato lo stesso criterio di rivalutazione (es. valore di mercato, valore interno di utilizzo, ecc.), come già evidenziato precedentemente.
Anche i beni immobili completamente ammortizzati possono essere rivalutati, purché risultino ancora iscritti in bilancio, nel rendiconto o nel libro cespiti per i soggetti in contabilità semplificata, sempre nel limite del valore di mercato, dell’effettiva possibilità di utilizzazione e della capacità produttiva (art. 2, c. 2, D.M. 162/2001). La rivalutazione di questi immobili comporta implicitamente la “riapertura” del piano di ammortamento, cioè l’allungamento della vita utile stimata del bene.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze lascia, quindi, aperte tutte le possibilità contabili e rinvia ai criteri civilistici per l’adozione della scelta più corretta, non ritenendo opportuno e nemmeno possibile regolare con norme di carattere fiscale, delle valutazioni di carattere squisitamente aziendale.
Gli amministratori e il collegio sindacale (qualora esistente) devono indicare e motivare nelle loro relazioni i criteri seguiti nella rivalutazione delle due categorie di beni ammesse e attestare che la rivalutazione non eccede il limite di valore previsto quale importo massimo rivalutabile (art. 11, c. 3, Legge 342/2000).
Al riguardo l’Assonime con la Circolare n. 13/2001, ha precisato che per poter attestare che i maggiori valori emersi in sede di rivalutazione non superino il valore economico dei beni interessati, i membri del collegio sindacale dovranno acquisire dagli amministratori informazioni in merito alle modalità seguite per la stima dei beni stessi.
Inoltre, pur non essendo obbligatoriamente richiesta, trattandosi di immobili si ritiene opportuno far redigere una perizia, salvo che i beni stessi non siano oggetto di contratti preliminari, potendosi in quel caso rifarsi al prezzo contrattualmente pattuito.
Per i soggetti in contabilità ordinaria la rivalutazione deve essere annotata nella nota integrativa (per le società di capitali e gli enti che la devono redigere) e nell’inventario relativo all’esercizio in cui la rivalutazione viene eseguita dove deve essere indicato anche il prezzo di costo, con le eventuali rivalutazioni operate in conformità a precedenti leggi di rivalutazione, dei beni rivalutati (articolo 11, commi 1 e 4, Legge 342/2000)
Per i soggetti in contabilità semplificata, la rivalutazione potrà essere effettuata per i beni che risultino acquisiti entro il 31 dicembre 2007 dai registri di cui agli articoli 16 (beni ammortizzabili) e 18 (registri IVA integrati ai fini delle imposte dirette) del DPR 600/73 e successive modificazioni. La rivalutazione è consentita a condizione che venga redatto un apposito prospetto bollato e vidimato che dovrà essere presentato, a richiesta, all’amministrazione finanziaria, dal quale risultino i prezzi di costo e la rivalutazione compiuta (art. 15, c. 2, Legge 342/2000)
Dell’avvenuta rivalutazione bisognerà darne conto all'Agenzia delle Entrate nel prossimo Modello UNICO/2009 compilando il quadro RQ.
SALDO ATTIVO DI RIVALUTAZIONE:
Il saldo attivo lordo risultante dalle rivalutazioni eseguite, per i soggetti in contabilità ordinaria, deve essere imputato a capitale o accantonato in una speciale riserva in sospensione d’imposta intitolata al D.L. 185/2008; detta riserva dovrà essere ridotta dell’imposta sostitutiva eventualmente assolta per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori (vedi paragrafo successivo), determinando il saldo attivo netto; l’imposta sostitutiva costituisce un debito tributario ed è indeducibile (questa imposta, quindi, non transita nel conto economico, ma viene rilevata direttamente come debito in diminuzione della riserva di rivalutazione).
L’art. 13 della Legge n. 342/2000, richiamato in quanto applicabile dal D.L. 185/2008, stabiliva che, in assenza di affrancamento (vedi paragrafo successivo):
La riserva, ove non venga imputata a capitale, può essere ridotta soltanto con l’osservanza delle disposizioni dei commi secondo e terzo dell’articolo 2445 del codice civile e cioè:
Comma 2: L’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione. La riduzione deve comunque effettuarsi con modalità tali che le azioni proprie eventualmente possedute dopo la riduzione non eccedano la decima parte del capitale sociale.
Comma 3: La deliberazione può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.
In caso di utilizzazione della riserva a copertura di perdite, non si può fare luogo a distribuzione di utili fino a quando la riserva non è integrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria, non applicandosi le disposizioni dei commi secondo e terzo dell’art. 2445 del codice civile.
Se il saldo attivo viene attribuito ai soci o ai partecipanti mediante riduzione della riserva ovvero mediante riduzione del capitale sociale o del fondo di dotazione o del fondo patrimoniale, le somme attribuite ai soci o ai partecipanti, aumentate dell’imposta sostitutiva corrispondente all’ammontare distribuito, concorrono a formare il reddito imponibile della società o dell’ente e il reddito imponibile dei soci o dei partecipanti. In caso di attribuzione, inoltre, si considera che le riduzioni del capitale deliberate dopo l’imputazione a capitale delle riserve di rivalutazione, comprese quelle già iscritte in bilancio a norma di precedenti leggi di rivalutazione, abbiano anzitutto per oggetto, fino al corrispondente ammontare, la parte del capitale formata con l’imputazione di tali riserve.
Considerato che la rivalutazione deve essere operata sul valore contabile residuo del bene, inteso come costo storico al netto degli ammortamenti effettuati (per i soggetti che eseguono la riclassificazione del bilancio in forma U.E., sostanzialmente è l’importo ivi esposto), per saldo attivo lordo si intende la differenza tra valore rivalutato e valore contabile residuo.
Nell’esempio riportato nel precedente riquadro, il saldo attivo lordo è così determinato:
VALORE DI BILANCIO 100.000FONDO AMMORTAMENTO 30.000VALORE CONTABILE NETTO 70.000
VALORE DI MERCATO 200.000VALORE CONTABILE NETTO 70.000SALDO ATTIVO DI RIVALUTAZIONE (lordo) 130.000
L’evidenziazione ed utilizzazione del saldo attivo richiede la redazione di un bilancio e, dunque, non può essere applicata dai soggetti in contabilità semplificata; per costoro, in assenza di un bilancio che dia evidenza contabile al patrimonio dell’impresa, le informazioni relative alle rivalutazioni dovranno risultare (come visto nel precedente paragrafo) da un prospetto che dovrà evidenziare solo i prezzi di costo e le rivalutazioni operate. Ne consegue, pertanto, che l’ipotesi della tassabilità della distribuzione del saldo attivo non affrancato (vedi paragrafo successivo) non è applicabile ai soggetti in contabilità semplificata (Circolare Agenzia Entrate n. 5/E del 26.01.2001)
Se l’impresa, dopo la rivalutazione, modifica il proprio regime contabile gli effetti fiscali del saldo attivo di rivalutazione (che non sia stato affrancato) vengono definiti dalla Circolare n. 57/2001 e sono i seguenti:
Passaggio dalla contabilità ordinaria alla semplificata: la riserva di rivalutazione aumentata dell’imposta sostitutiva concorre a formare il reddito imponibile nel primo esercizio di applicazione del nuovo regime di contabilità;
Passaggio dalla contabilità semplificata all’ordinaria: l’iscrizione in contabilità dei bei rivalutati non comporta la ricostruzione di alcuna riserva di rivalutazione.
IMPOSTE SOSTITUTIVE PER IL RICONOSCIMENTO FISCALE DEI MAGGIORI VALORI E PER L’AFFRANCAMENTO DELLA RISERVA:
La rivalutazione dei beni immobili in deroga alle norme del Codice civile, ha inizialmente riflessi solo civilistici di adeguamento dei valori contabili a quelli di mercato, al fine di rappresentare meglio la reale patrimonializzazione dell’azienda e aumentare il patrimonio netto contabile A COSTO ZERO (senza benefici fiscali).
Riconoscimento fiscale: Dopo le modifiche introdotte in sede di conversione del D.L. 185/2008, il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione, può essere riconosciuto anche ai fini fiscali (imposte sui redditi e Irap) a decorrere dal quinto (precedentemente terzo) esercizio successivo a quello in cui è avvenuta la rivalutazione (2013), mediante il versamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali, nella misura del 7% (precedentemente 10%) per gli immobili ammortizzabili e del 4% (precedentemente 7%) per quelli non ammortizzabili. Nel caso di cessione a titolo oneroso, di assegnazione ai soci, di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore, degli immobili rivalutati, prima dell’inizio del sesto (precedentemente quarto) anno successivo a quello in cui è avvenuta la rivalutazione (2014), ai fini del calcolo di plusvalenze o minusvalenze si ha riguardo al valore dell’immobile prima della rivalutazione. In altri termini si prescinde dal valore rivalutato e si torna al precedente valore di bilancio. L'Agenzia Entrate, nel corso della videoconferenza di Italia Oggi del 17.01.2009, ha affermato che la condizione del trasferimento giuridico del diritto alla proprietà del bene si ritiene verificata anche nel caso in cui l'immobile fosse oggetto di un'operazione di sale and lease back. In tutti i casi di trasferimento della proprietà prima del decorso del periodo di osservazione, al soggetto che ha effettuato la rivalutazione è attribuito un credito d’imposta pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva riferita ai bene trasferito anzitempo (Art. 3, c. 3, D.M. 86/2002). L’ammontare del credito d’imposta non transita dal conto economico, ma come l’imposta sostitutiva pagata deve essere contabilizzato (ovviamente in aumento anziché in diminuzione) nel saldo attivo di rivalutazione, nella misura relativa al maggior valore attribuito ai beni immobili oggetto del trasferimento.
Con il decreto legge soprannominato “decreto incentivi” approvato dal Consiglio dei Ministri del 06.02.2009 e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, le percentuali dell'imposta sostitutiva vengono ridotte dal 7% al 3% per gli immobili ammortizzabili e dal 4% al 1,5% per gli immobili NON ammortizzabili. Nessuna modifica viene apportata alla durata dei due periodi di sospensione dell'efficacia fiscale necessari per sfruttare i benefici previsti dalla norma. Non viene modificata nemmeno la percentuale di imposta sostitutiva dovuta per affrancare la riserva di rivalutazione in sospensione d'imposta (vedi paragrafo successivo).
Affrancamento della riserva: il saldo attivo di rivalutazione che, come abbiamo visto diventa, per i soggetti in contabilità ordinaria, una riserva in sospensione d’imposta, può essere affrancato con l’applicazione in capo alla società di una imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali nella misura del 10%. Nessun interesse avranno a fruire dell’affrancamento, i soggetti in contabilità semplificata in quanto, come visto al paragrafo precedente non vi è ipotesi di tassabilità in caso di distribuzione. Poiché le riserve affrancate confluiscono tra quelle di utili, in caso di distribuzione troverà applicazione anche per tali riserve la presunzione di cui all’art. 47, c. 1 T.U.I.R. di prioritaria distribuzione delle riserve di utili rispetto alle riserve di capitali (Circolare Agenzia Entrate n. 6/E del 13.02.2006).
Gli effetti dell’affrancamento devono essere distinti tra società e soci:
Effetti per la società:
la riserva non è più considerata in sospensione d’imposta;
la riserva è liberamente distribuibile tra i soci;
l’eventuale distribuzione non concorre a formare il reddito imponibile della società.
Effetti per i soci partecipanti in soggetti IRES:
soci persone fisiche non imprenditori:
partecipazione qualificata: tassazione sul 49,72% del dividendo distribuito, nel modello UNICO PF;
partecipazione non qualificata: assoggettamento a ritenuta a titolo d’imposta del 12,50%;
soci che detengono la partecipazione nell’ambito dell’attività d’impresa: indipendentemente dal fatto che la partecipazione sia qualificata o non qualificata,concorre alla formazione del reddito il 49,72% del dividendo distribuito;
soci soggetti IRES: concorre alla formazione del reddito il 5% del dividendo distribuito.
Effetti per i soci partecipanti in società di persone:
Considerato che l’eventuale distribuzione non concorre a formare il reddito imponibile della società, nessuna ulteriore tassazione avverrà in capo al socio per trasparenza.
La norma prevede che entrambe le imposte sostitutive possano essere versate, a scelta del contribuente, in unica soluzione o in tre rate annuali di pari importo. La scadenza del versamento in unica soluzione o della prima rata coincide con il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi relative all‘anno con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita (20.06.2009), mentre le due rate successive alla prima, maggiorate degli interessi legali del 3% annuo, scadranno con il termine di pagamento del saldo delle imposte sui redditi dei due esercizi successivi (20.06.2010 e 20.06.2011).
Le imposte, in quanto sostitutive di imposte sui redditi e Irap, sono indeducibili e sono compensabili con i crediti utilizzabili in F24.
APPENDICE
ESEMPIO DI REGISTRAZIONI CONTABILI
IMMOBILE ISCRITTO IN BILANCIO DA DIECI ANNI AL SUO VALORE STORICO E MAI RIVALUTATO PRIMA
Valore in bilancio dell’immobile: 100.000
Aliquota ammortamento: 3%
Fondo ammortamento al 10° anno: 30.000 (100.000 * 3%)
Valore netto contabile: 70.000 (100.000 – 30.000)
Valore di mercato: 200.000
Valore netto contabile: 70.000
Saldo attivo di rivalutazione: 130.000
coefficiente di rivalutazione = Valore di mercato / Valore netto contabile = 200.000/ 70.000 = 2,85714
valore bilancio rivalutato = Valore bilancio*coefficiente di rivalutazione = 100.000*2,85714 = 285.714
fondo ammortamento rivalutato = fondo ammortamento*coefficiente di rivalutazione = 30.000 * 2,85714 = 85.714
Valore prima della
Rivalutazione
Valore dopo la
Rivalutazione
Differenza
Valore contabile netto
70.000
200.000
130.000
Valore di bilancio
100.000
285.714
185.714
Fondo ammortamento
30.000
85.714
55.714
1° ipotesi: RIVALUTAZIONE DI TIPO MONETARIO: (iscrizione del maggior valore sia nei costi sia nel fondo ammortamento = invarianza durata processo di ammortamento)
Immobili a # 185.714
Fondo ammortamento 55.714
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 126.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%)(*) 3.900
(*) importo così determinato: 130.000 * 3%
Questo metodo permette di mantenere inalterato il periodo di ammortamento fissato per il singolo bene.
Ipotizzando che il coefficiente di ammortamento sia pari al 3% si avrà che:
senza la rivalutazione: sarebbero stati necessari ancora 23,3 anni per giungere al completo ammortamento de valore netto residuo pari a € 70.000
con la rivalutazione: il risultato è analogo: applicando la medesima aliquota (3%) al valore di bilancio rivalutato del cespite ( 285.714) si determina una quota annua di ammortamento pari a 8.571,42 che, moltiplicata per 23,33 (33,33–10), ottiene 200.000 (ovvero il nuovo valore netto del cespite rivalutato).
2° ipotesi: RIVALUTAZIONE DI TIPO ECONOMICO: (iscrizione della rivalutazione solo all’attivo lordo dell’immobile)
Immobili a # 130.000
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 126.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%) 3.900
In questo caso la rivalutazione è interamente imputata al costo del cespite, senza influenzare il valore del fondo ammortamento. Di conseguenza si verificherà un allungamento del periodo di ammortamento del bene.
3° ipotesi: (iscrizione della rivalutazione a diretta diminuzione del fondo di ammortamento)
Fondo ammortamento a # 30.000
Riserva di valutazione
D.L. 185/2008 26.100
Debiti v/erario per
Imposta sostitutiva (3%) 3.900
In questo caso il risultato ottenuto è analogo e omologo a quello descritto nella 2° ipotesi (infatti l’immobile continua ad essere iscritto al costo iniziale pari a 100.000 e il fondo ammortamento viene azzerato).
Pertanto:
le quote di ammortamento continuano ad essere conteggiate sul valore in bilancio del bene 100.000;
il processo di ammortamento è allungato.
______________
1 In merito alla possibilità di includere nell’ambito di applicazione soggettivo della norma anche i soggetti sottoposti a procedure concorsuali, si può ipotizzare un differente trattamento per le imprese interessate dalle procedure di liquidazione volontaria, concordato preventivo e amministrazione straordinaria, relativamente alle quali l’inclusione nel novero dei soggetti ammessi alla rivalutazione potrebbe derivare dalla finalità delle procedure che tendono alla continuazione dell’esercizio dell’attività economica, rispetto a quello previsto per le società interessate dalle procedure di fallimento, concordato fallimentare e liquidazione coatta amministrativa la cui esclusione dall’ambito di applicazione soggettivo della norma dovrebbe derivare proprio dalla particolare situazione in cui si trovano. (Circ. Ufficio Studi Consiglio Naz. Rag. Commercialisti, Draft n. 37 del 23/11/2000)
2 Nel caso di affitto e usufrutto d’azienda l’Agenzia delle Entrate ha precisato quanto segue: “Nell’ipotesi in cui non sia stata contrattualmente prevista la deroga alle disposizioni dell’art. 2561 del codice civile, concernenti l’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili, gli ammortamenti vengono calcolati e dedotti dall’affittuario o usufruttuario e, pertanto, sarà quest’ultimo che potrà effettuare la rivalutazione. Al termine dell’affitto o dell’usufrutto, l’azienda sarà trasferita al concedente, comprensiva dei beni rivalutati e della relativa riserva di rivalutazione, nell’ipotesi in cui quest’ultima non sia stata già utilizzata per copertura di perdite o distribuita. L’imposta sostitutiva riferibile alla riserva trasferita al concedente costituirà per quest’ultimo credito d’imposta usufruibile in caso di distribuzione della stessa. Nell’ipotesi in cui, invece, le parti, in deroga all’art. 2561 del c.c., si siano accordate prevedendo che il concedente continuerà a calcolare gli ammortamenti,la rivalutazione potrà essere effettuata solo da quest’ultimo.” (Circolare n. 57/E del 18/06/2001)
3 Si ricorda che nel punto 22 della Nota integrativa deve essere predisposto un prospetto informativo dei contratti di locazione finanziaria nel quale venga rappresentata l’operazione secondo il metodo finanziario previsto dallo IAS 17; più precisamente devono essere indicati il valore attuale delle rate di canone non scadute, l’onere finanziario effettivo attribuibile all’esercizio e l’ammontare complessivo del valore dei beni che sarebbe stato iscritto nell’attivo patrimoniale, se fossero stati considerati immobilizzi.

lunedì 16 febbraio 2009

natura giuridica delle circolari: Cassazione sentenza 237/09

La Cassazione conferma: circolari, atti interni all'Amministrazione

I giudici tornano sulla valenza dei documenti di prassi, illustrando una serie di principi di carattere generale
Natura ed effetti delle circolari. Potrebbe così intitolarsi la sentenza n. 237, depositata il 9 gennaio 2009, con cui la Cassazione, riprendendo il noto precedente rappresentato dalla pronuncia n. 23031 del 9 ottobre 2007, è tornata nuovamente sul tema della valenza dei documenti di prassi dell'Amministrazione finanziaria, illustrando, quasi didatticamente, una serie di principi generali relativi al ruolo delle circolari rispetto alla gerarchia delle fonti e alla portata che esse possono assumere tanto nei confronti della stessa Amministrazione emanante, globalmente considerata, quanto nei confronti dei contribuenti solo "impropriamente" destinatari delle medesime.Nulla quaestio sulla correttezza dei principi espressi dalla Suprema corte nella sentenza in esame e di seguito illustrati, anche se, giova evidenziarlo fin da subito, rispetto alla ricostruzione delle circolari quali atti interni all'Amministrazione, qualche dubbio residua rispetto alla "eccezionale" portata estrinseca che lo Statuto dei diritti del contribuente assegna alle circolari medesime e che, almeno a prima lettura, non sembra conciliarsi perfettamente con i principi contenuti nella pronuncia; salvo, come si evidenzierà nelle conclusioni, individuare dietro tale eccezionale valenza esterna un principio essenziale dell'ordinamento.Le circolari: ruolo e fondamentoLa prima affermazione desumibile dalla sentenza 237/2009 è quella secondo cui le circolari non sono atti normativi (né tanto meno sono a essi assimilabili) e, pertanto, sono prive del potere di innovare l'ordinamento giuridico.L'affermazione è pienamente in linea con l'incontestabile insegnamento della dottrina rispetto alla gerarchia delle fonti, laddove, specie nelle opere più tradizionali degli amministrativisti, si legge che col termine "circolare" più che designare un particolare tipo di atto, dalle funzioni o dal contenuto tipizzato, si individua una modalità di comunicazione di qualcosa; il termine designa, per l'appunto, il percorso di un certo atto che si diffonde "circolarmente" all'interno di una certa struttura.Certo è che, a mano a mano che la disciplina di singoli e specifici atti si è rivolta a individuarne anche le modalità di esternazione e le forme di alcuni atti sono diventate "tipiche", come nel caso dei regolamenti, la portata del termine "circolare" si è andata sempre più restringendo, fino al punto di identificarsi con quelli che oggi comunemente così chiamiamo, ossia gli atti emanati dall'Amministrazione, rivolti agli uffici, il cui contenuto può essere estremamente diversificato.Le circolari, come noto, possono contenere semplici comunicazioni, ovvero precise direttive o istruzioni in ordine alle modalità di comportamento che i destinatari devono adottare o, ancora (ed è questo l'oggetto di riflessioni nella sentenza in commento), l'interpretazione che l'organo emanante dà di un certa norma di legge.Resta inteso che l'interpretazione contenuta in una circolare altro non è se non il presupposto per individuare le concrete regole di comportamento cui i destinatari, interni all'Amministrazione, devono attenersi; si tratta cioè di un'attività strumentale all'obiettivo di indirizzare, in modo univoco, i comportamenti degli uffici su tutto il territorio nazionale.Tale conclusione appare scontata, sia se si analizza la distribuzione, a livello costituzionale, dei diversi poteri dello Stato sia, ancora di più, se ci si domanda quale sia il potere posto a fondamento della emanazione della circolare.La dottrina più tradizionale, condivisibilmente, ritiene che alla base del potere di emanare circolari sia individuabile il cosiddetto potere gerarchico o di indirizzo che alcuni organi possono esercitare nei confronti di altre strutture (normalmente interne e comunque sott'ordinate); tale potere, pertanto, potrà esplicare i suoi effetti solo nei confronti dei soggetti, ovvero degli uffici, che a tale potere soggiacciono.Le circolari: i soggetti destinatari, gli effetti sul piano interno dell'Amministrazione e gli effetti sui contribuentiIndividuato il fondamento del potere e, di conseguenza, l'ambito di soggetti che possono considerarsi "in senso proprio" destinatari del contenuto, comunicativo, precettivo o precettivo-interpretativo della circolare, si tratta di verificare quali sono gli effetti che si producono nei casi in cui la circolare stessa venga disattesa.Pur producendo di norma effetti vincolanti sul piano interno (ove il vincolo discende proprio dal rapporto gerarchico tra organo emanante e destinatari), le circolari possono essere legittimamente disattese quando in "evidente" contrasto con le norme di legge, come si desume applicando estensivamente la regola di cui all'articolo 17 della legge 3/1957, dettata dallo "Statuto degli impiegati civili dello Stato" di plurimo rilievo, anche penale.Al di fuori di questa ipotesi, che richiede l'evidenza del contrasto e che deve essere provata dalla parte che avrebbe dovuto attenersi alle istruzioni impartite dall'organo sovraordinato, la mancata osservanza delle circolari produce effetto ma solo sul piano interno e mai, come si vedrà anche a breve (almeno per quel che concerne materie caratterizzate dall'esercizio di poteri vincolati), sulla legittimità dell'atto adottato.Pertanto, l'inosservanza della circolare darà luogo a conseguenze sotto il profilo disciplinare (con applicazione delle relative sanzioni) e assumerà un ruolo essenziale ai fini dell'eventuale giudizio instaurato contro il funzionario, nel corso del quale la circostanza che l'impiegato abbia applicato ovvero disatteso le istruzioni contenute nella circolare dovrà essere vagliata dal giudice ai fini di determinare la colpa del soggetto agente, quale elemento soggettivo imprescindibile della responsabilità.Se queste sono le regole generali, si può osservare che nella sentenza in esame la Cassazione ha riaffermato i medesimi principi seppur attraverso espressioni più vaghe, non sempre correttamente interpretate e, pertanto, in alcune occasioni, strumentalizzate.Nella pronuncia si legge espressamente che "le circolari non vincolano gli uffici gerarchicamente subordinati…ai quali è data facoltà di disattendere il contenuto delle direttive senza che tale comportamento possa essere invocato quale causa di nullità o vizio dell'atto impositivo per difformità rispetto alla circolare esplicativa".La portata di quest'ultima affermazione della Corte è duplice, perché è riferibile tanto agli effetti sul piano interno, quanto ai suoi riflessi sull'atto. Solo una lettura integrale dell'intero passaggio argomentativo evidenziato consente di tracciare un quadro più chiaro e corretto, se non col rischio di concludere, come pure qualcuno ha proposto, nel senso del carattere non vincolante delle circolari anche sul piano interno.Ciò che i giudici intendevano affermare è che nell'eventualità in cui l'ufficio disattenda il contenuto della circolare, il contribuente non può per ciò solo far valere l'illegittimità dell'atto impugnato; quest'ultima, infatti, può derivare solo dal contrasto del contenuto dell'atto con le norme di legge. L'atto sarà, cioè, illegittimo solo se, a prescindere dalla sua conformità o meno a una circolare interpretativa, esso sia contrario alla legge, in quanto unico e solo parametro di valutazione della legittimità di un atto.Tale conclusione appare ovvia alla luce di quanto detto a proposito del potere posto a fondamento dell'emanazione della circolare e del suo carattere "non innovativo" dell'ordinamento giuridico.Per comprendere ancora meglio il principio affermato dalla Cassazione, un ulteriore argomento utile può essere desunto dal raffronto tra il ruolo che la circolare assume nell'ambito del giudizio tributario e quello che eventualmente può rivestire nel corso del giudizio amministrativo; la differenza consentirà di spiegare meglio la portata del principio come formulato dal giudice di legittimità.Il sistema della giustizia amministrativa conosce un vizio denominato, per l'appunto, "violazione di circolare", riconducibile alla più ampia categoria dell'eccesso di potere, del quale costituisce, secondo elaborazioni della giurisprudenza amministrativa oramai consolidate, figura tipica.Nei giudizi davanti al Tar, in altre parole, il privato può impugnare l'atto difforme dalla circolare impartita dall'Amministrazione, senza altro addurre se non l'irragionevolezza della decisione adottata, desunta, per l'appunto, dal contrasto (di norma non motivato o non ragionevolmente giustificato) tra il singolo provvedimento e una circolare.Analoga possibilità non può essere riconosciuta nel nostro sistema; l'eccesso di potere (comprese, ovviamente, le sue figure sintomatiche) è, infatti, il vizio tipico degli atti discrezionali, proprio perchè funzionale al sindacato sul corretto bilanciamento degli interessi in gioco contenuto nel provvedimento impugnato, ben poco adattabile al carattere generalmente vincolato degli atti dell'Amministrazione finanziaria.Riflessi sulla tutela giurisdizionaleSulla scia di tali principi, è possibile trarre alcune considerazioni generali in tema di tutela giurisdizionale del privato/contribuente a fronte dell'emanazione della circolare.Anche in alcune pronunce precedenti che costituiscono un importante chiave di lettura della sentenza in commento, la Cassazione ha correttamente escluso tanto l'impugnazione diretta della circolare dinanzi al giudice amministrativo, quanto la possibilità per il giudice ordinario di una disapplicazione della stessa nel corso delle controversie rimesse alla sua cognizione.Le affermazioni contenute nella sentenza sono condivisibili; esse, in sostanza, consolidano l'orientamento della prevalente giurisprudenza sul punto, respingendo per l'ennesima volta quella posizione isolata del giudice amministrativo che in passato aveva ammesso l'impugnazione immediata delle circolari.Questi principi possono essere pacificamente estesi anche all'eventuale impugnativa della circolare dinanzi alle Commissioni tributarie.Tuttavia, sul punto è necessaria una precisazione di più ampio respiro, partendo dall'affermazione, contenuta nella sentenza 237/2009, secondo cui l'impugnazione della circolare dinanzi al giudice amministrativo sarebbe preclusa a causa del difetto di giurisdizione del giudice adito. Tale affermazione, come si vedrà a breve, è corretta in sé, ma non inquadra correttamente il problema della tutela giurisdizionale del privato dinanzi alla circolare.Il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a fronte dell'impugnazione di una circolare dell'Amministrazione finanziaria, infatti, è eccepibile dal giudice in quanto con l'ampliamento e la generalizzazione della giurisdizione delle Commissioni tributarie, queste ultime sono diventate, in linea generale, il giudice per "materia".La Corte costituzionale, con la sentenza 130/2008, ha corretto in senso restrittivo la giurisdizione del giudice tributario (con riferimento, in particolare, alle sanzioni per lavoro nero irrogate dagli uffici dell'agenzia delle Entrate), ma è intervenuta in questa direzione richiamando proprio il principio della giurisdizione per materia (quella, in particolare, "dei tributi"), ribadendo, anziché negando, il carattere tendenzialmente pieno ed esclusivo della giurisdizione tributaria, pur con i suoi ancora evidenti limiti.Né in senso contrario appare decisivo il richiamo all'articolo 7, comma 4, dello Statuto dei diritti del contribuente, che non esclude la possibilità di ricorso agli organi della giustizia amministrativa per gli atti di natura tributaria; tale norma non nega la pienezza della giurisdizione tributaria, ma sembra fondare quella dei Tar rispetto ad atti per i quali il ricorso in Commissione tributaria è precluso dal carattere tendenzialmente (anche se non completamente) tassativo delle previsioni dell'articolo 19 del Dlgs 546/1992.Ad escludere l'impugnabilità delle circolari, pertanto, non vale il richiamo al difetto di giurisdizione, in quanto, ove si trattasse solo di un simile problema, occorrerebbe prevedere un canale di accesso immediato per la tutela del privato dinanzi al giudice tributario, o in via interpretativa (attraverso una difficilissima assimilazione della circolare a uno degli atti dell'articolo 19) ovvero in via normativa.Per negare la possibilità di impugnazione della circolare, appare più opportuno introdurre un altro concetto: la carenza di interesse a ricorrere. Leggendo le più recenti pronunce dei giudici amministrativi, si ritrova più che altro l'argomento secondo cui la circolare, di per sé sola, è inidonea a incidere su posizioni del privato, in quanto non ne determina una lesione immediata e diretta.In questa prospettiva, non si tratta di individuare il giudice "competente" a conoscere delle controversie generate da una circolare, quanto di escludere la possibilità di una tutela immediata in quanto non v'è alcuna lesione concreta e diretta della platea dei contribuenti ai quali può, ma solo indirettamente, essere rivolto il chiarimento interpretativo.Considerazioni conclusive sugli effetti delle circolariI principi contenuti nella sentenza sono in linea con la ricostruzione tradizionale proposta dalla dottrina a proposito del ruolo delle circolari nell'ordinamento giuridico generale.Sia sotto il profilo del potere posto a fondamento sia sotto il profilo degli effetti sul contribuente (e, di conseguenza, sul piano della tutela giurisdizionale), la circolare costituisce, anche ove a prevalente contenuto interpretativo, atto di indirizzo della condotta degli uffici cui è rivolta e mai atto vincolante per il privato, destinatario solo mediato e indiretto.Ciò premesso, si tratta a questo punto di inquadrare in questo contesto il principio contenuto nell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente che, in maniera del tutto eccezionale rispetto a quanto finora prospettato, assegna alla circolare, come a qualunque atto dell'Amministrazione finanziaria diverso dall'interpello ex articolo 11 dello Statuto (in quanto atto a efficacia rafforzata), un effetto "esterno", quale atto che fonda l'affidamento del contribuente e costituisce causa di esclusione per l'applicazione di sanzioni e il recupero degli interessi. In deroga, infatti, alla ricostruzione fatta a proposito della circolare quale atto che esaurisce la sua portata applicativa sul piano interno, laddove il contribuente si sia adeguato alle indicazioni contenute in un atto dell'Amministrazione, fatto salvo il recupero del tributo (il quale discende dalla doverosità del concorso al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge), al contribuente non potranno essere irrogate sanzioni né richiesti interessi.Il ben noto principio della tutela dell'affidamento, cui la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte riconosciuto il rango di principio generale dell'ordinamento, "prevale" quindi sul carattere meramente interno delle circolari e, senza mai tradursi in un motivo di ricorso che giustifichi da solo l'annullamento dell'atto e della pretesa in esso contenuta, può incidere sul diverso piano degli accessori del tributo.
Annalisa Cazzato




pubblicato il 10/02/2009
in

natura giuridica delle circolari: Cassazione sentenza 237/09

La Cassazione conferma: circolari, atti interni all'Amministrazione

I giudici tornano sulla valenza dei documenti di prassi, illustrando una serie di principi di carattere generale
Natura ed effetti delle circolari. Potrebbe così intitolarsi la sentenza n. 237, depositata il 9 gennaio 2009, con cui la Cassazione, riprendendo il noto precedente rappresentato dalla pronuncia n. 23031 del 9 ottobre 2007, è tornata nuovamente sul tema della valenza dei documenti di prassi dell'Amministrazione finanziaria, illustrando, quasi didatticamente, una serie di principi generali relativi al ruolo delle circolari rispetto alla gerarchia delle fonti e alla portata che esse possono assumere tanto nei confronti della stessa Amministrazione emanante, globalmente considerata, quanto nei confronti dei contribuenti solo "impropriamente" destinatari delle medesime.Nulla quaestio sulla correttezza dei principi espressi dalla Suprema corte nella sentenza in esame e di seguito illustrati, anche se, giova evidenziarlo fin da subito, rispetto alla ricostruzione delle circolari quali atti interni all'Amministrazione, qualche dubbio residua rispetto alla "eccezionale" portata estrinseca che lo Statuto dei diritti del contribuente assegna alle circolari medesime e che, almeno a prima lettura, non sembra conciliarsi perfettamente con i principi contenuti nella pronuncia; salvo, come si evidenzierà nelle conclusioni, individuare dietro tale eccezionale valenza esterna un principio essenziale dell'ordinamento.Le circolari: ruolo e fondamentoLa prima affermazione desumibile dalla sentenza 237/2009 è quella secondo cui le circolari non sono atti normativi (né tanto meno sono a essi assimilabili) e, pertanto, sono prive del potere di innovare l'ordinamento giuridico.L'affermazione è pienamente in linea con l'incontestabile insegnamento della dottrina rispetto alla gerarchia delle fonti, laddove, specie nelle opere più tradizionali degli amministrativisti, si legge che col termine "circolare" più che designare un particolare tipo di atto, dalle funzioni o dal contenuto tipizzato, si individua una modalità di comunicazione di qualcosa; il termine designa, per l'appunto, il percorso di un certo atto che si diffonde "circolarmente" all'interno di una certa struttura.Certo è che, a mano a mano che la disciplina di singoli e specifici atti si è rivolta a individuarne anche le modalità di esternazione e le forme di alcuni atti sono diventate "tipiche", come nel caso dei regolamenti, la portata del termine "circolare" si è andata sempre più restringendo, fino al punto di identificarsi con quelli che oggi comunemente così chiamiamo, ossia gli atti emanati dall'Amministrazione, rivolti agli uffici, il cui contenuto può essere estremamente diversificato.Le circolari, come noto, possono contenere semplici comunicazioni, ovvero precise direttive o istruzioni in ordine alle modalità di comportamento che i destinatari devono adottare o, ancora (ed è questo l'oggetto di riflessioni nella sentenza in commento), l'interpretazione che l'organo emanante dà di un certa norma di legge.Resta inteso che l'interpretazione contenuta in una circolare altro non è se non il presupposto per individuare le concrete regole di comportamento cui i destinatari, interni all'Amministrazione, devono attenersi; si tratta cioè di un'attività strumentale all'obiettivo di indirizzare, in modo univoco, i comportamenti degli uffici su tutto il territorio nazionale.Tale conclusione appare scontata, sia se si analizza la distribuzione, a livello costituzionale, dei diversi poteri dello Stato sia, ancora di più, se ci si domanda quale sia il potere posto a fondamento della emanazione della circolare.La dottrina più tradizionale, condivisibilmente, ritiene che alla base del potere di emanare circolari sia individuabile il cosiddetto potere gerarchico o di indirizzo che alcuni organi possono esercitare nei confronti di altre strutture (normalmente interne e comunque sott'ordinate); tale potere, pertanto, potrà esplicare i suoi effetti solo nei confronti dei soggetti, ovvero degli uffici, che a tale potere soggiacciono.Le circolari: i soggetti destinatari, gli effetti sul piano interno dell'Amministrazione e gli effetti sui contribuentiIndividuato il fondamento del potere e, di conseguenza, l'ambito di soggetti che possono considerarsi "in senso proprio" destinatari del contenuto, comunicativo, precettivo o precettivo-interpretativo della circolare, si tratta di verificare quali sono gli effetti che si producono nei casi in cui la circolare stessa venga disattesa.Pur producendo di norma effetti vincolanti sul piano interno (ove il vincolo discende proprio dal rapporto gerarchico tra organo emanante e destinatari), le circolari possono essere legittimamente disattese quando in "evidente" contrasto con le norme di legge, come si desume applicando estensivamente la regola di cui all'articolo 17 della legge 3/1957, dettata dallo "Statuto degli impiegati civili dello Stato" di plurimo rilievo, anche penale.Al di fuori di questa ipotesi, che richiede l'evidenza del contrasto e che deve essere provata dalla parte che avrebbe dovuto attenersi alle istruzioni impartite dall'organo sovraordinato, la mancata osservanza delle circolari produce effetto ma solo sul piano interno e mai, come si vedrà anche a breve (almeno per quel che concerne materie caratterizzate dall'esercizio di poteri vincolati), sulla legittimità dell'atto adottato.Pertanto, l'inosservanza della circolare darà luogo a conseguenze sotto il profilo disciplinare (con applicazione delle relative sanzioni) e assumerà un ruolo essenziale ai fini dell'eventuale giudizio instaurato contro il funzionario, nel corso del quale la circostanza che l'impiegato abbia applicato ovvero disatteso le istruzioni contenute nella circolare dovrà essere vagliata dal giudice ai fini di determinare la colpa del soggetto agente, quale elemento soggettivo imprescindibile della responsabilità.Se queste sono le regole generali, si può osservare che nella sentenza in esame la Cassazione ha riaffermato i medesimi principi seppur attraverso espressioni più vaghe, non sempre correttamente interpretate e, pertanto, in alcune occasioni, strumentalizzate.Nella pronuncia si legge espressamente che "le circolari non vincolano gli uffici gerarchicamente subordinati…ai quali è data facoltà di disattendere il contenuto delle direttive senza che tale comportamento possa essere invocato quale causa di nullità o vizio dell'atto impositivo per difformità rispetto alla circolare esplicativa".La portata di quest'ultima affermazione della Corte è duplice, perché è riferibile tanto agli effetti sul piano interno, quanto ai suoi riflessi sull'atto. Solo una lettura integrale dell'intero passaggio argomentativo evidenziato consente di tracciare un quadro più chiaro e corretto, se non col rischio di concludere, come pure qualcuno ha proposto, nel senso del carattere non vincolante delle circolari anche sul piano interno.Ciò che i giudici intendevano affermare è che nell'eventualità in cui l'ufficio disattenda il contenuto della circolare, il contribuente non può per ciò solo far valere l'illegittimità dell'atto impugnato; quest'ultima, infatti, può derivare solo dal contrasto del contenuto dell'atto con le norme di legge. L'atto sarà, cioè, illegittimo solo se, a prescindere dalla sua conformità o meno a una circolare interpretativa, esso sia contrario alla legge, in quanto unico e solo parametro di valutazione della legittimità di un atto.Tale conclusione appare ovvia alla luce di quanto detto a proposito del potere posto a fondamento dell'emanazione della circolare e del suo carattere "non innovativo" dell'ordinamento giuridico.Per comprendere ancora meglio il principio affermato dalla Cassazione, un ulteriore argomento utile può essere desunto dal raffronto tra il ruolo che la circolare assume nell'ambito del giudizio tributario e quello che eventualmente può rivestire nel corso del giudizio amministrativo; la differenza consentirà di spiegare meglio la portata del principio come formulato dal giudice di legittimità.Il sistema della giustizia amministrativa conosce un vizio denominato, per l'appunto, "violazione di circolare", riconducibile alla più ampia categoria dell'eccesso di potere, del quale costituisce, secondo elaborazioni della giurisprudenza amministrativa oramai consolidate, figura tipica.Nei giudizi davanti al Tar, in altre parole, il privato può impugnare l'atto difforme dalla circolare impartita dall'Amministrazione, senza altro addurre se non l'irragionevolezza della decisione adottata, desunta, per l'appunto, dal contrasto (di norma non motivato o non ragionevolmente giustificato) tra il singolo provvedimento e una circolare.Analoga possibilità non può essere riconosciuta nel nostro sistema; l'eccesso di potere (comprese, ovviamente, le sue figure sintomatiche) è, infatti, il vizio tipico degli atti discrezionali, proprio perchè funzionale al sindacato sul corretto bilanciamento degli interessi in gioco contenuto nel provvedimento impugnato, ben poco adattabile al carattere generalmente vincolato degli atti dell'Amministrazione finanziaria.Riflessi sulla tutela giurisdizionaleSulla scia di tali principi, è possibile trarre alcune considerazioni generali in tema di tutela giurisdizionale del privato/contribuente a fronte dell'emanazione della circolare.Anche in alcune pronunce precedenti che costituiscono un importante chiave di lettura della sentenza in commento, la Cassazione ha correttamente escluso tanto l'impugnazione diretta della circolare dinanzi al giudice amministrativo, quanto la possibilità per il giudice ordinario di una disapplicazione della stessa nel corso delle controversie rimesse alla sua cognizione.Le affermazioni contenute nella sentenza sono condivisibili; esse, in sostanza, consolidano l'orientamento della prevalente giurisprudenza sul punto, respingendo per l'ennesima volta quella posizione isolata del giudice amministrativo che in passato aveva ammesso l'impugnazione immediata delle circolari.Questi principi possono essere pacificamente estesi anche all'eventuale impugnativa della circolare dinanzi alle Commissioni tributarie.Tuttavia, sul punto è necessaria una precisazione di più ampio respiro, partendo dall'affermazione, contenuta nella sentenza 237/2009, secondo cui l'impugnazione della circolare dinanzi al giudice amministrativo sarebbe preclusa a causa del difetto di giurisdizione del giudice adito. Tale affermazione, come si vedrà a breve, è corretta in sé, ma non inquadra correttamente il problema della tutela giurisdizionale del privato dinanzi alla circolare.Il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a fronte dell'impugnazione di una circolare dell'Amministrazione finanziaria, infatti, è eccepibile dal giudice in quanto con l'ampliamento e la generalizzazione della giurisdizione delle Commissioni tributarie, queste ultime sono diventate, in linea generale, il giudice per "materia".La Corte costituzionale, con la sentenza 130/2008, ha corretto in senso restrittivo la giurisdizione del giudice tributario (con riferimento, in particolare, alle sanzioni per lavoro nero irrogate dagli uffici dell'agenzia delle Entrate), ma è intervenuta in questa direzione richiamando proprio il principio della giurisdizione per materia (quella, in particolare, "dei tributi"), ribadendo, anziché negando, il carattere tendenzialmente pieno ed esclusivo della giurisdizione tributaria, pur con i suoi ancora evidenti limiti.Né in senso contrario appare decisivo il richiamo all'articolo 7, comma 4, dello Statuto dei diritti del contribuente, che non esclude la possibilità di ricorso agli organi della giustizia amministrativa per gli atti di natura tributaria; tale norma non nega la pienezza della giurisdizione tributaria, ma sembra fondare quella dei Tar rispetto ad atti per i quali il ricorso in Commissione tributaria è precluso dal carattere tendenzialmente (anche se non completamente) tassativo delle previsioni dell'articolo 19 del Dlgs 546/1992.Ad escludere l'impugnabilità delle circolari, pertanto, non vale il richiamo al difetto di giurisdizione, in quanto, ove si trattasse solo di un simile problema, occorrerebbe prevedere un canale di accesso immediato per la tutela del privato dinanzi al giudice tributario, o in via interpretativa (attraverso una difficilissima assimilazione della circolare a uno degli atti dell'articolo 19) ovvero in via normativa.Per negare la possibilità di impugnazione della circolare, appare più opportuno introdurre un altro concetto: la carenza di interesse a ricorrere. Leggendo le più recenti pronunce dei giudici amministrativi, si ritrova più che altro l'argomento secondo cui la circolare, di per sé sola, è inidonea a incidere su posizioni del privato, in quanto non ne determina una lesione immediata e diretta.In questa prospettiva, non si tratta di individuare il giudice "competente" a conoscere delle controversie generate da una circolare, quanto di escludere la possibilità di una tutela immediata in quanto non v'è alcuna lesione concreta e diretta della platea dei contribuenti ai quali può, ma solo indirettamente, essere rivolto il chiarimento interpretativo.Considerazioni conclusive sugli effetti delle circolariI principi contenuti nella sentenza sono in linea con la ricostruzione tradizionale proposta dalla dottrina a proposito del ruolo delle circolari nell'ordinamento giuridico generale.Sia sotto il profilo del potere posto a fondamento sia sotto il profilo degli effetti sul contribuente (e, di conseguenza, sul piano della tutela giurisdizionale), la circolare costituisce, anche ove a prevalente contenuto interpretativo, atto di indirizzo della condotta degli uffici cui è rivolta e mai atto vincolante per il privato, destinatario solo mediato e indiretto.Ciò premesso, si tratta a questo punto di inquadrare in questo contesto il principio contenuto nell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente che, in maniera del tutto eccezionale rispetto a quanto finora prospettato, assegna alla circolare, come a qualunque atto dell'Amministrazione finanziaria diverso dall'interpello ex articolo 11 dello Statuto (in quanto atto a efficacia rafforzata), un effetto "esterno", quale atto che fonda l'affidamento del contribuente e costituisce causa di esclusione per l'applicazione di sanzioni e il recupero degli interessi. In deroga, infatti, alla ricostruzione fatta a proposito della circolare quale atto che esaurisce la sua portata applicativa sul piano interno, laddove il contribuente si sia adeguato alle indicazioni contenute in un atto dell'Amministrazione, fatto salvo il recupero del tributo (il quale discende dalla doverosità del concorso al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge), al contribuente non potranno essere irrogate sanzioni né richiesti interessi.Il ben noto principio della tutela dell'affidamento, cui la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte riconosciuto il rango di principio generale dell'ordinamento, "prevale" quindi sul carattere meramente interno delle circolari e, senza mai tradursi in un motivo di ricorso che giustifichi da solo l'annullamento dell'atto e della pretesa in esso contenuta, può incidere sul diverso piano degli accessori del tributo.
Annalisa Cazzato




pubblicato il 10/02/2009
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