La mediazione familiare alla luce del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28
Articolo di Rossana Novati
di Rossana Novati
Questo contributo costituisce un tentativo di verificare se e in quale misura la mediazione di cui al Decreto Legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, possa trovare applicazione in tema di diritto di famiglia, e con quali conseguenze.
Sommario: 1. La cornice normativa - 2. I diritti disponibili in materia di separazione e divorzio - 3. Conseguenze - 4. L’obbligo di informativa di cui all’art. 4 comma 3 del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
1. La cornice normativa
1.1. Il libro verde europeo della mediazione
Nel 2002 la Commissione Europea pubblicava il “Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale”.
Con il “Libro verde” la Commissione si prefiggeva lo scopo di rispondere al mandato politico del Consiglio di: “fare il punto della situazione esistente e per lanciare un'ampia consultazione ai fini della preparazione delle misure concrete“.[1]
Alla nota 4 del paragrafo 1.1 del Libro verde, si legge:
[4] Sono escluse dall'ambito di applicazione del presente Libro verde le questioni relative ai diritti indisponibili e che interessano l'ordine pubblico, quali un certo numero di disposizioni del diritto delle persone e di famiglia, del diritto della concorrenza, del diritto del consumo, che in effetti non possono costituire oggetto di ADR.
Tale previsione sottolinea da subito come l’ADR in tema di diritto di famiglia debba necessariamente limitarsi a quelle questioni che rientrino nella libera disponibilità delle parti. Ma la previsione indica anche che il legislatore non ritiene affatto inapplicabile l’ADR ai conflitti familiari, ne circoscrive solamente l’operatività.
A conferma di tale osservazione il “Libro verde” contiene il paragrafo 2.2.2 , intitolato “Sfruttare le iniziative prese nel campo del diritto di famiglia” ove a più riprese si insiste sulla promozione dell’ADR in materia familiare. Possiamo concludere affermando che il Libro Verde consideri la mediazione familiare come una species del genus mediazione, comunque ricompresa nella “categoria” delle ADR.
1.2. Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale
Raccolte ed esaminate le osservazioni degli Stati membri il Parlamento europeo e il Consiglio emanavano la Direttiva 2008/52/CE.
Al punto 10 delle premesse della direttiva in esame si legge:
“La presente direttiva dovrebbe applicarsi (omissis) in materia civile e commerciale, ma non ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno la facoltà di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile. Tali diritti e obblighi sono particolarmente frequenti in materia di diritto di famiglia e del lavoro.”
Di nuovo la norma lascia uno spazio di ambiguità e cautela ove, da un lato riconosce che siano frequenti nel diritto di famiglia diritti e obblighi su cui le parti non hanno la facoltà di decidere da sole, dall’altro lato non si spinge a raccomandare che la direttiva non venga applicata alla materia del diritto di famiglia.
1.3. Art. 60, Legge 18 giugno 2009, n. 69 - Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile.
L’Italia recepiva la direttiva europea con l’emanazione dell’art .60 della Legge 18.6.2009, n. 69, con il quale conferiva al Governo la Delega in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali. In detto articolo nessun riferimento veniva fatto alla mediazione nel diritto di famiglia, né nel senso dell’esclusione di esso dalla disciplina, né nel senso di un’eventuale inclusione per gli aspetti relativi ai diritti disponibili. La norma si limitava a disporre che nell’esercizio della delega il Governo si attenesse al seguente principio:
“che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia;”
1.4. Decreto Legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.
Come ultimo atto normativo in data 4 marzo 2010 viene pubblicata la legge che istituisce la mediazione per le controversie civili e commerciali.
Innanzitutto la legge, all’art.1, fornisce la definizione della mediazione come segue:
“mediazione: l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa;”
Non è questa la sede ove soffermarsi criticamente sull’enfasi data dalla definizione alla “formulazione di una proposta”, che, a detta di tutti gli operatori di diritto e ancor più degli operatori della mediazione, costituisce il punto dolente dell’intera normativa, e rischia di snaturare l’istituto.
Va solo notato, ai fini di questa breve analisi, che la scelta operata dal legislatore per la definizione della mediazione non appare in alcun modo essere incompatibile con la mediazione familiare.
La portata generale della definizione viene consolidata dall’art. 2 della Legge stessa, che, nel definire le controversie oggetto di mediazione, recita:
“Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto”.
Ed ecco che il solo limite posto dal legislatore alle materie che possono essere oggetto di mediazione é quello dei diritti indisponibili. Peraltro diversamente non avrebbe potuto essere, e non solo in tema di diritto di famiglia
Ma il legislatore Italiano si é spinto ben oltre, identificando una sere di materie per le quali entrerà in vigore (con decorrenza dal marzo 2011) l’obbligo di esperire il procedimento di mediazione, quale condizione di procedibilità della relativa domanda giudiziale.
Tra le materie oggetto dell’obbligo troviamo le successioni ereditarie e i patti di famiglia. Si ritiene di sottolineare queste due specifiche materie, poiché esse sono sempre e necessariamente in correlazione diremmo ontologica con le relazioni familiari.
Ma ancor più attenta riflessione merita il fatto che il legislatore abbia incluso, nelle materie per le quali l’esperimento del procedimento di mediazione sarà obbligatorio, la divisione.
Nel corso del procedimento di separazione e divorzio raramente l’avvocato o il mediatore familiare non si trovano ad affrontare il tema della divisione dei beni, coincidendo la separazione con lo scioglimento della comunione legale, o comunque coincidendo con essa l’opportunità o la volontà dei coniugi di sciogliere la comunione ordinaria. Si pensi al caso frequentissimo ove i coniugi abbiano acquistato insieme la casa coniugale in comunione ordinaria, o che l’acquisto sia caduto ex lege in comunione legale.
Dobbiamo concludere, sic stantibus rebus, che accanto a una separazione o divorzio giudiziali (frequentemente non preceduti da esperimento di mediazione familiare) quei coniugi, che, da soli o con l’assistenza dei legali, non saranno riusciti a trovare accordi per la separazione o il divorzio consensuali, dovranno da un lato sottoporre al Giudice ogni decisione relativa all’affidamento, collocamento e mantenimento della prole, al mantenimento del coniuge e all’assegnazione della casa coniugale, ma dovranno poi necessariamente incontrarsi nella stanza della mediazione, per procedere alla sola divisione dei beni comuni, con tutto il carico simbolico che detti beni portano con sé.
Le implicazioni teoriche e pratiche della suddetta constatazione sono molte e complesse, e non vi è in questo breve intervento lo spazio per approfondirle.
2. I diritti disponibili in materia di separazione e divorzio
Dalle considerazioni di cui sopra dobbiamo necessariamente concludere che ai sensi del D.Lgs. n. 28 oggetto di possibile mediazione civile nell’ambito del diritto di famiglia possano essere tutti i diritti disponibili connessi al procedimento di separazione e di divorzio. Se proviamo a enucleare quali siano i diritti disponibili in gioco non possiamo non prendere nota del fatto che la giurisprudenza, con orientamento ormai consolidato, riconosca una negoziabilità molto estesa alle vicende familiari e di conseguenza a quelle separative o divorziali.
Citiamo in proposito alcuni passi della Sentenza 5.11.99 della Corte di Appello di Bari (pres. Dini Ciacci, cons. est. Carone, cons. Santoro)[2], al cui testo integrale si rinvia, che ha il pregio di aver ricostruito con accuratezza l’iter giurisprudenziale della Suprema Corte sul punto dell’autonomia negoziale dei coniugi in materia di separazione e divorzio:
“Negoziabilità che si esprime anche nella separazione consensuale, sicché l’apice del procedimento va collocato nell'accordo dei coniugi, mentre l'omologazione è semplicemente uno strumento di controllo di tipo garantistico, diretto, da un lato, a salvaguardare gli interessi non disponibili delle parti, dall'altro, a tutelare gli interessi dei figli minori.”
Del resto anche le altre modifiche inerenti il regime della separazione dimostrano come il mutato clima sociale avesse indotto il legislatore ad esaltare la volontà dei coniugi, prima subordinata al concetto di superiore interesse della famiglia e della società.
Queste modifiche, nel loro complesso, evidenziano il maggior riconoscimento e l'accresciuta valorizzazione dell’autonomia negoziale dei coniugi in tema di separazione, derivanti dall'introduzione di un nuovo modello di famiglia costituito da una comunità di eguali. Ne consegue il potenziamento dell'accordo dei coniugi, nel segno della privatizzazione del diritto di famiglia e del superamento delle precedenti concezioni pubblicistiche e autoritarie, nelle quali veniva sacrificato il momento consensuale a vantaggio di valori super-indíviduali o di interessi superiori.”
Da quanto sopra consegue che, alla luce della vigente normativa, i coniugi in occasione della separazione possono esperire la mediazione, secondo la disciplina della nuova normativa, in temi quali l’assegnazione della casa coniugale, l’ammontare dei contributi al mantenimento, la collocazione dei figli, il tempo che i figli trascorreranno con i genitori, e in generale tutte quelle vicende che vedono normalmente impegnato il mediatore familiare e l’avvocato.
Certo l’accordo frutto della mediazione dovrà poi essere sottoposto al vaglio dell’Omologazione da parte del Tribunale, né più né meno di come accade oggi, quando l’accordo trovato dai coniugi viene formalizzato in un ricorso per la separazione consensuale.
3. Conseguenze
3.1. La mediazione familiare negli istituendi organismi di mediazione?
La proposta interpretazione della norma, sulla quale un dibattito pare urgente e auspicabile, reca con sé conseguenze pratiche e giuridiche di portata considerevole, alle quali qui ci si limita ad accennare.
La mancanza di una legislazione che definisca in Italia la figura del mediatore familiare, e che gli riservi la trattazione della delicata materia, implica oggi, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 28/10, un potenziale giuridico di notevole pericolosità.
La collocazione della mediazione familiare nel più vasto ambito della mediazione civile porta con sé come conseguenza minima e positiva quella di estendere ai coniugi i benefici fiscali di cui all’art. 20 del D.Lgs. 28/10, benefici ai quali i coniugi, altrimenti, non potrebbero accedere.
In coerenza con la lettura offerta delle norme, non ci si dovrà quindi stupire se negli istituendi Organismi di mediazione di cui all’art. 16 del D.Lgs. 28/10 si assisterà alla creazione e alla promozione di sezioni specializzate in mediazione familiare, o se, ancora, si creeranno Organismi specializzati nella mediazione familiare.
Tuttavia in tal modo, ove non intervengano opportuni correttivi da parte del legislatore, la mediazione familiare correrà anche il rischio di essere trattata da mediatori privi della necessaria formazione, visto che la formazione del mediatore civile e commerciale non avrà affatto i requisiti minimi di cui agli standard europei[3] per la formazione del mediatore familiare, ai quali si conformano i più seri corsi di formazione disponibili oggi in Italia.
Sul punto il Ministero della Giustizia dovrà pronunciarsi a mezzo degli emanandi decreti di cui all’art.16 del D.Lgs. 28/10.
4. L’obbligo di informativa di cui all’art.4 comma 3 del D. L.vo 4 marzo 2010, n. 28
L’art.4 del D.Lgs. n. 28/10 recita:
3. All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato e' tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito e' annullabile. Il documento che contiene l'informazione e' sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo dell'eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell'articolo 5, comma 1, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.
Date le articolate premesse non pare a chi scrive che possa escludersi che l’obbligo di informativa, già in vigore da marzo 2010, riguardi anche i procedimenti di separazione e divorzio giudiziali. Di conseguenza, laddove a tale obbligo l’avvocato non abbia adempiuto, non pare possa conseguentemente escludersi che il Giudice sia tenuto a informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione.
Sul punto, e in senso contrario, si segnala l’Ordinanza del Tribunale di Varese 3/6 aprile 2010 (Pres. Paganini - Rel. Buffone)[4].
Si riporta un passo della citata Ordinanza, con la quale si esclude la necessità dell’informativa:
“Un’ulteriore conferma dell’esclusione qui sostenuta è esplicita nella direttiva europea già citata (n. 52 del 21 maggio 2008), relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale (che attrae le controversie transfrontaliere): il decimo considerando della suddetta direttiva, espressamente prevede che essa non trovi applicazione riguardo “ai diritti ed agli obblighi su cui le parti non hanno facoltà di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile; tali diritti e obblighi sono particolarmente frequenti in materia di diritto di famiglia”.
Detta interpretazione, a parere di chi scrive, opera una forzatura interpretativa, poiché se é vero che la Direttiva esaminata sottolinea il fatto che nella materia disciplinata dal diritto di famiglia siano frequenti i diritti e gli obblighi “su cui le parti non hanno facoltà di decidere da sole”, (i c.d. diritti indisponibili), non dice affatto che in tali materie la mediazione non possa trovare applicazione. Per ulteriori argomentazioni si rivedano i paragrafi 1 e 2 del presente contributo.
________________
[1] tratto da: “Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile commerciale” (www.eur-lex.europa.eu).
[3] Standard del European Forum Training and Research in Family Mediation.
[4] cfr. Mediazione civile: no all'obbligo di informativa in materia di persone e famiglia di Adriana Capozzoli.