martedì 15 settembre 2009

Sottotetto , Utilizzabilità da parte di tutti i condomini , Presunzione di proprietà comune

Cass. civ., se. II, 20 luglio 1999, n. 7764

In un edificio di più piani appartenenti a proprietari diversi, l'appartenenza del sottotetto ( non indicato nell'articolo 1117, Codice civile, tra le parti comuni dell'edificio ) si determina in base al titolo ed in mancanza in base alla funzione cui esso è destinato in concreto. Pertanto, ove trattasi di vano destinato esclusivamente a servire da protezione dell'appartamento dell'ultimo piano, esso ne costituisce pertinenza e deve perciò considerarsi di proprietà esclusiva del proprietario dell'ultimo piano, mentre va annoverato tra le parti comuni se utilizzabile, anche solo potenzialmente, per gli usi comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di comunione prevista dalla norma citata, la quale opera ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile, per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi
Sottotetto , Utilizzabilità da parte di tutti i condomini , Presunzione di proprietà comune

Cass. civ., se. II, 20 luglio 1999, n. 7764

In un edificio di più piani appartenenti a proprietari diversi, l'appartenenza del sottotetto ( non indicato nell'articolo 1117, Codice civile, tra le parti comuni dell'edificio ) si determina in base al titolo ed in mancanza in base alla funzione cui esso è destinato in concreto. Pertanto, ove trattasi di vano destinato esclusivamente a servire da protezione dell'appartamento dell'ultimo piano, esso ne costituisce pertinenza e deve perciò considerarsi di proprietà esclusiva del proprietario dell'ultimo piano, mentre va annoverato tra le parti comuni se utilizzabile, anche solo potenzialmente, per gli usi comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di comunione prevista dalla norma citata, la quale opera ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile, per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi
Proprietario esclusivo del lastrico solare, pagamento delle spese condominiali, divieto di sopredificare

Cass., Sez.. 2 sentenza n. 13328 del 29/11/1999

Il proprietario esclusivo del lastrico solare e' tenuto al pagamento, in proporzione dei relativi millesimi, delle spese condominiali comuni anche nel caso in cui e' vietato sopredificare dalla normativa edilizia applicabile nella zona ove esiste l'edificio, perchè tale divieto - peraltro non immutabile - non fa venir meno il suo diritto di proprietà sul lastrico solare, ne' questo e' utilizzabile soltanto per sopraelevare.

Proprietario esclusivo del lastrico solare, pagamento delle spese condominiali, divieto di sopredificare

Cass., Sez.. 2 sentenza n. 13328 del 29/11/1999

Il proprietario esclusivo del lastrico solare e' tenuto al pagamento, in proporzione dei relativi millesimi, delle spese condominiali comuni anche nel caso in cui e' vietato sopredificare dalla normativa edilizia applicabile nella zona ove esiste l'edificio, perchè tale divieto - peraltro non immutabile - non fa venir meno il suo diritto di proprietà sul lastrico solare, ne' questo e' utilizzabile soltanto per sopraelevare.

Riforma ordinamento professione avvocato. riprende l'iter ....

Riforma forense, riprende l'iter

Data Pubblicazione 15/9/2009

Articolo tratto da:
Italia Oggi

Scade oggi alle 15 il termine per la presentazione degli emendamenti al testo unificato

Ritornano i minimi tariffari inderogabili. Ma è braccio di ferro

Riprende l'iter legislativo della riforma forense. E riprende proprio da dove il comitato ristretto della commissione giustizia del senato, che ha elaborato il testo unificato, si era fermato per la pausa estiva: ovvero la presentazione degli emendamenti. I senatori avranno tempo fino alle 15 di oggi per proporre dei correttivi a un disegno di legge partorito non senza difficoltà. Pomo della discordia il ritorno delle tariffe minime inderogabili. E un comitato ristretto fra due fuochi. Da un lato una categoria professionale compatta a chiedere l'annullamento del decreto Bersani del 2006. Dall'altra l'Unione europea che sull'inderogabilità dei compensi aveva nel 2004 avviata una procedura d'infrazione contro l'Italia, poi rientrata per via delle liberalizzazioni volute dall'ex ministro dello sviluppo economico (Pierluigi Bersani, appunto). Una situazione spinosa che ha portato il comitato ristretto, prima di fissare il termine per gli emendamenti (di veda anche ItaliaOggi del 16 luglio), a modificare più volte il testo. Fino a far prevalere le argomentazioni dell'avvocatura. Ma gli emendamenti potrebbero riaprire la partita. Ricapitolando il tira e molla tra professione e senato, il testo inviato dal Consiglio nazionale forense al ministro della giustizia, Angelino Alfano, a marzo scorso, conteneva, all'art. 12, il principio secondo cui «gli onorari minimi e massimi sono sempre vincolanti, a pena di nullità, tranne che nelle particolari ipotesi disciplinate dalle tariffe» (comma 5). E, al comma 9, l'abrogazione delle disposizioni del decreto Bersani per gli avvocati. Il comitato ristretto della commissione giustizia, guidata da Filippo Berselli, dopo varie riunioni, ha inviato alle anime rappresentative della categoria la bozza di riordino dell'ordinamento forense da sottoporre al vaglio della commissione, con alcune modifiche rispetto al testo del Cnf. Tra queste, la soppressione dell'abrogazione dell'art. 2 del decreto legge n. 223/2006 e la modifica del comma 5 («gli onorari minimi sono, in via di principio, vincolanti»). Formula che non è andata giù al Consiglio nazionale forense e all'Oua, che hanno contestato questa e altre modifiche alla riforma del Cnf. Dunque marcia indietro da parte del comitato ristretto che ha nuovamente inserito il comma 5 sull'inderogabilità dei minimi ma ha cancellato il comma 9 sull'abolizione delle disposizioni del Bersani. Fra le altre novità del testo, importanti modifiche attendono l'accesso alla professione. Per mettere un freno alla crescita numerica di una categoria che ha già superato le 200 mila unità. L'articolato del ddl, infatti, riscrive a 360 gradi l'esercizio della professione partendo proprio dal tirocinio per il quale è previsto un test informatico di ingresso per l'iscrizione all'apposito registro. Tirocinio che resta di 24 mesi ma che prevede la contestuale frequenza obbligatoria di corsi di formazione di almeno 250 ore complessive. Ignazio Marino

Riforma ordinamento professione avvocato. riprende l'iter ....

Riforma forense, riprende l'iter

Data Pubblicazione 15/9/2009

Articolo tratto da:
Italia Oggi

Scade oggi alle 15 il termine per la presentazione degli emendamenti al testo unificato

Ritornano i minimi tariffari inderogabili. Ma è braccio di ferro

Riprende l'iter legislativo della riforma forense. E riprende proprio da dove il comitato ristretto della commissione giustizia del senato, che ha elaborato il testo unificato, si era fermato per la pausa estiva: ovvero la presentazione degli emendamenti. I senatori avranno tempo fino alle 15 di oggi per proporre dei correttivi a un disegno di legge partorito non senza difficoltà. Pomo della discordia il ritorno delle tariffe minime inderogabili. E un comitato ristretto fra due fuochi. Da un lato una categoria professionale compatta a chiedere l'annullamento del decreto Bersani del 2006. Dall'altra l'Unione europea che sull'inderogabilità dei compensi aveva nel 2004 avviata una procedura d'infrazione contro l'Italia, poi rientrata per via delle liberalizzazioni volute dall'ex ministro dello sviluppo economico (Pierluigi Bersani, appunto). Una situazione spinosa che ha portato il comitato ristretto, prima di fissare il termine per gli emendamenti (di veda anche ItaliaOggi del 16 luglio), a modificare più volte il testo. Fino a far prevalere le argomentazioni dell'avvocatura. Ma gli emendamenti potrebbero riaprire la partita. Ricapitolando il tira e molla tra professione e senato, il testo inviato dal Consiglio nazionale forense al ministro della giustizia, Angelino Alfano, a marzo scorso, conteneva, all'art. 12, il principio secondo cui «gli onorari minimi e massimi sono sempre vincolanti, a pena di nullità, tranne che nelle particolari ipotesi disciplinate dalle tariffe» (comma 5). E, al comma 9, l'abrogazione delle disposizioni del decreto Bersani per gli avvocati. Il comitato ristretto della commissione giustizia, guidata da Filippo Berselli, dopo varie riunioni, ha inviato alle anime rappresentative della categoria la bozza di riordino dell'ordinamento forense da sottoporre al vaglio della commissione, con alcune modifiche rispetto al testo del Cnf. Tra queste, la soppressione dell'abrogazione dell'art. 2 del decreto legge n. 223/2006 e la modifica del comma 5 («gli onorari minimi sono, in via di principio, vincolanti»). Formula che non è andata giù al Consiglio nazionale forense e all'Oua, che hanno contestato questa e altre modifiche alla riforma del Cnf. Dunque marcia indietro da parte del comitato ristretto che ha nuovamente inserito il comma 5 sull'inderogabilità dei minimi ma ha cancellato il comma 9 sull'abolizione delle disposizioni del Bersani. Fra le altre novità del testo, importanti modifiche attendono l'accesso alla professione. Per mettere un freno alla crescita numerica di una categoria che ha già superato le 200 mila unità. L'articolato del ddl, infatti, riscrive a 360 gradi l'esercizio della professione partendo proprio dal tirocinio per il quale è previsto un test informatico di ingresso per l'iscrizione all'apposito registro. Tirocinio che resta di 24 mesi ma che prevede la contestuale frequenza obbligatoria di corsi di formazione di almeno 250 ore complessive. Ignazio Marino

domenica 13 settembre 2009

la cessione dell'alloggio a stranieri irregolari e la confisca dell'immobile

(16/03/2009)

La cessione dell'alloggio a stranieri irregolari e la confisca dell'immobile

Avv. Luigi Modaffari

Il c.d. “Decreto Sicurezza” ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova fattispecie di reato, finalizzata a reprimere e prevenire una forma di favoreggiamento al permanere sul territorio nazionale da parte di immigrati irregolari.
Con il suddetto provvedimento normativo, infatti, all'art.
12 del d. lgs. 286 del 1998 (“Testo Unico sull'Immigrazione”) si è aggiunto ilcomma 5-bis, salvo che il fatto costituisca un piu' grave reato, punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque cede a titolo oneroso un immobile di cui abbia la disponibilita' ad un cittadino straniero irregolarmente soggiornante nel territorio dello Stato. La condanna con provvedimento irrevocabile comporta la confisca dell'immobile, salvo che appartenga a persona estranea al reato.

La finalità della fattispecie

La finalità della figura si ravvisa nella necessità di eliminare quelle condizioni, quei presupposti che possono contribuire ad alimentare la permanenza sul nostro territorio nazionale dello straniero senza regolare permesso di soggiorno. Rientrano in tale ipotesi 1) gli extracomunitari clandestini entrati illegalmente o 2) quelli già espulsi 3) il comunitario allontanato dal territorio dello stato o 4)l'immigrato in genere che, a qualunque titolo, abbia fatto i scadere il permesso di soggiorno a tempo determinato.

L'elemento oggettivo

Si punisce specificatamente il dare alloggio e il cedere l'immobile a titolo di proprietà o di locazione. Con il “dare alloggio” ci si riferisce all'ipotesi in cui il “terzo” condivida la propria attuale abitazione con lo straniero irregolare.
Inoltre, si deve precisare che l'autore dell'illecito non necessariamente corrisponde con il
titolare dell'immobile, ma può essere sanzionato anche chi abbia agito in nome e per conto di quest'ultimo, quali per esempio, gli agenti o i mediatori immobiliari.

L'elemento soggettivo e consumazione

La norma richiede che la condotta del reo sia connotata dal dolo specifico, cioè dalla volontà e consapevolezza di dare alloggio o cedere un immobile all'irregolare, al fine di trarre un ingiusto profitto. Pertanto, il reo deve trarre un indebito e ingiusto vantaggio dalla condizione di straniero irregolare, imponendo per l'alloggio o per la cessione dell'immobile condizioni onerosissime ed illecitamente sproporzionate rispetto all'effettivo valore economico-commerciale.
Il reato si consuma nel momento in cui il reo ceda, per trarre un ingiusto vantaggio e ad indebitamente onerose condizioni, l'alloggio o il godimento un immobile allo straniero irregolare, in modo tale che questo possa permanere, o comunque continuare a permanere, irregolarmente sul territorio nazionale.

La confisca dell'immobile

Il Legislatore prevede che, nel caso di condanna irrevocabile per la commissione dell'illecito sopra descritto, si deve confiscare l'immobile in cui lo straniero è alloggiato o che a questo è stato ceduto.
Ovviamente,
la confisca non ha luogo nel caso in cui l'immobile appartenga a persona estranea al fatto. Tale ipotesi si verifica nel caso in cui l'immobile venga “subaffittato” a terzi, senza il consenso del proprietario. Riguardo all'istituto della confisca, questo viene disposto ed è disciplinato in base alla disposizione vigenti del c.p.p.. E' evidente che prima e strumentalmente alla confisca possa essere disposto il sequestro preventivo dell'immobile ai sensi dell'art. 321, 2 comma, c.p.p.

Un caso ricorrente nella pratica

Il provvedimento della confisca dell'immobile (o meglio del sequestro preventivo), nelle sue prime ipotesi di applicazione, è stato attuato anche quando l'immobile sia stato concesso in locazione ad un extracomunitario con regolare permesso di soggiorno, il quale, però, invece che risiedervi solo (lui stesso o con la sua famiglia), ceda in sub-locazione o dia alloggio ad un canone altissimo, sproporzionato, ad altri stranieri irregolari. Ai fini della confisca, però, deve sussistere il dolo specifico da parte del proprietario e pertanto, nel caso suddetto, l'immobile non può essere confiscato al proprietario in quanto estraneo ai fatti.
Pertanto, a fini cautelativi, è buona cosa trascrivere sui contratti di locazione la seguente frase:
il contratto si considera risolto nel caso in cui il conduttore dia alloggio ad immigrati clandestini commettendo così il reato ai sensi all'art. 12, comma 5-bis del d. lgs. 286 del 1998 (“Testo Unico sull'Immigrazione”).

Avv. AzzeccagarbugliPubblica post


la cessione dell'alloggio a stranieri irregolari e la confisca dell'immobile

(16/03/2009)

La cessione dell'alloggio a stranieri irregolari e la confisca dell'immobile

Avv. Luigi Modaffari

Il c.d. “Decreto Sicurezza” ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova fattispecie di reato, finalizzata a reprimere e prevenire una forma di favoreggiamento al permanere sul territorio nazionale da parte di immigrati irregolari.
Con il suddetto provvedimento normativo, infatti, all'art.
12 del d. lgs. 286 del 1998 (“Testo Unico sull'Immigrazione”) si è aggiunto ilcomma 5-bis, salvo che il fatto costituisca un piu' grave reato, punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque cede a titolo oneroso un immobile di cui abbia la disponibilita' ad un cittadino straniero irregolarmente soggiornante nel territorio dello Stato. La condanna con provvedimento irrevocabile comporta la confisca dell'immobile, salvo che appartenga a persona estranea al reato.

La finalità della fattispecie

La finalità della figura si ravvisa nella necessità di eliminare quelle condizioni, quei presupposti che possono contribuire ad alimentare la permanenza sul nostro territorio nazionale dello straniero senza regolare permesso di soggiorno. Rientrano in tale ipotesi 1) gli extracomunitari clandestini entrati illegalmente o 2) quelli già espulsi 3) il comunitario allontanato dal territorio dello stato o 4)l'immigrato in genere che, a qualunque titolo, abbia fatto i scadere il permesso di soggiorno a tempo determinato.

L'elemento oggettivo

Si punisce specificatamente il dare alloggio e il cedere l'immobile a titolo di proprietà o di locazione. Con il “dare alloggio” ci si riferisce all'ipotesi in cui il “terzo” condivida la propria attuale abitazione con lo straniero irregolare.
Inoltre, si deve precisare che l'autore dell'illecito non necessariamente corrisponde con il
titolare dell'immobile, ma può essere sanzionato anche chi abbia agito in nome e per conto di quest'ultimo, quali per esempio, gli agenti o i mediatori immobiliari.

L'elemento soggettivo e consumazione

La norma richiede che la condotta del reo sia connotata dal dolo specifico, cioè dalla volontà e consapevolezza di dare alloggio o cedere un immobile all'irregolare, al fine di trarre un ingiusto profitto. Pertanto, il reo deve trarre un indebito e ingiusto vantaggio dalla condizione di straniero irregolare, imponendo per l'alloggio o per la cessione dell'immobile condizioni onerosissime ed illecitamente sproporzionate rispetto all'effettivo valore economico-commerciale.
Il reato si consuma nel momento in cui il reo ceda, per trarre un ingiusto vantaggio e ad indebitamente onerose condizioni, l'alloggio o il godimento un immobile allo straniero irregolare, in modo tale che questo possa permanere, o comunque continuare a permanere, irregolarmente sul territorio nazionale.

La confisca dell'immobile

Il Legislatore prevede che, nel caso di condanna irrevocabile per la commissione dell'illecito sopra descritto, si deve confiscare l'immobile in cui lo straniero è alloggiato o che a questo è stato ceduto.
Ovviamente,
la confisca non ha luogo nel caso in cui l'immobile appartenga a persona estranea al fatto. Tale ipotesi si verifica nel caso in cui l'immobile venga “subaffittato” a terzi, senza il consenso del proprietario. Riguardo all'istituto della confisca, questo viene disposto ed è disciplinato in base alla disposizione vigenti del c.p.p.. E' evidente che prima e strumentalmente alla confisca possa essere disposto il sequestro preventivo dell'immobile ai sensi dell'art. 321, 2 comma, c.p.p.

Un caso ricorrente nella pratica

Il provvedimento della confisca dell'immobile (o meglio del sequestro preventivo), nelle sue prime ipotesi di applicazione, è stato attuato anche quando l'immobile sia stato concesso in locazione ad un extracomunitario con regolare permesso di soggiorno, il quale, però, invece che risiedervi solo (lui stesso o con la sua famiglia), ceda in sub-locazione o dia alloggio ad un canone altissimo, sproporzionato, ad altri stranieri irregolari. Ai fini della confisca, però, deve sussistere il dolo specifico da parte del proprietario e pertanto, nel caso suddetto, l'immobile non può essere confiscato al proprietario in quanto estraneo ai fatti.
Pertanto, a fini cautelativi, è buona cosa trascrivere sui contratti di locazione la seguente frase:
il contratto si considera risolto nel caso in cui il conduttore dia alloggio ad immigrati clandestini commettendo così il reato ai sensi all'art. 12, comma 5-bis del d. lgs. 286 del 1998 (“Testo Unico sull'Immigrazione”).

Avv. AzzeccagarbugliPubblica post


la responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni assunte dal condominio verso terzi non ha natura solidale

La responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni assunte dal condominio verso terzi non ha natura solidale.

Cass. civ., Sez. un., Sentenza 8 Aprile 2008 , n. 9148

Risolvendo un contrasto di giurisprudenza rispetto alla responsabilità solidale o "pro quota" dei condomini per le obbligazioni contratte dall'amministratore nell'interesse del condominio, le S.U. hanno ritenuto legittimo, facendo propria la tesi minoritaria, il principio della parziarietà, ossia della ripartizione tra i condomini delle obbligazioni assunte nell'interesse del condominio in proporzione alle rispettive quote. In particolare, la Corte ha sottolineato che: l'obbligazione, ancorché comune, è divisibile trattandosi di somma di denaro; la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e l'art. 1123 c.c. non distingue il profilo esterno da quello interno; l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote.

"Ritenuto che la solidarietà passiva, in linea di principio, esige la sussistenza non soltanto della pluralità dei debitori e della identica causa dell'obbligazione, ma altresì della indivisibilità della prestazione comune; che in mancanza di quest'ultimo requisito e in difetto di una espressa disposizione di legge, la intrinseca parziarietà della obbligazione prevale; considerato che l'obbligazione ascritta a tutti i condomini, ancorché comune, è divisibile, trattandosi di somma di danaro; che la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e che l'art. 1123 cit., interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno e quello interno; rilevato, infine, che - in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità - l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote: tutto ciò premesso, le obbligazioni e la susseguente responsabilità dei condomini sono governate dal criterio dalla parziarietà.
Ai singoli si imputano, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni assunte nel cosiddetto "interesse del condominio", in relazione alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza.
Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ., per le obbligazioni ereditarie, secondo cui i coeredi concorrono al pagamento dei debiti ereditali in proporzione alle loro quote e l'obbligazione in solido di uno dei condebitori tra gli eredi si ripartisce in proporzione alle quote ereditarie.

2.6 Il contratto, stipulato dall'amministratore rappresentante, in nome e nell'interesse dei condomini rappresentati e nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei rappresentati. Conseguita nel processo la condanna dell'amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore può procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno.
Per concludere, la soluzione, prescelta secondo i rigorosi principi di diritto che regolano le obbligazioni contrattuali comuni con pluralità di soggetti passivi, appare adeguata alle esigenze di giustizia sostanziale emergenti dalla realtà economica e sociale del condominio negli edifici.
Per la verità, la solidarietà avvantaggerebbe il creditore il quale, contrattando con l'amministratore del condominio, conosce la situazione della parte debitrice e può cautelarsi in vari modi; ma appare preferibile il criterio della parziarietà, che non costringe i debitori ad anticipare somme a volte rilevantissime in seguito alla scelta (inattesa) operata unilateralmente dal creditore. Allo stesso tempo, non si riscontrano ragioni di opportunità per posticipare la ripartizione del debito tra i condomini al tempo della rivalsa, piuttosto che attuarla al momento dell'adempimento."

la responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni assunte dal condominio verso terzi non ha natura solidale

La responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni assunte dal condominio verso terzi non ha natura solidale.

Cass. civ., Sez. un., Sentenza 8 Aprile 2008 , n. 9148

Risolvendo un contrasto di giurisprudenza rispetto alla responsabilità solidale o "pro quota" dei condomini per le obbligazioni contratte dall'amministratore nell'interesse del condominio, le S.U. hanno ritenuto legittimo, facendo propria la tesi minoritaria, il principio della parziarietà, ossia della ripartizione tra i condomini delle obbligazioni assunte nell'interesse del condominio in proporzione alle rispettive quote. In particolare, la Corte ha sottolineato che: l'obbligazione, ancorché comune, è divisibile trattandosi di somma di denaro; la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e l'art. 1123 c.c. non distingue il profilo esterno da quello interno; l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote.

"Ritenuto che la solidarietà passiva, in linea di principio, esige la sussistenza non soltanto della pluralità dei debitori e della identica causa dell'obbligazione, ma altresì della indivisibilità della prestazione comune; che in mancanza di quest'ultimo requisito e in difetto di una espressa disposizione di legge, la intrinseca parziarietà della obbligazione prevale; considerato che l'obbligazione ascritta a tutti i condomini, ancorché comune, è divisibile, trattandosi di somma di danaro; che la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e che l'art. 1123 cit., interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno e quello interno; rilevato, infine, che - in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità - l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote: tutto ciò premesso, le obbligazioni e la susseguente responsabilità dei condomini sono governate dal criterio dalla parziarietà.
Ai singoli si imputano, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni assunte nel cosiddetto "interesse del condominio", in relazione alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza.
Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ., per le obbligazioni ereditarie, secondo cui i coeredi concorrono al pagamento dei debiti ereditali in proporzione alle loro quote e l'obbligazione in solido di uno dei condebitori tra gli eredi si ripartisce in proporzione alle quote ereditarie.

2.6 Il contratto, stipulato dall'amministratore rappresentante, in nome e nell'interesse dei condomini rappresentati e nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei rappresentati. Conseguita nel processo la condanna dell'amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore può procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno.
Per concludere, la soluzione, prescelta secondo i rigorosi principi di diritto che regolano le obbligazioni contrattuali comuni con pluralità di soggetti passivi, appare adeguata alle esigenze di giustizia sostanziale emergenti dalla realtà economica e sociale del condominio negli edifici.
Per la verità, la solidarietà avvantaggerebbe il creditore il quale, contrattando con l'amministratore del condominio, conosce la situazione della parte debitrice e può cautelarsi in vari modi; ma appare preferibile il criterio della parziarietà, che non costringe i debitori ad anticipare somme a volte rilevantissime in seguito alla scelta (inattesa) operata unilateralmente dal creditore. Allo stesso tempo, non si riscontrano ragioni di opportunità per posticipare la ripartizione del debito tra i condomini al tempo della rivalsa, piuttosto che attuarla al momento dell'adempimento."

E' valida la delibera che indica i soli condomini contrari o astenuti

(10/09/2009)

L’indicazione dei soli condomini contrari o astenuti non rende nulla la delibera assembleare

Cassazione Civile, Sez. II, sentenza del 10 agosto 2009 n. 18192

In tema di delibere di assemblee condominiali, non è annullabile la delibera il cui verbale, ancorché non riporti l'indicazione nominativa dei condomini che hanno votato a favore, tuttavia contenga l'elenco di tutti i condomini presenti, personalmente o per delega, con i relativi millesimi, e nel contempo rechi l'indicazione, nominativa, dei condomini che si sono astenuti e che hanno votato contro e del valore complessivo delle quote millesimali di cui gli uni e gli altri sono portatori, perché tali dati consentono di stabilire con sicurezza, per differenza, (quanti e) quali condomini hanno espresso voto favorevole e il valore dell'edificio da essi rappresentato, nonché di verificare che la deliberazione stessa abbia in effetti superato il quorum richiesto dall'art. 1136 cod. civ.

E' valida la delibera che indica i soli condomini contrari o astenuti

(10/09/2009)

L’indicazione dei soli condomini contrari o astenuti non rende nulla la delibera assembleare

Cassazione Civile, Sez. II, sentenza del 10 agosto 2009 n. 18192

In tema di delibere di assemblee condominiali, non è annullabile la delibera il cui verbale, ancorché non riporti l'indicazione nominativa dei condomini che hanno votato a favore, tuttavia contenga l'elenco di tutti i condomini presenti, personalmente o per delega, con i relativi millesimi, e nel contempo rechi l'indicazione, nominativa, dei condomini che si sono astenuti e che hanno votato contro e del valore complessivo delle quote millesimali di cui gli uni e gli altri sono portatori, perché tali dati consentono di stabilire con sicurezza, per differenza, (quanti e) quali condomini hanno espresso voto favorevole e il valore dell'edificio da essi rappresentato, nonché di verificare che la deliberazione stessa abbia in effetti superato il quorum richiesto dall'art. 1136 cod. civ.

Comodato di immobili: casi pratici


Il comodato di immobili, “oneroso” o “modale” , caso pratico, mancato rilascio del bene immobile

Avv. Luigi Modaffari

Il comodato in generale; Il comodato “oneroso” o “modale”; Caso pratico: locazione o comodato?; Mancato rilascio del bene immobile concesso in comodato: che fare?

Il comodato in generale

Il contratto di comodato è regolato dall'art. 1803 c.c.. Tale disposizione, al I comma, prescrive che il comodato è il contratto col quale una parte consegna all'altra un bene mobile o immobile, affinchè se ne serva per un tempo o un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il II comma del medesimo articolo specifica che il comodato è un negozio essenzialmente gratuito.
Il comodato si perfeziona con la consegna della cosa ed ha carattere
obbligatorio, nel senso che il comodatario acquista solo ed esclusivamente un diritto personale all'uso del bene pattuito, in quanto non vi è mai il trasferimento della proprietà del bene concesso in uso. Poi, il comodato è caratterizzato dalla unilateralità, ovvero dal fatto per cui detto negozio sia connotato in genere dalla sussistenza di una obbligazione solo a carico del comodatario, il quale è tenuto a restituire il bene che ha in godimento. Infine, la fattispecie in esame non necessita di forma scritta nemmeno quando riguardi beni immobili.
Infine, il comodato può essere fattispecie a tempo determinato, nel senso che le parti prevedono la durata. Se no, tale rapporto, che si dice precario, viene meno quando uno dei contraenti prende l'iniziativa di interrompere il rapporto con un atto unilaterale.

Il comodato “oneroso” o “modale”

Il comodato è un negozio, come dice il II comma dell'art. 1803 c.c. gratuito.
Generalmente si ritiene che il negozio suddetto trovi la sua causa nel rapporto di cortesia e fiducia esistente tra le parti o nella volontà a sopperire ad un’esigenza altrui.
Come detto, uno degli elementi essenziali del comodato ex art 1803 II comma, sembrerebbe essere la
gratuità. Infatti la previsione di un corrispettivo sarebbe incompatibile con lo schema tipico del comodato, che, come ho detto, si basa sulla fiducia, sulla cortesia o su una esigenza temporanea del comodatario.
Tuttavia, la natura e la causa del negozio de quo non vengono meno nel caso in cui i contraenti si accordino per imporre un onere a carico del comodatario stesso.
Infatti, il carattere essenzialmente gratuito del comodato non viene meno per l'apposizione a carico del comodatario di un modus, di un onere, purchè esso non sia di consistenza tale da snaturare il rapporto contrattuale (Ex Multis: Cass. Civ. Sent. n. 485 del 2003).
In altre parole, è necessario che tale
modus non si ponga come corrispettivo del godimento della cosa ed assuma così la natura di una controprestazione. Inoltre, l'elemento della gratuità o della onerosità del contratto in esame deve valutarsi avuto riguardo alla causa del contratto stesso, intesa come funzione economico-sociale che il medesimo è destinato obbiettivamente ad adempiere.

Caso pratico: locazione o comodato?

Nella realtà quotidiana a volte capita che il titolare di un appartamento lo ceda in uso temporaneo ad un altra persona, senza stipulare per iscritto alcun contratto, senza registrazione, senza predeterminare la durata di tale godimento ma con la previsione di una somma che l'altro deve corrispondere mensilmente al titolare stesso dell'immobile. Ora, proprio alla luce della diffusione di tale “pratica”, è necessario valutare se detta fattispecie sia giuridicamente ascrivibile o al contratto di comodato ex art. 1803 c.c. o alla locazione ex art. 1571 c.c.. L'elemento che contraddistingue tale figure, per certi versi assai simili e per altri assai differenti, al di là del nomen juris utilizzato dai contraenti per qualificare detto negozio, è la previsione, a carico di chi ha il godimento materiale dell'immobile, del pagamento di una somma a titolo diCORRISPETTIVO.
Infatti, proprio con particolare riferimento alla cessione del godimento di un immobile ad uso abitativo, la
Suprema Corte ha stabilito che la configurabilità di un rapporto di comodato non è esclusa della circostanza che il cessionario sia tenuto al versamento di una somma periodica a titolo di rimborso spese, ove detto contributo si mantenga nei limiti del modus, il quale è compatibile col carattere di essenziale gratuità del comodato medesimo, e non integra una controprestazione a vantaggio del concedete (Cass. Civ. Sent. n. 4976 del 1997; Cass. Civ. Sent. n. 3021 del 2001; Cass. Civ. Sent. n. 2091 del 1985).
Alla luce del suddetto consolidato orientamento giurisprudenziale, la fattispecie concreta sopra descritta sarà ascrivibile alla locazione, quando la somma richiesta a colui che ha il godimento del bene integri una vero e proprio corrispettivo, cioè la controprestazione verso, per l'appunto, il godimento altrui del bene considerato, come per esempio, un cano di locazione vero e proprio.
In caso contrario, nell'eventualità per cui la somma richiesta per il godimento del bene sia di lievissima entità, simbolica, fuori dal mercato, e quindi non integri una vera e propria controprestazione o un corrispettivo, la fattispecie concreta sarà qualificabile come comodato modale. Quindi, riconducendoci al nostro esempio di comodato d'immobile, il “canone” avrà un importo molto basso, quasi simbolico, fuori dal mercato locatizio.

Mancato rilascio del bene immobile concesso in comodato: che fare?

Allora, in tale ipotesi è necessario distinguere il caso in cui sia previsto il termine per il rilascio o meno (in questo caso il comodato si dice precario). Nel primo, nulla questio, nel senso che sarà sufficiente attendere il decorso di tale termine, magari (è sempre meglio) inviando a tempo debito una raccomandata A.R. con cui si intima il rilascio.
In tale eventualità, nel caso in cui il comodatario non voglia rilasciare l'immobile, il proprietario può agire con normale citazione o ricorso ex art. 447bis cpc (in teoria questo seconda ipotesi avrebbe dovuto essere più breve come tempi di giustizia, ma in pratica le azioni si equivalgono) Nel secondo caso, invece, la questione è più delicata, perchè il potere di cessare tale rapporto di comodato è riconosciuto all'iniziativa delle parti, le quali, quando lo vorranno e rispettando i normali tempi di disdetta, potranno fare venire meno il rapporto.
Infatti, sempre in tale ipotesi, se il comodatario non restituirà l'immobile, il rapporto si trasforma da comodato in occupazione senza titolo.
Sul punto la Cassazione è chiarissima, in quanto in un ormai consolidato orientamento afferma che
la figura del "precario" ovvero del "comodato precario" (art. 1810 c.c.) si caratterizza per la previsione che la scadenza della validità del vincolo dipende potestativamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare "ad nutum" mediante richiesta di restituzione del bene. Tale richiesta determina l'immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità e al godimento della cosa, con la conseguenza che una volta sciolto per iniziativa unilaterale del comodante il vincolo contrattuale, il comodatario che rifiuti la restituzione della cosa, viene ad assumere la posizione di detentore "sine titulo" e quindi abusivo del bene altrui, salvo che dimostri di poterne disporne in base ad altro rapporto diverso dal precario (Cass civ. 6987/00)
Il proprietario, ancora, può ottenere il rilascio agendo con normale citazione o ricorso ex art. 447bis cpc.
Tuttavia, sopratutto in tale ipotesi, un orientamento di merito, peraltro minoritario, ritiene esperibile la liberazione dell'immobile tramite il provvedimento d'urgenza ex art. 700 cpc (Trib. Ivrea, 12/08/2004; Pret. Sorrento 25/07/1981 ecc...)
Infine, in entrambi i casi il proprietario-comodante può ottenere oltre al risarcimento danni per il mancato rilascio “tempestivo”, anche il risarcimento danni per lite temeraria ex art 96 cpc. Infatti, il Tribunale di Brescia con Sent. 1010/06 ha riconosciuto
come fondata e deve essere accolta la domanda di risarcimento danni ex art. 96 cpc. nei confronti del possessore senza titolo che rifiuti di restituire l'immobile al suo legittimo proprietario solamente perche' questi, pur avendo ottenuto la risoluzione del contratto in forza del quale il possessore aveva ottenuto la disponibilita' dell'immobile, non ha ancora un titolo per ottenere la consegna del bene.

Avv. Luigi Modaffari


Comodato di immobili: casi pratici


Il comodato di immobili, “oneroso” o “modale” , caso pratico, mancato rilascio del bene immobile

Avv. Luigi Modaffari

Il comodato in generale; Il comodato “oneroso” o “modale”; Caso pratico: locazione o comodato?; Mancato rilascio del bene immobile concesso in comodato: che fare?

Il comodato in generale

Il contratto di comodato è regolato dall'art. 1803 c.c.. Tale disposizione, al I comma, prescrive che il comodato è il contratto col quale una parte consegna all'altra un bene mobile o immobile, affinchè se ne serva per un tempo o un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il II comma del medesimo articolo specifica che il comodato è un negozio essenzialmente gratuito.
Il comodato si perfeziona con la consegna della cosa ed ha carattere
obbligatorio, nel senso che il comodatario acquista solo ed esclusivamente un diritto personale all'uso del bene pattuito, in quanto non vi è mai il trasferimento della proprietà del bene concesso in uso. Poi, il comodato è caratterizzato dalla unilateralità, ovvero dal fatto per cui detto negozio sia connotato in genere dalla sussistenza di una obbligazione solo a carico del comodatario, il quale è tenuto a restituire il bene che ha in godimento. Infine, la fattispecie in esame non necessita di forma scritta nemmeno quando riguardi beni immobili.
Infine, il comodato può essere fattispecie a tempo determinato, nel senso che le parti prevedono la durata. Se no, tale rapporto, che si dice precario, viene meno quando uno dei contraenti prende l'iniziativa di interrompere il rapporto con un atto unilaterale.

Il comodato “oneroso” o “modale”

Il comodato è un negozio, come dice il II comma dell'art. 1803 c.c. gratuito.
Generalmente si ritiene che il negozio suddetto trovi la sua causa nel rapporto di cortesia e fiducia esistente tra le parti o nella volontà a sopperire ad un’esigenza altrui.
Come detto, uno degli elementi essenziali del comodato ex art 1803 II comma, sembrerebbe essere la
gratuità. Infatti la previsione di un corrispettivo sarebbe incompatibile con lo schema tipico del comodato, che, come ho detto, si basa sulla fiducia, sulla cortesia o su una esigenza temporanea del comodatario.
Tuttavia, la natura e la causa del negozio de quo non vengono meno nel caso in cui i contraenti si accordino per imporre un onere a carico del comodatario stesso.
Infatti, il carattere essenzialmente gratuito del comodato non viene meno per l'apposizione a carico del comodatario di un modus, di un onere, purchè esso non sia di consistenza tale da snaturare il rapporto contrattuale (Ex Multis: Cass. Civ. Sent. n. 485 del 2003).
In altre parole, è necessario che tale
modus non si ponga come corrispettivo del godimento della cosa ed assuma così la natura di una controprestazione. Inoltre, l'elemento della gratuità o della onerosità del contratto in esame deve valutarsi avuto riguardo alla causa del contratto stesso, intesa come funzione economico-sociale che il medesimo è destinato obbiettivamente ad adempiere.

Caso pratico: locazione o comodato?

Nella realtà quotidiana a volte capita che il titolare di un appartamento lo ceda in uso temporaneo ad un altra persona, senza stipulare per iscritto alcun contratto, senza registrazione, senza predeterminare la durata di tale godimento ma con la previsione di una somma che l'altro deve corrispondere mensilmente al titolare stesso dell'immobile. Ora, proprio alla luce della diffusione di tale “pratica”, è necessario valutare se detta fattispecie sia giuridicamente ascrivibile o al contratto di comodato ex art. 1803 c.c. o alla locazione ex art. 1571 c.c.. L'elemento che contraddistingue tale figure, per certi versi assai simili e per altri assai differenti, al di là del nomen juris utilizzato dai contraenti per qualificare detto negozio, è la previsione, a carico di chi ha il godimento materiale dell'immobile, del pagamento di una somma a titolo diCORRISPETTIVO.
Infatti, proprio con particolare riferimento alla cessione del godimento di un immobile ad uso abitativo, la
Suprema Corte ha stabilito che la configurabilità di un rapporto di comodato non è esclusa della circostanza che il cessionario sia tenuto al versamento di una somma periodica a titolo di rimborso spese, ove detto contributo si mantenga nei limiti del modus, il quale è compatibile col carattere di essenziale gratuità del comodato medesimo, e non integra una controprestazione a vantaggio del concedete (Cass. Civ. Sent. n. 4976 del 1997; Cass. Civ. Sent. n. 3021 del 2001; Cass. Civ. Sent. n. 2091 del 1985).
Alla luce del suddetto consolidato orientamento giurisprudenziale, la fattispecie concreta sopra descritta sarà ascrivibile alla locazione, quando la somma richiesta a colui che ha il godimento del bene integri una vero e proprio corrispettivo, cioè la controprestazione verso, per l'appunto, il godimento altrui del bene considerato, come per esempio, un cano di locazione vero e proprio.
In caso contrario, nell'eventualità per cui la somma richiesta per il godimento del bene sia di lievissima entità, simbolica, fuori dal mercato, e quindi non integri una vera e propria controprestazione o un corrispettivo, la fattispecie concreta sarà qualificabile come comodato modale. Quindi, riconducendoci al nostro esempio di comodato d'immobile, il “canone” avrà un importo molto basso, quasi simbolico, fuori dal mercato locatizio.

Mancato rilascio del bene immobile concesso in comodato: che fare?

Allora, in tale ipotesi è necessario distinguere il caso in cui sia previsto il termine per il rilascio o meno (in questo caso il comodato si dice precario). Nel primo, nulla questio, nel senso che sarà sufficiente attendere il decorso di tale termine, magari (è sempre meglio) inviando a tempo debito una raccomandata A.R. con cui si intima il rilascio.
In tale eventualità, nel caso in cui il comodatario non voglia rilasciare l'immobile, il proprietario può agire con normale citazione o ricorso ex art. 447bis cpc (in teoria questo seconda ipotesi avrebbe dovuto essere più breve come tempi di giustizia, ma in pratica le azioni si equivalgono) Nel secondo caso, invece, la questione è più delicata, perchè il potere di cessare tale rapporto di comodato è riconosciuto all'iniziativa delle parti, le quali, quando lo vorranno e rispettando i normali tempi di disdetta, potranno fare venire meno il rapporto.
Infatti, sempre in tale ipotesi, se il comodatario non restituirà l'immobile, il rapporto si trasforma da comodato in occupazione senza titolo.
Sul punto la Cassazione è chiarissima, in quanto in un ormai consolidato orientamento afferma che
la figura del "precario" ovvero del "comodato precario" (art. 1810 c.c.) si caratterizza per la previsione che la scadenza della validità del vincolo dipende potestativamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare "ad nutum" mediante richiesta di restituzione del bene. Tale richiesta determina l'immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità e al godimento della cosa, con la conseguenza che una volta sciolto per iniziativa unilaterale del comodante il vincolo contrattuale, il comodatario che rifiuti la restituzione della cosa, viene ad assumere la posizione di detentore "sine titulo" e quindi abusivo del bene altrui, salvo che dimostri di poterne disporne in base ad altro rapporto diverso dal precario (Cass civ. 6987/00)
Il proprietario, ancora, può ottenere il rilascio agendo con normale citazione o ricorso ex art. 447bis cpc.
Tuttavia, sopratutto in tale ipotesi, un orientamento di merito, peraltro minoritario, ritiene esperibile la liberazione dell'immobile tramite il provvedimento d'urgenza ex art. 700 cpc (Trib. Ivrea, 12/08/2004; Pret. Sorrento 25/07/1981 ecc...)
Infine, in entrambi i casi il proprietario-comodante può ottenere oltre al risarcimento danni per il mancato rilascio “tempestivo”, anche il risarcimento danni per lite temeraria ex art 96 cpc. Infatti, il Tribunale di Brescia con Sent. 1010/06 ha riconosciuto
come fondata e deve essere accolta la domanda di risarcimento danni ex art. 96 cpc. nei confronti del possessore senza titolo che rifiuti di restituire l'immobile al suo legittimo proprietario solamente perche' questi, pur avendo ottenuto la risoluzione del contratto in forza del quale il possessore aveva ottenuto la disponibilita' dell'immobile, non ha ancora un titolo per ottenere la consegna del bene.

Avv. Luigi Modaffari


mancato rilascio di autorizzazione commerciale. quando il locatore non è responsabile

(10/09/2009)

Responsabilità del locatore in caso di mancato rilascio di autorizzazione commerciale

Avv. Luigi Modaffari

Nel caso di locazione di immobili ad uso commerciale, il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d'uso dei beni immobili non è di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto locatizio, sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene secondo la destinazione d'uso convenuta.
E' responsabile del mancato rilascio delle stesse il locatore nei confronti del conduttore quando la destinazione particolare dell'immobile in conformità alle richieste autorizzazioni, concessioni o licenze amministrative abbia costituito il contenuto del suo obbligo specifico di garantire il pacifico godimento dell'immobile in rapporto all'uso convenuto.
Così si è pronunciata la Cassazione nella recente Sentenza del 27 marzo 2009 n. 7550
Con tale pronuncia, la Suprema Corte ottempera all'orientamento predominante già affermato con le precedenti Sentenze Cass. civ., Sez. III, 17/01/2007, n. 975, Cass. civ., Sez. III, 21/12/2004 e n. 23695 Cass. civ., Sez. III, 12/09/2000, n. 12030.

Pertanto, a seguito del mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d'uso dei beni immobili commerciali, sebbene ciò non sia di ostacolo alla valida costituzione del rapporto locatizio, nel caso di apposita pattuizione e nella ipotesi in cui il provvedimento amministrativo necessario per la destinazione d'uso convenuta sia stato definitivamente negato al conduttore, è riconosciuta la facoltà a questo di chiedere la risoluzione del contratto, oltre al risarcimento del danno patito. Danno che dovrà essere dimostrato in giudizio con idonea prova documentale.

D'altro canto, per fare sorgere in capo al locatore tale responsabilità è necessario che vi sia un apposita specifica pattuizione. Infatti, inserire nel contratto solo la menzione alla destinazione d'uso prevista per l'immobile non è sufficiente: senza particolari pattuizione ad hoc, non può ritenersi inadempiente il locatore, ai sensi dell'art. 1575, n. 2, c. c., per il mancato rilascio della licenza di esercizio del locale concesso in fitto e per la mancata modifica condominiale della destinazione di detto locale (Cass. civ., 19/04/1982, n. 2427).
Invero, in genere, salvo che non sia disposto differentemente, non rientra tra le obbligazioni del locatore verificare, nei modi richiesti dall'autorità amministrativa competente al rilascio della licenza, l'idoneità dell'immobile all'uso previsto (tra le tante: Cass. civ., 13/11/1973, n. 3011).

Avv. Luigi Modaffari


mancato rilascio di autorizzazione commerciale. quando il locatore non è responsabile

(10/09/2009)

Responsabilità del locatore in caso di mancato rilascio di autorizzazione commerciale

Avv. Luigi Modaffari

Nel caso di locazione di immobili ad uso commerciale, il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d'uso dei beni immobili non è di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto locatizio, sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene secondo la destinazione d'uso convenuta.
E' responsabile del mancato rilascio delle stesse il locatore nei confronti del conduttore quando la destinazione particolare dell'immobile in conformità alle richieste autorizzazioni, concessioni o licenze amministrative abbia costituito il contenuto del suo obbligo specifico di garantire il pacifico godimento dell'immobile in rapporto all'uso convenuto.
Così si è pronunciata la Cassazione nella recente Sentenza del 27 marzo 2009 n. 7550
Con tale pronuncia, la Suprema Corte ottempera all'orientamento predominante già affermato con le precedenti Sentenze Cass. civ., Sez. III, 17/01/2007, n. 975, Cass. civ., Sez. III, 21/12/2004 e n. 23695 Cass. civ., Sez. III, 12/09/2000, n. 12030.

Pertanto, a seguito del mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d'uso dei beni immobili commerciali, sebbene ciò non sia di ostacolo alla valida costituzione del rapporto locatizio, nel caso di apposita pattuizione e nella ipotesi in cui il provvedimento amministrativo necessario per la destinazione d'uso convenuta sia stato definitivamente negato al conduttore, è riconosciuta la facoltà a questo di chiedere la risoluzione del contratto, oltre al risarcimento del danno patito. Danno che dovrà essere dimostrato in giudizio con idonea prova documentale.

D'altro canto, per fare sorgere in capo al locatore tale responsabilità è necessario che vi sia un apposita specifica pattuizione. Infatti, inserire nel contratto solo la menzione alla destinazione d'uso prevista per l'immobile non è sufficiente: senza particolari pattuizione ad hoc, non può ritenersi inadempiente il locatore, ai sensi dell'art. 1575, n. 2, c. c., per il mancato rilascio della licenza di esercizio del locale concesso in fitto e per la mancata modifica condominiale della destinazione di detto locale (Cass. civ., 19/04/1982, n. 2427).
Invero, in genere, salvo che non sia disposto differentemente, non rientra tra le obbligazioni del locatore verificare, nei modi richiesti dall'autorità amministrativa competente al rilascio della licenza, l'idoneità dell'immobile all'uso previsto (tra le tante: Cass. civ., 13/11/1973, n. 3011).

Avv. Luigi Modaffari


Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...