mercoledì 30 aprile 2008


Corte di Cassazione Civile sez.II 11/6/2007 n. 13625; Pres. Spadone M., Est. Colarusso V.
Atto ricognitivo avente natura confessoria - Efficacia probatoria in ordine ai fatti produttivi di situazioni o rapporti giuridici sfavorevoli al dichiarante - Sussistenza - Valore di prova dell'esistenza del diritto di proprietà


Svolgimento del processo

Con citazione del 22.6.1998 R.G. e R.P. esposero che il (OMISSIS) (Ndr: testo originale non comprensibile) era deceduto il loro genitore R.L. al quale essi erano succeduti unitamente all'altro fratello A.; che anche A. era deceduto ed erano subentrati nel suo patrimonio la moglie T.C. ed il figlio R.A., nato dopo la morte del padre; che, con scrittura privata dal 28.2.1963, i tre fratelli avevano transatto le controversie tra loro insorte in ordine all'eredità degli zii e, con altra scrittura del 2.9.1978 avevano raggiunto un componimento bonario anche relativamente all'eredità paterna; che le due scritture erano state affidate alla loro madre e che solo la seconda era stata successivamente rinvenuta e, prodotta in giudizio dalla T. per ottenere la restituzione del fondo compreso nell'asse ereditario degli zii, era stata dichiarata pienamente valida dalla Corte di Appello di Palermo, la quale aveva, altresì, stabilito che essa regolava tra le parti pure i rapporti inerenti all'eredità paterna a cui il fratello R.A. aveva rinunziato. Nel convenire innanzi al Tribunale di Palermo la T. ed il nipote R.A., gli attori chiesero la riconsegna dei beni immobili ereditari che i convenuti, quali successori di R.A., detenevano senza titolo e, precisamente, un fondo in (OMISSIS) ed 1/3 del fabbricato rurale sito nel Comune di (OMISSIS), nonchè il pagamento dei frutti dalla morte della madre P.A. ((OMISSIS)), con rivalutazione ed interessi.
I convenuti resistettero alla domanda.
Il Tribunale adito la rigettò. La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 9.6.2000, ha rigettato l'appello dei soccombenti.
La Corte ha ritenuto che la scrittura nella quale R.A. senior aveva riconosciuto che essi erano proprietari dei fondi ereditati dal comune genitore non avesse natura di confessione e che l'obbligo assunto di sottoscrivere, entro il termine di un anno, l'atto ricognitivo della piena proprietà in capo ai fratelli di tutti i fondi compresi nell'eredità paterna, non aveva (avuto) effetti immediatamente traslativi ma conteneva il semplice obbligo al trasferimento entro il termine.
La precedente sentenza della stessa Corte, emessa sulla controversia insorta in ordine alle eredità degli zii, non si era occupata dell'eredità di R.L. nè aveva emesso alcuna statuizione al riguardo. Gli appellanti, infine, non avevano dato prova del possesso esclusivo dei beni in controversia ai fini del dedotto acquisto per usucapione.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione R. G. e R.P. con due motivi. T.C. e R.A. resistono con controricorso e chiedono che la Corte disponga la cancellazione dal testo del ricorso delle frasi sconvenienti ed offensive del decoro dei resistenti, con la condanna dei ricorrenti al ristoro del danno non patrimoniale arrecato.

Motivi della decisione

Col primo motivo si denunzia violazione degli artt. 2730 e 2735 c.c..
I ricorrenti - premesse le vicende del rinvenimento della scrittura transattiva, datata 2.9.1978 - sostengono che questa abbia valore confessorio e che con essa si era stato posto fine alla comunione dei beni dell'eredità paterna, onde la scrittura stessa aveva valore attributivo delle proprietà ed il relativo atto pubblico sarebbe servito solo ai fini della trascrizione.
Il motivo non è fondato.
1.a. L'interpretazione della scrittura in discorso implicava la risoluzione, da parte della Corte territoriale, di una quaestio voluntatis, che è tipica questione di fatto riservata al giudice di merito le cui conclusioni vanno, in sede di ricorso per cassazione, censurate o sotto i profilo della violazione delle regole ermeneutiche di cui all'art. 1362 e segg. c.c. o sotto il profilo del vizio di motivazione, non costituendo valida censura la mera prospettazione di una diversa - quand'anche plausibile - I'nterpretazione dell'atto di volontà privata da parte del ricorrente che non deduca la violazione di specifici canoni ermeneutici nè individui singoli passaggi argomentativi della sentenza affetti da vizi logici, poichè, in tali casi non è consentito al giudice di legittimità di operare una nuova indagine di fatto al fine sovrapporre una diversa interpretazione dell'atto a quella accolta dal giudice di merito con motivazione immune da vizi logici e giuridici.
Resta, quindi, pienamente valida la qualificazione data dalla Corte di Appello alla scrittura come atto di impegno assunto dal R. A. senior di trasferire la proprietà ai germani entro il termine fissato dallo stesso sottoscrittore.
1.b. In particolare, sul piano dell'osservanza della legge, a parte il rilievo che non vengono addotte specifiche violazioni di norme, correttamente la Corte di appello ha negato alla dichiarazione di natura ricognitiva e confessoria efficacia traslativa di diritti reali (Cass. n. 9687/2003; n. 1304/2001; n. 2088/1992; n. 2611/96), atteso che anche l'efficacia probatoria degli atti ricognitivi aventi natura confessoria si esplica, nei casi espressamente previsti dalla legge, soltanto in ordine ai fatti produttivi di situazioni o rapporti giuridici sfavorevoli al dichiarante, con la conseguenza che a tale atto non può riconoscersi nè il valore di prova dell'esistenza del diritto di proprietà nè, a maggior ragione, possono ad esso ricollegarsi, come preteso dai ricorrenti, gli effetti attributivi-dichiarativi propri della divisione, che presuppongono lo stato di comunione tra i (proprietari) condividenti.
2. Col secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 2697 e 1158 c.c.. I ricorrenti, dopo la redazione della scrittura, si erano immessi nel possesso dei beni, come da essi stessi riconosciuto, ed il possesso non restava escluso dal fatto di aver chiesto la restituzione dei beni medesimi.
La censura è priva di fondamento.
La richiesta di restituzione è un argomento di motivazione addotto ad adiuvandum dalla Corte di Appello rispetto a quello - decisivo - della mancanza di prova del possesso esclusivo. Il possesso valido ad usucapionem viene dai ricorrenti solo affermato senza neppure la indicazione degli elementi sintomatici di esso. Il presunto riconoscimento del possesso da parte dei T.- R. non è meglio specificato.
3. Ai sensi dell'art. 89 c.p.c. va accolta la richiesta dei controricorrenti di cancellazione delle frasi offensive, contenute nel ricorso. Tale atto, invero, reca espressioni che, da un lato, appaiono del tutto gratuite siccome prive della benchè minima attinenza con la materia di causa e, d'altro canto, rivestono un contenuto oggettivamente offensivo per i controricorrenti laddove, si afferma:
a) che "la vedova di R.A. era incinta ad opera del marito che era affetto da impotentia generandi" (pag. 5 del ricorso);
b) che "nella famiglia T. spesso si muore ... di altro" (ibidem), in contrapposizione alle normali morti per malattia nella famiglia R., con chiaro riferimento all'altra frase che descrive la morte di T.C., rispettivamente fratello e zio dei controricorrenti, con i seguenti termini "Anche T.C. venne ucciso in pieno giorno nei pressi dalla Stazione Ferroviaria Centrale di (OMISSIS)", (pag. 6 del ricorso), e con evidente allusione ad un contesto, se non proprio di esecuzione mafiosa o malavitosa, almeno di una morte determinata da ragioni oscure e, certamente, non dignitose o poco commendevoli per l'ucciso e la sua famiglia.
A conferma del giudizio di offensività va rimarcato che entrambi gli eventi (la gravidanza e la morte del T.C.) sono descritti nel ricorso come fonti di problemi morali che resero difficile la già complicata risoluzione delle questioni successorie. Va, quindi, disposta la cancellazione delle frasi sopra specificate - in caratteri corsivi e tra virgolette - sub a) e b).
Il Collegio ritiene di giustizia assegnare solidalmente ai controricorrenti la somma di Euro 1.000,000 (mille), da porsi a carico dei ricorrenti, pure in solido, a titolo di ristoro dei danni non patrimoniali sofferti come conseguenza delle offensive insinuazioni.
4. Le spese processuali, liquidate come nel dispositivo, sono a carico dei ricorrenti in solido.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, decidendo sul ricorso in epigrafe così provvede:
1) rigetta il ricorso;
2) ordina che dal ricorso siano cancellate le frasi offensiva specificate in motivazione ed assegna ai controricorrenti, a titolo di danno, la somma di Euro 1.000,00 (mille), da versarsi dai ricorrenti in solido;
3) condanna i ricorrenti in solido alle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.600,00, di cui Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese fisse, IVA, CPA ed altri accessori di Legge.


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