Danni da randagismo: anche il Comune è tenuto al risarcimento?
Cassazione civile , sez. III, sentenza 16.03.2010 n° 10190 (Raffaele Plenteda)
La violazione delle norme di legge sul randagismo, che impongono ai Comuni di assumere provvedimenti per evitare che gli animali randagi arrechino disturbo alle persone, nelle vie cittadine è fonte dell’obbligo dei Comuni di risarcire i danni che tali animali abbiano causato agli utenti delle strade
Lo ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione nella sentenza 28 aprile 2010, n. 10190 la quale interviene nuovamente, sia pure con un succinto passaggio motivazionale, sulla vexata questio della legittimazione passiva e, quindi, dell’individuazione del soggetto pubblico legittimato a rispondere dei danni causati da animali randagi[1].
La disciplina di riferimento è rappresentata dalla Legge 281/91 recante “Legge-quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”.
L'art. 2, nell’individuare gli strumenti rivolti ad arginare il fenomeno del randagismo, distribuisce le competenze tra i Comuni ed i Servizi veterinari delle ASL.
In particolare, ai Comuni è affidata la costruzione, sistemazione e gestione dei canili e rifugi per cani, alle ASL, invece, incombono le attività di profilassi e controllo igienico-sanitario e di polizia veterinaria.
L'art. 3, infine, attribuisce alle singole Regioni il compito di disciplinare, con legge propria, le misure di attuazione delle funzioni attribuite ai Comuni ed alle ASL e, in attuazione di tale delega, le Regioni hanno adottato proprie leggi in materia, nelle quali – tendenzialmente – affidano le più ampie competenze di controllo e recupero dei cani randagi ai servizi veterinari delle ASL.
Muovendo dal quadro normativo appena descritto, la giurisprudenza di legittimità sembrava, con pronunce anche molto recenti, definitivamente orientata nel senso di affermare la legittimazione passiva esclusiva della ASL nei giudizi risarcitori aventi ad oggetto i danni causati da animali randagi. In tal senso, si era pronunciata la stessa Terza Sezione della Cassazione nella nota sentenza n. 27001/05, il cui indirizzo ha avuto, da ultimo, ulteriore avallo nella sentenza n. 8137/09.
La tesi della legittimazione esclusiva delle ASL, sulla quale pareva attestarsi la Corte di Cassazione, sollevava notevoli dubbi e perplessità espresse non solo dai commentatori[2], ma anche da molta giurisprudenza di merito[3], che continuava a dimostrarsi più propensa a riconoscere una responsabilità solidale di Comune ed ASL.
La sentenza in commento è destinata a riaprire una questione in realtà mai completamente sopita, in quanto la Corte si è discostata dall’orientamento espresso negli ultimi arresti sul tema
Occorre considerare però che, in questa sede, i Giudici di Piazza Cavour si sono limitati ad una affermazione di massima, senza sviluppare ulteriori approfondimenti sul tema e, soprattutto, senza richiamare e rielaborare, eventualmente in chiave critica, i principi espressi nei precedenti interventi sul tema.
Per la definitiva soluzione del problema, allora, occorrerà ancora attendere, per appurare se quanto stabilito in questa sentenza possa consolidarsi e divenire ius receptum o se, al contrario, sia destinato a rimanere pronuncia isolata, espressione di quell’incedere altalenante tipico del diritto di formazione giurisprudenziale.
(Altalex, 12 luglio 2010. Nota di Raffaele Plenteda. Si ringrazia per la segnalazione Simona Pignataro)
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[1] Per una trattazione riepilogativa del tema, vedi G. NUZZO, Responsabilità per danni causati da animali randagi.
[2] Cfr. G. NUZZO, Articolo citato.
[3] Ex multis, vedi Giudice di Pace Fasano, sentenza 7 gennaio 2010, n. 2, edito su Altalex Mese con nota di A. CALALUNA “Legittimazione di Comune e Asl nel giudizio per risarcimento danni per il morso di un cane randagio”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 16 marzo 2010, n. 10190
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. MICHELE VARRÒNE Presidente -
Dott. CAMILLO FILADORO - Consigliere -
Dott. FULVIO UCCELLA - consigliere
Dott. GIANCARLO URBAN - Consigliere
Dott. RAFFAELLA LANZILLO - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 23588-2006 proposto da ****
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/03/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per accoglimento per quanto di ragione
Svolgimento del processo
Con sentenza 10 giugno-5 settembre 2005 n. 2533 la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale dì S. Maria Capua Vetere, ha respinto la domanda proposta da contro il Comune di per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dell'aggressione di un cane randagio, lungo una via comunale.
Il Tribunale aveva accolto la domanda, liquidando all'attrice la somma di € 33.915,28.
La Corte di appello ha escluso la responsabilità del Comune per omessa adozione di provvedimenti contro il randagismo, rilevando che la quasi novantenne, è caduta rompendosi il femore non a causa dell'aggressione del cane, ma solo per il timore di venire aggredita.
La propone quattro motivi di ricorso per cassazione.
Il Comune non ha depositato difese.
Motivi della decisione
1. Con i primi tre motivi la ricorrente denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione nelle parti in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che essa non sia venuta a contatto con l'animale; che il nesso causale fra 1'illecito e il danno sia da ritenere interrotto a causa della tarda età della danneggiata, e che l'animale non fosse un cane randagio.
Assume che risulta dalle deposizioni testimoniali che essa è caduta per difendersi dai morsi del cane; che, in mancanza dell'aggressione, non sarebbe caduta e non si sarebbe rotta il femore e che il verbale dei vigili urbani ha accertato che il cane non era di proprietà di alcuno.
4.- Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 2043 cod. civ., della legge nazionale n. 281 del 1991, che demanda alle Regioni di emanare proprie leggi per l'istituzione dell'anagrafe canina e per l'adozione di programmi contro il randagismo, nonché della legge della Regione Campania n. 36/1993, che attribuisce ai Comuni il compito di vigilare, tramite le Asl, sul comportamento degli animali.
Assume quindi che va ascritta al Comune, in solido con la ASL, la responsabilità dell'accaduto, in quanto spetta al Comune provvedere alla vigilanza del territorio ed alla cattura, alla custodia ed al mantenimento dei cani randagi; particolarmente in considerazione del fatto che, nel caso di specie, erano pervenute al Comune di numerose segnalazioni della cittadinanza, relative alla presenza sul territorio del cane che ha provocato l'incìdente ed alle molestie che esso arrecava alla popolazione.
5.- I motivi - che possono essere congiuntamente esaminati - sono fondati nei termini che seguono.
La Corte di appello, escludendo la responsabilità del Comune, è incorsa nella violazione delle norme di legge sul randagismo, che impongono ai Comuni di assumere provvedimenti per evitare che gli animali randagi arrechino disturbo alle persone, nelle vie cittadine; violazione aggravata dalla circostanza che vi erano state diverse segnalazioni della presenza dell'animale randagio, da parte della cittadinanza.
La Corte ha poi negato la responsabilità del Comune con motivazione intrinsecamente illogica ed antigiuridica, nella parte in cui ha ritenuto che la tarda età della vittima e la piccola taglia del cane valessero a porre a carico della danneggiata l'intera responsabilità dell'incidente. Sussistendo l'illecito, cioè l'indebita presenza sulla strada del cane randagio, la peculiare debolezza e sensibilità della vittima che - in base alla ricostruzione dei fatti che si legge nella sentenza impugnata - si è spaventata ed è caduta, per il timore di essere morsa dall'animale che le abbaiava contro, manifestando intenzioni aggressive, non rende il danno meno grave ed ingiusto.
Anche le persone anziane debbono poter circolare sul territorio pubblico, senza essere esposte a situazioni di pericolo, ed in particolare a quelle che l'ente pubblico è espressamente obbligato a prevenire, quali il randagismo.
Nè l'eventuale debolezza o lo scarso controllo dei propri movimenti da parte della vittima valgono di per sé ad escludere il nesso causale fra 1'illecito e il danno, salvo che si dimostri che tali condizioni fossero di tale gravità da potersi considerare sufficienti da sole a produrre l'evento (art. 40 e 41 cod. pen., su cui cfr. Cass. civ., Sez. Ili, 10 ottobre 2008 n, 25028 e 4 gennaio 2010 n. 4, fra le altre).
La sentenza impugnata non ha preso in alcun modo in esame questo specifico aspetto. Sicché risultano fondate anche le censure di insufficiente motivazione.
6.- In accoglimento del ricorso la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, affinché decida la controversia uniformandosi ai principi sopra enunciati e con congrua e logica motivazione.
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, la quale deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 16 marzo 2010.