Blog di diritto e poesia. Il diritto è quella scienza che aiuta a comporre i bisogni dell'uomo nelle relazioni interpersonali. la poesia è quell'arte che, comunicando con parole scritte, aiuta a conoscersi nel profondo.
giovedì 24 aprile 2008
Riceviamo e gentilmente pubblichiamo
17.04.2008
La particolare natura del comodato immobiliare "vita natural durante"
La Corte di legittimità si sofferma sulla peculiare natura giuridica e sul correlato regime caratterizzante la figura contrattuale del comodato immobiliare stipulato con la condizione "vita natural durante".
Cassazione civile Sentenza, Sez. III, 03/04/2008, n. 8548
E’ configurabile il comodato di una casa per consentire al comodatario di alloggiarvi per tutta la vita senza che, perciò, debba ravvisarsi un contratto costitutivo di un diritto di abitazione, con conseguente necessità di forma scritta “ad substantiam”. In tale ipotesi di comodato a termine (siccome, comunque, correlato alla durata della vita del comodatario), stante la natura obbligatoria del contratto, gli eredi del comodante sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto, in pendenza del quale si sia verificata la morte del loro dante causa, salva l’esercitabilità del loro diritto (riconoscibile in capo allo stesso comodante) di recedere dal contratto nelle ipotesi previste negli artt. 1804, comma 3, 1811 e 1809, comma 2, c.c. .
Aldo Carrato, magistrato presso l'Ufficio del Massimario della Corte di CassazioneTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008
Riceviamo e gentilmente pubblichiamo
17.04.2008
La particolare natura del comodato immobiliare "vita natural durante"
La Corte di legittimità si sofferma sulla peculiare natura giuridica e sul correlato regime caratterizzante la figura contrattuale del comodato immobiliare stipulato con la condizione "vita natural durante".
Cassazione civile Sentenza, Sez. III, 03/04/2008, n. 8548
E’ configurabile il comodato di una casa per consentire al comodatario di alloggiarvi per tutta la vita senza che, perciò, debba ravvisarsi un contratto costitutivo di un diritto di abitazione, con conseguente necessità di forma scritta “ad substantiam”. In tale ipotesi di comodato a termine (siccome, comunque, correlato alla durata della vita del comodatario), stante la natura obbligatoria del contratto, gli eredi del comodante sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto, in pendenza del quale si sia verificata la morte del loro dante causa, salva l’esercitabilità del loro diritto (riconoscibile in capo allo stesso comodante) di recedere dal contratto nelle ipotesi previste negli artt. 1804, comma 3, 1811 e 1809, comma 2, c.c. .
Aldo Carrato, magistrato presso l'Ufficio del Massimario della Corte di CassazioneTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008
martedì 22 aprile 2008
Danno ambientale – reato – estinzione – demolizione dell’opera abusiva
Il reato edilizio e quello paesaggistico hanno oggetti giuridici diversi, perchè i reati paesistici ed ambientali tutelano il paesaggio e l’ambiente e cioè dei beni materiali, mentre i reati edilizi tutelano il rispetto di un bene astratto, e cioè la disciplina amministrativa dell’uso del territorio. (1) (2)
(1) In materia di danno ambientale, si veda Cassazione penale 16575/2007.(2) In materia di ambiente e tutela paesaggistica, si veda Cassazione penale 15053/2007.
(Fonte: Altalex Massimario 2/2008. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)
Corte Costituzionale
Ordinanza 20 dicembre 2007, n. 439
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), promosso con ordinanza del 26 giugno 2006 dal Tribunale di Grosseto nel procedimento penale a carico di R. G. ed altri, iscritta al n. 676 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
Ritenuto che, con ordinanza del 26 giugno 2006, il Tribunale di Grosseto, in composizione monocratica ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), nella parte in cui non prevede l’estinzione anche del reato edilizio di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), «in caso di demolizione dell’opera abusiva ad opera del trasgressore prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna»;
che, in punto di fatto, il Tribunale di Grosseto riferisce di stare giudicando tre soggetti imputati del reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere realizzato opere in totale difformità dalla concessione edilizia;
che, in ordine alla rilevanza della questione, il giudice a quo sviluppa, in due distinte parti dell’ordinanza, articolate argomentazioni ed, in particolare, osserva:
a) che dall’istruttoria da esso svolta risulta provata l’avvenuta completa riduzione in pristino dell’immobile oggetto dell’intervento edilizio in conformità alla concessione edilizia;
b) che tale rimessione in pristino sarebbe idonea a determinare l’estinzione del reato paesistico-ambientale previsto dall’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 (applicabile retroattivamente, quale norma di maggiore favore), «mentre analoga fattispecie estintiva non è contemplata per il reato edilizio oggetto di contestazione»;
c) che tale effetto estintivo del reato paesistico-ambientale si verificherebbe anche ove fosse da seguire l’orientamento (che peraltro il rimettente contesta come eccessivamente restrittivo) espresso dalla Corte di cassazione (sentenza n. 3945 del 2006), secondo cui la riduzione in pristino deve avvenire prima dell’ingiunzione in tal senso dell’autorità amministrativa, non essendo sufficiente, ai fini dell’estinzione del reato, che essa avvenga dopo tale ingiunzione, ma prima della demolizione d’ufficio;
d) che la riduzione in pristino da parte degli imputati è, infatti, intervenuta prima della condanna giudiziale e prima della stessa ingiunzione alla demolizione da parte dell’autorità comunale;
e) che dall’eventuale accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale deriverebbe l’estinzione anche del reato edilizio contestato agli imputati, con conseguente declaratoria di non procedibilità dell’azione penale;
f) che, d’altra parte, l’intervenuta rimessione in pristino non gioverebbe altrimenti agli imputati, né, in particolare, potrebbe determinarne l’assoluzione, posto che la condotta ripristinatoria, per la giurisprudenza di legittimità, non fa venire meno la oggettività giuridica del contestato reato edilizio, ma potrebbe incidere unicamente al fine di escludere il danno o di comprovare la buona fede degli imputati, circostanze entrambe tuttavia da escludere nel caso di specie;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Grosseto richiama, anzitutto, la giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale (sezione III penale, sentenze n. 9749 del 1994 e n. 10557 del 1995) esclude l’assorbimento del reato edilizio di cui all’art. 20 della legge n. 47 del 1985 (ora art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001) nel reato ambientale di cui all’art. 163 del decreto legislativo n. 490 del 1999 (ora art. 181, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004), sull’assunto della diversa obiettività giuridica delle due fattispecie criminose, e parimenti esclude, per le stesse ragioni, che l’estinzione del reato edilizio a seguito della concessione (ora permesso) in sanatoria determini l’estinzione di quello ambientale (sezione III penale, sentenza n. 7541 del 1994);
che il rimettente ricorda, poi, la giurisprudenza della Corte costituzionale (sono citate le ordinanze n. 46 del 2001 e n. 327 del 2000), la quale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 13 e 22 della legge n. 47 del 1985, nella parte in cui non prevedono che il rilascio della concessione edilizia in sanatoria estingua, oltre alle violazioni di natura strettamente urbanistica, anche il reato ambientale;
che, in particolare, il Tribunale di Grosseto richiama il passo della citata ordinanza n. 46 del 2001, nel quale si afferma che il diverso trattamento normativo trova giustificazione nella peculiare esigenza di tutela dei beni paesaggistico-ambientali «considerata tra i principi fondamentali della Costituzione come forma di tutela della persona umana nella sua vita, sicurezza e sanità, con riferimento anche alle generazioni future, in relazione al valore estetico-culturale assunto dall'ordinamento quale valore primario ed assoluto insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro»;
che, in ordine alla questione specifica della riduzione in pristino dell'opera abusiva, il rimettente ricorda come, prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 42 del 2004, fosse principio consolidato in giurisprudenza che l’eliminazione delle opere abusive non comporta l'estinzione del reato commesso con la loro costruzione, in quanto nei reati urbanistici ha rilevanza penale anche l’elusione del controllo che l’autorità amministrativa è chiamata ad esercitare, in via preventiva e generale, sull’attività edilizia assoggettata al regime concessorio, ed in quanto l’eliminazione spontanea del manufatto abusivo non vale ad eliminare l’antigiuridicità sostanziale del fatto reato, avendo il territorio comunque subito un vulnus;
che il rimettente ricorda, inoltre, la vicenda normativa dell’art. 8-quater del decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146 (Proroga di taluni termini di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, concernente norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1985, n. 298, il quale esclude la punibilità nei confronti di coloro che abbiano demolito o eliminato le opere abusive entro il 7 luglio 1985;
che, al riguardo, il rimettente richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione (sezione III penale, sentenza n. 10199 del 1998), che ha ritenuto tale disposizione testualmente riferita e limitata sotto il profilo temporale alle demolizioni di opere eseguite entro detta data;
che il Tribunale di Grosseto ricorda, altresì, la sentenza n. 167 del 1989 della Corte costituzionale, la quale ha escluso che tale interpretazione limitativa data dalla giurisprudenza penale a questa disposizione contrasti con la Costituzione, in quanto la demolizione dell’opera abusiva non elimina l’antigiuridicità del fatto e la configurazione e la disciplina di cause speciali di estinzione del reato o della pena rientrano nella discrezionalità del legislatore;
che, anche alla luce dei riferiti orientamenti giurisprudenziali ed in particolare dell’esigenza di tutela dell’ambiente, il giudice rimettente ritiene che sia irragionevole la mancata estensione al reato edilizio dell’effetto estintivo del reato ambientale, estensione non possibile in via ermeneutica, stante il carattere tassativo e di stretta interpretazione delle previsioni estintive dei reati;
che il rimettente ritiene, in particolare, «francamente sprovvista di ogni ragionevole giustificazione» la previsione dell’estinzione del reato ambientale a seguito della riduzione in pristino e non di quello edilizio, stante la maggiore rilevanza del bene giuridico protetto dal reato ambientale;
che d’altra parte, per il rimettente, la denunciata differenziazione non sarebbe giustificabile in ragione di una diversa natura del reato, trattandosi in entrambi i casi di reati di pericolo e non essendo necessario, per giurisprudenza costante del giudice di legittimità (sezione III penale, sentenze n. 12863 del 2003, n. 14461 del 2003 e n. 19761 del 2003), un effettivo pregiudizio per l'ambiente ai fini della configurabilità del reato;
che il rimettente sostiene, poi, che l’autonomia delle due fattispecie di reato non impedisce di ravvisare lo schema “ternario” necessariamente presupposto dal giudizio di ragionevolezza ai sensi dell’art. 3 della Costituzione;
che, per il rimettente, il principio di uguaglianza può ritenersi violato non solo nell’ipotesi di trattamento differenziato di situazioni identiche, bensì pure in quella di trattamento identico di fattispecie dotate di offensività diversa e quindi, a maggior ragione, anche nel caso di specie, dove un trattamento più sfavorevole viene riservato alla fattispecie penale oggettivamente meno grave;
che il carattere derogatorio della disposizione di cui all’articolo 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 non renderebbe la stessa inidonea alla funzione di tertium comparationis;
che il rimettente ricorda, al riguardo, le ordinanze n. 185 del 1995 e n. 484 del 1994, con le quali la Corte costituzionale ha ritenuto possibile estendere l’ambito di una previsione eccezionale o derogatoria quando tra il caso ricompreso e quello escluso ricorra l’eadem ratio derogandi, non potendo ritenersi che la salvaguardia della discrezionalità legislativa esima il giudice delle leggi dal valutare se non vi siano manifesti motivi di irrazionalità;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’infondatezza della questione;
che, secondo la difesa erariale, proprio la notevole rilevanza, anche costituzionale, del bene giuridico tutelato dalla disposizione censurata, rende del tutto ragionevole che la potestà punitiva dello Stato receda dinanzi all’esigenza di celere tutela del bene stesso;
che la ratio del denunciato art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 sarebbe da ravvisare, secondo l’Avvocatura generale, proprio nella incentivazione del ripristino immediato dello status quo ante, ratio che troverebbe conferma anche nei commi 1-ter ed 1-quater dello stesso articolo, per i quali la sanzione prevista non si applica quando l’autorità amministrativa competente accerti successivamente la compatibilità paesaggistica dell’opera realizzata in assenza di autorizzazione od in difformità da quanto disposto;
che parimenti ragionevole sarebbe, secondo l’Avvocatura generale, la scelta legislativa di non estendere il medesimo effetto estintivo al reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, stante la diversità dei beni giuridici tutelati dalle due norme incriminatrici;
che la difesa erariale rileva, oltretutto, che tale ipotetica estensione avrebbe determinato il paradossale effetto di consentire l’estinzione del reato edilizio ove commesso su area sottoposta a vincolo paesaggistico e di negarla in caso di assenza del vincolo stesso;
che la scelta legislativa di non estendere l’effetto estintivo sarebbe, invece, ragionevole, dacché eviterebbe che l’art. 181, comma 1-quinquies, del d.lgs. n. 42 del 2004 possa risolversi in una incentivazione alla commissione di violazioni paesaggistiche, in quanto anche in caso di riduzione in pristino residua comunque la punibilità del soggetto attivo in relazione al reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Considerato che il Tribunale di Grosseto ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), nella parte in cui non prevede l’estinzione anche del reato edilizio di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), «in caso di demolizione dell’opera abusiva ad opera del trasgressore prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna»;
che, per il rimettente, sarebbe irragionevole la mancata estensione al reato edilizio dell’effetto estintivo previsto per il reato paesaggistico, stante la maggiore rilevanza, anche costituzionale, del bene giuridico paesaggistico rispetto a quello tutelato dalla normativa penale in materia edilizia;
che il rimettente, in definitiva, utilizza l’argomento logico a fortiori, ritenendo «francamente sprovvista di ogni ragionevole giustificazione» la circostanza che un trattamento più sfavorevole venga riservato alla fattispecie penale oggettivamente meno grave;
che analoga questione è stata già scrutinata da questa Corte e decisa nel senso della manifesta infondatezza con l’ordinanza n. 144 del 2007;
che, anche in quel caso, il rimettente chiedeva l’estensione di una previsione, quella dell’art. 181, comma 1-quinquies del decreto legislativo n. 42 del 2004, avente, per sua stessa ammissione, natura derogatoria;
che, per giurisprudenza costante di questa Corte, non è possibile una pronuncia additiva tesa ad estendere una disposizione derogatoria ed eccezionale, a meno che non sussista piena identità di funzione tra le discipline poste a raffronto (v., ex multis, sentenza n. 149 del 2005);
che, nella specie, tale estensione non è possibile, trattandosi di fattispecie criminose analoghe, ma non identiche, tanto è vero che possono essere in concorso tra di loro (v. Cassazione, sezione III, 10 gennaio 2007, n. 231)
che infatti, come chiarito dalla costante giurisprudenza di questa Corte (v. ordinanze n. 46 del 2001 e n. 327 del 2000) e dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (v. Cassazione, sezione V, 31 marzo 1999, n. 10514), e come riconosciuto dallo stesso rimettente, il reato edilizio previsto dall’articolo 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed il reato paesaggistico previsto dall’art. 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, hanno oggetti giuridici diversi;
che i reati paesistici ed ambientali tutelano il paesaggio e l’ambiente e cioè dei beni materiali (cfr. sentenze numeri 367 e 378 del 2007), mentre i reati edilizi tutelano il rispetto di un bene astratto, e cioè la disciplina amministrativa dell’uso del territorio;
che, pertanto, pur avendo entrambi i reati la natura di reati di pericolo (avendo il legislatore in ambo i casi ritenuto necessario anticipare al massimo livello possibile la soglia di tutela degli interessi), la diversità degli oggetti “finali” protetti dai due reati giustifica discipline sanzionatorie e fattispecie estintive differenziate;
che, in particolare, la materialità del bene paesaggistico-ambientale conferisce un valore essenziale alla rimessione in pristino del paesaggio e dell’ambiente, alla quale, in definitiva, tende l’intero sistema sanzionatorio in questa materia;
che, proprio in considerazione della straordinaria importanza della tutela “reale” dei beni paesaggistici ed ambientali, il legislatore, nell’ambito delle sue scelte di politica legislativa, ha deciso di incentivarla in varie forme: sia riconoscendo attenuanti speciali a favore di chi volontariamente ripari le conseguenze dannose dei reati previsti a tutela delle acque (art. 140 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale»), sia subordinando alla riduzione in pristino il beneficio della sospensione condizionale della pena nei reati collegati alla gestione del ciclo dei rifiuti (artt. 139, 255, 257 e 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006), sia, infine, riconoscendo, come nel caso in esame, valore prevalente al ripristino del bene paesaggistico rispetto alla stessa pretesa punitiva dello Stato; che, invece, nell’ambito della repressione degli illeciti edilizi, la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, con demolizione delle opere abusivamente realizzate, rappresenta solo uno dei possibili esiti sanzionatori dell’illecito, essendo prevista, in alternativa ad essa, (art. 31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001) la possibilità per il Comune di mantenere, a determinate condizioni, l’opera coattivamente acquisita; che, pertanto, non sussistendo tra le ipotesi criminose poste a raffronto la piena identità ritenuta dal giudice rimettente, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Grosseto, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2007.
Danno ambientale – reato – estinzione – demolizione dell’opera abusiva
Il reato edilizio e quello paesaggistico hanno oggetti giuridici diversi, perchè i reati paesistici ed ambientali tutelano il paesaggio e l’ambiente e cioè dei beni materiali, mentre i reati edilizi tutelano il rispetto di un bene astratto, e cioè la disciplina amministrativa dell’uso del territorio. (1) (2)
(1) In materia di danno ambientale, si veda Cassazione penale 16575/2007.(2) In materia di ambiente e tutela paesaggistica, si veda Cassazione penale 15053/2007.
(Fonte: Altalex Massimario 2/2008. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)
Corte Costituzionale
Ordinanza 20 dicembre 2007, n. 439
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), promosso con ordinanza del 26 giugno 2006 dal Tribunale di Grosseto nel procedimento penale a carico di R. G. ed altri, iscritta al n. 676 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
Ritenuto che, con ordinanza del 26 giugno 2006, il Tribunale di Grosseto, in composizione monocratica ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), nella parte in cui non prevede l’estinzione anche del reato edilizio di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), «in caso di demolizione dell’opera abusiva ad opera del trasgressore prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna»;
che, in punto di fatto, il Tribunale di Grosseto riferisce di stare giudicando tre soggetti imputati del reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere realizzato opere in totale difformità dalla concessione edilizia;
che, in ordine alla rilevanza della questione, il giudice a quo sviluppa, in due distinte parti dell’ordinanza, articolate argomentazioni ed, in particolare, osserva:
a) che dall’istruttoria da esso svolta risulta provata l’avvenuta completa riduzione in pristino dell’immobile oggetto dell’intervento edilizio in conformità alla concessione edilizia;
b) che tale rimessione in pristino sarebbe idonea a determinare l’estinzione del reato paesistico-ambientale previsto dall’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 (applicabile retroattivamente, quale norma di maggiore favore), «mentre analoga fattispecie estintiva non è contemplata per il reato edilizio oggetto di contestazione»;
c) che tale effetto estintivo del reato paesistico-ambientale si verificherebbe anche ove fosse da seguire l’orientamento (che peraltro il rimettente contesta come eccessivamente restrittivo) espresso dalla Corte di cassazione (sentenza n. 3945 del 2006), secondo cui la riduzione in pristino deve avvenire prima dell’ingiunzione in tal senso dell’autorità amministrativa, non essendo sufficiente, ai fini dell’estinzione del reato, che essa avvenga dopo tale ingiunzione, ma prima della demolizione d’ufficio;
d) che la riduzione in pristino da parte degli imputati è, infatti, intervenuta prima della condanna giudiziale e prima della stessa ingiunzione alla demolizione da parte dell’autorità comunale;
e) che dall’eventuale accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale deriverebbe l’estinzione anche del reato edilizio contestato agli imputati, con conseguente declaratoria di non procedibilità dell’azione penale;
f) che, d’altra parte, l’intervenuta rimessione in pristino non gioverebbe altrimenti agli imputati, né, in particolare, potrebbe determinarne l’assoluzione, posto che la condotta ripristinatoria, per la giurisprudenza di legittimità, non fa venire meno la oggettività giuridica del contestato reato edilizio, ma potrebbe incidere unicamente al fine di escludere il danno o di comprovare la buona fede degli imputati, circostanze entrambe tuttavia da escludere nel caso di specie;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Grosseto richiama, anzitutto, la giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale (sezione III penale, sentenze n. 9749 del 1994 e n. 10557 del 1995) esclude l’assorbimento del reato edilizio di cui all’art. 20 della legge n. 47 del 1985 (ora art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001) nel reato ambientale di cui all’art. 163 del decreto legislativo n. 490 del 1999 (ora art. 181, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004), sull’assunto della diversa obiettività giuridica delle due fattispecie criminose, e parimenti esclude, per le stesse ragioni, che l’estinzione del reato edilizio a seguito della concessione (ora permesso) in sanatoria determini l’estinzione di quello ambientale (sezione III penale, sentenza n. 7541 del 1994);
che il rimettente ricorda, poi, la giurisprudenza della Corte costituzionale (sono citate le ordinanze n. 46 del 2001 e n. 327 del 2000), la quale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 13 e 22 della legge n. 47 del 1985, nella parte in cui non prevedono che il rilascio della concessione edilizia in sanatoria estingua, oltre alle violazioni di natura strettamente urbanistica, anche il reato ambientale;
che, in particolare, il Tribunale di Grosseto richiama il passo della citata ordinanza n. 46 del 2001, nel quale si afferma che il diverso trattamento normativo trova giustificazione nella peculiare esigenza di tutela dei beni paesaggistico-ambientali «considerata tra i principi fondamentali della Costituzione come forma di tutela della persona umana nella sua vita, sicurezza e sanità, con riferimento anche alle generazioni future, in relazione al valore estetico-culturale assunto dall'ordinamento quale valore primario ed assoluto insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro»;
che, in ordine alla questione specifica della riduzione in pristino dell'opera abusiva, il rimettente ricorda come, prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 42 del 2004, fosse principio consolidato in giurisprudenza che l’eliminazione delle opere abusive non comporta l'estinzione del reato commesso con la loro costruzione, in quanto nei reati urbanistici ha rilevanza penale anche l’elusione del controllo che l’autorità amministrativa è chiamata ad esercitare, in via preventiva e generale, sull’attività edilizia assoggettata al regime concessorio, ed in quanto l’eliminazione spontanea del manufatto abusivo non vale ad eliminare l’antigiuridicità sostanziale del fatto reato, avendo il territorio comunque subito un vulnus;
che il rimettente ricorda, inoltre, la vicenda normativa dell’art. 8-quater del decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146 (Proroga di taluni termini di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, concernente norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1985, n. 298, il quale esclude la punibilità nei confronti di coloro che abbiano demolito o eliminato le opere abusive entro il 7 luglio 1985;
che, al riguardo, il rimettente richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione (sezione III penale, sentenza n. 10199 del 1998), che ha ritenuto tale disposizione testualmente riferita e limitata sotto il profilo temporale alle demolizioni di opere eseguite entro detta data;
che il Tribunale di Grosseto ricorda, altresì, la sentenza n. 167 del 1989 della Corte costituzionale, la quale ha escluso che tale interpretazione limitativa data dalla giurisprudenza penale a questa disposizione contrasti con la Costituzione, in quanto la demolizione dell’opera abusiva non elimina l’antigiuridicità del fatto e la configurazione e la disciplina di cause speciali di estinzione del reato o della pena rientrano nella discrezionalità del legislatore;
che, anche alla luce dei riferiti orientamenti giurisprudenziali ed in particolare dell’esigenza di tutela dell’ambiente, il giudice rimettente ritiene che sia irragionevole la mancata estensione al reato edilizio dell’effetto estintivo del reato ambientale, estensione non possibile in via ermeneutica, stante il carattere tassativo e di stretta interpretazione delle previsioni estintive dei reati;
che il rimettente ritiene, in particolare, «francamente sprovvista di ogni ragionevole giustificazione» la previsione dell’estinzione del reato ambientale a seguito della riduzione in pristino e non di quello edilizio, stante la maggiore rilevanza del bene giuridico protetto dal reato ambientale;
che d’altra parte, per il rimettente, la denunciata differenziazione non sarebbe giustificabile in ragione di una diversa natura del reato, trattandosi in entrambi i casi di reati di pericolo e non essendo necessario, per giurisprudenza costante del giudice di legittimità (sezione III penale, sentenze n. 12863 del 2003, n. 14461 del 2003 e n. 19761 del 2003), un effettivo pregiudizio per l'ambiente ai fini della configurabilità del reato;
che il rimettente sostiene, poi, che l’autonomia delle due fattispecie di reato non impedisce di ravvisare lo schema “ternario” necessariamente presupposto dal giudizio di ragionevolezza ai sensi dell’art. 3 della Costituzione;
che, per il rimettente, il principio di uguaglianza può ritenersi violato non solo nell’ipotesi di trattamento differenziato di situazioni identiche, bensì pure in quella di trattamento identico di fattispecie dotate di offensività diversa e quindi, a maggior ragione, anche nel caso di specie, dove un trattamento più sfavorevole viene riservato alla fattispecie penale oggettivamente meno grave;
che il carattere derogatorio della disposizione di cui all’articolo 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 non renderebbe la stessa inidonea alla funzione di tertium comparationis;
che il rimettente ricorda, al riguardo, le ordinanze n. 185 del 1995 e n. 484 del 1994, con le quali la Corte costituzionale ha ritenuto possibile estendere l’ambito di una previsione eccezionale o derogatoria quando tra il caso ricompreso e quello escluso ricorra l’eadem ratio derogandi, non potendo ritenersi che la salvaguardia della discrezionalità legislativa esima il giudice delle leggi dal valutare se non vi siano manifesti motivi di irrazionalità;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’infondatezza della questione;
che, secondo la difesa erariale, proprio la notevole rilevanza, anche costituzionale, del bene giuridico tutelato dalla disposizione censurata, rende del tutto ragionevole che la potestà punitiva dello Stato receda dinanzi all’esigenza di celere tutela del bene stesso;
che la ratio del denunciato art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 sarebbe da ravvisare, secondo l’Avvocatura generale, proprio nella incentivazione del ripristino immediato dello status quo ante, ratio che troverebbe conferma anche nei commi 1-ter ed 1-quater dello stesso articolo, per i quali la sanzione prevista non si applica quando l’autorità amministrativa competente accerti successivamente la compatibilità paesaggistica dell’opera realizzata in assenza di autorizzazione od in difformità da quanto disposto;
che parimenti ragionevole sarebbe, secondo l’Avvocatura generale, la scelta legislativa di non estendere il medesimo effetto estintivo al reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, stante la diversità dei beni giuridici tutelati dalle due norme incriminatrici;
che la difesa erariale rileva, oltretutto, che tale ipotetica estensione avrebbe determinato il paradossale effetto di consentire l’estinzione del reato edilizio ove commesso su area sottoposta a vincolo paesaggistico e di negarla in caso di assenza del vincolo stesso;
che la scelta legislativa di non estendere l’effetto estintivo sarebbe, invece, ragionevole, dacché eviterebbe che l’art. 181, comma 1-quinquies, del d.lgs. n. 42 del 2004 possa risolversi in una incentivazione alla commissione di violazioni paesaggistiche, in quanto anche in caso di riduzione in pristino residua comunque la punibilità del soggetto attivo in relazione al reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Considerato che il Tribunale di Grosseto ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), nella parte in cui non prevede l’estinzione anche del reato edilizio di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), «in caso di demolizione dell’opera abusiva ad opera del trasgressore prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna»;
che, per il rimettente, sarebbe irragionevole la mancata estensione al reato edilizio dell’effetto estintivo previsto per il reato paesaggistico, stante la maggiore rilevanza, anche costituzionale, del bene giuridico paesaggistico rispetto a quello tutelato dalla normativa penale in materia edilizia;
che il rimettente, in definitiva, utilizza l’argomento logico a fortiori, ritenendo «francamente sprovvista di ogni ragionevole giustificazione» la circostanza che un trattamento più sfavorevole venga riservato alla fattispecie penale oggettivamente meno grave;
che analoga questione è stata già scrutinata da questa Corte e decisa nel senso della manifesta infondatezza con l’ordinanza n. 144 del 2007;
che, anche in quel caso, il rimettente chiedeva l’estensione di una previsione, quella dell’art. 181, comma 1-quinquies del decreto legislativo n. 42 del 2004, avente, per sua stessa ammissione, natura derogatoria;
che, per giurisprudenza costante di questa Corte, non è possibile una pronuncia additiva tesa ad estendere una disposizione derogatoria ed eccezionale, a meno che non sussista piena identità di funzione tra le discipline poste a raffronto (v., ex multis, sentenza n. 149 del 2005);
che, nella specie, tale estensione non è possibile, trattandosi di fattispecie criminose analoghe, ma non identiche, tanto è vero che possono essere in concorso tra di loro (v. Cassazione, sezione III, 10 gennaio 2007, n. 231)
che infatti, come chiarito dalla costante giurisprudenza di questa Corte (v. ordinanze n. 46 del 2001 e n. 327 del 2000) e dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (v. Cassazione, sezione V, 31 marzo 1999, n. 10514), e come riconosciuto dallo stesso rimettente, il reato edilizio previsto dall’articolo 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed il reato paesaggistico previsto dall’art. 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, hanno oggetti giuridici diversi;
che i reati paesistici ed ambientali tutelano il paesaggio e l’ambiente e cioè dei beni materiali (cfr. sentenze numeri 367 e 378 del 2007), mentre i reati edilizi tutelano il rispetto di un bene astratto, e cioè la disciplina amministrativa dell’uso del territorio;
che, pertanto, pur avendo entrambi i reati la natura di reati di pericolo (avendo il legislatore in ambo i casi ritenuto necessario anticipare al massimo livello possibile la soglia di tutela degli interessi), la diversità degli oggetti “finali” protetti dai due reati giustifica discipline sanzionatorie e fattispecie estintive differenziate;
che, in particolare, la materialità del bene paesaggistico-ambientale conferisce un valore essenziale alla rimessione in pristino del paesaggio e dell’ambiente, alla quale, in definitiva, tende l’intero sistema sanzionatorio in questa materia;
che, proprio in considerazione della straordinaria importanza della tutela “reale” dei beni paesaggistici ed ambientali, il legislatore, nell’ambito delle sue scelte di politica legislativa, ha deciso di incentivarla in varie forme: sia riconoscendo attenuanti speciali a favore di chi volontariamente ripari le conseguenze dannose dei reati previsti a tutela delle acque (art. 140 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale»), sia subordinando alla riduzione in pristino il beneficio della sospensione condizionale della pena nei reati collegati alla gestione del ciclo dei rifiuti (artt. 139, 255, 257 e 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006), sia, infine, riconoscendo, come nel caso in esame, valore prevalente al ripristino del bene paesaggistico rispetto alla stessa pretesa punitiva dello Stato; che, invece, nell’ambito della repressione degli illeciti edilizi, la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, con demolizione delle opere abusivamente realizzate, rappresenta solo uno dei possibili esiti sanzionatori dell’illecito, essendo prevista, in alternativa ad essa, (art. 31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001) la possibilità per il Comune di mantenere, a determinate condizioni, l’opera coattivamente acquisita; che, pertanto, non sussistendo tra le ipotesi criminose poste a raffronto la piena identità ritenuta dal giudice rimettente, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Grosseto, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2007.
Riceviamo e gentilmente pubblichiamo
Reato paesaggistico e reato edilizio: autonomia delle fattispecie criminose
Corte Costituzionale , ordinanza 20.12.2007 n° 439 (Alessandro Del Dotto)
Considerato che, per giurisprudenza costante di questa Corte, non è possibile una pronuncia additiva tesa ad estendere una disposizione derogatoria ed eccezionale, a meno che non sussista piena identità di funzione tra le discipline poste a raffronto, e che, nella specie, tale estensione non è possibile, trattandosi di fattispecie criminose analoghe, ma non identiche, tanto è vero che possono essere in concorso tra di loro, il reato edilizio previsto dall’articolo 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed il reato paesaggistico previsto dall’art. 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, hanno oggetti giuridici diversi.
I reati paesistici ed ambientali tutelano il paesaggio e l’ambiente e cioè dei beni materiali, mentre i reati edilizi tutelano il rispetto di un bene astratto, e cioè la disciplina amministrativa dell’uso del territorio. Pertanto, pur avendo entrambi i reati la natura di reati di pericolo (avendo il legislatore in ambo i casi ritenuto necessario anticipare al massimo livello possibile la soglia di tutela degli interessi), la diversità degli oggetti “finali” protetti dai due reati giustifica discipline sanzionatorie e fattispecie estintive differenziate.
In particolare, la materialità del bene paesaggistico-ambientale conferisce un valore essenziale alla rimessione in pristino del paesaggio e dell’ambiente, alla quale, in definitiva, tende l’intero sistema sanzionatorio in questa materia, invece, nell’ambito della repressione degli illeciti edilizi, la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, con demolizione delle opere abusivamente realizzate, rappresenta solo uno dei possibili esiti sanzionatori dell’illecito, essendo prevista, in alternativa ad essa, (art. 31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001) la possibilità per il Comune di mantenere, a determinate condizioni, l’opera coattivamente acquisita.
In questo senso si è espresso il Giudice delle Leggi nel respingere, per manifesta infondatezza, una questione di legittimità costituzionale sollevata da un giudice di primo grado in ordine all’articolo 181, comma 1 quinquies, del d.lgs. n. 42/2004: quest’ultimo, infatti, aveva manifestato le proprie perplessità in ordine al mantenimento di un regime penalmente sanzionatorio diverso per i reati ambientali e paesaggistici rispetto ai reati edilizi di fronte alla fattispecie di ravvedimento del soggetto imputato che aveva agito ripristinando lo status quo ante e, dunque, demolendo l’abuso commesso.
Del resto, è noto che a tale ravvedimento consegue l’estinzione del reato paesaggistico e ambientale, mentre sopravvive l’imputazione relativa alla commissione di un abuso edilizio.
Significativi sono, peraltro, i rilievi dell’Avvocatura generale, richiamati nel corpo della motivazione, per cui «proprio la notevole rilevanza, anche costituzionale, del bene giuridico tutelato dalla disposizione censurata, rende del tutto ragionevole che la potestà punitiva dello Stato receda dinanzi all’esigenza di celere tutela del bene stesso»; ciò è vieppiù vero laddove si osservi che «la ratio del denunciato art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 sarebbe da ravvisare, secondo l’Avvocatura generale, proprio nella incentivazione del ripristino immediato dello status quo ante, ratio che troverebbe conferma anche nei commi 1-ter ed 1-quater dello stesso articolo, per i quali la sanzione prevista non si applica quando l’autorità amministrativa competente accerti successivamente la compatibilità paesaggistica dell’opera realizzata in assenza di autorizzazione od in difformità da quanto disposto».
Sarebbe, allora, iniqua e ingiustificata «la scelta legislativa di non estendere il medesimo effetto estintivo al reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, stante la diversità dei beni giuridici tutelati dalle due norme incriminatrici».
Visto dunque che – come afferma l’Avvocatura – una «ipotetica estensione avrebbe determinato il paradossale effetto di consentire l’estinzione del reato edilizio ove commesso su area sottoposta a vincolo paesaggistico e di negarla in caso di assenza del vincolo stesso», deve ritenersi che la scelta legislativa di non estendere l’effetto estintivo sia, invece, «ragionevole, dacché evit[a]erebbe che l’art. 181, comma 1-quinquies, del d.lgs. n. 42 del 2004 possa risolversi in una incentivazione alla commissione di violazioni paesaggistiche, in quanto anche in caso di riduzione in pristino residua comunque la punibilità del soggetto attivo in relazione al reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001».
Ciò conferma, dunque, che l’unica “via di uscita” dal reato edilizio è e resta la sanatoria, in via ordinaria o in via straordinaria.
(Altalex, 16 gennaio 2008. Nota di Alessandro Del Dotto)
Riceviamo e gentilmente pubblichiamo
Reato paesaggistico e reato edilizio: autonomia delle fattispecie criminose
Corte Costituzionale , ordinanza 20.12.2007 n° 439 (Alessandro Del Dotto)
Considerato che, per giurisprudenza costante di questa Corte, non è possibile una pronuncia additiva tesa ad estendere una disposizione derogatoria ed eccezionale, a meno che non sussista piena identità di funzione tra le discipline poste a raffronto, e che, nella specie, tale estensione non è possibile, trattandosi di fattispecie criminose analoghe, ma non identiche, tanto è vero che possono essere in concorso tra di loro, il reato edilizio previsto dall’articolo 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed il reato paesaggistico previsto dall’art. 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, hanno oggetti giuridici diversi.
I reati paesistici ed ambientali tutelano il paesaggio e l’ambiente e cioè dei beni materiali, mentre i reati edilizi tutelano il rispetto di un bene astratto, e cioè la disciplina amministrativa dell’uso del territorio. Pertanto, pur avendo entrambi i reati la natura di reati di pericolo (avendo il legislatore in ambo i casi ritenuto necessario anticipare al massimo livello possibile la soglia di tutela degli interessi), la diversità degli oggetti “finali” protetti dai due reati giustifica discipline sanzionatorie e fattispecie estintive differenziate.
In particolare, la materialità del bene paesaggistico-ambientale conferisce un valore essenziale alla rimessione in pristino del paesaggio e dell’ambiente, alla quale, in definitiva, tende l’intero sistema sanzionatorio in questa materia, invece, nell’ambito della repressione degli illeciti edilizi, la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, con demolizione delle opere abusivamente realizzate, rappresenta solo uno dei possibili esiti sanzionatori dell’illecito, essendo prevista, in alternativa ad essa, (art. 31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001) la possibilità per il Comune di mantenere, a determinate condizioni, l’opera coattivamente acquisita.
In questo senso si è espresso il Giudice delle Leggi nel respingere, per manifesta infondatezza, una questione di legittimità costituzionale sollevata da un giudice di primo grado in ordine all’articolo 181, comma 1 quinquies, del d.lgs. n. 42/2004: quest’ultimo, infatti, aveva manifestato le proprie perplessità in ordine al mantenimento di un regime penalmente sanzionatorio diverso per i reati ambientali e paesaggistici rispetto ai reati edilizi di fronte alla fattispecie di ravvedimento del soggetto imputato che aveva agito ripristinando lo status quo ante e, dunque, demolendo l’abuso commesso.
Del resto, è noto che a tale ravvedimento consegue l’estinzione del reato paesaggistico e ambientale, mentre sopravvive l’imputazione relativa alla commissione di un abuso edilizio.
Significativi sono, peraltro, i rilievi dell’Avvocatura generale, richiamati nel corpo della motivazione, per cui «proprio la notevole rilevanza, anche costituzionale, del bene giuridico tutelato dalla disposizione censurata, rende del tutto ragionevole che la potestà punitiva dello Stato receda dinanzi all’esigenza di celere tutela del bene stesso»; ciò è vieppiù vero laddove si osservi che «la ratio del denunciato art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 sarebbe da ravvisare, secondo l’Avvocatura generale, proprio nella incentivazione del ripristino immediato dello status quo ante, ratio che troverebbe conferma anche nei commi 1-ter ed 1-quater dello stesso articolo, per i quali la sanzione prevista non si applica quando l’autorità amministrativa competente accerti successivamente la compatibilità paesaggistica dell’opera realizzata in assenza di autorizzazione od in difformità da quanto disposto».
Sarebbe, allora, iniqua e ingiustificata «la scelta legislativa di non estendere il medesimo effetto estintivo al reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, stante la diversità dei beni giuridici tutelati dalle due norme incriminatrici».
Visto dunque che – come afferma l’Avvocatura – una «ipotetica estensione avrebbe determinato il paradossale effetto di consentire l’estinzione del reato edilizio ove commesso su area sottoposta a vincolo paesaggistico e di negarla in caso di assenza del vincolo stesso», deve ritenersi che la scelta legislativa di non estendere l’effetto estintivo sia, invece, «ragionevole, dacché evit[a]erebbe che l’art. 181, comma 1-quinquies, del d.lgs. n. 42 del 2004 possa risolversi in una incentivazione alla commissione di violazioni paesaggistiche, in quanto anche in caso di riduzione in pristino residua comunque la punibilità del soggetto attivo in relazione al reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001».
Ciò conferma, dunque, che l’unica “via di uscita” dal reato edilizio è e resta la sanatoria, in via ordinaria o in via straordinaria.
(Altalex, 16 gennaio 2008. Nota di Alessandro Del Dotto)
lunedì 21 aprile 2008
Marco Valerio Marziale (38ca.-103 ca.)
[A cura di Simone Beta, Mondadori, I Classici Collezione, Milano, 2007, p.77, 79]
Marco Valerio Marziale (38ca.-103 ca.)
[A cura di Simone Beta, Mondadori, I Classici Collezione, Milano, 2007, p.77, 79]
venerdì 18 aprile 2008
IL RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA C.E.
In tema di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE, la Corte ha fissato con precisione i relativi presupposti affermando che:
- il rinvio pregiudiziale della causa alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell'art. 234 del Trattato C.E., presuppone: che la questione interpretativa riguardi norme comunitarie, che la stessa sia rilevante ai fini della decisione e che sussistano effettivi dubbi sulla interpretazione, essendo il rinvio inutile (o non obbligato) quando
l'interpretazione della norma sia evidente o il senso della stessa sia già stato chiarito da precedenti pronunce della C.G.C.E.. Pertanto, non deve sottoporsi all'interpretazione della Corte l'art. 24 del Regolamento C.E. n. 44 del 2001 in relazione alla possibilità per la parte, la cui eccezione di difetto di giurisdizione sia stata respinta in primo grado, di riproporla in appello senza dover esercitare mezzi di impugnazione, atteso che l'art. 24 cit. disciplina l'accettazione tacita di competenza e non il rigetto di una eccezione espressa di incompetenza e, come ha chiarito la C.G.C.E. (sent. 15 novembre 1983, Duijnstee) in relazione all'art. 19 della Convenzione di Bruxelles, riprodotto dall'art. 25 Reg., solo se la controversia rientra tra le ipotesi di competenza esclusiva, il giudice nazionale deve dichiararsi incompetente d'ufficio “anche se la norma processuale limita l'indagine del giudice nell'ambito di un ricorso per cassazione ai mezzi dedotti dalle parti”: dal che si deduce a contrariis che nelle altre ipotesi restano ferme per il giudice dell'impugnazione le limitazioni all'indagine derivanti dall'applicazione delle norme nazionali (Sezioni Unite, sentenza n. 12067);
- il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, quantunque obbligatorio per i giudizi di ultima istanza, presuppone che la questione interpretativa controversa abbia rilevanza in relazione al thema decidendum sottoposto all'esame del giudice nazionale ed alle norme interne che lo disciplinano; è stato, pertanto, ritenuto irrilevante il quesito – per cui la parte sollecitava il rinvio pregiudiziale – relativo al se la sussistenza dei requisiti di cui all'art. 17 lett c) Conv. Bruxelles “debba essere valutata in capo ai brokers” o “ai contraenti finali”, avendo accertato che non esisteva un uso internazionale consolidato in materia di deroga alla giurisdizione e che i brokers intervenuti nella procedura contrattuale avevano svolto un ruolo di mediatori senza assumere la rappresentanza delle parti (Sezioni Unite, ordinanza n. 8095);
- non può essere disposto il rinvio pregiudiziale di una causa alla Corte di Giustizia, ex art. 234 trattato CE, deducendo che una norma interna (nella specie, l'art. 4 della legge n. 460 del 1987) sia invalida perché fissa una sanzione sproporzionata rispetto alla regola di condotta imposta da un regolamento comunitario, non configurandosi in tal caso alcun conflitto tra diritto interno e diritto comunitario, in quanto, una volta che un regolamento comunitario abbia imposto un obbligo di condotta, demandandone la sanzione ai singoli ordinamenti nazionali, rientra nella discrezionalità del legislatore statale determinare la qualità e la misura della sanzione, e tale scelta è insindacabile in relazione all'ordinamento comunitario sotto il profilo dell'eccessività della sanzione (sentenza n. 11125);
- è inammissibile l'istanza di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 234 del Trattato U.E. per la risoluzione di questioni di interpretazione della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (nella specie, in materia di diritto alla traduzione degli atti del procedimento di espulsione in una lingua conosciuta), non potendo ritenersi che le disposizioni della predetta Convenzione costituiscano parte integrante del diritto comunitario (sentenza n. 6978).
La Corte ha, infine, rimesso alla Corte di Giustizia, ai sensi dell'art. 234 Trattato CE, la questione –relativa a un giudizio civile instaurato nei confronti di un parlamentare europeo e avente ad oggetto l'esperimento di un'azione risarcitoria per diffamazione a carico di un magistrato - se, nell'ipotesi di inerzia di detto parlamentare, che non si avvalga dei poteri attribuitigli dall'art. 6, comma secondo, del Regolamento del Parlamento europeo di richiedere direttamente al Presidente la difesa dei privilegi e delle immunità, il giudice avanti al quale penda la causa sia comunque tenuto a richiedere a tale Presidente la revoca dell'immunità, ai fini della prosecuzione del procedimento e dell'adozione della decisione, ovvero, se in difetto della comunicazione da parte dello stesso Parlamento europeo di voler difendere le immunità e i privilegi del parlamentare (analogamente a quanto avviene in applicazione dell'art. 68 Cost. per i parlamentari nazionali), il giudice avanti al quale pende la causa civile possa decidere sull'esistenza o meno della prerogativa, avuto riguardo alle condizioni concrete del caso di specie (ordinanza interlocutoria n. 7734).
U F F I C I O D E L M A S S I M A R I O
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RASSEGNA DELLA
GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ
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LA GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI CIVILI
DELLA CORTE DI CASSAZIONE
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ANNO 2007
Roma – gennaio 2008
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