L’art. 101 della Costituzione nel proclamare che “la giustizia è
amministrata in nome del popolo” e che “i giudici sono soggetti
soltanto alla legge” ha inteso sancire un principio fondamentale,
che pone il potere giudiziario in una posizione di indipendenza
da qualsiasi altro potere, in particolare da quello esecutivo.
Il principio della soggezione dei giudici alla legge, oltre a
garantire l’indipendenza del potere giudiziario, realizza il
collegamento tra il giudice e la sovranità popolare, che si
esprime appunto nella legge, approvata da organi eletti
dal popolo e politicamente responsabili.
La Costituzione ha previsto rigorose garanzie di
indipendenza dei giudici che operano sotto due aspetti:
a) come indipendenza della magistratura nel suo
complesso, nei confronti dei condizionamenti che possono
giungere da altri poteri dello Stato e, in particolare, dal
Governo (cd. indipendenza esterna);
b) come indipendenza personale del singolo giudice
all’interno dello stesso ordine giudiziario, cioè dai
condizionamenti provenienti da altri organi del potere
giudiziario (cd. indipendenza interna).
L’indipendenza del potere giudiziario è uno dei principi
fondamentali della Costituzione.
Ma non il solo, per quel che riguarda la giurisdizione.
Tra i principi fondamentali della Costituzione vanno inclusi:
1) il principio della ragionevole durata del processo (art. 111);
2) il principio della parità delle parti nel processo (art. 111);
3) il principio della inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato
e grado del processo e collegato a questo il principio della
tutela dei non abbienti (art. 24).
Nel convegno di Fermo organizzato dall’OUA
sull’“Avvocatura soggetto costituzionale” Annibale Marini,
Presidente emerito della Corte Costituzionale, ha puntualmente
osservato che si tratta di vedere se e in quale misura questi
principi possono considerarsi dotati di una loro effettività e,
in caso di risposta negativa, quali siano le cause e quali
i rimedi di quella che può considerarsi una grave patologia
dell’intero sistema.
Accanto a questa indagine su cause e rimedi non si può
non riflettere sul fatto che l’Avvocatura è una componente
essenziale della giurisdizione che trova una giustificazione
sostanziale nel fatto che i principi fondamentali della
giurisdizione vengono attuati con il suo concorso decisivo.
Sicché l’Avvocatura entra a pieno titolo nel processo
attuativo dei principi costituzionali, acquistando la veste
protagonista del processo e, quindi, uno specifico rilievo
istituzionale.
E poi, se è vero che il processo risulta essere la
sede dell’esercizio della funzione giurisdizionale è innegabile
che la rilevanza costituzionale di quest’ultima debba
estendersi a tutti i soggetti che ad esso partecipano da
protagonisti: non solo, quindi, alla magistratura, ma anche
all’avvocatura, coerentemente con quanto stabilito
dall’art. 24 della Costituzione.
La magistratura e l’avvocatura sono, con pari dignità,
le componenti della giurisdizione.
L’ordine giudiziario, nei due ruoli distinti, è autonomo e
indipendente da ogni potere.
Allo stesso tempo l’avvocatura è libera e indipendente
così che la difesa assume una funzione indeclinabile in
ogni procedimento giudiziario
(in tal senso è la proposta presentata alla Camera
dei deputati da Gaetano Pecorella).
Pari rilevanza costituzionale dei soggetti della
giurisdizione vuol dire operare un bilanciamento
all’interno di tale assetto, che si presenta come
garanzia di neutralizzazione delle possibili distorsioni
e degenerazioni, senza bisogno di ricorrere a vincoli
esterni, abbandonando così i principi di autonomia e
di rappresentatività della giurisdizione la quale non
può che essere affidata, a livello costituzionale, a
tutti i soggetti che ad essa concorrono.
Di qui la proposta dell’Organismo Unitario
dell’Avvocatura italiana di riforma del titolo IV
della parte II della Costituzione: Il “titolo”
dovrebbe articolarsi in tre “sezioni”; la prima
dedicata ai principi fonda¬mentali della funzione
giurisdizionale, la seconda contenente quelli
riguardanti la magistratura. la terza quelli
relativi alla difesa ed alla Avvocatura.
Nella “sezione prima” si afferma il principio
della essenzialità delle due componenti della
giurisdizione e della loro pari dignità nonché
della assoluta parità tra le parti nel processo.
Si prevede l’impegno della Repubblica
ad assicurare una ragionevole durata del
pro¬cesso e l’adeguatezza dei costi della
giustizia.
Nella “sezione seconda” si tratta
della magistratura.
Si introduce come principio
costituzionale la separazione dei ruoli,
tra i magistrati giudicanti e quelli
requirenti.
Nell’ordinamento giudiziario dovranno
preve¬dersi quali debbano essere le
specifiche garanzie di autonomia e
indipendenza per la magistratura
requirente.
La “sezione terza”, infine, tratta della
avvocatura.
Si costituzionalizza il principio della difesa
come funzione essenziale in ogni proce¬dimento
giudiziario e della incompatibilità fra lo
svolgimento della attività di avvo¬cato
con ogni altra, ivi compresa quella di
magistrato non togato.
Si dà attuazione, attraverso un principio
costituzionale, al diritto della difesa
prevedendosi che i costi facciano carico
allo Stato ma che la organizzazione concreta
della difesa per i non abbienti venga
affidata alle istituzioni dell’Avvocatura.
Si costituzionalizza, infine, il principio
della iscrizione all’albo professionale e,
conformemente a quanto accade
per la magistratura, quello della
giurisdizione domesti¬ca.
Il giurista Aldo Loiodice ha addotto
come ulteriore argomento del dibattito
in corso sulla costituzionalizzazione
dell’avvocato che, nel processo,
l’avvocato diventa il depositario e
l’affidatario della quota di sovranità
appartenente alle parti processuali
che non possono restare nella totale
disponibilità del giudice.
Il ruolo dell’avvocatura diventa,
quindi, l’indispensabile sostegno
alla correttezza e pienezza del ruolo
del giudice per la rappresentazione
della situazione giuridica delle parti,
nella quale la sovranità trova motivo
di svolgersi concretamente.
Con un ruolo di rigore e selezione e
un ambito di azione più vasto di quello
attuale.
Se la presenza dell’avvocato è
garanzia di terzietà del processo,
l’Avvocatura dovrà concorrere,
con propri rappresentati,
all’Amministrazione della giustizia
nelle diverse articolazioni, con un
bilanciamento di ruoli e di funzioni.
Non va dimenticata la tradizione che
è alla base dell’art. 82 c.p.c. in
cui si parla di “ministero
dell’avvocato” e che sottolinea
l’esigenza che gli avvocati abbiano
“piena coscienza dell’altezza morale
e dell’importanza pubblica del loro
ministero che li richiama ad essere i
più preziosi collaboratori del
giudice”
(relazione al codice).
Piero Calamandrei proclamava
che l’avvocato nell’esercizio del proprio
ministero “deve obbedire solo alle leggi
e alla propria coscienza e non curarsi d’altro”,
di guisa che il difensore può essere
posto sullo stesso piano del giudice
quando giudica. L’autonomia e la
libertà dell’avvocato è, infatti, condizione
e garanzia dell’imparzialità del giudice e,
quindi, dell’attuazione della giustizia.
In tal modo la giustizia viene
amministrata effettivamente in nome
del popolo.
La previsione costituzionale può, quindi,
avere già oggi una forte ricaduta sulla riforma
della professione forense che va modellata
significativamente sulla funzione dell’avvocato
nel processo.