19.03.2009
Gli effetti della “nuova” cornice edittale
Gli effetti della “nuova” cornice edittale
L’accorpamento, sotto il profilo sanzionatorio, di droghe “leggere” e droghe “pesanti” esclude la sussistenza del reato continuato nel caso di spaccio di sostanze diversa natura.
Cassazione penale Sentenza, Sez. VI, 04/03/2009, n. 9874
Tra gli elementi di novità introdotti dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, che ha inciso sull’apparato repressivo previsto contro il traffico di sostanze stupefacenti, vi è l’abolizione della distinzione tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”.
A differenza della disciplina previgente, non solo le sostanze classificate come stupefacenti sono indistintamente raggruppate nell’art. 14 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ma è stata cancellata la differenziazione in precedenza prevista dall’art. 73, che prevedeva cornici edittali distinte, rispettivamente considerate al comma 1 e al comma 4, a seconda che le condotte ivi considerate avessero ad oggetto, appunto, droghe “pesanti” (reclusione da otto a venti anni e multa da 25.822 a 258.228 euro) ovvero droghe “leggere” (reclusione da due a sei anni e multa da 5.164 77.468 euro).
Tale differenziazione si rispecchiava anche nella previsione della circostanza attenuante considerata dal comma 5, che puniva i fatti di “lieve entità”: reclusione da uno sei anni e multa da 2.582 a 25.822 euro per le droghe “pesanti”; reclusione da sei mesi a quattro anni e multa da 1.032 a 10.329 per le droghe “leggere”.
A seguito della modiche introdotte dalla L. n. 29 del 2006, la cornice edittale fissata dal comma 1 dell’art. 73 è ora unica: il massimo previsto per la pena detentiva rimane invariato (venti anni), mentre il minimo scende da otto a sei anni; la pena pecuniaria rimane invece sostanzialmente inalterata.
Parimenti, il comma 5 – che continua a prevedere una circostanza ad effetto speciale per i casi di “lieve entità” – scolpisce un’unica cornice edittale (reclusione da uno a sei anni e multa da 3.000 a 26.000 euro). In precedenza, pertanto, nel caso di cui il soggetto detenesse a fine di spaccio sostanze sia “pesanti”, sia “leggere”, la giurisprudenza prevalente applicava la disciplina del reato continuato, proprio in considerazione della diversa pena prevista per le due ipotesi.
Venuta meno, sul piano normativo, la distinzione tra i due tipi di droga, oggi tale disciplina non è più applicabile, essendo configurabile un solo reato.
Quid iuris nel caso di condanne inflitte per la detenzione a fine di spaccio di più sostanze, ai sensi della pregressa normativa? E’ proprio il caso affrontato e risolto dalla sentenza in esame.
La Cassazione ha dato atto che la riforma del 2006, sopprimendo la distinzione gabellare tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”, «ha necessariamente mutato il trattamento sanzionatorio da riservarsi a chi illegalmente detiene sostanze stupefacenti di tipo e natura diversi»; in particolare, con riguardo al caso di detenzione di sostanze diverse, «l’avvenuta assimilazione delle sostanze impone, dunque, di ritenere che nel caso anzidetto il reato sia ora unico, con la possibilità che il concreto trattamento sanzionatorio sia più favorevole rispetto al passato».
E tuttavia, si affretta precisare la Cassazione, non è affatto automatico che l’avvenuta modifica in melius, prevista in astratto, si traduca, in concreto, in una pena più mite: «non è da escludere che il giudice di appello - nel nuovo giudizio e con adeguata valutazione della vicenda - possa ritenere equamente commisurata, rispetto al caso concreto, la pena irrogata dal giudice di primo grado, ritenendo che l’imputato, avuto riguardo alla sua personalità e alla gravità del fatto (sulla quale incide necessariamente il tipo di sostanza oggetto del medesimo) non sia meritevole di un più mite trattamento sanzionatorio».
Del resto, nonostante l’avvenuta parificazione, a livello sanzionatorio, nella medesima cornice edittale, la distinzione tra droghe “leggere” e “pesanti” continua ad assumere un peso decisivo in sede di determinazione, in concreto, del trattamento punitivo, come peraltro imposto dall’art. 133, comma 1, n. 1 c.p. che, tra gli elementi da considerare in sede di commisurazione della pena, dà rilievo anche all’oggetto dell’azione.
Lo sottolinea la stessa Corte: «non può, invero, trascurarsi che il mutamento della cornice edittale è correlato anche all'avvenuto accorpamento, quale oggetto materiale delle attività penalmente sanzionate dalla disposizione in esame, di sostanze di tipo diverso, rispetto alle quali era in precedenza prevista - come sopra si è visto - non solo la riconducibilità a diverse tabelle di appartenenza (unica è ora la tabella in cui sono elencate le sostanze vietate), ma anche un trattamento sanzionatorio sensibilmente diverso, sintomatico della loro profonda incidenza sul disvalore penale del fatto».
Se, quindi, rispetto alla disciplina previgente, non è più ravvisabile la continuazione interna, tuttavia la detenzione di più sostanze incide sulla determinazione della pena, ai sensi dell’art. 133 c.p.; il “risparmio” di pena, derivante dall’aumento a titolo di continuazione, viene perciò “vanificato” in sede di commisurazione della pena.
Stefano Corbetta
Tratto da Quotidiano Ipsoa 2009