Studi di settore è l’ora dell’addio |
Data Pubblicazione 28/7/2009 La Cassazione dopo dieci anni di pareri ha tirato le somme. Gli studi di settore non bastano per accertare quante tasse un lavoratore autonomo debba pagare. Lo strumento fiscale creato nel 1998 da Vincenzo Visco per dimostrare a priori e statisticamente il fatturato teorico di una Partita Iva tornano così all’idea embrionale che li aveva generati: ovvero un mero strumento statistico. Solo in caso di non congruità, il Fisco farà partire l’accertamento o avviare il processo tributario dimostrando con prove concrete la colpevolezza del contribuente. La Cassazione ha così messo la parola fine a quell’aberrazione che ha contraddistinto il 2006 e il 2007, diventata celebre come inversione dell’onere della prova. La partita Iva presunta colpevole doveva dimostrare la propria innocenza. È come se in un Paese di 5 mila anime avvenisse un omicidio e tutti i cittadini venissero accusati per il semplice fatto di abitare lì. E a loro spetti dimostrare la propria innocenza. Invece che ai magistrati raccogliere le prove per inchiodare il colpevole. Già dal 2008 la pessima abitudine era stata abbandonata dal Fisco su impulso del ministro Tremonti e delle commissioni finanze di Camera e Senato. Ma ora è tutto nero su bianco grazie agli Ermellini della Suprema Corte. E non è la prima volta che la Cassazione scende in pista per difendere i cittadini contro il fisco. Un anno e mezzo fa sentenziò in materia di Iva. La controversia nacque per una detrazione ritenuta indebita I precedenti «Se l'Amministrazione è parte attrice del rapporto tributario dedotto in giudizio, spetta al Fisco dimostrare la falsità delle fatture come documenti contabili che attestano la realizzazione dell'operazione commerciale fra soggetti corrispondenti a quelli indicati dalle carte», disse la Cassazione con la sentenza 24201/08. Gli Ermellini smontarono la tesi riportando la causa alla prima fase del giudizio: «all’Amministrazione spetta allegare elementi significativi e indizi idonei a confutare la veridicità (oggettiva e soggettiva) dei documenti contabili». Le partite Iva Senza entrare in ulteriori dettagli di merito la sostanza della sentenza dimostra come la letteratura tributaria si stia sempre più orientando alla tutela del contribuente creando un panel di leggi strutturate in grado di contrastare filosofie fiscali che vedono le tasse come un modo per raccogliere denaro. «La recente sentenza della Corte di Cassazione in materia di studi di settore ribadisce un concetto già emerso in questo ultimo anno con una serie di circolari pubblicate dall’Amministrazione finanziaria», sottolinea Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre. «Già a partire dal 2009 l’Agenzia delle Entrate ha ribadito con forza come gli studi di settore siano solo uno dei parametri sui quali si baserà il lavoro di accertamento fiscale. Se negli anni scorsi la non congruità poteva potenzialmente far scattare un accertamento da parte del fisco, oggi è stato chiarito che il mancato adeguamento non è più l'unico elemento sufficiente a sostenere le ulteriori pretese Erariali in sede di contenzioso». Ma le riflessioni del segretario degli artigiani di Mestre non si fermano qui. «Nel caso il contenzioso finisca presso la Commissione tributaria», conclude Bortolussi, «sarà l’Agenzia delle Entrate, e non più il contribuente, a dover dimostrare l’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati. Per questo, anche alla luce dell’ultima sentenza della Corte di Cassazione, stiamo invitando quegli operatori economici che sono vittime della crisi a non adeguarsi a quegli studi di settore che hanno pretese non giustificabili». Spetta ora alle numerose associazioni di categoria dal commercio all’artigianato dare indicazioni ai propri associati. Le conseguenze A tutti coloro che scelgono di non adeguarsi ai valori imposti dagli studi di settore (ed è il consiglio più diffuso nel Nordest) si apre la strada del contraddittorio. Al contribuente conviene partecipare per smontare le tesi del Fisco e dimostrare i mancati ricavi dovuti alla crisi economica. A quel punto gli uffici dell’Erario saranno costretti a “investigare” attivamente e dimostrare l’eventuale evasione lavorando al bilancio e spulciando le fatture. Se il fisco non è in grado di fornire una relazione concreta frutto di una investigazione attenta l’accusa decade. E con essa i costi del dibattimento tributario. Nel caso il contribuente che non voglia partecipare al contradditorio, potrà presentare le stesse eccezioni in sede di giudizio. A questo punto bisogna distinguere tra passato e futuro. Per le cause in corso ci sono più certezze perchè finalmente la Cassazione renderà nulle tutte le sentenze contrarie alla recente norma. Per il futuro tutto dipende da come si muoveranno le partite Iva. Il parere degli ermellini apre la strada a una valanga di contenziosi con il Fisco. Le scelte politiche Un milione e mezzo di contribuenti (tanti sono quelli non in regola secondo gli studi di settore) potrebbe chiedere giustizia tutti insieme bloccando le commissioni tributarie. E imponendo un intervento politico. A quel punto il governo dovrebbe dire addio una volta per tutte agli studi di settore e trovare un nuovo strumento per far pagare le tasse ai lavoratori autonomi. E sentite le recenti dichiarazioni di guerra lanciate da chi rappresenta il popolo delle partite Iva forse sarebbe il caso di non aspettare che la bomba esploda. |
Blog di diritto e poesia. Il diritto è quella scienza che aiuta a comporre i bisogni dell'uomo nelle relazioni interpersonali. la poesia è quell'arte che, comunicando con parole scritte, aiuta a conoscersi nel profondo.
martedì 28 luglio 2009
Studi di Settore: Addio .....!!!
Studi di Settore: Addio .....!!!
Studi di settore è l’ora dell’addio |
Data Pubblicazione 28/7/2009 La Cassazione dopo dieci anni di pareri ha tirato le somme. Gli studi di settore non bastano per accertare quante tasse un lavoratore autonomo debba pagare. Lo strumento fiscale creato nel 1998 da Vincenzo Visco per dimostrare a priori e statisticamente il fatturato teorico di una Partita Iva tornano così all’idea embrionale che li aveva generati: ovvero un mero strumento statistico. Solo in caso di non congruità, il Fisco farà partire l’accertamento o avviare il processo tributario dimostrando con prove concrete la colpevolezza del contribuente. La Cassazione ha così messo la parola fine a quell’aberrazione che ha contraddistinto il 2006 e il 2007, diventata celebre come inversione dell’onere della prova. La partita Iva presunta colpevole doveva dimostrare la propria innocenza. È come se in un Paese di 5 mila anime avvenisse un omicidio e tutti i cittadini venissero accusati per il semplice fatto di abitare lì. E a loro spetti dimostrare la propria innocenza. Invece che ai magistrati raccogliere le prove per inchiodare il colpevole. Già dal 2008 la pessima abitudine era stata abbandonata dal Fisco su impulso del ministro Tremonti e delle commissioni finanze di Camera e Senato. Ma ora è tutto nero su bianco grazie agli Ermellini della Suprema Corte. E non è la prima volta che la Cassazione scende in pista per difendere i cittadini contro il fisco. Un anno e mezzo fa sentenziò in materia di Iva. La controversia nacque per una detrazione ritenuta indebita I precedenti «Se l'Amministrazione è parte attrice del rapporto tributario dedotto in giudizio, spetta al Fisco dimostrare la falsità delle fatture come documenti contabili che attestano la realizzazione dell'operazione commerciale fra soggetti corrispondenti a quelli indicati dalle carte», disse la Cassazione con la sentenza 24201/08. Gli Ermellini smontarono la tesi riportando la causa alla prima fase del giudizio: «all’Amministrazione spetta allegare elementi significativi e indizi idonei a confutare la veridicità (oggettiva e soggettiva) dei documenti contabili». Le partite Iva Senza entrare in ulteriori dettagli di merito la sostanza della sentenza dimostra come la letteratura tributaria si stia sempre più orientando alla tutela del contribuente creando un panel di leggi strutturate in grado di contrastare filosofie fiscali che vedono le tasse come un modo per raccogliere denaro. «La recente sentenza della Corte di Cassazione in materia di studi di settore ribadisce un concetto già emerso in questo ultimo anno con una serie di circolari pubblicate dall’Amministrazione finanziaria», sottolinea Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre. «Già a partire dal 2009 l’Agenzia delle Entrate ha ribadito con forza come gli studi di settore siano solo uno dei parametri sui quali si baserà il lavoro di accertamento fiscale. Se negli anni scorsi la non congruità poteva potenzialmente far scattare un accertamento da parte del fisco, oggi è stato chiarito che il mancato adeguamento non è più l'unico elemento sufficiente a sostenere le ulteriori pretese Erariali in sede di contenzioso». Ma le riflessioni del segretario degli artigiani di Mestre non si fermano qui. «Nel caso il contenzioso finisca presso la Commissione tributaria», conclude Bortolussi, «sarà l’Agenzia delle Entrate, e non più il contribuente, a dover dimostrare l’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati. Per questo, anche alla luce dell’ultima sentenza della Corte di Cassazione, stiamo invitando quegli operatori economici che sono vittime della crisi a non adeguarsi a quegli studi di settore che hanno pretese non giustificabili». Spetta ora alle numerose associazioni di categoria dal commercio all’artigianato dare indicazioni ai propri associati. Le conseguenze A tutti coloro che scelgono di non adeguarsi ai valori imposti dagli studi di settore (ed è il consiglio più diffuso nel Nordest) si apre la strada del contraddittorio. Al contribuente conviene partecipare per smontare le tesi del Fisco e dimostrare i mancati ricavi dovuti alla crisi economica. A quel punto gli uffici dell’Erario saranno costretti a “investigare” attivamente e dimostrare l’eventuale evasione lavorando al bilancio e spulciando le fatture. Se il fisco non è in grado di fornire una relazione concreta frutto di una investigazione attenta l’accusa decade. E con essa i costi del dibattimento tributario. Nel caso il contribuente che non voglia partecipare al contradditorio, potrà presentare le stesse eccezioni in sede di giudizio. A questo punto bisogna distinguere tra passato e futuro. Per le cause in corso ci sono più certezze perchè finalmente la Cassazione renderà nulle tutte le sentenze contrarie alla recente norma. Per il futuro tutto dipende da come si muoveranno le partite Iva. Il parere degli ermellini apre la strada a una valanga di contenziosi con il Fisco. Le scelte politiche Un milione e mezzo di contribuenti (tanti sono quelli non in regola secondo gli studi di settore) potrebbe chiedere giustizia tutti insieme bloccando le commissioni tributarie. E imponendo un intervento politico. A quel punto il governo dovrebbe dire addio una volta per tutte agli studi di settore e trovare un nuovo strumento per far pagare le tasse ai lavoratori autonomi. E sentite le recenti dichiarazioni di guerra lanciate da chi rappresenta il popolo delle partite Iva forse sarebbe il caso di non aspettare che la bomba esploda. |
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