Coscienza e conflitto nel diritto
di Sergio Sabetta
di Sergio Sabetta
Che cosa è la coscienza?
Essa è la consapevolezza di essere consapevoli, ossia la consapevolezza di sé (Kandel), è quindi la capacità di prestare attenzione e di riflettere sulle proprie esperienze nel contesto del nostro vissuto oltre che a focalizzare la nostra attenzione sugli eventi a noi cruciali tagliando l’evento estraneo.
Vi è quindi una unitarietà o unificazione di tutte le nostre esperienze che fa sì che vi sia una loro soggettività (Searle e Nagel ), il diritto assume pertanto la funzione di limitazione organizzativa economica della complessità del soggettivo.
La complessità derivante dal soggettivo determina ansia se concepita inconsciamente come minaccia, solo nel momento in cui ne acquista coscienza il soggetto può attivare i meccanismi di difesa, se tuttavia lo stimolo è elaborato dalla fantasia l’ansia acquista maggiore intensità. In questo scenario il diritto come ripetitività preordinata, ossia consuetudine dell’agire umano acquista una valenza non solo economica di riduzione dell’incertezza negli scambi di beni materiali e servizi, ma anche dell’ansia da conflitto nell’interagire dei rapporti umani.
Gli stati di ansia a cui seguono forme depressive sono disordini dell’emozione scatenati da fattori ambientali, Freud ha osservato che un normale stato di ansia permette di aumentare l’attenzione verso minacce potenziali dando luogo a risposte adattive, l’ansia è quindi fisiologica all’uomo sia in termini istintivi, genetici, che appresa con l’esperienza, tuttavia diventa patologica quando non è più correlata ad una minaccia, ma viene associata nella mente a comportamenti o stimoli neutri. La consuetudine nel ridurre perciò la conflittualità potenziale non riduce solo le occasioni di conflitto ma anche gli stati di ansia, favorendo il controllo delle emozioni negative nei rapporti sociali, questo comporta un rafforzamento della sensazione di sicurezza e quindi di benessere.
Come osservato da Galtung il conflitto presenta tre dimensioni : quella comportamentale relativa alle azioni compiute e osservate dalle parti, quella cognitiva legata agli atteggiamenti e alle percezioni delle parti, quella più propriamente legata al problema effettivo o materiale del conflitto; le tre dimensioni sono interdipendenti si che ogni azione ridefinisce il rapporto negoziale ed il conflitto stesso.
I fattori scatenanti il conflitto possono riguardare fattori individuali, quali valori, atteggiamenti, personalità e giudizi, fattori situazionali, quali grado di interdipendenza, differenze di status, sovrapposizioni o ambiguità di responsabilità e necessità di consenso, o fattori organizzativi, quali quelli da “posizione”, obiettivi, risorse, autorità multipla e da procedure (Tosi – Pilati ).
Comunque nasca il conflitto è un processo, un divenire che ha un antecedente, una percezione e manifestazione, un dopo che può essere risolutivo o premessa per scontri più violenti (Tosi – Pilati), il risultato è un insieme di emozioni che permangono nella coscienza del sé e generano nuovi sentimenti, si crea una storia del vissuto che influenza il divenire sia nell’ampliare la conoscenza che nel creare possibili futuri rancori.
La procedura è un metodo sia per ridurre il potenziale conflittuale fra le parti, contenendo lo spazio per la negoziazione fra gli individui, sia per ridurre l’arbitrio del decisore sul divenire del processo e sulla sua costruzione, secondo la matrice procedimentale romano-canonica per cui all’oralità subentrò la forma scritta, il giudice venne vincolato da precise norme, mentre il processo era diviso in fasi nettamente distinte da ben individuati atti, la rigidità normativa accentuata dalla evoluzione storica politico – amministrativa, quale espressione dell’autocrazia imperiale e teologale, da qui la necessità nella cultura commerciale politica latina dell’interpretazione esasperata della parola, fino ad arrivare alla relatività del sofismo nella disperata ricerca del recupero di uno spazio di elasticità o libertà di azione, contrapposta all’esasperante rigidità militare della norma stessa.
Tuttavia la procedimentalizzazione di per sé non può eliminare il conflitto, il quale diventa negativo nel preciso momento in cui si radicalizza senza soluzione, anche a causa di una sua mancata gestione, come da più parti sostenuto una certa conflittualità a bassa intensità è fisiologica a qualsiasi organizzazione biologica o sociale che sia, infatti è l’intensità, causata anche dalla mancanza di meccanismi di coordinamento e integrazione, che porta a trasformare un confronto in conflitto e guerra (Tosi – Pilati).
Se la conoscenza è il principio creativo della realtà nell’essere umano (Bergson), un trascendere l’atto di conoscenza stessa dell’oggetto dell’evento personalizzandolo (Husserl), tanto da diventare la struttura relazionale che caratterizza l’esistenza umana fino a diventare un progetto del mondo (Heidegger), la comunicazione ne diventa elemento fondamentale per la formazione della conoscenza e quindi della coscienza di sé, questa tuttavia può essere anche dubbio, senso di indeterminazione che preme verso una determinazione, un sistema di significati propri di una formazione sociale (Dewey).
La coscienza del singolo, ognuna diversa, diventa anche elemento ordinatore del caos attraverso la conflittualità/confronto a bassa intensità; l’equilibrio rotto dall’agire della moltitudine viene rimodulato in un equilibrio provvisorio, dall’ordine al disordine, ma anche all’auto-organizzazione (Rubi).
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Bibliografia
A. R. Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi 2005;
J. E. Le Doux, Il cervello emotivo alle origini delle emozioni, Baldini & Castoldi 2003;
J. R. Searle, La mente, Cortina 2005;
E. R. Kandel, Alla ricerca della memoria, Codice ed. 2007;
J. Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia 1996;
J. M. Rubi, La lunga mano della seconda legge, Le Scienze, 68/73, 485, gennaio 2009;
H. L. Tosi – M. Pilati, Comportamento organizzativo, Egea 2008;
A. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. III, Utet 1974;
P. Bairati, Storia della filosofia ed esperienza in Dewey, Rivista di filosofia, LXI, 1970, 48-70.