mercoledì 21 luglio 2010

Smaltimento Materiali Inerti Edilizia

DOrdinanza di rimozione rifuti in caso di costruzioni e riutilizzo di inerti edili





TAR Veneto-Venezia, sez. III, sentenza 29.09.2009 n° 2454 (Alessandro Del Dotto)





Il potere di ordinanza previsto dall'art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 (ed in precedenza dall'art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997) ha un diverso fondamento rispetto alle ordinanze disciplinate dall'art. 54 del T.U.E.L. e prefigura un'ordinanza di sgombero a carattere sanzionatorio, di cui è riprova il fatto che, per la sua applicazione a carico dei soggetti obbligati in solido, è necessaria l'imputazione agli stessi a titolo di dolo o colpa del comportamento tenuto in violazione dei divieti di legge.

Va ricordato che il riutilizzo del materiale proveniente dall'attività di costruzione non può prescindere dalla preventiva attività di separazione richiesta dal D.M. 5.2.1998, posto che i materiali residuanti dalla attività di demolizione edilizia conservano la natura di rifiuti sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali il citato art. 183 lett. h) indica la cernita o la selezione. In ogni caso, inoltre, il riutilizzo nelle opere di riempimento deve avvenire, come ribadito dall’art. 186 del citato D.Lgs. senza recare pregiudizio all'ambiente.

Sotto la scorta delle considerazioni espresse in principio, il T.A.R. Veneto ha parzialmente accolto il ricorso presentato da una Società che, lavorando per ristrutturazioni edilizie e il trasporto di inerti edili, si era vista destinataria di un ordine ex art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 per lo sgombero di un'area da materiali che erano stati qualificati come scarico abusivo.

La parzialità dell'accoglimento trova la propria ragione nella fattispecie di parziale riuso di taluni materiali di risulta, mentre per altri - qualificati come rifiuti tout court - l'ordine pubblico resta valido ed efficace.

Decisamente interessante l'assunto di diritto che qualifica le ordinanze ex art. 192 del Codice dell'Ambiente come ordinanze non appartenenti alla classe generale della contiginbilità e dell'urgenza, con la conseguenza che va garantito il contraddittorio e deve trovare spazio la partecipazione al relativo procedimento di emissione.

(Altalex, 14 luglio 2010. Nota di Alessandro Del Dotto)


Dirigenti, attribuzioni, limiti, precisazioni






TAR Veneto-Venezia, sez. III, sentenza 29.09.2009 n° 2454






Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'art. 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”; che è quanto verificatosi a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 192, comma 3, sicuramente speciale rispetto all'ordine generale di competenze previsto dall' art. 1, comma 4, e 107, comma 2, T.U.E.L.. (1-2)

(1) In tema di ordinanze contingibili ed urgenti e i principi che le regolano si vedano le sentenze Cons. St., ad. plen., sentenza 30.7.2007, n. 10; Cons. Stato, sez. V, sentenza 8.5.2007, n. 2109; Cons. Stato II, 24.10.2007, n. 2210.
(2) In tema di riutilizzo del materiale proveniente dall’attività di costruzione si veda la sentenza Cass. 15.6.2006 n. 33882.


T.A.R.

Veneto - Venezia

Sezione III

Sentenza 29 settembre 2009, n. 2454

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto






(Sezione Terza)

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio numero di registro generale 1557 del 2007, introdotto da Costruzioni e Ristrutturazioni Edili G. B. S.r.l., in persona dell’amministratore unico G. G., rappresentata e difesa dall’avv.to Primo Michielan, legalmente domiciliata presso la Segreteria del TAR, ai sensi dell’art. 35 del T.U. n. 1054/1924;

contro

Comune di Zero Branco, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv.to Andrea Gatto, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Venezia – Mestre, via Mazzini n. 4;

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

dell’ordinanza sindacale n. 26 del 12.6.2007, notificata il 20.6.2007, con la quale si ordina la rimozione, lo smaltimento ed il recupero di rifiuti speciali provenienti da demolizioni edili, previa presentazione di dettagliato programma di smaltimento del materiale stesso presunto abbandonato.
Visto il ricorso, notificato il 30.7.2007 e depositato presso la Segreteria il 9.8.2007, con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Zero Branco;
viste le memorie delle parti;
vista l’ordinanza n. 865 del 10.10.2007 con la quale il Collegio ha accolto la domanda di misure cautelari;
visti tutti gli atti della causa;
uditi all’udienza pubblica del 9.4.2009 – relatore il referendario Marina Perrelli – i procuratori delle parti, presenti come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

La società ricorrente opera nel campo delle ristrutturazioni edili ed è iscritta all’Albo Nazionale Gestori Ambientali per l’esercizio dell’attività di raccolta e di trasporto dei residui edili non pericolosi derivanti dalla propria attività.
A seguito del rilascio dei permessi di costruire n. 4/00041 del 15.4.2004 per l’ampliamento del deposito artigianale e n. 3/00040 del 15.4.2004 per la costruzione di un immobile ad uso abitativo, la società ricorrente iniziava a trasportare nell’area interessata dalle opere edili, sita in via Montiron, in Comune di Zero Branco, le macerie prodotte dalle demolizioni eseguite presso altri cantieri per creare, previo sbancamento, il sottofondo di massicciata prescritto dall’art. 47 del Regolamento edilizio del detto Comune (cd. vespaio).
Il trasporto del predetto materiale - costituito per la maggior parte da calcinacci da demolizione e quindi da materiale non pericoloso- dal luogo di produzione (cantieri nel centro storico di Treviso) alla sede di via Montiron, non veniva corredato dai formulari di identificazione di cui all’art. 193 del D.Lgs. n. 152/2006, ma da semplici documenti di trasporto nei quali veniva indicato come materia prima secondaria
Tale materiale non poteva però essere riutilizzato immediatamente giacché doveva rispettare un tempo di riposo minimo, prima di procedere ai successivi lavori di consolidamento del sottofondo delle realizzande costruzioni.
Con verbale del 13.4.2007 la Polizia Municipale del Comune di Zero Branco accertava “l’abbandono incontrollato di rifiuti… consistenti in rifiuti speciali da demolizione e costruzione sparsi nell’area ed interrati con innalzamento del piano di campagna di 30/50 cm, per un’area complessiva di circa 600 mq.”.
Quindi con l’ordinanza impugnata il Sindaco del Comune di Zero Branco ordinava alla società ricorrente di procedere alla rimozione, smaltimento o recupero del materiale costituente rifiuto, previa presentazione di un dettagliato programma di smaltimento del detto materiale ai sensi della D.R.G.V. n. 3560 del 19.10.1999.
La società ricorrente impugna il predetto provvedimento, deducendo i seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 e dell’art. 107 del D.Lgs. n.267/2000; incompetenza.
Secondo la prospettazione della società ricorrente, siccome l’ordinanza impugnata ha carattere sanzionatorio-ripristinatorio, stante l’assoluta mancanza di pericoli per la pubblica incolumità idonei a giustificare il ricorso ad un’ordinanza contingibile ed urgente, il Sindaco non era competente ad emanarla giacché il disposto dell’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 deve necessariamente coordinarsi con l’art. 107 del T.U.E.L., implicante la separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni di gestione amministrativa. Ne discende che, come affermato anche dalla giurisprudenza amministrativa in relazione all’art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997, l’autorità comunale preposta all’emanazione dei provvedimenti ripristinatori – sanzionatori è il dirigente dell’apposito servizio e non il Sindaco che è titolare, invece, solo di un potere di ordinanza extra ordinem.
2) violazione del principio del giusto procedimento; violazione degli artt. 5 e 7 della legge n. 241/1990 e dell’art. 192, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006.
L’ordinanza impugnata, quale atto di natura ripristinatoria – sanzionatoria, doveva essere connotata da tutte le garanzie partecipative e, in particolare, doveva essere preceduta dalla nomina del responsabile del procedimento e dalla comunicazione di avvio onde consentire alla società ricorrente un’effettiva interlocuzione con l’amministrazione a tutela della trasparenza, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa; nel caso di specie, peraltro, l’art. 192, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006 prevede espressamente che la sanzione sia irrogata “in base agli accertamenti effettuati in contraddittorio con i soggetti interessati”.
3) Violazione degli artt. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000. Difetto di presupposto. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990. Carenza di istruttoria e di motivazione.
Nell’ipotesi in cui il Collegio ritenesse l’ordinanza gravata emanata in forza dell’art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000, mancherebbero i presupposti richiesti dalla legge per l’adozione di un simile provvedimento, e cioè la necessità di tutela della salute pubblica, l’eccezionalità della situazione da fronteggiare, l’assoluta temporaneità della stessa, l’impossibilità di farvi fronte mediante gli ordinari strumenti previsti dall’ordinamento; né è stata condotta un’apposita istruttoria al fine di riscontrare la ricorrenza dei predetti requisiti.
4) eccesso di potere per difetto di istruttoria e per travisamento dei fatti; violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 192 del D.Lgs. n. 152/2006
Nel caso in esame non si è in presenza di un abbandono incontrollato di rifiuti ma di un riutilizzo del materiale prodotto nell’ambito della stessa attività imprenditoriale da parte dell’imprenditore che è anche produttore del materiale riutilizzato. Si tratta, quindi, di una fattispecie sussumibile sotto il disposto dell’art. 183, lett. n), del D.Lgs. n. 152/2006, che contempla l’ulteriore impiego e consumo dei prodotti che, pur non costituendo l’oggetto principale dell’attività imprenditoriale, ne scaturiscono in via continuativa; che , secondo il citato art. 183 lettera n) “non sono soggetti alla specifica disciplina sui rifiuti i sottoprodotti di cui l’impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi o non abbia deciso di disfarsi e, in particolare i sottoprodotti impiegati direttamente dall’impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l’impresa stessa direttamente per il consumo o per l’impiego senza necessità di operare trasformazioni preliminari, in un successivo processo produttivo.”. La riutilizzazione del materiale depositato in via Montiron, senza necessità di operare alcuna preventiva trasformazione, emerge, secondo la società ricorrente, dalla quantità di materiale necessario per formare la massicciata pari a 1.150,00 mc a fronte di una quantità di 397 mc già trasportata nell’area di proprietà della ditta Costruzioni G..
L’amministrazione comunale resistente, ritualmente costituitasi in giudizio, ha concluso per la reiezione del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto.
Con ordinanza n. 685 del 10.10.2007 il Collegio ha accolto la dOmanda di misure cautelari.
Con ordinanza n. 152/2008 il Collegio ha disposto una verificazione nelle forme di cui all’art. 26 del R.D. n. 642/1907, affidando all’ARPAV di Treviso il compito di fornire una dettagliata descrizione dei luoghi al fine di chiarire l’ampiezza della zona interessata dal presunto abbandono dei rifiuti, di specificare la tipologia e la classificazione del materiale presente sull’area, di indicare l’estensione della zona interessata dall’innalzamento del suolo e la corrispondenza tra quest’ultima e quella sulla quale incideranno la costruzione ex novo dell’immobile adibito ad abitazione e l’ampliamento del capannone già esistente.

Alla Camera di Consiglio del 9.4.2009 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Deve, in via preliminare, essere esaminata l’eccezione di nullità della notifica del ricorso introduttivo sollevata dall’Amministrazione resistente.
Come già affermato nell’ordinanza istruttoria n. 152/2008 tale eccezione deve essere disattesa in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c. a seguito della costituzione in giudizio del Comune di Zero Branco.
Il ricorso è meritevole di parziale accoglimento per le seguenti ragioni
La prima censura e la terza censura, che possono essere trattate congiuntamente in considerazione della stretta connessione esistente tra le stesse, devono essere disattese per le seguenti motivazioni.
L'ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati, prevista dall’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006, riproduce, nella sostanza, il provvedimento già previsto dall'art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997.
Circa l'individuazione dell’esatta natura giuridica dell'ordinanza, il Collegio ritiene condivisibile l'orientamento della più recente giurisprudenza secondo cui non è configurabile la natura contingibile e urgente di tale provvedimento.
Per quanto attiene al profilo della contingibilità delle ordinanze, esso sta ad indicare l'urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in ordine a situazioni eccezionali di pericolo attuale ed imminente per l'incolumità pubblica; ciò che conta è che il Sindaco dia adeguata contezza delle ragioni che lo hanno spinto ad usare tale strumento extra ordinem (cfr. Cons. Stato, IV, 13.12.1999 n.1844).
Già l'art. 38 della legge n. 142/1990 (ora art. 54, comma 2, T.U.E.L.) attribuiva al Sindaco un potere di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti «al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini». Tali ordinanze, pertanto, si caratterizzano per l'assenza di indicazioni circa le modalità di esercizio del potere, a fronte di situazioni eccezionali di necessità e di urgenza. Per evitare di incorrere in una violazione del principio di legalità, la giurisprudenza costituzionale, peraltro, si è affrettata ad «ancorare» l'esercizio di tale potere ad una serie di principi che devono guidarne l'utilizzo, quali appunto la necessità e l'urgenza, la durata limitata nel tempo, la motivazione, ovvero l’insussistenza di altri poteri per risolvere la questione (cfr. Cons. St., ad. plen., 30.7.2007, n. 10; Cons. Stato V, 28.5.2007, n. 2109; Cons. Stato II, 24.10.2007, n.2210).
Alla luce delle considerazioni appena svolte, deve concludersi nel senso che il potere di ordinanza previsto dall'art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 (ed in precedenza dall'art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997) ha un diverso fondamento rispetto alle ordinanze disciplinate dall'art.54 del T.U.E.L..
In conclusione il citato art. 192 prefigura un'ordinanza di sgombero a carattere sanzionatorio, di cui è riprova il fatto che per la sua applicazione a carico dei soggetti obbligati in solido, è necessaria l'imputazione agli stessi a titolo di dolo o colpa del comportamento tenuto in violazione dei divieti di legge.
Tale interpretazione acquista ulteriore rilievo se si considera che sia il D.P.R. n. 915/1982 sia il D.Lgs. n. 22/1997, sia, infine, il D.Lgs. n. 152/2006, hanno espressamente attribuito al Sindaco la titolarità del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in materia di rifiuti, rispettivamente agli art. 12, 13 e 191 (cfr. Cons. Stato,. V, 25.8.2008, n. 4067; Cons. giust. amm., 2.3.2007, n. 97).
Quanto all'individuazione dell'organo competente all'adozione dell'ordinanza ex art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997 dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 267/2000, il Collegio certamente non ignora l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’adozione dell’ordinanza di rimozione rientra nella competenza del responsabile dell’area tecnica e non del Sindaco.
Secondo tale orientamento, l'art. 14, comma 3, del D.lgs. n. 22/1997 che attribuisce al Sindaco la possibilità di emanare ordinanze di ripristino dello stato dei luoghi, deve tenere in considerazione l' art. 107, comma 5, T.U.E.L. secondo cui le disposizioni che conferiscono agli organi di governo del comune e della provincia «l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti...»; pertanto, la competenza ad emettere l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in un'area interessata da deposito abusivo, spetta al dirigente dell'ufficio tecnico comunale a ciò preposto.
Il Collegio rileva però l’infondatezza della tesi sviluppata dalla società ricorrente in ordine all'individuazione dell'autorità competente ad emettere l'ordinanza prevista dal menzionato art. 192, secondo la quale, essendo tale norma riproduttiva, in parte qua, del precedente art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997, essa andrebbe applicata, nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza dianzi riportata, in base all'ordine di competenze, fra livello dirigenziale e politico, delineato dall’art. 107 del D.lgs. n. 267/2000.
Tale assunto non è condivisibile perché:
a) è insuperabile il dato testuale dell'art. 192, comma 3, secondo periodo, citato secondo cui “Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”;
b) trova applicazione, per il caso di conflitto apparente di norme, il tradizionale canone ermeneutico lex posterior specialis derogat anteriori generali; sotto tale angolazione è appena il caso di evidenziare che lo stesso art. 107, comma 4, T.U.E.L. ha cura di precisare che “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'art. 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”; che è quanto verificatosi a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 192, comma 3, sicuramente speciale rispetto all'ordine generale di competenze previsto dall' art. 1, comma 4, e 107, comma 2, T.U.E.L..
Sulla scorta delle predette argomentazioni devono pertanto essere disattese sia la prima che la terza censura.
E’, altresì, infondato il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione degli artt. 5 e 7 della legge n. 241/1990 e 192, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006.
Occorre, in primis, evidenziare che dalla documentazione prodotta si evince che il 13.4.2007 la Polizia Municipale, una volta accertato il deposito di un’ingente quantità di rifiuti nell’area di proprietà della società ricorrente, provvedeva a porla sotto sequestro penale, sequestro convalidato il successivo 16.4.2007 e ritualmente notificato alla G. Costruzioni s.r.l..
Nel periodo di tempo intercorso tra l’accertamento del 13.4.2007, posto a fondamento anche dell’ordinanza impugnata, e l’adozione di tale ultimo provvedimento sono stati sentiti i dipendenti della società ricorrente presenti al momento dell’accertamento, nonché coloro che avevano effettuato il trasporto dei rifiuti.
Inoltre la società ricorrente, una volta ricevuta la notifica del provvedimento impugnato, ha chiesto una proroga del termine fissato nell’ordinanza sindacale per eseguire ulteriori indagini tecniche sulle contestazioni dell’amministrazione comunale.
Da tali circostanze si evince, dunque, che la società ricorrente era edotta dell’esistenza di contestazioni a suo carico per il deposito di materiale proveniente da demolizioni nell’area di via Montiron e che non risulta in alcun modo leso il suo diritto di difesa. Tanto più che le indagini e gli esami di laboratorio sul materiale depositato presso l’area di proprietà della G. Costruzioni s.r.l. sono state eseguite nel corso della verificazione disposta dal Tribunale, alla quale la società ricorrente ha partecipato con i propri legali ed i propri tecnici di fiducia.
Nè d’altronde sarebbe conforme ai principi di ragionevolezza ed economicità dell’azione amministrativa annullare un provvedimento per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento laddove si dimostri che il destinatario del provvedimento ha avuto altrimenti contezza della sua esistenza e che in sede di successiva istruttoria giurisdizionale ha potuto controdedurre e difendersi a fronte di accertamenti esperiti per la prima volta in tale sede.
Occorre perciò passare all’esame del quarto motivo di ricorso che merita parziale accoglimento per le seguenti motivazioni.
I tecnici dell’ARPAV di Treviso sono stati incaricati dal Tribunale di eseguire una verificazione per acquisire una specifica descrizione dei luoghi al fine di chiarire l’ampiezza della zona interessata dal presunto abbandono dei rifiuti, di specificare la tipologia e la classificazione del materiale presente sull’area, di indicare l’estensione della zona interessata dall’innalzamento del suolo e la corrispondenza tra quest’ultima e quella sulla quale incideranno, secondo i progetti autorizzati, la costruzione ex novo dell’immobile adibito ad abitazione e l’ampliamento del capannone già esistente.
Dalla relazione a tal fine redatta emerge che vi sono due aree nella proprietà della società ricorrente interessate da uno sbancamento della profondità media di circa 60 cm.: la prima di ampiezza pari a circa 2.207,00 mq. è stata colmata sino all’originario piano di campagna con l’aggiunta di aggregato di riporto derivante dalla comminuzione di materiali prodotti dalla demolizione di edifici; la seconda di estensione di 988,00 mq. non ancora riempita con materiale di riporto.
I tecnici dell’ARPAV hanno, altresì, specificato che il piano di campagna dell’area oggetto dei lavori edili è pari a quello originario, giacché vi è stato un previo sbancamento del terreno e poi si è proceduto al riempimento con materiale diverso da quello naturale per sostenere e garantire dal punto di vista meccanico e strutturale le future edificazioni.
Sulla proprietà della ditta Costruzioni G. è stato rinvenuto del materiale fuori terra depositato in cumuli e del materiale impiegato come aggregato di riporto per la realizzazione del sottofondo edile (c.d. vespaio).
Ciò posto occorre, allora, premettere che alla fattispecie in esame si applica, ratione temporis, il disposto dell’art. 183 del D.Lgs. n. 152/2006 ante novella del D.Lgs. n. 4/2008 .
Orbene, ai sensi del citato art. 183 “non sono soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto i sottoprodotti di cui l’impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi ed in particolare i sottoprodotti impiegati direttamente dall’impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l’impresa stessa direttamente per il consumo o per l’impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo; a quest’ultimo fine, per trasformazione preliminare si intende qualsiasi operazione che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà che esso già possiede e che si renda necessaria per il successivo impiego in un processo produttivo e per il consumo. L’utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale.”.
Peraltro, in relazione al materiale proveniente dall'attività di costruzione va ricordato che il riutilizzo non può prescindere dalla preventiva attività di separazione richiesta dal D.M. 5.2.1998 posto che, come affermato dalla Corte di Cassazione in numerose decisioni anche in relazione al D.Lgs. n. 152/2006, i materiali residuanti dalla attività di demolizione edilizia conservano la natura di rifiuti sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali il citato art. 183 lett. h) indica la cernita o la selezione (Cfr. Cass. 15.6.2006 n. 33882).
In ogni caso, inoltre, il riutilizzo nelle opere di riempimento deve avvenire, come ribadito dall’art. 186 del citato D.Lgs. senza recare pregiudizio all'ambiente.
A tale riguardo merita di essere rammentato che sempre la Corte di Cassazione ha affermato che per rendere operante l'esclusione dal regime dei rifiuti di cui al D.L. n. 138/2002, n. 138, art. 14, convertito con la legge n. 178/2002, non è necessaria l'adozione dei test di cessione in conformità al D.M. 5.2.1998, potendo la prova dell'assenza di pregiudizio per l'ambiente in caso di riutilizzazione da parte del detentore dei materiali provenienti da demolizione edilizia essere fornita con qualsiasi mezzo.
Sulla scorta dei principi enunciati allora nel caso di specie occorre allora operare una distinzione tra il materiale rinvenuto fuori terra e il materiale impiegato per la realizzazione della massicciata.
Il materiale rinvenuto fuori terra è stato distinto in : 1) rifiuti derivanti da un processo di demolizione e costruzione di fabbricati (tegole, mattoni, ceramiche, cemento miscelati tra di loro in forme e quantità eterogenee); 2) rifiuti costituiti da imballaggi in legno quali pallets, infissi e mobilia che possono essere qualificati sia come provenienti da processo di demolizione di fabbricati, sia dalla catena degli imballaggi e che formano un unico cumulo di circa 20/25 mc..
In relazione a detto materiale il Collegio ritiene condivisibile la conclusione alla quale sono giunti i tecnici dell’ARPAV che hanno correttamente qualificato i cumuli rinvenuti come rifiuti ed hanno ritenuto plausibile che si tratti di un abbandono incontrollato in quanto non rispondente alle caratteristiche del deposito temporaneo, dal momento che è pacifico che gli stessi non sono stati raggruppati nel luogo dove sono stati prodotti e atteso che anche la società ricorrente ammette di non avere eseguito alcuna opera di demolizione nel sito di via Montiron.
Diverso è, invece, il discorso per il materiale impiegato per la realizzazione del sottofondo edile, poiché sulla scorta dell’art. 183 citato il Collegio ritiene che debba escludersi che lo stesso possa qualificarsi come rifiuto e conseguentemente non considera plausibile configurare in relazione al detto materiale un abbandono incontrollato di rifiuti. Ed infatti dalla documentazione prodotta si evince il sostanziale rispetto delle condizioni di cui all’art. 183 citato per definire il detto materiale sottoprodotto ed inoltre, sotto il profilo ambientale, il test di cessione al quale i materiali sono stati sottoposti dai tecnici ARPAV è risultato conforme ai limiti stabiliti.
Sulla scorta delle predette argomentazioni l’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata nella parte in cui non limita l’ordine di rimozione, smaltimento o recupero del materiale costituente rifiuto, previa presentazione di un dettagliato programma di smaltimento del detto materiale ai sensi della D.R.G.V. n. 3560 del 19.10.1999, al solo materiale rinvenuto fuori terra.
La peculiarità delle questioni di diritto sottese al ricorso proposto consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.
Deve, infine, essere confermata la statuizione in ordine alla quantificazione delle spese per la verificazione, assunta in sede di ordinanza istruttoria n. 152/2008, spese che vanno definitivamente poste a carico della società ricorrente.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato nella parte in cui non limita l’ordine di rimozione, smaltimento o recupero del materiale costituente rifiuto, previa presentazione di un dettagliato programma di smaltimento del detto materiale ai sensi della D.R.G.V. n. 3560 del 19.10.1999, al solo materiale rinvenuto fuori terra .
Compensa tra le parti le spese della lite.
Pone definitivamente a carico della società ricorrente le spese per la verificazione in favore dell’ARPAV di Treviso, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (euro duemila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2009 con l'intervento dei Magistrati:






Angelo De Zotti, Presidente






Elvio Antonelli, Consigliere






Marina Perrelli, Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 29/09/2009.


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