mercoledì 21 luglio 2010

L’art. 151 disp. att. c.p.c. e la riunibilità delle “cause seriali”

Articolo di Cataldo Bevacqua 19.01.2010 
Cataldo Bevacqua
L’art. 151 disp. att. c.p.c. e la riunibilità delle "cause seriali"
di Cataldo Bevacqua
In base all’art. 151 disp. att. c.p.c., per come novellato dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, “la riunione, ai sensi dell'articolo 274 del codice, dei procedimenti relativi a controversie in materia di lavoro e di previdenza e di assistenza e a controversie dinanzi al giudice di pace, connesse anche soltanto per identità delle questioni dalla cui risoluzione dipende, totalmente o parzialmente, la loro decisione, deve essere sempre disposta dal giudice, tranne nelle ipotesi che essa renda troppo gravoso o comunque ritardi eccessivamente il processo. In queste ipotesi la riunione, salvo gravi e motivate ragioni, è, comunque, disposta tra le controversie che si trovano nella stessa fase processuale. Analogamente si provvede nel giudizio di appello. Le competenze e gli onorari saranno ridotti in considerazione dell'unitaria trattazione delle controversie riunite”.
La Relazione allo schema del Decreto Legislativo su citato, il quale ha modificato il primo comma dell’articolo in esame, ci offre un interessante indirizzo interpretativo della novellata disposizione codicistica.
“E’ prevista”, afferma la Relazione,” la modifica dell'art. 151, modifica finalizzata ad estendere alle controversie davanti al giudice di pace la previsione che impone oggi al giudice, nelle controversie in materia di lavoro, di previdenza e di assistenza, la riunione dei procedimenti aventi carattere seriale o comunque connessi anche soltanto per identità delle questioni dalla cui risoluzione dipende la decisione”.
”Anche questa innovazione”, continua la Relazione “ha dunque come obiettivo quello di preservare la funzione nomofilattica, nel senso di contenere quantitativamente l'accesso alla Corte. Detta soluzione, sperimentata efficacemente nel processo del lavoro, oltre ad evitare, anche per le cause promosse davanti al giudice di pace, la spesso fittizia e strumentale moltiplicazione dei procedimenti, consentirà infatti la proposizione di un più ridotto numero di ricorsi per cassazione”.
”L'intervento sull'art. 151 disp. att. c.p.c.”, conclude la Relazione, “è poi completato con altre due nuove previsioni: l'una rende più cogente l'obbligo di riunione, prevedendo che la facoltà del giudice di non disporre la riunione quando essa renda troppo gravoso o comunque ritardi eccessivamente il processo, non possa essere esercitata, salve gravi e motivate ragioni, quando le controversie da riunire si trovino nella medesima fase processuale; l'altra, che estende l'obbligo di riunione al giudizio d'appello”.
La finalità sottesa all’intervento legislativo è, quindi, duplice: contenere “la fittizia e strumentale moltiplicazione dei procedimenti”, “anche per le cause promosse davanti al giudice di pace”; preservare la funzione nomofilattica della Suprema Corte, limitando numericamente le possibilità di ricorrere in Cassazione.
Al fine di rendere particolarmente penetrante l’obbligo di riunire i procedimenti connessi, il legislatore, inoltre, prevede innovativamente che il giudice di pace (come anche il giudice del lavoro) possa denegare la riunione dei procedimenti seriali che si trovino nella stessa fase processuale solo ove sussistano “gravi e motivate ragioni”, a differenza di quanto avveniva durante la previgente normativa, allorquando (e soltanto per i procedimenti instaurati dinanzi al Tribunale del lavoro) al giudice era offerta la possibilità di non disporre la riunione in tutti quei casi la stessa rendesse troppo gravoso o comunque ritardasse eccessivamente il processo.
Non solo. In base alla novella l’obbligo di riunione è esteso anche al giudizio di appello, di talchè il giudice del gravame, ove si presentino al suo cospetto più cause connesse anche soltanto per identità delle questioni da risolvere preventivamente, è tenuto a disporne la riunione, secondo le condizioni e i limiti, già esaminati, imposti ai giudici di pace ed ai tribunali del lavoro.
Un particolare profilo di interesse per le parti è rappresentato dall’altro precetto contenuto nel citato art. 151 disp. att. c.p.c. (oggi, a seguito della novella, applicabile anche ai giudizi seriali incardinati dinanzi al giudice di pace) secondo il quale, in caso di riunione, le competenze e gli onorari sono ridotti in considerazione dell’unitaria trattazione delle cause. Quindi, mentre - ove i diversi procedimenti restino separati - la parte soccombente va condannata al rimborso delle spese processuali calcolate per intero per ciascuna causa, a seguito della riunione la stessa parte è condannata al pagamento di spese processuali per un ammontare ridotto rispetto a quella che sarebbe la somma delle singole liquidazioni per ogni singola controversia, con un evidente risparmio dei costi.
L’art. 151 disp. att. c.p.c. va necessariamente coordinato con l’art. 274 c.p.c., al quale rimanda.
In base alla generale regola dettata dall’art. 274 c.p.c., se più procedimenti connessi pendono dinanzi allo stesso giudice questi, anche d’ufficio, può disporne la riunione; nel caso in cui, poi, cause connesse pendano davanti a giudici diversi appartenenti allo stesso ufficio giudiziario, il dirigente dell’ufficio - debitamente notiziato -, sentite le parti, può ordinare con decreto che le cause siano chiamate davanti allo stesso giudice per i provvedimenti opportuni (che oggi, quanto meno per i giudizi cd. seriali incardinati dinanzi al giudice di pace ed al giudice del lavoro, non possono che essere rappresentati obbligatoriamente da ordinanze riunitive, tranne che, nell’ipotesi in cui i diversi procedimenti non si situino nella stessa fase processuale, la riunione renda troppo gravoso o comunque ritardi eccessivamente il processo, oppure ancora, nel caso in cui i procedimenti si trovino nella medesima fase processuale, vi siano gravi e motivate ragioni che ostino all’emanazione di un provvedimento teso a disporne la riunione).
Appare interessante, in subiecta materia, leggere quanto è scritto nella relazione “Le verifiche e i controlli preliminari della fase introduttiva”, a firma Mauro Criscuolo, presentata in occasione dell’incontro di studi “ Il punto sul rito civile” , organizzato dal C.S.M., Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale: “Occorre oggi fare i conti con il novellato art. 151 disp. att. c.p.c., così come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006… E’ evidente che la norma impone la riunione anche in appello degli appelli avverso le sentenze del giudice di pace aventi ad oggetto questioni seriali (si pensi ad esempio al contenzioso in tema di diritto al compenso in favore dei messi comunali per la consegna dei certificati elettorali, ovvero al rimborso dei premi assicurativi, o ancora alla determinazione dell’aliquota IVA per il consumo di gas destinato ad uso promiscuo). Occorre chiedersi se, soprattutto nel caso di contenzioso che veda introdotte cause in numero rilevante, per la riunione occorra avere riguardo alle cause pendenti innanzi ad un singolo giudice ovvero all’ufficio giudiziario nel suo complesso, in quanto sebbene la norma sembri deporre in quest’ultimo senso, ciò potrebbe determinare dei seri problemi circa l’effettiva gestione di una sorta di maxi-processo”.
Un serio ostacolo ad una efficace applicazione delle disposizioni contenute nel nuovo art. 151 disp. att. c.p.c., è costituito dal fatto che la normativa non prevede (analogamente a quanto succedeva sotto la vigenza del previgente art. 151 disp. att.) sanzioni di nullità processuale degli atti successivi in caso di mancata riunione.
Sul punto, bisogna rifarsi alla costante giurisprudenza in subiecta materia, vigente la vecchia formulazione dell’art. 151 disp. att. c.p.c..
Cassazione civile, sez. lav., sentenza 21 dicembre 2001, n. 16152 così sentenzia: “La mancata riunione di cause in materia di lavoro o previdenza o assistenza obbligatorie connesse anche soltanto per identità delle questioni, a norma dell'art. 151 disp. att. c.p.c., non e' deducibile di per sé in cassazione sia perché la mancata osservanza della disposizione non è prevista dalla legge come causa di nullità processuale estesa agli atti successivi, sia perché la decisione relativa alla riunione implica valutazioni discrezionali relativamente alla prevista esclusione dell'obbligo di riunione nell'ipotesi in cui questa renda troppo gravoso o comunque ritardi eccessivamente il processo (che, come tale, non richiede espressa e specifica motivazione). D'altra parte va considerato che le finalità cui e' diretta la citata norma - di economia processuale e di uniformità delle decisioni relative a casi identici - possono utilmente essere perseguite anche attraverso la trattazione di più cause riunibili nella medesima udienza e davanti allo stesso giudice, verificandosi in tale evenienza una situazione sostanzialmente assimilabile a quella del simultaneus processus in senso tecnico”.
Vi è, però, che oggi, grazie alla novella legislativa, è radicalmente cambiata la ratio legis sottesa alla disciplina in materia di riunione di procedimenti connessi.
Uno degli obiettivi prioritari cui è indirizzata la normativa ex art. 151 disp. att. c.p.c., appare essere ictu oculi il contenimento del ricorso alle cause seriali, obiettivo che il legislatore vuole pre-posto anche alle esigenze di celerità e di economia processuale.
Suffragano tale interpretazione il riferimento, contenuto nella citata Relazione illustrativa, alla “fittizia e strumentale moltiplicazione dei procedimenti”, chiaramente evocativo del fenomeno delle cause seriali, ed il fatto che, nell’attuale disciplina, il giudice deve necessariamente disporre la riunione, ove i procedimenti si trovino nella medesima fase processuale, anche se la stessa possa rendere troppo gravoso o comunque ritardare eccessivamente il processo
E infatti, se tra le finalità cui è indirizzata la norma oggi vigente, vi è quella di raggiungere un sensibile decremento del numero delle cause seriali, essa finalità verrebbe sostanzialmente vulnerata e vanificata ove i giudici di pace e del lavoro, in ossequio all’indirizzo interpretativo espresso dalla succitata sentenza della Suprema Corte nella vigenza della vecchia formulazione dell’art. 151 disp. att. c.p.c., decidessero di non disporre la riunione, limitandosi ad ordinare la trattazione nella medesima udienza, davanti allo stesso giudice, di più cause riunibili, in quanto, in siffatte evenienze, il numero di procedimenti in corso rimarrebbe del tutto invariato e non si raggiungerebbe affatto l’obiettivo di produrre una sensibile deflazione delle cause seriali.
V’è da dire, inoltre, che il forte restringimento dell’area discrezionale a disposizione dei giudici nelle decisioni riguardanti le riunioni dei procedimenti, e l’obbligatorietà della motivazione (“gravi e motivate ragioni”) in caso di provvedimenti denegativi assunti pur sussistendo il requisito previsto della identità della fase processuale, potrebbero determinare la sottoponibilità delle statuizioni dei giudici di merito (anche d’appello, in base alla novella) a censure dinanzi alla Corte di Cassazione.



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