lunedì 28 settembre 2009


La tabella INAIL per l’attuale valutazione civilistica del danno biologico
Tribunale Montepulciano, sentenza 19.06.2009 n° 149 (Calogero Lo Giudice)

La causa, decisa dal Tribunale di Montepulciano il 19/6/2009 con la sentenza n.149/2009, desta anzitutto interesse per la ripartizione del quantum risarcitorio tra Inail e lavoratore infortunato, in seguito all’orientamento recentemente espresso dalle SS.UU. in tema di danno non patrimoniale (nn. 26972, 26973, 26974, 26975/2008) e in applicazione delle riconsiderate Tabelle milanesi per la liquidazione del danno derivante da lesione alla integrità psico-fisica e dalla perdita del rapporto parentale (Tabelle 2009).
Nella specie, si trattava di decidere della pretesa risarcitoria di parte attrice e di quella surrogatoria dell’Inail, in relazione alle lesioni all’occhio sinistro subite dal lavoratore infortunato nell’incidente stradale avvenuto il 25/6/2002.
Per il CTU – come si legge nella sentenza – l’attore, “ in conseguenza del sinistro, ha subito lesioni consistite in una invalidità temporanea totale per 30 giorni e parziale, al 50%, per 265 giorni, con postumi permanenti costituiti da una ”. Ha, quindi, quantificato nel “ 25% il danno biologico, comprensivo del danno alla capacità lavorativa generica, del danno estetico e del danno alla vita di relazione”: percentuale questa inferiore rispetto al “35%, in applicazione delle tabelle INAIL, trattandosi di infortunio sul lavoro”.
Escluso il concorso di colpa dell’attore, il Tribunale di Montepulciano, passando alla determinazione del risarcimento dovuto all’infortunato, ha rilevato anzitutto, “facendo applicazione dell’insegnamento della S.C. (Cass. Sez.III, n. 10035 del 2004), che la norma di cui all’art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965, commi 6 e 7, prevede che il risarcimento spettante all’infortunato sul lavoro o ai suoi aventi diritto sia dovuto solo nella misura differenziale, derivante dal raffronto tra l’ammontare complessivo del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall’INAIL in dipendenza dell’infortunio, al fine di evitare una ingiustificata attribuzione in favore degli aventi diritto, i quali, diversamente, percepirebbero, in relazione al medesimo infortunio, sia l’intero danno, sia le indennità. Tale danno differenziale deve essere, quindi, determinato sottraendo dall’importo del danno complessivo (liquidato dal giudice secondo i principi ed i criteri di cui agli artt. 1223 e ss, 2056 ss, c.c.) quello delle prestazioni liquidate dall’Inail, riconducendolo allo stesso momento cui si riconduce il primo, ossia tenendo conto dei rispettivi valori come attualizzati alla data della decisione”.
Circa la quantificazione del danno -ha aggiunto il Tribunale – è noto che la S.C., con la sentenza n. 26972/2008 delle SS.UU. Civili, si è recentemente pronunciata in modo innovativo sui criteri dei quali si deve fare applicazione ai fini del risarcimento del danno alla persona, ed in particolare del danno extrapatrimoniale, che <…si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica…> e che <…costituisce categoria unitaria non suscettiva di divisione in sottocategorie…>, precisando che <…il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno…>”.
Muovendo dalla percentuale del 25%, indicata dal CTU, secondo il Tribunale, “facendo applicazione della recente tabella adottata presso il Tribunale di Milano, che ha proceduto al calcolo del punto di invalidità in modo unitario, quanto al danno , in relazione ai nuovi criteri dettati dalla citata pronuncia della S.C., l’importo totale del risarcimento dovuto all’attore per danno extrapatrimoniale deve pertanto individuarsi in quello di € 100.131,00 per invalidità permanente (punto di invalidità pari ad € 4.768,15 con demoltiplicatore 0,840) e di € 16.250,00 per invalidità temporanea (sulla base di € 100,00 per ogni giornata di invalidità totale),calcolata sempre in base ad una liquidazione equitativa del danno, ed oltre ad € 154,92 per spese riconosciute, per un totale di € 116.535,92. A tale somma deve essere aggiunta, in base al criterio di risarcimento costantemente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, quella per interessi su tale somma, come devalutata alla data del fatto ed annualmente rivalutata, pari in totale ad € 41.683,15. Il totale dovuto per risarcimento, in base ai criteri civilistici, deve dunque essere indicato in quello di € 158.219,07.
Avendo l’Inail erogato prestazioni per complessivi € 151.092,75 , per il Tribunale “l’importo del danno differenziale da riconoscere all’attore è dunque di € 7.126,32 , somma sulla quale saranno dovuti gli interessi legali dalla data della presente sentenza”.
(Per la nuova impostazione del problema del danno non patrimoniale e del danno differenziale cfr. in “La svolta del codice delle assicurazioni private in tema di danno non patrimoniale” e “La surroga dell’Inail dopo il codice delle assicurazioni private”,Calogero Lo Giudice).
In sintesi, bisogna dire che la giurisprudenza, finora, (tra le tante, Tribunale di Bassano del Grappa, Sez. Lav. n. 59/05 del 24/1/2006; Tribunale di Vicenza, Sez. Lav. n. 321/06 del 4/1/2007 ; Tribunale di Terni n. 148/08 del 12/6/2008), pur escludendo che il raffronto tra l’ammontare civilistico del danno e l’importo delle prestazioni erogate dall’Inail potesse essere operato posta per posta di danno, ha ammesso il separato riconoscimento all’infortunato dei c.d. pregiudizi complementari (danno morale, danno biologico temporaneo, danno dinamico-esistenziale), perché non avrebbero trovato corrispondenza nell’indennizzo pubblico.
Per il Tribunale di Montepulciano, invece, dal momento che le SS.UU. del 2008 hanno espunto ogni possibile frammentazione, ai fini risarcitori, del danno non patrimoniale, la surroga dell’INAIL è esercitabile ed il danno differenziale è riconoscibile, raffrontando complessivamente ed unitariamente i rispettivi ristori (civilistico e previdenziale), senza la prededuzione a favore dell’infortunato di quelle che sono, non categorie diverse, ma mere componenti del danno non patrimoniale di tipo biologico.
Se interessante è questa nuova soluzione prospettata dal Tribunale di Montepulciano, meritevole di approfondimento è un altro passo della sentenza n. 149/2009, per l’attualità della questione sollevata e per i conseguenti riflessi pratici: si tratta della estensibilità della Tabella INAIL delle menomazioni alla valutazione del danno alla integrità psico-fisica, in ambito civilistico.
L’attore, come risulta dalla sentenza, ha contestato la percentuale di invalidità utilizzata per il calcolo civilistico del danno: 25% indicata dal CTU, anziché 35% in applicazione della Tabella Inail.
Le conseguenze sono facilmente intuibili e non occorre, certamente, spiegarle.
Secondo il Tribunale, “quanto alla percentuale del danno, l’eccezione dell’attore appare infondata, non potendosi ritenere applicabili, ai fini della liquidazione del danno civilistico in caso di infortunio sul lavoro, parametri di calcolo diversi da quelli ordinari, sia perché una simile applicazione determinerebbe una disparità di trattamento non giustificata, sia per la mancanza di omogeneità tra le due tabelle di determinazione del danno”.
Per completare il passo fatto dalle SS.UU. del 2008, le tabelle valutative dell’onnicomprensivo danno non patrimoniale di tipo biologico vanno, certamente, riviste: in attesa, però, non è possibile non tenere conto delle differenze e delle conseguenze dell’applicazione di una piuttosto che di un’altra tabella, per cui s’impone l’esigenza di razionalizzare, uniformare e rendere più certa la valutazione del danno alla integrità psico-fisica.
Nella stragrande maggioranza dei casi, se non in tutte le cause di risarcimento del danno alla persona, il CTU quando indica una determinata percentuale di danno biologico non menziona la tabella di riferimento.
Dal momento che potrebbe risultare una differente valutazione, è necessario giustificare l’utilizzo di uno rispetto ad un altro baréme medico-legale.
Nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Montepulciano s’impone, poi, una ulteriore considerazione.
Spesso accade che la valutazione civilistica sia inferiore rispetto a quella eseguita in ambito Inail, in base al Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 12/7/2000 (in G.U. Supplemento ordinario n.172 del 25/7/2000 – Serie Generale).
In tal caso, deve sostenersi che è palesemente illogico ritenere che la stessa menomazione, in ambito civilistico/risarcitorio venga stimata, dal punto di vista medico-legale, in misura inferiore rispetto all’ambito previdenziale/indennitario.
In altre parole, considerando il caso oggetto di causa, è assurdo ritenere che la valutazione Inail sia del 35%, mentre quella civilistica del 25%.
La stessa menomazione non può essere espressa dal medico legale in un diverso numero percentuale, a seconda del settore di riferimento (indennitario ovvero risarcitorio): quel che può comprensibilmente variare è il quantum risarcitorio ed indennitario (a seconda dell’ambito operativo), non l’accertamento e la valutazione medico-legale della medesima menomazione, anche perché il danno biologico, il danno al “valore uomo” non può che essere unico, oltre che unitario, secondo il recente insegnamento delle SS.UU. Unitario, nel senso che è esclusa ogni frammentazione al suo interno; unico, nel senso che il danno biologico civilistico e quello ristorato dal sistema previdenziale non sono ontologicamente diversi (Sulla omogeneità tra titoli indennitari e risarcitori cfr. in "La surroga dell’Inail dopo il codice delle assicurazioni private", Calogero Lo Giudice).
La verità è che la mancanza di tabelle di legge (almeno per le macropermanenti, poiché per le menomazioni comprese tra 1 e 9 punti di invalidità vale la Tabella delle Menomazioni approvata con Decreto del Ministero della Salute 3/7/2003, G.U. 11/9/2003 n. 211), ha consentito finora il ricorso a parametri elaborati dalla dottrina medico-legale.
L’applicazione di questi parametri extragiuridici, anche se ritenuta legittima in attesa della preannunciata Tabella unica nazionale delle menomazioni alla integrità psicofisica ex D.Lgs. n. 209/2005, deve comunque avvenire in modo non soltanto trasparente (mediante l’indicazione del metodo di valutazione seguito in concreto), ma anche e soprattutto logico.
Per meglio comprendere ciò, è sufficiente considerare che nell’infortunistica sociale (INAIL), la rendita è suscettibile di essere rivista nel tempo, per cui il danno futuro è escluso dalla valutazione del danno biologico; mentre la valutazione civilistica deve considerare la possibile fluttuazione del quadro morboso e ricomprendere nella quantificazione, in termini percentuali, del danno biologico la quota prognostica. Ne discende, per logica, che la valutazione civilistica non può mai essere inferiore a quella INAIL e, dal momento che quest’ultima consegue all’applicazione di una tabella normativa (D.M. 12/7200), le tabelle extragiuridiche di origine dottrinale, devono ritenersi superati dai vigenti parametri di legge, quanto meno ove è evidente il conflitto dal punto di vista logico e sistematico.
Di ausilio per l’opinione che si va sostenendo ed a favore della certezza che si invoca, è il recente D.P.R. 3/3/2009 n. 37 (G.U. n. 93 del 22/4/2009) che, dopo avere stabilito che “Fino alla data di predisposizione delle tabelle di menomazione di cui agli articoli 138, c.1 e 139, c. 4 del D.Lgs. n. 209 del 2005, la percentuale del danno biologico è determinata in base alla tabella delle menomazioni e relativi criteri applicativi, approvata con decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 12/7/2000, pubblicato nel supplemento ordinario alla G.U. n. 172 del 25/7/2000 e successive modificazioni” (Tabella INAIL), aggiunge che: “La percentuale del danno biologico, così determinata, può essere aumentata, ai sensi degli articoli 138, c. 3 e 139, c. 3 del D.Lgs. n.209 del 2005 …”.
Per quanto il richiamato D.P.R. n. 37/2009 riguardi il riconoscimento delle infermità per il personale militare impiegato nelle missioni all’estero, dallo stesso si desume: a) che la Tabella INAIL delle menomazioni si estende e, in mancanza di tabelle normative, può legittimamente essere estesa (specie quando le tabelle extragiuridiche conducono a risultati illogici), oltre il campo dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali; b) che la percentuale di danno biologico determinata in ambito INAIL, costituendo il riconoscimento minimo, può solo subire variazioni in aumento e non in diminuzione.
D’altra parte, l’art. 13 del D.Lgs. 23/2/2000, n. 38, piuttosto che rappresentare un limite applicativo, può essere inteso nel senso che riconosce (quanto meno possibile) validità generale ai criteri da applicare ai fini della tutela indennitaria del danno biologico in infortunistica sociale, “in attesa dei criteri per la determinazione del risarcimento” in ambito civilistico, in attesa cioè della Tabella unica nazionale.
Se così non fosse, la medesima menomazione verrebbe arbitrariamente valutata, ad insindacabile scelta di parametri non normativi da parte del medico legale, andando incontro, per di più, alle rilevate conseguenze, palesemente illogiche.
Senza alcun dubbio, se solo nel caso degli infortuni lavorativi (in itinere) si applicasse la Tabella INAIL delle menomazioni, sarebbe innegabile la disparità di trattamento tra soggetti danneggiati, lavoratori e non lavoratori; mentre, se il “valore uomo” perduto venisse uniformemente valutato (come dovrebbe essere), nessuna disparità si riscontrerebbe.
Secondo il Tribunale di Montepulciano sarebbe d’ostacolo anche “la mancanza di omogeneità tra le due tabelle di determinazione del danno” (quella INAIL e quella, o per meglio dire, quelle in uso in ambito di R.C.).
Se il danno non patrimoniale di tipo biologico è unico, oltre che unitario ed onnicomprensivo, ingiustificate sarebbero due tabelle diverse, per valutare lo stesso “valore uomo” perduto.
Inoltre, se fosse vero (ma non lo è) che la Tabella INAIL non copre l’area dei danni c.d. complementari, a maggior ragione la valutazione civilistica/risarcitoria non potrebbe essere inferiore rispetto a quella previdenziale/indennitaria.
(Altalex, 21 settembre 2009. Nota di Calogero Lo Giudice)



Tribunale di Montepulciano
Sentenza 19 giugno 2009, n. 149
TRIBUNALE DI MONTEPULCIANO
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE


Deliberando in composizione monocratica, in persona del Presidente, dr. Marcello Marinari
ha pronunciato la seguente


SENTENZA
...omissis...
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A. M. ha citato in giudizio dinanzi a questo Tribunale il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada e la Fondiaria-SAI spa, già la Fondiaria Assicurazioni spa, quale impresa territorialmente designata, chiedendo di accertare che il sinistro stradale nel quale affermava di avere riportato lesioni, verificatosi a Sarteano il 25 giugno 2002, era avvenuto nel modo da lui affermato, per esclusiva responsabilità del conducente di un veicolo non identificato, e chiedendo pertanto la condanna della Compagnia, ed in via solidale, in caso di sua costituzione in giudizio, del FGVS, al risarcimento dei danni subiti dall’attore, nella misura ritenuta di giustizia, ed al netto di quanto spettante all’INAIL a titolo di diritto di rivalsa per la rendita erogata all’attore.
Si è costituita in giudizio la sola Fondiaria, rilevando preliminarmente l’opportunità dello svolgimento del processo anche nel contraddittorio dell’INAIL, trattandosi di infortunio sul lavoro, e rilevando che l’entità dei postumi invalidanti era tale da integrare l’ipotesi di versamento diretto all’interessato, da parte dell’INAIL, della somma risarcitoria dovuta a titolo di danno biologico.
Nel merito, ha contestato la fondatezza della domanda, ed ha comunque rilevato la necessità che l’attore fornisse la prova rigorosa dei fatti posti a base della domanda, notando come lo stesso attore non avesse neppure precisato l’ammontare della somma pretesa.
E’ intervenuto volontariamente in giudizio l’INAIL, aderendo, sul piano dei fatti allegati, alle affermazioni dell’attore, rilevando di avere riconosciuto al sinistro in questione le caratteristiche di infortunio sul lavoro, il cui costo ha indicato in euro 46.661,96, richiesto al FGVS senza esito, e dichiarando di intervenire per esercitare l’azione surrogatoria nei confronti dei responsabili, per un credito pari all’ammontare delle erogazioni di legge, nei limiti del risarcimento dovuto dai responsabili civili nei confronti del lavoratore infortunato.
La causa è stata istruita in via documentale e con prova testimoniale.
E’ stata svolta CTU medico legale.
Con ordinanza depositata il 9 aprile 2008, il Giudice ha dichiarato decaduta dalla prova ancora da assumere la parte convenuta, e la causa, dopo l’assegnazione al Presidente in qualità di istruttore, è passata in decisione sulle conclusioni riportate in precedenza, precisate dalle parti all’udienza del 10 febbraio 2009, e dopo il decorso dei termini di legge.
Rimessa in istruttoria per una nuova precisazione delle conclusioni, a causa dell’incertezza sulla documentazione di quelle precisate all’udienza citata, la causa è nuovamente passata in decisione all’udienza del 18 giugno 2009, sulle conclusioni riportate in precedenza.
Motivi della decisione
1 - La causa ha ad oggetto la pretesa risarcitoria di A. M. e quella surrogatoria dell’INAIL fondata sugli stessi fatti, in relazione alle lesioni che afferma di avere subito in un sinistro stradale avvenuto il 25 giugno 2002 a Sarteano.
Sulla base delle risultanze probatorie in atti, questo Giudice ritiene senz’altro dimostrato che l’incidente stradale si verificò con le modalità descritte dall’attore.
Mentre A. M. percorreva la via di Cetona, alle 9 del mattino, nell’incrociare un altro veicolo, che non è mai stato peraltro identificato, i due specchietti retrovisori esterni di sinistra di entrambi i veicoli si urtarono, e A. M. rimase ferito dai vetri del proprio specchietto retrovisore.
Dalle dichiarazioni della teste K. P., che per correva la stessa strada con il suo scooter, e seguiva il furgone non identificato che ha incrociato quello dell’attore, emerge la conferma delle modalità dell’incidente, in particolare l’urto tra i due specchietti, e, particolare che assume rilievo decisivo, del fatto che “…A.M. procedeva nella mezzeria di sua pertinenza e che fu il veicolo che mi precedeva che aveva in parte invaso un’altra corsia…”.
Nessun elemento contrario può invece trarsi dagli atti dei Carabinieri, che riguardano, a parte la querela sporta da A.M., le indagini svolte, infruttuosamente, per individuare il conducente del furgone coinvolto nel sinistro.
Quanto alla disposizione di F. N., questo Giudice condivide e richiama integralmente la motivazione dell’ordinanza istruttoria che ha dichiarato la decadenza della parte convenuta dalla prova.
In ogni caso, le dichiarazioni da lui rese ai Carabinieri non potrebbero escludere o ridurre la rilevanza e la concludenza probatoria di quelle della teste citata, considerando che F.N., pure affermando che, a quanto aveva potuto osservare, i due mezzi percorrevano la propria corsia, ha concluso di non essere in grado di precisare di quale dei due sia stata la responsabilità dell’incidente.
Ugualmente provato, sulla base della deposizione della teste K.P., che vide A.M. subito dopo l’incidente, si deve ritenere che quest’ultimo riportò nel sinistro lesioni all’occhio sinistro (“…vidi A.M. lamentare lesioni all’occhio…”), lesioni poi documentate in atti (cfr. esame della documentazione nella relazione del CTU e considerazioni medico legali).
Il CTU, sulla base di una attenta ed accurata valutazione dei dati documentali e dell’indagine clinica svolta, che questo Giudice ritiene esente da visi logici, ha concluso che A.M., in conseguenza del sinistro, ha subito lesioni consistite in una invalidità temporanea totale per 30 giorni e parziale, al 50%, per 265 giorni, con postumi permanenti costituiti da una “….gravissima compromissione della funzione visiva dell’occhio sinistro […] con diminuzione di volume del bulbo e strabismo….”, e quantificando nel 25% il danno biologico, comprensivo del danno alla capacità lavorativa generica, del danno estetico e del danno alla vita di relazione, percentuale da elevare a quella del 35% in applicazione delle tabelle INAIL, trattandosi di infortunio sul lavoro (cfr. relazione del CTU).
2- Ciò posto, sul piano dei fatti, si deve concludere che la responsabilità del sinistro stradale in questione è da attribuire in via esclusiva al conducente del veicolo che incrociò quello dell’attore, rompendo lo specchietto laterale e causando, quindi, le lesioni subite da A. M.
La presunzione dell’art. 2054 cc non può ritenersi infatti operante neppure in parte, a carico dell’attore, considerando che, sulla base degli atti, una volta ritenuto che il conducente dell’altro furgone invase la mezzeria percorsa da A.M., non appare configurabile alcun concorso di quest’ultimo nella produzione del sinistro, che è da porre in relazione causale esclusivamente con la condotta dell’altro conducente.
Ne deriva, quindi, la responsabilità del Fondo di garanzia e della Fondiaria, quale impresa designata.
3- L’INAIL ha chiesto, in via surrogatoria, la condanna dei convenuti, in solido, al risarcimento, previa detrazione del costo dell’infortunio, pari ad oggi ad euro 151.092,75, con l’attribuzione di tale somma all’Inail, nei limiti dell’ammontare del danno civilistico riconosciuto.
La natura di infortunio sul lavoro del sinistro oggetto di causa non è in contestazione tra le parti.
L’attore ha eccepito l’intervenuta modifica della domanda dell’Istituto, sotto il profilo quantitativo, e della modifica della determinazione del periodo di tempo interessato dalla liquidazione della rendita.
L’eccezione è infondata.
Come è noto, infatti, secondo il costante orientamento in materia della giurisprudenza di legittimità, che questo Giudice condivide pienamente, la modificazione quantitativa del risarcimento del danno richiesto originariamente, intesa sia come modifica della valutazione economica del danno che come richiesta dei danni che si manifestano in corso di giudizio, non costituisce domanda nuova (cfr. Cass. 10 novembre 2003, n. 16819).
L'INAIL ha prodotto, a dimostrazione dell'importo della rendita, attestazione della sede INAIL di Siena del 26 agosto 2008, quantificazione che non appare contestata dalle altre parti .
Si deve, dunque, ritenere che l'Istituto abbia fornito piena prova dell'ammontare della prestazione assicurativa, e ciò in base all'insegnamento in materia della SC (cfr. tra le altre Cass. Sez. I, 28 agosto 2006 n. 18610), costituendo l'attestazione prodotta un atto amministrativo assistito da presunzione di legittimità.
La domanda proposta in via surrogatoria dall'Istituto deve pertanto essere accolta, nei limiti del danno civilistico, secondo quanto richiesto dallo stesso Istituto.
4- Passando adesso alla determinazione del risarcimento dovuto all'infortunato, si deve rilevare, anche in questo caso facendo applicazione dell'insegnamento della SC, che questo Giudice condivide pienamente, (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10035 del 2004), che la norma di cui all'art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965, commi 6 e 7, prevede che il risarcimento spettante all'infortunato sul lavoro o ai suoi aventi diritto sia dovuto solo nella misura differenziale derivante dal raffronto tra l'ammontare complessivo del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall'Inail in dipendenza dell'infortunio, al fine di evitare una ingiustificata attribuzione in favore degli aventi diritto, i quali diversamente, percepirebbero, in relazione al medesimo infortunio, sia l'intero danno, sia le indennità. Tale danno “differenziale” deve essere, quindi, determinato sottraendo dall'importo del danno complessivo (liquidato dal giudice secondo i principi ed i criteri di cui agli art. 1223 e ss., 2056 ss. c.c.) quello delle prestazioni liquidate dall'Inail, riconducendolo allo stesso momento cui si riconduce il primo, ossia tenendo conto dei rispettivi valori come attualizzati alla data della decisione. Peraltro, con riguardo al valore capitale delle rendite a carico dell'istituto, deve tenersi conto, anziché del meccanismo generale di adeguamento degli importi dovuti a titolo di danno al potere di acquisto della moneta, del meccanismo legale di rivalutazione triennale delle rendite previsto dall'art. 116, comma 7, cit. d.P.R., salva, per la parte non coperta, la rivalutazione secondo gli indici Istat (Cass. 12/12/1996, n. 11073; cfr. anche Cass. 26/05/2001, n. 7195).
Nel caso in esame, l'Istituto ha quantificato il danno “civilistico” subito dall'attore in euro 99.793,01, somma che appare di importo inferiore a quello della rendita liquidata, e che comprenderebbe quindi anche la liquidazione del danno biologico.
L'attore, rispetto a tale liquidazione, si è limitato, nei suoi scritti conclusionali, a contestare la percentuale di invalidità utilizzata per il calcolo, 25% anziché 35%, salvo, peraltro, reclamare la piena risarcibilità del danno c.d. morale.
Quanto alla percentuale del danno, l'eccezione dell'attore appare infondata, non potendosi ritenere applicabili, ai fini della liquidazione del danno civilistico in caso di infortunio sul lavoro, parametri di calcolo diversi da quelli ordinari, sia perché una simile applicazione determinerebbe una disparità di trattamento non giustificata, sia per la mancanza di omogeneità tra le due tabelle di determinazione del danno.
Dovrà dunque essere applicata la percentuale del 25%.
Circa la quantificazione del danno, è noto che la SC con la sentenza n. 26972/2008 delle SU civili, si è recentemente pronunciata in modo innovativo sui criteri dei quali si deve fare applicazione ai fini del risarcimento del danno alla persona, ed in particolare del danno extra patrimoniale, che “...si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica...” e che “...costituisce categoria unitaria non suscettiva di divisioni in sottocategorie...”, precisando che “...Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno...”.
Si deve dunque ritenere, facendo applicazione di tale criterio risarcitorio, che questo Giudice condivide, che, nel caso specifico, come dedotto anche dall'INAIL, avendo l'Istituto provveduto, nella sua liquidazione anche alla liquidazione del danno “biologico” e “non patrimoniale” in genere (cfr. ricostruzione del calcolo in comparsa conclusionale, pagina 19) tale calcolo esaurisca integralmente il risarcimento del danno “non patrimoniale”, del resto in questo caso comprensivo sia del danno precedentemente definito come “biologico” che di quello “morale”.
Facendo applicazione della recente tabella adottata presso il Tribunale di Milano, che ha proceduto al calcolo del punto di invalidità in modo unitario, quanto al danno “non patrimoniale”, in relazione ai nuovi criteri dettati dalla citata pronuncia della SC, l'importo totale del risarcimento dovuto ad A. M. per danno extrapatrimoniale deve pertanto individuarsi in quello di 100.131,00 euro per invalidità permanente (punto di invalidità pari ad euro 4.768,15 con demoltiplicatore 0,840) e di euro 16.250,00 per invalidità temporanea (sulla base di euro 100,00 per ogni giornata di invalidità totale), calcolata sempre in base ad una liquidazione equitativa del danno, ed oltre ad euro 154,92 per spese riconosciute, per un totale di euro 116.535,92.
A tale somma deve essere aggiunta, in base al criterio di risarcimento costantemente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, quella per interessi su tale somma, come devalutata alla data del fatto ed annualmente rivalutata, pari in totale ad euro 41.683,15.
Il totale dovuto per risarcimento, in base ai criteri civilistici, deve dunque essere indicato in quello di euro 158.219,07.
L'importo del danno differenziale da riconoscere all'attore è dunque di euro 7.126,32, somma sulla quale saranno dovuti gli interessi legali dalla data della presente sentenza.
Le spese seguono la soccombenza, e devono essere liquidate come da dispositivo, per l'INAIL d'ufficio.
P.Q.M.
IL Tribunale
Definitivamente pronunciando nella causa tra le parti sopra indicate;
così provvede:
in accoglimento della domanda proposta da A. M. e di quella proposta in via surrogatoria dall'INAIL, dichiara tenuti e condanna il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada e la Fondiaria SAI spa, in solido tra loro, al risarcimento del danno subito da A. M. nel sinistro oggetto della domanda;
determina l'importo complessivo del risarcimento in valori attuali in quella di euro 158.219,07, e condanna i convenuti al pagamento in favore dell'attore, quale danno differenziale, della somma di euro 7.126,32 con gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo ed al pagamento in favore dell'INAIL, in via surrogatoria, della somma risultante dalla differenza tra quella di euro 151.092,75, con gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo;
condanna i convenuti al pagamento in favore di A. M. delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 6.500,00 di cui euro 384,33 per spese, euro 2.588,80 per diritti ed il rimanente per onorario di avvocato, oltre al rimborso forfetario per spese generali, e ad IVA e CAP come per legge, ed in favore dell'INAIL in complessivi euro 5000,00 di cui euro 2.000,00 per diritti ed il rimanente per onorario, oltre al contributo forfetario per spese generali, e ad IVA e CAP come per legge.
Così deciso a Montepulciano, il 19 giugno 2009, nella camera di consiglio del Tribunale.
Il Presidente, estensore
Marcello Marinari

domenica 27 settembre 2009

Le aree destinate a parcheggio dei veicoli. legislazioni e normative

Le aree destinate a parcheggio dei veicoli, legislazioni e normative













Breve descrizione della evoluzione storica della 

normativa riguardanti tale aree





Innanzitutto, per area destinata a parcheggio si 

intende quella porzione di suolo, posta sia in 

superficie che nel sottosuolo degli edifici, necessaria 

alla sosta, alla manovra o all'accesso dei veicoli

La disciplina giuridica di tale aree è stata caratterizzata 

da vari interventi legislativi, che si sono succeduti 

nel tempo, nonchè da un forte dibattito dottrinale 

e giurisprudenziale che sembra non essere ancora 

terminato.





La legge 267 del 1967 (Legge Ponte)





Il primo intervento legislativo finalizzato a 

disciplinare organicamente la materie venne 

posto in essere con la legge 765/1967 

(Legge Ponte) che prevedeva, all'art 18, 

che le costruzioni realizzate in seguito 

alla data del 1 settembre 1967 fossero 

provviste di spazi destinati a parcheggio 

in misura non inferiore ad un metro 

quadrato per ogni venti metri cubi di 

costruzione. Tali parcheggi avrebbero 

dovuto essere posti nelle adiacenze 

degli edifici, o ubicati sia all'interno che 

nel sottosuolo degli edifici stessi.

Tuttavia, tale primo intervento legislativo 

non definiva la natura del vincolo delle 

aree adibite a parcheggio per cui dovette 

intervenire prima la dottrina e poi la 

giurisprudenza.





1) Secondo un primo orientamento 

dottrinario, il vincolo de quo avrebbe 

dovuto essere considerato un vincolo 

oggettivo di destinazione, per cui i legittimi 

proprietari di tali aree avrebbero potuto 

liberamente disporne anche verso 

soggetti “esterni”. Si tratterebbe, 

quindi, di un mero vincolo oggettivo

cioè la semplice destinazione a parcheggi 

di determinate aree ubicate presso le 

abitazioni.





2) Un altro orientamento, invece, 

individuava nei parcheggi un vincolo 

di destinazione di tipo soggettivo

cioè tali aree avrebbero potuto essere 

utilizzate soltanto dai proprietari o dai 

detentori qualificati delle unità abitative 

di riferimento. In base a ciò, se il parcheggio 

fosse interno all'edificio, quello si sarebbe 

dovuto ascrivere ai servizi comuni ex 

art. 1117 c.c.. Se invece il parcheggio 

fosse adiacente all'edificio, quello 

avrebbe dovuto qualificarsi come 

pertinenza ex lege 

(sul punto si veda anche: 

Cass. Civ. Sent. 244 del 1995).





3) Infine, un terzo orientamento 

riteneva che i proprietari delle unità 

abitative avessero un diritto d'uso 

sui parcheggi. Tale diritto avrebbe potuto 

farsi valere anche in caso di trasferimento 

delle aree a tale fine destinate. La mancata 

previsione di detto diritto d'uso avrebbe 

comportato la nullità ex art. 1418 c.c. 

del contratto di compravendita dell'unità 

abitativa considerata (sul punto si veda anche: 

Cass. Civ. Sez. Unite Sent. 9631 del 1996).





Al di là del dibattito dottrinale, invece, 

la Suprema Corte con la Sentenza a 

Sezioni Unite n. 6600 del 1984 enunciò 

alcuni punti fermi sulla portata e 

sull'applicazione dell'art 18 della Legge 

Ponte. Innanzitutto, l'art 18 venne 

considerato norma imperativa operante 

anche tra privati. In secondo luogo, 

il posto auto venne considerato una 

pertinenza ex lege dell'immobile adibito 

ad abitazione. Infine, una ipotetica 

vendita dell'unità abitativa senza il 

parcheggio avrebbe comportato 

l'integrazione ex art. 1347 c.c. del 

contratto di compravendita, 

determinando in capo all'ex proprietario 

un diritto reale d'uso sull'area adibita a 

parcheggio.





La legge 47 del 1985

In seguito, il Legislatore intervenne 

ancora sul regime giuridico riguardante 

dette aree con l'art 26 della legge 47 del 

1985. Tale articolo stabiliva testualmente 

che le aree destinate a parcheggio 

costituivano delle vere e proprie pertinenze 

delle costruzioni ai sensi 

degli art. 817, 818, 819 c.c. e seguenti. 

La portata di tale intervento normativo 

venne poi precisata dalla pronuncia della 

Cassazione a S.U. n. 3363 del 1989

la quale chiarì il valore normativo della 

legge 47/1985 e ribadì che l'ex proprietario 

avrebbe avuto diritto 

a godere di un diritto reale d'uso 

sulle aree adibite 

a parcheggio.





La legge n. 122 del 1989 (Legge Tognoli )

Di seguito, la Legge Tognoli (L. 122 del 1989) disciplinò 

ulteriormente l'ambito in esame, immettendo notevoli 

innovazioni. In primo luogo, stabilì un nuovo 

rapporto di un metro quadro di parcheggi 

per ogni dieci metri cubi di costruzione. 

Inoltre, veniva disposto un nuovo regime 

di agevolazioni fiscali per i costruttori. 

Infine, venne stabilito che le aree 

adibite a parcheggio non avrebbero 

potuto essere cedute separatamente 

rispetto all'unità abitativa alla quale 

erano legate da vincolo pertinenziale. 

In caso contrario, l'atto di compravendita 

sarebbe stato nullo ex art. 1418 c.c..

Tale legge, però, portò ulteriori problemi 

interpretativi ed applicativi, soprattutto 

riguardo all'ipotesi, molto frequente nella 

pratica, di realizzazione di posti auto in 

eccedenza rispetto a quanto richiesto dalla 

disciplina di settore.

Quindi, tali dubbi vennero fugati ancora 

dalla Suprema Corte.

In base ad un primo orientamento 

giurisprudenziale, dettato 

dalla Cassazione conSent. 10459 del 2001

il vincolo di destinazione

riguarderebbe l'intera area adibita 

a parcheggio, a prescindere dal fatto 

per cui una parte dei posti 

auto sarebbe eccessiva rispetto a quanto 

richiesto della legge. Invece, in base ad un secondo 

orientamento, peraltro confermato dalla Sezioni Unite 

con Sent. 12793 del 2005, la aree che eccedono la misura

imposta dalla legge non sarebbero soggette 

a nessun vincolo e quindi il proprietario potrebbe

 legittimamente cederle a terzi.





La legge 246 del 2005

In ultimo, si registra un ulteriore intervento 

legislativo con la recente 

L. 246 del 2005. In base a tale norma gli spazi 

adibiti a parcheggi non

sono gravati da vincoli pertinenziali di 

sorta né da diritti d'uso 

a favore dei proprietari di altre unità immobiliari 

e sono trasferibili

autonomamente da esse. Dalla predetta 

disposizione si evince che

è stato tolto da tale aree sia il vincolo 

pertinenziale che il relativo 

diritto d'uso. Inoltre, viene finalmente 

stabilita la possibilità per gli aventi diritto di 

cedere liberamente i posti auto, senza alcun 

obbligo verso i titolari delle unità 

abitative a cui si riferiscono.

Infine, la Cassazione con la Sent. 4264 

del 2006, in sostanza, chiarisce che 

la sopra detta norma si applica solo 

per i parcheggi realizzati con le 

nuove abitazioni ed ha come destinatari 

i privati e la loro autonomia negoziale.





Avv. Azzeccagarbugli


Le aree destinate a parcheggio dei veicoli. legislazioni e normative

Le aree destinate a parcheggio dei veicoli, legislazioni e normative






Breve descrizione della evoluzione storica della 
normativa riguardanti tale aree


Innanzitutto, per area destinata a parcheggio si 
intende quella porzione di suolo, posta sia in 
superficie che nel sottosuolo degli edifici, necessaria 
alla sosta, alla manovra o all'accesso dei veicoli
La disciplina giuridica di tale aree è stata caratterizzata 
da vari interventi legislativi, che si sono succeduti 
nel tempo, nonchè da un forte dibattito dottrinale 
e giurisprudenziale che sembra non essere ancora 
terminato.


La legge 267 del 1967 (Legge Ponte)


Il primo intervento legislativo finalizzato a 
disciplinare organicamente la materie venne 
posto in essere con la legge 765/1967 
(Legge Ponte) che prevedeva, all'art 18, 
che le costruzioni realizzate in seguito 
alla data del 1 settembre 1967 fossero 
provviste di spazi destinati a parcheggio 
in misura non inferiore ad un metro 
quadrato per ogni venti metri cubi di 
costruzione. Tali parcheggi avrebbero 
dovuto essere posti nelle adiacenze 
degli edifici, o ubicati sia all'interno che 
nel sottosuolo degli edifici stessi.
Tuttavia, tale primo intervento legislativo 
non definiva la natura del vincolo delle 
aree adibite a parcheggio per cui dovette 
intervenire prima la dottrina e poi la 
giurisprudenza.


1) Secondo un primo orientamento 
dottrinario, il vincolo de quo avrebbe 
dovuto essere considerato un vincolo 
oggettivo di destinazione, per cui i legittimi 
proprietari di tali aree avrebbero potuto 
liberamente disporne anche verso 
soggetti “esterni”. Si tratterebbe, 
quindi, di un mero vincolo oggettivo
cioè la semplice destinazione a parcheggi 
di determinate aree ubicate presso le 
abitazioni.


2) Un altro orientamento, invece, 
individuava nei parcheggi un vincolo 
di destinazione di tipo soggettivo
cioè tali aree avrebbero potuto essere 
utilizzate soltanto dai proprietari o dai 
detentori qualificati delle unità abitative 
di riferimento. In base a ciò, se il parcheggio 
fosse interno all'edificio, quello si sarebbe 
dovuto ascrivere ai servizi comuni ex 
art. 1117 c.c.. Se invece il parcheggio 
fosse adiacente all'edificio, quello 
avrebbe dovuto qualificarsi come 
pertinenza ex lege 
(sul punto si veda anche: 
Cass. Civ. Sent. 244 del 1995).


3) Infine, un terzo orientamento 
riteneva che i proprietari delle unità 
abitative avessero un diritto d'uso 
sui parcheggi. Tale diritto avrebbe potuto 
farsi valere anche in caso di trasferimento 
delle aree a tale fine destinate. La mancata 
previsione di detto diritto d'uso avrebbe 
comportato la nullità ex art. 1418 c.c. 
del contratto di compravendita dell'unità 
abitativa considerata (sul punto si veda anche: 
Cass. Civ. Sez. Unite Sent. 9631 del 1996).


Al di là del dibattito dottrinale, invece, 
la Suprema Corte con la Sentenza a 
Sezioni Unite n. 6600 del 1984 enunciò 
alcuni punti fermi sulla portata e 
sull'applicazione dell'art 18 della Legge 
Ponte. Innanzitutto, l'art 18 venne 
considerato norma imperativa operante 
anche tra privati. In secondo luogo, 
il posto auto venne considerato una 
pertinenza ex lege dell'immobile adibito 
ad abitazione. Infine, una ipotetica 
vendita dell'unità abitativa senza il 
parcheggio avrebbe comportato 
l'integrazione ex art. 1347 c.c. del 
contratto di compravendita, 
determinando in capo all'ex proprietario 
un diritto reale d'uso sull'area adibita a 
parcheggio.


La legge 47 del 1985
In seguito, il Legislatore intervenne 
ancora sul regime giuridico riguardante 
dette aree con l'art 26 della legge 47 del 
1985. Tale articolo stabiliva testualmente 
che le aree destinate a parcheggio 
costituivano delle vere e proprie pertinenze 
delle costruzioni ai sensi 
degli art. 817, 818, 819 c.c. e seguenti. 
La portata di tale intervento normativo 
venne poi precisata dalla pronuncia della 
Cassazione a S.U. n. 3363 del 1989
la quale chiarì il valore normativo della 
legge 47/1985 e ribadì che l'ex proprietario 
avrebbe avuto diritto 
a godere di un diritto reale d'uso 
sulle aree adibite 
a parcheggio.


La legge n. 122 del 1989 (Legge Tognoli )
Di seguito, la Legge Tognoli (L. 122 del 1989) disciplinò 
ulteriormente l'ambito in esame, immettendo notevoli 
innovazioni. In primo luogo, stabilì un nuovo 
rapporto di un metro quadro di parcheggi 
per ogni dieci metri cubi di costruzione. 
Inoltre, veniva disposto un nuovo regime 
di agevolazioni fiscali per i costruttori. 
Infine, venne stabilito che le aree 
adibite a parcheggio non avrebbero 
potuto essere cedute separatamente 
rispetto all'unità abitativa alla quale 
erano legate da vincolo pertinenziale. 
In caso contrario, l'atto di compravendita 
sarebbe stato nullo ex art. 1418 c.c..
Tale legge, però, portò ulteriori problemi 
interpretativi ed applicativi, soprattutto 
riguardo all'ipotesi, molto frequente nella 
pratica, di realizzazione di posti auto in 
eccedenza rispetto a quanto richiesto dalla 
disciplina di settore.
Quindi, tali dubbi vennero fugati ancora 
dalla Suprema Corte.
In base ad un primo orientamento 
giurisprudenziale, dettato 
dalla Cassazione conSent. 10459 del 2001
il vincolo di destinazione
riguarderebbe l'intera area adibita 
a parcheggio, a prescindere dal fatto 
per cui una parte dei posti 
auto sarebbe eccessiva rispetto a quanto 
richiesto della legge. Invece, in base ad un secondo 
orientamento, peraltro confermato dalla Sezioni Unite 
con Sent. 12793 del 2005, la aree che eccedono la misura
imposta dalla legge non sarebbero soggette 
a nessun vincolo e quindi il proprietario potrebbe
 legittimamente cederle a terzi.


La legge 246 del 2005
In ultimo, si registra un ulteriore intervento 
legislativo con la recente 
L. 246 del 2005. In base a tale norma gli spazi 
adibiti a parcheggi non
sono gravati da vincoli pertinenziali di 
sorta né da diritti d'uso 
a favore dei proprietari di altre unità immobiliari 
e sono trasferibili
autonomamente da esse. Dalla predetta 
disposizione si evince che
è stato tolto da tale aree sia il vincolo 
pertinenziale che il relativo 
diritto d'uso. Inoltre, viene finalmente 
stabilita la possibilità per gli aventi diritto di 
cedere liberamente i posti auto, senza alcun 
obbligo verso i titolari delle unità 
abitative a cui si riferiscono.
Infine, la Cassazione con la Sent. 4264 
del 2006, in sostanza, chiarisce che 
la sopra detta norma si applica solo 
per i parcheggi realizzati con le 
nuove abitazioni ed ha come destinatari 
i privati e la loro autonomia negoziale.


Avv. Azzeccagarbugli

...Comportamenti virtuosi dagli Ordini ......

Gratuito patrocinio

Data Pubblicazione 25/9/2009

Articolo tratto da:
Italia Oggi

L'Ordine di Torino si è affidato a una società di factoring

Recuperati 100 mila euro dallo stato

Per la prima volta in Italia un Ordine degli avvocati, quello di Torino, si è fatto coordinatore di un'operazione di factoring, ossia di cessione del credito vantato nei confronti dello Stato da numerosi avvocati che lamentano forti ritardi nel pagamento delle loro prestazioni professionali nell'ambito del patrocinio a spese dello Stato e al momento, in via sperimentale, l'operazione ha riguardato 12 avvocati per complessivi 100 mila euro che sono ora stati liquidati ai diretti interessati. Secondo le stime dell'Oua, l'organismo unitario dell'avvocatura, sarebbero 5 mila avvocati in attesa di circa 10 milioni di euro di parcelle per il gratuito patrocinio non pagate dallo stato (si veda ItaliaOggi del 29 luglio 2009).

I compensi sono relativi a parcelle mai pagate da più di un anno o addirittura dal 2006 per processi celebrati davanti ai giudici del tribunale e della Corte d'appello. Torino, quindi fa da apripista su queste problematiche. L'annuncio è stato dato dal presidente dell'ordine degli avvocati torinesi, Mauro Ronco, che ieri ha illustrato contestualmente l'iniziativa a pochi giorni dalla conferenza nazionale, in programma sabato nel capoluogo piemontese, convocata per discutere il problema e nell'ambito della quale sarà presentata una proposta di legge che intende dare risposte concrete alla questione. «Nei mesi scorsi», spiega l'avvocato Ronco, «abbiamo provato a fare un monitoraggio informale su quanti colleghi sarebbero stati interessati all'operazione di factoring a cui pensavamo. Credevamo di arrivare a richieste di qualche migliaio di euro, invece abbiamo raggiunto la cifra di 800 mila euro». Sono quindi state analizzate le richieste ed è stato deciso di fare una prima sperimentazione riguardante 100 mila euro di crediti. A fine luglio è quindi stata avviata l'operazione con una società di factoring di Biella che ha ricevuto i crediti e ora i 12 legali coinvolti hanno ricevuto l'anticipo, pari all'80%, mentre allo Stato è stata notificata la cessione del credito.

«È un'iniziativa unica nel suo genere», sottolinea Ronco, «che abbiamo deciso di intraprendere a fronte di una situazione di gravissimi ritardi nei pagamenti, alcuni risalenti addirittura al 2006-2007 anche se l'anno più grave è stato il 2008. Come ordine abbiamo avuto la funzione di coordinare le diverse posizioni di credito e abbiamo sostenuto le spese della pratica». Accanto a questa iniziativa l'ordine degli avvocati torinesi ne ha però assunta anche un'altra «che vorrebbe risolvere il problema alla radice». Si tratta di una proposta di legge che chiede, da un lato, di compensare i crediti vantati dagli avvocati per questo patrocinio con quanto loro devono per imposte, tasse o contributi previdenziali o, dall'altro, di sospendere i termini relativi agli adempimenti fiscali fino all'incasso del credito vantato.


Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...