La “legge di Good” e il “nocciolo della questione” – Arthur Bloch, noto umorista statunitense, rammenta come la “Legge di Good” costituisca una norma “naturale” fondamentale: «se hai un problema che deve essere risolto da una burocrazia, ti conviene cambiare problema».
1. Mi rendo conto che, ai “massimalisti” del diritto e, in specie, alle “vestali” del diritto amministrativo, simile citazione possa risultare sconveniente, un pò approssimativa e magari troppo profana.
Non è mia intenzione, tuttavia, urtare la sensibilità di alcuno; anzi, il tentativo è quello di porre un accento “meno amaro” su una realtà che, talora, più che lasciare – ritraendosi – stupiti e disorientati, finisce – agendo – per gettare nello sconcerto più assoluto.
Ecco, allora, che niente più della citazione sopra riportata è capace di esprimere il senso che, di fondo, tratteggia l’animo di chi si confronta – soprattutto a livello operativo più che teorico – con la vigente disciplina in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e con le relative regole dell’evidenza pubblica.
Le continue variazioni normative, le diverse indicazioni pratiche dei giudici e delle autorità (Ministeri, Autorità di vigilanza, etc.) rendono spesso impossibile all’operatore affrontare con serenità lo svolgimento di una gara e l’indizione di una procedura ad evidenza pubblica.
E se questa è un’osservazione che vale per tutto il Codice (si rammentano: i tre decreti “correttivi”, la finanziaria, la sentenza della
Corte costituzionale 401/2007 e, da poco, la procedura di infrazione – la quale ultima, pur senza effetti modificativi diretti, giustifica e prefigura l’ennesimo intervento di modificazione normativa da parte dell’insediando XV legislatore), ci si trova, in questa sede, nuovamente all’esame di un ulteriore aspetto critico della normativa.
Nella recentissima pronuncia che qui si annota, di fatti, ad essere posto in discussione è – ora – il meccanismo dell’accesso agli atti o, quanto meno, l’accesso agli atti “all’italiana” che – stando ad una pronuncia della Corte di Giustizia, pur relativamente all’assetto legislativo prescelto da un altro Stato membro – potrebbe non risultare particolarmente rispettoso dei principi e delle regole della trasparenza (almeno, nell’accezione che di quest’ultima hanno le istituzioni comunitarie).
Più nello specifico, ad essere posto nel dubbio di compatibilità con il panorama normativo comunitario è il diritto di accedere alle informazioni e ai dati relativi all’offerta tecnica.
La vicenda è sintetizzabile nel quesito pregiudiziale alla soluzione della controversia, posto dal Giudice del rinvio: l’organo responsabile delle procedure di ricorso (in questo caso, un Giudice) deve garantire la riservatezza e il rispetto dei segreti commerciali contenuti nei fascicoli ad esso trasmessi dalle parti in causa, tra le quali rientra anche l’amministrazione aggiudicatrice, pur avendo esso allo stesso tempo il diritto di venire a conoscenza di siffatte informazioni e di prenderle in considerazione?
In effetti, se – come nel caso oggetto di sindacato – il ricorrente intende accedere agli atti relativi ai dati dell’offerta tecnica e si vede negare tale facoltà dall’amministrazione, viene il dubbio se tale accesso possa concretamente avvenire laddove, pendente il ricorso, sia l’autorità giudiziaria adita a consentire l’accesso ai dati in un primo tempo negati alla visione.
Ciò può, comunque, avvenire soltanto laddove si abbia una chiara nozione dell’oggetto dell’accesso e una idea certa sulla disciplina di questo oggetto; in sintesi, è implicito che, per rispondere alla domanda poc’anzi riportata, vi sia da chiedersi se, comunque, quelle informazioni sono normalmente accessibili oppure no.
2. Il diritto di accesso nel codice dei contratti pubblici – Nel nostro Codice dei contratti pubblici (
d.lgs. n. 163/2006) il diritto di accesso è disciplinato dall’art. 13 (“Accesso agli atti e divieti di divulgazione”); questo articolo, in parte, recepisce alcune delle indicazioni normative preesistenti al Codice, fra le quali l’art. 22 della l. n. 109/1994, l’art. 10 del d.P.R. n. 554/1999 e costituisce il recepimento delle disposizioni dettate sul punto dalla normativa comunitaria (da cui, com’è noto, il Codice ha avuto origine).
Com’è noto, al primo comma del citato articolo il legislatore nazionale inquadra l’istituto nella più generale disciplina dell’accesso agli atti, disposta dalla
l. n. 241/1990 e dal relativo regolamento (
d.P.R. n. 184/2006; entrambe queste norme sono state recentemente modificate); in tal senso, dunque, il diritto di accesso, per come disciplinato dall’art. 13 del
d.lgs. n. 163/2006, costituisce norma speciale rispetto a quella generale della
l. n. 241/1990 (artt. 22 e sgg.).
Non disponendo diversamente, dunque, l’articolo 13 – quanto a presupposti e condizioni per poter essere titolari del (e poter esercitare concretamente il) diritto di accesso – fa riferimento alla legge sul procedimento amministrativo.
Una prima serie di deroghe all’ordinaria disciplina della
l. n. 241/1990, tuttavia, la si trova già al comma secondo dell’art. 13: sono i casi del c.d. “differimento” dell’accesso.
Ebbene, il potere di differimento è previsto e disciplinato in via generale dall’art. 24, comma 6, della
l. n. 241/1990 e dall’art. 9, comma 2, del
d.P.R. n. 184/2006: sostanzialmente, «il differimento dell'accesso è disposto ove sia sufficiente per assicurare una temporanea tutela agli interessi di cui all'
articolo 24, comma 6, della legge, o per salvaguardare specifiche esigenze dell'amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa».
In materia di appalti, comunque, il differimento è previsto in specifici casi e con termini massimi temporali (rectius, termini conclusivi del periodo di differimento) ben delineati e precisi, a seconda del tipo di procedura di selezione del contraente che sia stata selezionata dall’amministrazione procedente:
1) nelle procedure aperte, il diritto di accesso viene temporaneamente sterilizzato fino a che non è spirato il termine per la presentazione delle offerte ma solo in relazione al numero e all’identità dei soggetti che hanno fino a quel momento inviato i propri plichi e, dunque, la propria proposta contrattuale (“all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte”: art. 13, comma 2, lett. a);
2) nelle altre tipologie di procedure concorsuali la disciplina è la medesima (resta fermo il termine ultimo della presentazione delle offerte, n.d.r.) con l’aggiunta che, all’accesso, – oltre al numero e all’identità degli offerenti – sono sottratti anche il numero e i nominativi dei soggetti che hanno presentato istanza di partecipazione e che sono stati invitati ad offrire (tale differimento, tuttavia, è derogato per i soggetti non ammessi ad offrire nonostante abbiano formulato istanza di partecipazione: art. 13, comma 2, lett. b);
3) in ogni caso, il diritto di accesso viene temporaneamente compresso se esercitato per conoscere del contenuto e delle informazioni relative alle offerte, mentre l’interessato potrà tornare a godere pienamente di tale diritto solo dopo l’avvenuta approvazione dell’aggiudicazione (definitiva, n.d.a.: art. 13, comma 2, lett. c).
Siffatto impianto normativo, del resto, non è sconosciuto al nostro ordinamento, nel quale – fra l’altro – si è sempre sostenuto che «limiti speciali in materia di diritto di accesso, orientati, rispettivamente, alla esclusione dell'accesso e al suo differimento possono rinvenirsi soltanto nell'art. 4 d.m. lavori pubblici 14 marzo 2001 n. 292 (il quale si limita a differire l'accesso "...ai sotto elencati documenti sino a quando la conoscenza degli stessi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell'azione amministrativa: a), b), c), d), e), f), (omissis) g) documenti relativi a procedure concorsuali per l'aggiudicazione di lavori e forniture di beni e servizi, nonché atti che possano pregiudicare la sfera di riservatezza dell'impresa o ente in ordine ai propri interessi professionali, finanziari, industriali e commerciali"). L'ultimo comma dell'art. 4 citato precisa, significativamente, che, "per una adeguata tutela degli interessi richiamati, l'accesso è consentito mediante estratto esclusivamente per notizie riguardanti la stessa impresa o ente richiedente, fino alla conclusione delle procedure di scelta del contraente"» (ex multis, T.A.R. Puglia-Bari, sez. I, sentenza 3 settembre 2002, n. 3827).
Solo per precisione, merita rammentare che l’inoltro di una istanza di accesso nelle more di una delle circostanze di cui al comma 2 non legittima l’amministrazione interessata ad opporre un diniego all’accesso agli atti, ma consente soltanto l’attivazione dei poteri di differimento in capo all’ufficio: di modo che, all’istante, potrà comunicarsi che “è possibile accedere solo dopo il ...” e non che “non è possibile accedere” (da sempre, del resto, si sostiene che «non può essere negato il diritto di una impresa che ha partecipato ad una gara di appalto di accedere a tutti i documenti della procedura di gara sulla base dell'esigenza di tutelare la riservatezza delle imprese partecipanti, (in assenza di specifiche disposizioni regolamentari che annettano tutela preminente alla tutela di quella riservatezza), visto che deve senz'altro ammettersi che tale esigenza possa giustificare il solo differimento dell'accesso sino alla conclusione delle procedure di scelta del contraente, ma non anche il diniego di accesso a gara conclusa»: T.A.R. Puglia-Bari, sent. cit.).
Sul differimento, infine, il legislatore ha disposto – sostanzialmente – che chiunque (specie nel caso di cui all’art. 13, comma 2, lett. b) viene a contatto con informazioni che – all’epoca del contatto stesso – non sarebbero accessibili, ha l’obbligo e il dovere di non divulgare tali informazioni (art. 13, commi 3 e 4), cosicché si configura un sistema di responsabilità condivise fra il pubblico ufficiale e il soggetto che espleta l’accesso in una fase tanto particolare.
Una seconda serie di deroghe all’ordinaria disciplina dell’accesso agli atti nelle gare di appalto, poi, è prevista al comma 5 dell’art. 13, relativamente ai casi di esclusione della possibilità di accedere a talune informazioni.
Per chiarezza, si osservi che – stando al dettato normativo – i quattro casi di esclusione vanno, comunque, distinti in casi di “esclusione assoluta” del diritto di accesso e casi di “esclusione relativa”.
Fra i primi rientrano quelle fattispecie concrete in cui si chiede di accedere:
1) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del codice, che siano stati dati per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relativamente alla procedura e al contratto pubblico in questione (art. 13, comma 5, lett. c);
2) alle relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto (art. 13, comma 5, lett. d).
Pur concernendo fattispecie evidentemente particolari, appare doveroso specificare che l’esclusione di cui alla lett. c) del comma 5 non appare del tutto condivisibile, quantomeno in riferimento ad un caso particolare che potrebbe, certamente, verificarsi: si pensi all’occasione in cui un’impresa sia stata ammessa in virtù di un parere legale che ha risolto talune incertezze che l’amministrazione procedente aveva riscontrato, e che contro tale ammissione altra impresa (che sarebbe stata vincitrice in caso di non ammissione della prima anzidetta) intenda proporre ricorso; in simile fattispecie, se l’amministrazione – da sola e come spesso accade – non ha palesato le motivazioni dell’ammissione, disposta in sede di gara, ma ha fatto semplicemente rinvio a quanto espresso nel parere legale acquisito, non è illogico ritenere che il parere costituisca ex se motivazione del provvedimento di ammissione, pur restando materialmente e fisicamente distinta da esso, e appare plausibile ritenere che su tale motivazione (parere legale, n.d.a.) il soggetto che intende adire le competenti sedi di tutela non possa vedere compresso il proprio diritto di accesso se non a pena di una (ingiustificabile e incomprensibile) compressione del sotteso diritto, costituzionalmente garantito, di difesa.
Se tali, dunque, sono le esclusioni che abbiamo detto “assolute”, altre sono – invece – quelle “relative”: il riferimento è alle disposizioni di cui all’art. 13, comma 5, lett. a) e b), nelle quali è contemplata, per l’amministrazione, la possibilità di opporre un diniego di accesso ove si cerchi la libera disponibilità
1) di informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che rappresentino, sulla base di una motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali, oppure
2) di ulteriori aspetti riservati delle offerte, da individuarsi in sede di regolamento.
Pur se, ad un primo e sommario esame del testo del d.P.R. 28 gennaio 2008 (recante il nuovo regolamento di attuazione ed esecuzione del Codice dei contratti pubblici, emesso ai sensi dell’art. 5 di quest’ultima norma), la previsione di cui alla lett. b) pare del tutto inadempiuta e – mi si passi il termine – “vuota” (configurando, in tal senso, una norma “aperta” per rinvio ai futuri sviluppi della fonte regolamentare) essa – assieme alla previsione della lett. a) – trova una eccezione nel comma 6 dell’art. 13, a ragione del quale «è comunque consentito l'accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso».
Volendo aprire ad un ragionamento puramente giuridico, se l’accesso è diritto dell’interessato, ammesso in via generale dalla norma della
l. n. 241/1990, le compressioni di cui ai commi 2 e 5 dell’art. 13 del
d.lgs. n. 163/2006 altro non sono se non norma speciale e, comunque, eccezionale rispetto alla lex generalis, da interpretarsi – come l’operatore ben sa – in modo restrittivo (attenendosi a quanto tassativamente ed espressamente contenuto in esse); mentre le deroghe a tali eccezioni, contenute nel secondo periodo della lett. b), comma 2, dell’art. 13 e nel comma 6 di tale ultima disposizione, consentendo una riespansione e riaffermazione del diritto generalmente riconosciuto nel nostro ordinamento di accedere agli atti, possono ben essere considerate “eccezioni all’eccezione” e, dunque – nuovamente –, regola.
Orbene, è proprio sulla disposizione che crea queste “eccezione all’eccezione”, e cioè sul comma 6 dell’art. 13, che si appuntano le critiche e le censure della sentenza del Giudice comunitario da cui prendono le mosse le riflessioni e le conclusioni cui si cercherà di addivenire in questo scritto: è, in sintesi, su quel diritto di accedere ad informazioni commerciali e tecniche dell’altro offerente, motivato con la volontà di tutelare giurisdizionalmente la propria posizione giuridica, che si concentra la portata della decisione in commento.
3. Il diritto di accesso nelle direttive comunitarie – Prima, però, di cimentarsi nella (forse) risolutiva analisi della questione, preme rammentare – pur brevemente (e con le indispensabili scuse allo studioso) – quali siano le indicazioni in ordine all’espletamento dell’accesso ai documenti e alle informazioni della gara nel quadro normativo comunitario.
La direttiva 2004/18/CE, ad esempio, prevede che “fatte salve le disposizioni della presente direttiva, in particolare quelle relative agli obblighi in materia di pubblicità sugli appalti aggiudicati e di informazione dei candidati e degli offerenti, previsti rispettivamente all’Articolo 35, paragrafo 4, e all’Articolo 41, e conformemente alla legislazione nazionale cui è soggetta l’amministrazione aggiudicatrice, quest’ultima non rivela informazioni comunicate dagli operatori economici e da essi considerate riservate; tali informazioni comprendono in particolare segreti tecnici o commerciali, nonché gli aspetti riservati delle offerte” (art. 6, “Riservatezza”).
In sostanza, dunque, oltre alla disposizione specificamente dettata dall’art. 35, comma 4 (“talune informazioni relative all'aggiudicazione dell'appalto o alla conclusione dell’accordo quadro possono non essere pubblicate qualora la loro divulgazione ostacoli l'applicazione della legge, sia contraria all'interesse pubblico, pregiudichi i legittimi interessi commerciali di operatori economici pubblici o privati oppure possa recare pregiudizio alla concorrenza leale tra questi”) e dall’art. 41 (“le amministrazioni aggiudicatrici possono decidere di non divulgare talune informazioni relative all'aggiudicazione degli appalti, alla conclusione di accordi quadro o all'ammissione ad un sistema dinamico di acquisizione di cui al paragrafo 1, qualora la loro diffusione ostacoli l'applicazione della legge, sia contraria all'interesse pubblico, pregiudichi i legittimi interessi commerciali di operatori economici pubblici o privati oppure possa recare pregiudizio alla concorrenza leale tra questi”), la norma dell’art. 6 – letteralmente simmetrica a quella del comma 5, dell’art. 13 – manifesta una fondamentale apertura delle istituzioni comunitarie ad altre e ulteriori forme di garanzia del rispetto dei diritti e delle prerogative sviluppate da ciascun operatore commerciale nel settore di operatività.
Non risulta, invece, contemplata la “mitigazione” invece contenuta nell’art. 13, comma 6.
Solo in modo alquanto “forzato”, si potrebbero intravedere segnali di un’apertura simile a quella dell’art. 6 nel considerando n. 29 della direttiva 2004/18/CE ove – disponendo che “le specifiche tecniche fissate dai committenti pubblici dovrebbero permettere l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza” e che “a questo scopo deve essere possibile la presentazione di offerte che riflettano la pluralità di soluzioni tecniche. Pertanto le specifiche tecniche devono poter essere fissate in termini di prestazioni e di requisiti funzionali e, in caso di riferimento alla norma europea, o, in mancanza di quest’ultima, alla norma nazionale, le amministrazioni aggiudicatrici devono prendere in considerazione offerte basate su altre soluzioni equivalenti che soddisfano i requisiti delle amministrazioni aggiudicatrici e sono equivalenti in termini di sicurezza” – “per dimostrare l’equivalenza, gli offerenti dovrebbero poter utilizzare qualsiasi mezzo di prova”, non escludendo (almeno apparentemente) il ricorso all’accesso diretto alle informazioni contenute nell’offerta.
Parimenti, da altro contesto, è dato desumere – pur non con gli stessi termini letterali – che la reale incisività del diritto di difesa deve essere sempre garantita: è il caso della c.d. “direttiva ricorsi” (direttiva CEE 89/665/CEE del 21 dicembre 1989, recante norme di “coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori”, pubblicata nella G.U.C.E. n. L395 del 30 dicembre 1989).
Tale ultima norma, del resto, dispone espressamente che “le decisioni prese dalle autorità aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace” (artt. 1 e 2), tale potendosi ritenere – a parere di chi scrive – non solo un ricorso che sia contenuto nei tempi e negli adempimenti istruttori richiesti ma anche quello che sia ben mirato nei contenuti, con tale ultimo carattere presupponendo la conoscibilità più ampia delle informazioni relative al procedimento di gara e all’offerta e, dunque, l’accessibilità di quest’ultima da parte di chi intende tutelarsi evitando i c.d. “ricorsi al buio”.
4. La discrasia legislativa fra l’Italia e l’Unione – La sentenza della Corte di giustizia, tuttavia, apre uno scenario di assai problematica composizione.
I giudici comunitari, infatti, non paiono aver preso nella benché minima considerazione le riflessioni che, pur brevemente, si sono poc’anzi fatte sulla normativa del contesto comunitario. Anzi.
Nella vicenda concreta, oggetto di sindacato, i Giudici sono giunti ad affermare che, in sostanza, non è importante che il ricorrente abbia libero accesso alle informazioni relative all’offerta del controinteressato (ivi da intendersi in senso atecnico), bensì che tale accesso sia garantito all’organo chiamato a giudicare.
Detto altrimenti, è plausibile negare l’accesso ai dati tecnici di un’offerta.
La base di tale assunto è costituita dal fatto che già l’ex art. 15 della direttiva 93/36/CEE «prevede che le amministrazioni aggiudicatrici hanno l’obbligo di rispettare il carattere confidenziale di qualsiasi informazione fornita dai fornitori» (par. 37, sent. cit.).
Secondo la Corte, infatti, «l’obiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici comprende l’apertura ad una concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri» e «per conseguire tale obiettivo, è necessario che le amministrazioni aggiudicatici non divulghino informazioni relative a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici il cui contenuto potrebbe essere utilizzato per falsare la concorrenza, sia in una procedura di aggiudicazione in corso, sia in procedure di aggiudicazioni successive»; «inoltre, le procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, per loro natura e per il sistema di regolamentazione comunitario in materia, sono fondate su un rapporto di fiducia tra le amministrazioni aggiudicatici e gli operatori economici che partecipano ad esse. Questi ultimi devono poter comunicare a tali amministrazioni aggiudicatici qualsiasi informazione utile nell’ambito della procedura di aggiudicazione, senza temere che esse rivelino a terzi elementi di informazione la cui divulgazione potrebbe recare pregiudizio a tali operatori» (parr. 34, 35 e 36, sent. cit.).
Insomma, leale e reale concorrenza, prima di ogni altra cosa.
E se anche, come nel caso in esame, sono in questione i caratteri tecnico-qualitativi dell’offerta «il principio del contraddittorio non implica che le parti abbiano un diritto di accesso illimitato e assoluto al complesso delle informazioni relative alla procedura di aggiudicazione dei mercati di cui trattasi che sono state presentate all’organo responsabile del ricorso» (par. 51, sent. cit.); in tal senso, la soluzione suggerita dal Giudice europeo è che, stante che «che l’organismo competente a conoscere dei ricorsi deve necessariamente poter disporre di tutte le informazioni necessarie per essere in grado di decidere con piena cognizione di causa, ivi comprese le informazioni riservate e i segreti commerciali» (par. 53, sent. cit.), «tale organo, prima di comunicare tali informazioni ad una parte nella controversia, deve dare all’operatore economico di cui trattasi la possibilità di opporre il loro carattere riservato o di segreto commerciale» (par. 54, sent. cit.) nonostante che essa debba, comunque, «garantire la riservatezza e il diritto al rispetto dei segreti commerciali con riferimento alle informazioni contenute nei fascicoli che le vengono comunicate dalle parti in causa, in particolare dall’amministrazione aggiudicatrice, pur potendo essa stessa esaminare tali informazioni e tenerne conto» (par. 55, sent. cit.).
Né più né meno un meccanismo simile a quello c.d. “del controinteressato” previsto nel nostro ordinamento con riguardo all’accesso ai dati personali e sensibili (meglio nota come privacy).
Simile meccanismo, però, non sussiste nel caso italiano.
Il Codice dei contratti – a differenza di quanto affermato, in linea di principio, dalla Corte di giustizia – afferma, da un lato, una generale inaccessibilità di talune informazioni e ne prevede, d’altro lato, la (incondizionata, n.d.a.) accessibilità quando, invece, si faccia valere la ragione dell’accesso ad una tutela (“difesa in giudizio”) dei propri diritti e interessi.
Contrariamente proprio a quanto affermato dalla Corte (cfr. parr. 39 e 40), in Italia è sufficiente che un soggetto interessato formuli una richiesta di accesso adducendo, a motivazione, la indispensabilità degli atti domandati ai fini di costituire idonea “difesa in giudizio” che – quasi in via automatica – l’amministrazione è obbligata per legge a concedere l’accesso (ignorando qualsivoglia problematica di leale concorrenza).
Un unico limite poteva essere rappresentato dal fatto che costruire una difesa “in giudizio” avrebbe potuto presupporre la sussistenza dei termini per ricorrere in giudizio, di modo che – ad esempio – se sono spirati i centoventi giorni, l’accesso agli atti potrebbe essere negato perché è in re ipsa che nessun tipo di giudizio può ormai essere attivato: tuttavia, anche siffatta costruzione può entrare in crisi solo ove si pensi all’attuale fermento e dibattito intorno alla eliminazione della c.d. “pregiudiziale amministrativa” (per la quale, in sintesi, l’annullamento dell’atto amministrativo è conditio sine qua non per l’accesso alla successiva tutela risarcitoria); onde per cui, il termine per esercitare il diritto di accesso ancorato a tale motivazione slitterebbe, nei termini, fino a quello ordinario di prescrizione dell’esercizio del diritto al risarcimento del danno.
Almeno in apparenza, dunque, i due ordinamenti (quello comunitario e quello nazionale, n.d.a.) paiono molto meno allineati di quanto non sembri, determinando, in questo senso, l’ennesima situazione di incertezza del diritto ancora una volta sul Codice dei contratti pubblici.
E si tratta, inoltre, di una fattispecie che alimenta anche un’antinomia pure interna all’ordinamento italiano, che da un lato protegge i diritti della proprietà industriale e intellettuale e dall’altro li rende accessibili nel settore dei contratti pubblici; e, se tecnicamente ciò trova una soluzione con il principio di due lex entrambe specialis, ma l’una (contratti pubblici) posterior all’altra (proprietà industriale), ragionando di principi e valori tale soluzione non pare minimamente condivisibile.
5. Possibili soluzioni (per l’operatore e per il legislatore) – Di fronte a tali (ed ennesime) problematiche, si pongono interrogativi non solo per il cultore del diritto, ma anche – e soprattutto – per l’operatore (specie, la P.A.) che di quelle norme su cui grava l’incertezza deve fare applicazione.
Una prima soluzione sta nella lettura “comunitariamente orientata” della norma di cui all’art. 13, comma 6.
Del resto, ove si statuisce che l’accesso è consentito “al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi” non pare impossibile che la locuzione “in giudizio” sia da intendersi quale “giudizio instaurato”, sostanzialmente rendendo la fattispecie del comma 6 simile a quella conclusivamente disposta dal Giudice comunitario, laddove le informazioni – normalmente riservate – sarebbero nella disponibilità di un Giudice che ne regolerebbe modi e quantità di accesso.
A ben vedere, tuttavia, siffatta ricostruzione rischia – però – di palesarsi eccessivamente forzata, in quanto pone in gioco una visione dell’istituto dell’accesso che, sicuramente, non è quella posta alla base del nostro ordinamento in materia.
Una seconda soluzione potrebbe, poi, essere quella di ritenere che si applichi al caso di accesso alle informazioni richiamate nell’art. 13, comma 5, lett. a) l’istituto della chiamata del controinteressato, già conosciuto dalla disciplina dell’ordinario accesso agli atti relativamente alla tutela degli aspetti della riservatezza (sic, Tessaro, Una ulteriore spallata al codice dei contratti in sede europea (stavolta in materia di accesso, in La Gazzetta degli enti locali, 2008, Maggioli ed.).
Tale impostazione, in sostanza, consentirebbe l’accesso ad informazioni rispetto alle quali, pendendo una richiesta, il titolare e produttore di esse è chiamato dalla P.A. (la quale in quel momento dette informazioni detiene) a dare il proprio assenso all’accesso richiesto (il riferimento cade sul fatto che il comma 5, lett. a) dell’art. 13 si richiama a una “motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente” che dichiara sostanzialmente inaccessibile l’offerta ed i suoi elementi); in caso di non prestazione del consenso, la P.A., bilanciando le posizioni (e, comunque, ponderando gli interessi e decidendo quale – fra l’interesse ad accedere e l’interesse a mantenere riservato – prevale), dovrebbe – allora – decidere se far prevalere l’una o l’altra pretesa.
Pure tale soluzione, comunque, mantiene alcuni profili di dubbia percorribilità.
In primo luogo, sostenere tale tesi significa sostenere l’applicabilità in via analogica dell’istituto della “notifica dell’accesso al controinteressato”, il quale – invece – si configura, come noto, quale istituto di eccezionale applicazione nel sistema dell’accesso agli atti (e infatti, lo si ammette solo per la tutela della riservatezza dei dati ex d.lgs. n. 196/2006) che, in Italia, ammette (almeno teoricamente) ben poche eccezioni alla regola generale della più assoluta reperibilità degli atti della P.A.; tale impossibilità di percorrere le vie dell’analogia per risolvere il problema, del resto, la si ricava – ad esempio – dalla ben nota inammissibilità dell’estensione dell’istituto della notifica a fattispecie non espressamente contemplate dall’ordinamento giuridico (si pensi alle frequenti – e illegittime – prassi di estendere lo strumento anche al caso di accesso ad atti quali i permessi di costruire o i titoli edilizi).
In secondo luogo, tale tesi “estensiva” pecca in difetto rispetto alla sentenza, che dichiara come vi siano informazioni totalmente e assolutamente inaccessibili rispetto agli aspetti dell’offerta, mentre nel meccanismo della “notifica al controinteressato” permane un margine di discrezionalità (il titolare delle informazioni cui si intende accedere potrebbe negare l’accessibilità, ma la P.A. potrebbe comunque riconoscere l’accesso) che la Corte di giustizia ha riconosciuto solo ad un giudice e non anche alla P.A., troppo direttamente coinvolta nella decisione sull’accessibilità delle informazioni.
E’, però, vero che tale sistema potrebbe divenire soluzione al problema se espressamente previsto e codificato dal legislatore (con l’ennesima modificazione normativa al Codice dei contratti).
Una terza soluzione – forse maggiormente percorribile e che non impegna, nel breve periodo, il legislatore in alcuna modifica – è quella che, nella pratica, la P.A. – in sede di enumerazione dei documenti necessari alla partecipazione alla gara indetta (e, dunque, in sede di bando) – preveda che l’offerente che stia producendo un’offerta costituente “segreto tecnico o commerciale” ai sensi e per gli effetti dell’art. 13, comma 5, lett. a), alleghi apposita dichiarazione in sede di offerta, nella quale motiva e documenta (motivare e documentare come due autonome e distinte attività, n.d.a.) siffatto carattere di segretezza della propria offerta.
In questo modo, a fronte della richiesta pervenuta, la P.A. potrebbe invocare detta dichiarazione a sostegno di un proprio diniego “giocato” sull’esigenza di tutela di un interesse che trova la propria fonte e il proprio riconoscimento nel contesto internazionale, ad opporsi al quale – giunti a quel punto – avrebbe titolo solo (e davvero, non pretestuosamente, come nei timori della Corte che prefigura scenari in cui si fanno ricorsi a posta per avere informazioni, n.d.a.) un Giudice realmente adito da un soggetto interessato.
Ciò – rispetto a qualsiasi altra soluzione e, comunque, in attesa dell’intervento risolutivo del legislatore – potrebbe almeno per ora “tamponare” questa nuova “falla” che il diritto comunitario ha (di nuovo) aperto nella già compromessa “barca” della legislazione nazionale italiana, semplicemente non risolvendo il conflitto tra P.A. e soggetto istante ma deresponsabilizzando la prima e spostando i problemi dell’istante ad un confronto con chi, quella dichiarazione, l’ha composta e motivata.
Sempre in attesa del provvidenziale, prossimo ed ennesimo “decreto correttivo".
(Altalex, 27 giugno 2008. Nota di