Corte di Cassazione Penale Sezione Feriale 6/10/2008 n. 38079;
Pres. De Roberto G.
Lavoro clandestino
Lavoro clandestino
FATTO E DIRITTO
Con sentenza 23/4/08 la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza 6/6/07 del Tribunale di Savona che, a seguito di giudizio abbreviato, condannava L.M.A. alla pena complessiva (interamente condonata) di 4.500,00 Euro di ammenda (in parte sostitutiva della corrispondente pena detentiva) per il reato di occupazione alle proprie dipendenze di straniero (tale M. D.) senza permesso di soggiorno (D.L. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12: in (omissis)).
Ricorreva personalmente per cassazione l'imputato, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. Con un primo motivo lamentava che il giudice di merito avesse ritenuto la sussistenza del reato in presenza di un solo lavoratore occupato (mentre la norma usava il sostantivo al plurale: "lavoratori"). Con un secondo motivo lamentava che il reato fosse stato ritenuto nonostante l'assenza di prova di uno stabile rapporto, lo straniero stesso avendo dichiarato ai carabinieri di essere in prova presso l'impresa ed al primo giorno di lavoro. Con un terzo motivo lamentava la mancata assunzione di una prova decisiva (la testimonianza del proprio commercialista).
All'udienza fissata per la discussione, non comparsa la parte ricorrente, il PG presso la S.C. chiedeva dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Il ricorso, manifestamente infondato, è inammissibile.
Col primo motivo si sostiene che la norma violata intende sanzionare l'occupazione di una pluralità di "lavoratori stranieri" clandestini: quando la medesima legge ha voluto diversamente ha usato una diversa locuzione ("uno o più stranieri": art. 24, comma 6, in materia di lavoro stagionale). La tesi, basata su una lettura meramente letterale della norma, non solo è contraddetta dall'inciso finale della stessa, dove si stabilisce la pena "per ogni lavoratore impiegato" (venendo così meno il preteso rilievo della pluralità indistinta dei lavoratori), ma lo è soprattutto - come peraltro già rilevato dal giudice di merito - dalla ratio della norma (e della legge) di cui trattasi (evitare l'occupazione di stranieri irregolari).
Allo stesso modo il secondo motivo contraddice una giurisprudenza di legittimità del tutto condivisa (v. sez. 1^, 26/3/08-14/4/08, n. 15463, Zhao), secondo cui il concetto di occupazione che figura nell'art. 22 della legge de qua si riferisce alla instaurazione di un qualunque rapporto di lavoro subordinato (quindi anche un rapporto di lavoro in prova), indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell'attività (quindi anche il lavoro di un giorno).
Il terzo motivo si limita genericamente ad evocare un mezzo di prova (che si assume decisivo, ma ciò è da escludersi in forza delle considerazioni che precedono) chiesto nel corso del procedimento di primo grado (celebrato in abbreviato). Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di somma, a favore della Cassa delle ammende, che è congruo fissare in 1.000,00 Euro.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle ammende.