venerdì 23 ottobre 2009

L'Avvocato e La Costituzione: Riflessioni sulla Dignità della Toga












Avvocatura soggetto costituzionale

Data Pubblicazione 21/10/2009 



Articolo tratto da: 
Top Legal 







Sportello OUA/Assieme ai magistrati, componenti della giurisdizione



La classe forense entra a pieno titolo nel processo attuativo 

dei principi costituzionali, in virtù del suo ruolo di protagonista del processo. 





Una proposta di riforma di Maurizio de Tilla 

– Presidente Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana



L’art. 101 della Costituzione nel proclamare che “la giustizia è 

amministrata in nome del popolo” e che “i giudici sono soggetti 

soltanto alla legge” ha inteso sancire un principio fondamentale, 

che pone il potere giudiziario in una posizione di indipendenza 

da qualsiasi altro potere, in particolare da quello esecutivo. 

Il principio della soggezione dei giudici alla legge, oltre a 

garantire l’indipendenza del potere giudiziario, realizza il 

collegamento tra il giudice e la sovranità popolare, che si 

esprime appunto nella legge, approvata da organi eletti 

dal popolo e politicamente responsabili. 

La Costituzione ha previsto rigorose garanzie di 

indipendenza dei giudici che operano sotto due aspetti: 

a) come indipendenza della magistratura nel suo 

complesso, nei confronti dei condizionamenti che possono 

giungere da altri poteri dello Stato e, in particolare, dal 

Governo (cd. indipendenza esterna); 

b) come indipendenza personale del singolo giudice 

all’interno dello stesso ordine giudiziario, cioè dai 

condizionamenti provenienti da altri organi del potere 

giudiziario (cd. indipendenza interna). 

L’indipendenza del potere giudiziario è uno dei principi 

fondamentali della Costituzione. 

Ma non il solo, per quel che riguarda la giurisdizione. 

Tra i principi fondamentali della Costituzione vanno inclusi: 

1) il principio della ragionevole durata del processo (art. 111); 

2) il principio della parità delle parti nel processo (art. 111); 

3) il principio della inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato 

e grado del processo e collegato a questo il principio della 

tutela dei non abbienti (art. 24). 

Nel convegno di Fermo organizzato dall’OUA 

sull’“Avvocatura soggetto costituzionale” Annibale Marini, 

Presidente emerito della Corte Costituzionale, ha puntualmente 

osservato che si tratta di vedere se e in quale misura questi 

principi possono considerarsi dotati di una loro effettività e, 

in caso di risposta negativa, quali siano le cause e quali 

i rimedi di quella che può considerarsi una grave patologia 

dell’intero sistema. 

Accanto a questa indagine su cause e rimedi non si può 

non riflettere sul fatto che l’Avvocatura è una componente 

essenziale della giurisdizione che trova una giustificazione 

sostanziale nel fatto che i principi fondamentali della 

giurisdizione vengono attuati con il suo concorso decisivo. 

Sicché l’Avvocatura entra a pieno titolo nel processo 

attuativo dei principi costituzionali, acquistando la veste 

protagonista del processo e, quindi, uno specifico rilievo 

istituzionale. 

E poi, se è vero che il processo risulta essere la 

sede dell’esercizio della funzione giurisdizionale è innegabile 

che la rilevanza costituzionale di quest’ultima debba 

estendersi a tutti i soggetti che ad esso partecipano da 

protagonisti: non solo, quindi, alla magistratura, ma anche 

all’avvocatura, coerentemente con quanto stabilito 

dall’art. 24 della Costituzione. 

La magistratura e l’avvocatura sono, con pari dignità, 

le componenti della giurisdizione. 

L’ordine giudiziario, nei due ruoli distinti, è autonomo e 

indipendente da ogni potere. 

Allo stesso tempo l’avvocatura è libera e indipendente 

così che la difesa assume una funzione indeclinabile in 

ogni procedimento giudiziario 

(in tal senso è la proposta presentata alla Camera 

dei deputati da Gaetano Pecorella). 

Pari rilevanza costituzionale dei soggetti della 

giurisdizione vuol dire operare un bilanciamento 

all’interno di tale assetto, che si presenta come 

garanzia di neutralizzazione delle possibili distorsioni 

e degenerazioni, senza bisogno di ricorrere a vincoli 

esterni, abbandonando così i principi di autonomia e 

di rappresentatività della giurisdizione la quale non 

può che essere affidata, a livello costituzionale, a 

tutti i soggetti che ad essa concorrono. 

Di qui la proposta dell’Organismo Unitario 

dell’Avvocatura italiana di riforma del titolo IV 

della parte II della Costituzione: Il “titolo” 

dovrebbe articolarsi in tre “sezioni”; la prima 

dedicata ai principi fonda¬mentali della funzione 

giurisdizionale, la seconda contenente quelli 

riguardanti la magistratura. la terza quelli 

relativi alla difesa ed alla Avvocatura. 

Nella “sezione prima” si afferma il principio 

della essenzialità delle due componenti della 

giurisdizione e della loro pari dignità nonché 

della assoluta parità tra le parti nel processo. 

Si prevede l’impegno della Repubblica 

ad assicurare una ragionevole durata del 

pro¬cesso e l’adeguatezza dei costi della 

giustizia. 

Nella “sezione seconda” si tratta 

della magistratura. 

Si introduce come principio 

costituzionale la separazione dei ruoli, 

tra i magistrati giudicanti e quelli 

requirenti. 

Nell’ordinamento giudiziario dovranno 

preve¬dersi quali debbano essere le 

specifiche garanzie di autonomia e 

indipendenza per la magistratura 

requirente. 

La “sezione terza”, infine, tratta della 

avvocatura. 

Si costituzionalizza il principio della difesa 

come funzione essenziale in ogni proce¬dimento 

giudiziario e della incompatibilità fra lo 

svolgimento della attività di avvo¬cato 

con ogni altra, ivi compresa quella di 

magistrato non togato. 

Si dà attuazione, attraverso un principio 

costituzionale, al diritto della difesa 

prevedendosi che i costi facciano carico 

allo Stato ma che la organizzazione concreta 

della difesa per i non abbienti venga 

affidata alle istituzioni dell’Avvocatura. 

Si costituzionalizza, infine, il principio 

della iscrizione all’albo professionale e, 

conformemente a quanto accade 

per la magistratura, quello della 

giurisdizione domesti¬ca. 

Il giurista Aldo Loiodice ha addotto 

come ulteriore argomento del dibattito 

in corso sulla costituzionalizzazione 

dell’avvocato che, nel processo, 

l’avvocato diventa il depositario e 

l’affidatario della quota di sovranità 

appartenente alle parti processuali 

che non possono restare nella totale 

disponibilità del giudice. 

Il ruolo dell’avvocatura diventa, 

quindi, l’indispensabile sostegno 

alla correttezza e pienezza del ruolo 

del giudice per la rappresentazione 

della situazione giuridica delle parti, 

nella quale la sovranità trova motivo 

di svolgersi concretamente. 

Con un ruolo di rigore e selezione e 

un ambito di azione più vasto di quello 

attuale. 

Se la presenza dell’avvocato è 

garanzia di terzietà del processo, 

l’Avvocatura dovrà concorrere, 

con propri rappresentati, 

all’Amministrazione della giustizia 

nelle diverse articolazioni, con un 

bilanciamento di ruoli e di funzioni. 

Non va dimenticata la tradizione che

 è alla base dell’art. 82 c.p.c. in 

cui si parla di “ministero 

dell’avvocato” e che sottolinea 

l’esigenza che gli avvocati abbiano 

“piena coscienza dell’altezza morale 

e dell’importanza pubblica del loro 

ministero che li richiama ad essere i 

più preziosi collaboratori del 

giudice” 

(relazione al codice). 

Piero Calamandrei proclamava 

che l’avvocato nell’esercizio del proprio 

ministero “deve obbedire solo alle leggi 

e alla propria coscienza e non curarsi d’altro”, 

di guisa che il difensore può essere 

posto sullo stesso piano del giudice 

quando giudica. L’autonomia e la 

libertà dell’avvocato è, infatti, condizione 

e garanzia dell’imparzialità del giudice e, 

quindi, dell’attuazione della giustizia. 

In tal modo la giustizia viene 

amministrata effettivamente in nome 

del popolo. 

La previsione costituzionale può, quindi, 

avere già oggi una forte ricaduta sulla riforma 

della professione forense che va modellata 

significativamente sulla funzione dell’avvocato 

nel processo.







L'Avvocato e La Costituzione: Riflessioni sulla Dignità della Toga




Avvocatura soggetto costituzionale
Data Pubblicazione 21/10/2009 

Articolo tratto da: 
Top Legal 



Sportello OUA/Assieme ai magistrati, componenti della giurisdizione

La classe forense entra a pieno titolo nel processo attuativo 
dei principi costituzionali, in virtù del suo ruolo di protagonista del processo. 


Una proposta di riforma di Maurizio de Tilla 
– Presidente Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana

L’art. 101 della Costituzione nel proclamare che “la giustizia è 
amministrata in nome del popolo” e che “i giudici sono soggetti 
soltanto alla legge” ha inteso sancire un principio fondamentale, 
che pone il potere giudiziario in una posizione di indipendenza 
da qualsiasi altro potere, in particolare da quello esecutivo. 
Il principio della soggezione dei giudici alla legge, oltre a 
garantire l’indipendenza del potere giudiziario, realizza il 
collegamento tra il giudice e la sovranità popolare, che si 
esprime appunto nella legge, approvata da organi eletti 
dal popolo e politicamente responsabili. 
La Costituzione ha previsto rigorose garanzie di 
indipendenza dei giudici che operano sotto due aspetti: 
a) come indipendenza della magistratura nel suo 
complesso, nei confronti dei condizionamenti che possono 
giungere da altri poteri dello Stato e, in particolare, dal 
Governo (cd. indipendenza esterna); 
b) come indipendenza personale del singolo giudice 
all’interno dello stesso ordine giudiziario, cioè dai 
condizionamenti provenienti da altri organi del potere 
giudiziario (cd. indipendenza interna). 
L’indipendenza del potere giudiziario è uno dei principi 
fondamentali della Costituzione. 
Ma non il solo, per quel che riguarda la giurisdizione. 
Tra i principi fondamentali della Costituzione vanno inclusi: 
1) il principio della ragionevole durata del processo (art. 111); 
2) il principio della parità delle parti nel processo (art. 111); 
3) il principio della inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato 
e grado del processo e collegato a questo il principio della 
tutela dei non abbienti (art. 24). 
Nel convegno di Fermo organizzato dall’OUA 
sull’“Avvocatura soggetto costituzionale” Annibale Marini, 
Presidente emerito della Corte Costituzionale, ha puntualmente 
osservato che si tratta di vedere se e in quale misura questi 
principi possono considerarsi dotati di una loro effettività e, 
in caso di risposta negativa, quali siano le cause e quali 
i rimedi di quella che può considerarsi una grave patologia 
dell’intero sistema. 
Accanto a questa indagine su cause e rimedi non si può 
non riflettere sul fatto che l’Avvocatura è una componente 
essenziale della giurisdizione che trova una giustificazione 
sostanziale nel fatto che i principi fondamentali della 
giurisdizione vengono attuati con il suo concorso decisivo. 
Sicché l’Avvocatura entra a pieno titolo nel processo 
attuativo dei principi costituzionali, acquistando la veste 
protagonista del processo e, quindi, uno specifico rilievo 
istituzionale. 
E poi, se è vero che il processo risulta essere la 
sede dell’esercizio della funzione giurisdizionale è innegabile 
che la rilevanza costituzionale di quest’ultima debba 
estendersi a tutti i soggetti che ad esso partecipano da 
protagonisti: non solo, quindi, alla magistratura, ma anche 
all’avvocatura, coerentemente con quanto stabilito 
dall’art. 24 della Costituzione. 
La magistratura e l’avvocatura sono, con pari dignità, 
le componenti della giurisdizione. 
L’ordine giudiziario, nei due ruoli distinti, è autonomo e 
indipendente da ogni potere. 
Allo stesso tempo l’avvocatura è libera e indipendente 
così che la difesa assume una funzione indeclinabile in 
ogni procedimento giudiziario 
(in tal senso è la proposta presentata alla Camera 
dei deputati da Gaetano Pecorella). 
Pari rilevanza costituzionale dei soggetti della 
giurisdizione vuol dire operare un bilanciamento 
all’interno di tale assetto, che si presenta come 
garanzia di neutralizzazione delle possibili distorsioni 
e degenerazioni, senza bisogno di ricorrere a vincoli 
esterni, abbandonando così i principi di autonomia e 
di rappresentatività della giurisdizione la quale non 
può che essere affidata, a livello costituzionale, a 
tutti i soggetti che ad essa concorrono. 
Di qui la proposta dell’Organismo Unitario 
dell’Avvocatura italiana di riforma del titolo IV 
della parte II della Costituzione: Il “titolo” 
dovrebbe articolarsi in tre “sezioni”; la prima 
dedicata ai principi fonda¬mentali della funzione 
giurisdizionale, la seconda contenente quelli 
riguardanti la magistratura. la terza quelli 
relativi alla difesa ed alla Avvocatura. 
Nella “sezione prima” si afferma il principio 
della essenzialità delle due componenti della 
giurisdizione e della loro pari dignità nonché 
della assoluta parità tra le parti nel processo. 
Si prevede l’impegno della Repubblica 
ad assicurare una ragionevole durata del 
pro¬cesso e l’adeguatezza dei costi della 
giustizia. 
Nella “sezione seconda” si tratta 
della magistratura. 
Si introduce come principio 
costituzionale la separazione dei ruoli, 
tra i magistrati giudicanti e quelli 
requirenti. 
Nell’ordinamento giudiziario dovranno 
preve¬dersi quali debbano essere le 
specifiche garanzie di autonomia e 
indipendenza per la magistratura 
requirente. 
La “sezione terza”, infine, tratta della 
avvocatura. 
Si costituzionalizza il principio della difesa 
come funzione essenziale in ogni proce¬dimento 
giudiziario e della incompatibilità fra lo 
svolgimento della attività di avvo¬cato 
con ogni altra, ivi compresa quella di 
magistrato non togato. 
Si dà attuazione, attraverso un principio 
costituzionale, al diritto della difesa 
prevedendosi che i costi facciano carico 
allo Stato ma che la organizzazione concreta 
della difesa per i non abbienti venga 
affidata alle istituzioni dell’Avvocatura. 
Si costituzionalizza, infine, il principio 
della iscrizione all’albo professionale e, 
conformemente a quanto accade 
per la magistratura, quello della 
giurisdizione domesti¬ca. 
Il giurista Aldo Loiodice ha addotto 
come ulteriore argomento del dibattito 
in corso sulla costituzionalizzazione 
dell’avvocato che, nel processo, 
l’avvocato diventa il depositario e 
l’affidatario della quota di sovranità 
appartenente alle parti processuali 
che non possono restare nella totale 
disponibilità del giudice. 
Il ruolo dell’avvocatura diventa, 
quindi, l’indispensabile sostegno 
alla correttezza e pienezza del ruolo 
del giudice per la rappresentazione 
della situazione giuridica delle parti, 
nella quale la sovranità trova motivo 
di svolgersi concretamente. 
Con un ruolo di rigore e selezione e 
un ambito di azione più vasto di quello 
attuale. 
Se la presenza dell’avvocato è 
garanzia di terzietà del processo, 
l’Avvocatura dovrà concorrere, 
con propri rappresentati, 
all’Amministrazione della giustizia 
nelle diverse articolazioni, con un 
bilanciamento di ruoli e di funzioni. 
Non va dimenticata la tradizione che
 è alla base dell’art. 82 c.p.c. in 
cui si parla di “ministero 
dell’avvocato” e che sottolinea 
l’esigenza che gli avvocati abbiano 
“piena coscienza dell’altezza morale 
e dell’importanza pubblica del loro 
ministero che li richiama ad essere i 
più preziosi collaboratori del 
giudice” 
(relazione al codice). 
Piero Calamandrei proclamava 
che l’avvocato nell’esercizio del proprio 
ministero “deve obbedire solo alle leggi 
e alla propria coscienza e non curarsi d’altro”, 
di guisa che il difensore può essere 
posto sullo stesso piano del giudice 
quando giudica. L’autonomia e la 
libertà dell’avvocato è, infatti, condizione 
e garanzia dell’imparzialità del giudice e, 
quindi, dell’attuazione della giustizia. 
In tal modo la giustizia viene 
amministrata effettivamente in nome 
del popolo. 
La previsione costituzionale può, quindi, 
avere già oggi una forte ricaduta sulla riforma 
della professione forense che va modellata 
significativamente sulla funzione dell’avvocato 
nel processo.



Riforme e Controriforme: Giustizia






Il Pdl apre il cantiere giustizia





Data Pubblicazione 21/10/2009 







Articolo tratto da: Il Sole 24 Ore 











Riforme. Si intensifica il pressing di Berlusconi, forse già oggi il prima incontro tra Ghedini e Bongiorno                                                                         
Mancino auspica larghe intese - Dal Csm pratica a tutela di Mesiano                
La decisione sul Lodo Alfa- no aveva scatenato la tempesta nel centrodestra; la motivazione della sentenza, invece, è accolta con poche parole, come quelle di Gaetano Quaglierello, vicecapogruppo Pdl al Senato: «Le motivazioni della i Corte non modificano il severo giudizio espresso il giorno della decisione. Anzi, se possibile, lo rafforzano». Ormai, nei piani alti di Governo e maggioranza si parla solo delle riforme da presentare. Il pressing in questo senso di Silvio Berlusconi sugli alleati è molto forte. A cominciare dalla giustizia, su cui aleggia lo spettro di uno sciopero dei magistrati: processo penale, separazione delle carriere, diversa composizione del Csm e della Consulta, prescrizione, obbligatorietà dell’azione penale. «Le riforme non vanno minacciate ma pensate e discusse», avverte il vicepresidente del Csm Nicola Mancino in un’intervista a Famiglia cristiana, auspicando «larghe intese», solo in mancanza delle quali si applica «il principio di maggioranza». Il numero due del Csm è favorevole a una «netta distinzione» tra giudici e Pm, ma non allo sdoppiamento del Consiglio, «uno sotto la presidenza del Capo dello Stato e, anche se lo si nega, l’altro sotto il dominio dell’Esecutivo». E proprio a palazzo dei Marescialli, ieri, è stata votata all’unanimità, in commissione, la pratica a tutela del giudice Raimondo Mesiano, che ha condannato la Fininvest a 750 milioni di euro in favore della Cir e che per quella sentenza è stato accusato dal premier Silvio Berlusconi («è un’enormità giuridica») e dai capigruppo Pdl («disegno eversivo»). Nel fascicolo del Csm sono finiti anche il video mandato in onda da Canale 5,in cui Mesiano è «spiato» in una giornata qualunque e, a più riprese, è definito stravagante» dal conduttore della trasmissione, nonché gli articoli «denigratori» pubblicati dal Giornale contro il magistrato. La pratica non è solo a tutela di Mesiano, ma soprattutto «della credibilità della giustizia civile», si fa notare al Csm, dove a sollecitarne l’apertura è stato Pino Berruti di Unicost insieme ai togati di tutte le correnti e ai due laici di centrosinistra Vacca e Volpi. Contrari i laici Pdl, che si accingono a dare battaglia. Il caso dovrebbe andare in plenum già oggi, con procedura d’urgenza, non appena il presidente della Repubblica avrà dato il suo via libera. Gianfranco Anedda, laico Pdl, è convinto che Napolitano si opporrà in quanto la pratica Mesiano «è contraria al nuovo regolamento che il Csm si è dato su invito del Capo dello Stato», poiché «non è a difesa dell’istituzione, ma di un singolo». Non la pensa così l’Anm, che nei giorni scorsi ha scritto a Napolitano proprio per segnalargli il crescendo di tensione verificatosi dopo le sentenze su Lodo Alfano e su Lodo Mondadori: «decisioni non condivise dalla politica», ha ribadito il segretario Giuseppe Cascini, e che perciò hanno determinato «violente aggressioni» verso i magistrati e la Consulta, aggiungendo a ciò la «minaccia» di «riforme punitive». Cioè quelle in cantiere nella maggioranza. In settimana, forse già oggi, Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno — “delegati” da Berlusconi e Fini - faranno il punto della situazione sulle priorità da dare alle riforme, sia ordinarie che costituzionali. Tra le prime, ci sono quelle già in Parlamento — intercettazioni e processo penale — mentre le seconde sono ancora da presentare. Ieri anche il finiano Italo Bocchino, numero due del Pdl alla Camera, ha ribadito che i cardini» della riforma sono la separazione delle carriere, la modifica del Csm e una riflessione sull’obbligatorietà dell’azione penale e ha confermato l’intenzione di far procedere la giustizia parallelamente — non più in coda — alle altre. «L’improvvisa furia riformatrice del Governo dopo mesi di immobilismo e, guarda caso, dopo la sentenza sul Lodo Alfano ci insospettisce», commenta Michele Vietti dell’Udc. Che mette le mani avanti: «Se saranno riforme utili ai cittadini-utenti daremo il nostro contributo, se serviranno solo al premier no». D.St.                                                                                                                  




Riforme e Controriforme: Giustizia


Il Pdl apre il cantiere giustizia


Data Pubblicazione 21/10/2009 



Articolo tratto da: Il Sole 24 Ore 





Riforme. Si intensifica il pressing di Berlusconi, forse già oggi il prima incontro tra Ghedini e Bongiorno                                                                         
Mancino auspica larghe intese - Dal Csm pratica a tutela di Mesiano                
La decisione sul Lodo Alfa- no aveva scatenato la tempesta nel centrodestra; la motivazione della sentenza, invece, è accolta con poche parole, come quelle di Gaetano Quaglierello, vicecapogruppo Pdl al Senato: «Le motivazioni della i Corte non modificano il severo giudizio espresso il giorno della decisione. Anzi, se possibile, lo rafforzano». Ormai, nei piani alti di Governo e maggioranza si parla solo delle riforme da presentare. Il pressing in questo senso di Silvio Berlusconi sugli alleati è molto forte. A cominciare dalla giustizia, su cui aleggia lo spettro di uno sciopero dei magistrati: processo penale, separazione delle carriere, diversa composizione del Csm e della Consulta, prescrizione, obbligatorietà dell’azione penale. «Le riforme non vanno minacciate ma pensate e discusse», avverte il vicepresidente del Csm Nicola Mancino in un’intervista a Famiglia cristiana, auspicando «larghe intese», solo in mancanza delle quali si applica «il principio di maggioranza». Il numero due del Csm è favorevole a una «netta distinzione» tra giudici e Pm, ma non allo sdoppiamento del Consiglio, «uno sotto la presidenza del Capo dello Stato e, anche se lo si nega, l’altro sotto il dominio dell’Esecutivo». E proprio a palazzo dei Marescialli, ieri, è stata votata all’unanimità, in commissione, la pratica a tutela del giudice Raimondo Mesiano, che ha condannato la Fininvest a 750 milioni di euro in favore della Cir e che per quella sentenza è stato accusato dal premier Silvio Berlusconi («è un’enormità giuridica») e dai capigruppo Pdl («disegno eversivo»). Nel fascicolo del Csm sono finiti anche il video mandato in onda da Canale 5,in cui Mesiano è «spiato» in una giornata qualunque e, a più riprese, è definito stravagante» dal conduttore della trasmissione, nonché gli articoli «denigratori» pubblicati dal Giornale contro il magistrato. La pratica non è solo a tutela di Mesiano, ma soprattutto «della credibilità della giustizia civile», si fa notare al Csm, dove a sollecitarne l’apertura è stato Pino Berruti di Unicost insieme ai togati di tutte le correnti e ai due laici di centrosinistra Vacca e Volpi. Contrari i laici Pdl, che si accingono a dare battaglia. Il caso dovrebbe andare in plenum già oggi, con procedura d’urgenza, non appena il presidente della Repubblica avrà dato il suo via libera. Gianfranco Anedda, laico Pdl, è convinto che Napolitano si opporrà in quanto la pratica Mesiano «è contraria al nuovo regolamento che il Csm si è dato su invito del Capo dello Stato», poiché «non è a difesa dell’istituzione, ma di un singolo». Non la pensa così l’Anm, che nei giorni scorsi ha scritto a Napolitano proprio per segnalargli il crescendo di tensione verificatosi dopo le sentenze su Lodo Alfano e su Lodo Mondadori: «decisioni non condivise dalla politica», ha ribadito il segretario Giuseppe Cascini, e che perciò hanno determinato «violente aggressioni» verso i magistrati e la Consulta, aggiungendo a ciò la «minaccia» di «riforme punitive». Cioè quelle in cantiere nella maggioranza. In settimana, forse già oggi, Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno — “delegati” da Berlusconi e Fini - faranno il punto della situazione sulle priorità da dare alle riforme, sia ordinarie che costituzionali. Tra le prime, ci sono quelle già in Parlamento — intercettazioni e processo penale — mentre le seconde sono ancora da presentare. Ieri anche il finiano Italo Bocchino, numero due del Pdl alla Camera, ha ribadito che i cardini» della riforma sono la separazione delle carriere, la modifica del Csm e una riflessione sull’obbligatorietà dell’azione penale e ha confermato l’intenzione di far procedere la giustizia parallelamente — non più in coda — alle altre. «L’improvvisa furia riformatrice del Governo dopo mesi di immobilismo e, guarda caso, dopo la sentenza sul Lodo Alfano ci insospettisce», commenta Michele Vietti dell’Udc. Che mette le mani avanti: «Se saranno riforme utili ai cittadini-utenti daremo il nostro contributo, se serviranno solo al premier no». D.St.                                                                                                                  


Le intercettazioni telefoniche: focus sui dibattiti parlamentari






Intercettazioni e avvocati - Sì al Senato entro metà dicembre
Data Pubblicazione 21/10/2009 



Articolo tratto da: 
Il Corriere della Sera 





Il piano della maggioranza Berselli: basta rinvii sulle nuove regole

«Più poteri ai legali». Alfano vede il presidente della Commissione giustizia

ROMA — L’appuntamento era stato fissato la scorsa settimana e dunque è soltanto un caso che si siano incontrati il giorno dopo il deposito della sentenza sul cosiddetto «Lodo Alfano». Ma l’accordo concluso tra il Guardasigilli Angelino Alfano e il presidente della Commissione giustizia del Senato Filippo Berselli rischia di rendere ancor più incandescente il dibattito sulla giustizia. Perché al centro del colloquio c’era la tabella di marcia da seguire per arrivare all’approvazione dei provvedimenti tuttora all’esame di palazzo Madama. E la scelta è caduta sui due disegni di legge ritenuti indispensabili per potèr poi cambiare le regole dei processi penali, così come vuole il premier Silvio Berlusconi. Dunque si comincia dalla riforma dell’ordine forense e dalle intercettazioni. Si andrà veloce, quasi di corsa. Berselli non lo nasconde, anche se con i suoi collaboratori rivendica il merito di aver preso tèmpo proprio sulla riforma più ampia, rilanciata dopo la bocciatura del Lodo, quasi a dover rappresentare una ritorsione nei confronti dei giudici. Sono stati diversi gli esponenti della maggioranza, in testa il presidente della Camera Gianfranco Fini, a mostrarsi contrari alla separazione delle carriere dei magistrati e ad affrontare in tempi stretti modifiche più profonde. Ma il capo del governo e lo stesso Alfano vogliono dare comunque un segnale forte e dunque si procede, cominciando proprio dagli avvocati, ma soprattutto avendo la garanzia che il provvedimento sulle intercettazion-i diventerà legge entro la fine del 2009. «Per metà dicembre - conferma Berselli - entrambi i provvedimenti saranno licenziati». Agli inizi di questo stesso mese si terrà a Rimini «11 salone della Giustizia», di cui Berselli è promotore. Ministri e parlamentari, magistrati e responsabili delle forze di polizia, si ritroveranno davanti ai cittadini per parlare di processi, di sicurezza, di riforme, di carcere. Una vera e propria fiera che nelle intenzioni di chi l’ha organizzata «dovrà essere terreno di incontro», ma che invece rischia di trasformarsi nella platea di uno scontro sempre più duro. Per quella data «gli avvocati avranno ottenuto più poteri per bilanciare quello che già hanno i pubblici ministeri», come conferma lo stesso senatore prima di confermare quale sia il vero obiettivo di queste norme in cantiere: «Arriveremo a una vera parità tra le parti del processo, senza che ci possano essere mai più sbilanciamenti». Proprio quello che Berlusconi ha evidenziato più volte come «una necessità». A seguire si approverà il testo delle intercettazioni. La materia è scivolosa e i rilievi del capo dello Stato — che nel luglio scorso convinsero i presidenti delle Camere a far slittare la discussione all’autunno — dovranno essere tenuti in conto. «Sentiremo il parere del procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso — chiarisce Berselli — e subito dopo disporremo i termini per la presentazione degli emendamenti. Ma non ci saranno pause, perché questi tre disegni di legge sono parte di una stessa riforma e non si può continuare a rinviare». Il nodo da sciogliere, per quanto riguarda il provvedimento sulle intercettazioni, rimane quello degli «evidenti indizi di colpevolezza» necessari per poter disporre l’ascolto ambientale o dei telefoni degli indagati. Nel luglio scorso, dopo che il testo era stato approvato alla Camera grazie alla mozione di fiducia posta dal governo, Alfano aveva mostrato «apertura» rispetto alle perplessità del capo dello Stato spiegando che «si possono fare modifiche». Era il momento della distensione e del dialogo, anche con l’opposizione. La bocciatura del Lodo ha fatto cambiare atteggiamento al governo, come più volte ha annunciato lo stesso presidente del Consiglio. Adesso l’intenzione è quella di procedere spediti, «anche da soli», come hanno sottolineano diversi parlamentari del Pdl. La volontà di Alfano era quella di cominciare dalla riforma del processo penale, ma Berselli ha frenato, sia pur soltanto sui tempi. E alla fine il patto è stato suggellato. Fiorenza Sarzanini



Le intercettazioni telefoniche: focus sui dibattiti parlamentari


Intercettazioni e avvocati - Sì al Senato entro metà dicembre
Data Pubblicazione 21/10/2009 

Articolo tratto da: 
Il Corriere della Sera 


Il piano della maggioranza Berselli: basta rinvii sulle nuove regole
«Più poteri ai legali». Alfano vede il presidente della Commissione giustizia
ROMA — L’appuntamento era stato fissato la scorsa settimana e dunque è soltanto un caso che si siano incontrati il giorno dopo il deposito della sentenza sul cosiddetto «Lodo Alfano». Ma l’accordo concluso tra il Guardasigilli Angelino Alfano e il presidente della Commissione giustizia del Senato Filippo Berselli rischia di rendere ancor più incandescente il dibattito sulla giustizia. Perché al centro del colloquio c’era la tabella di marcia da seguire per arrivare all’approvazione dei provvedimenti tuttora all’esame di palazzo Madama. E la scelta è caduta sui due disegni di legge ritenuti indispensabili per potèr poi cambiare le regole dei processi penali, così come vuole il premier Silvio Berlusconi. Dunque si comincia dalla riforma dell’ordine forense e dalle intercettazioni. Si andrà veloce, quasi di corsa. Berselli non lo nasconde, anche se con i suoi collaboratori rivendica il merito di aver preso tèmpo proprio sulla riforma più ampia, rilanciata dopo la bocciatura del Lodo, quasi a dover rappresentare una ritorsione nei confronti dei giudici. Sono stati diversi gli esponenti della maggioranza, in testa il presidente della Camera Gianfranco Fini, a mostrarsi contrari alla separazione delle carriere dei magistrati e ad affrontare in tempi stretti modifiche più profonde. Ma il capo del governo e lo stesso Alfano vogliono dare comunque un segnale forte e dunque si procede, cominciando proprio dagli avvocati, ma soprattutto avendo la garanzia che il provvedimento sulle intercettazion-i diventerà legge entro la fine del 2009. «Per metà dicembre - conferma Berselli - entrambi i provvedimenti saranno licenziati». Agli inizi di questo stesso mese si terrà a Rimini «11 salone della Giustizia», di cui Berselli è promotore. Ministri e parlamentari, magistrati e responsabili delle forze di polizia, si ritroveranno davanti ai cittadini per parlare di processi, di sicurezza, di riforme, di carcere. Una vera e propria fiera che nelle intenzioni di chi l’ha organizzata «dovrà essere terreno di incontro», ma che invece rischia di trasformarsi nella platea di uno scontro sempre più duro. Per quella data «gli avvocati avranno ottenuto più poteri per bilanciare quello che già hanno i pubblici ministeri», come conferma lo stesso senatore prima di confermare quale sia il vero obiettivo di queste norme in cantiere: «Arriveremo a una vera parità tra le parti del processo, senza che ci possano essere mai più sbilanciamenti». Proprio quello che Berlusconi ha evidenziato più volte come «una necessità». A seguire si approverà il testo delle intercettazioni. La materia è scivolosa e i rilievi del capo dello Stato — che nel luglio scorso convinsero i presidenti delle Camere a far slittare la discussione all’autunno — dovranno essere tenuti in conto. «Sentiremo il parere del procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso — chiarisce Berselli — e subito dopo disporremo i termini per la presentazione degli emendamenti. Ma non ci saranno pause, perché questi tre disegni di legge sono parte di una stessa riforma e non si può continuare a rinviare». Il nodo da sciogliere, per quanto riguarda il provvedimento sulle intercettazioni, rimane quello degli «evidenti indizi di colpevolezza» necessari per poter disporre l’ascolto ambientale o dei telefoni degli indagati. Nel luglio scorso, dopo che il testo era stato approvato alla Camera grazie alla mozione di fiducia posta dal governo, Alfano aveva mostrato «apertura» rispetto alle perplessità del capo dello Stato spiegando che «si possono fare modifiche». Era il momento della distensione e del dialogo, anche con l’opposizione. La bocciatura del Lodo ha fatto cambiare atteggiamento al governo, come più volte ha annunciato lo stesso presidente del Consiglio. Adesso l’intenzione è quella di procedere spediti, «anche da soli», come hanno sottolineano diversi parlamentari del Pdl. La volontà di Alfano era quella di cominciare dalla riforma del processo penale, ma Berselli ha frenato, sia pur soltanto sui tempi. E alla fine il patto è stato suggellato. Fiorenza Sarzanini

Varie: Lex et iudicata





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Al bando i formalismi inutili. Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione l'attore non aveva specificato alcuna richiesta in merito al danno psichico subito in relazione alla contestazione di errato intervento chirurgico. La Corte ha stabilito che i danni devono essere tutti considerati, anche se le istanze sono formulate in forma riassuntiva o omnicomprensiva."


Cassazione civile Sentenza, Sez. III, 13/10/2009, n. 21680










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Per la Corte di giustizia UE, la denominazione di un prodotto alimentare, non registrata come DOP o IGP, contenente riferimenti geografici, può essere legittimamente utilizzata, ma a condizione che l'etichettatura del prodotto così denominato non induca in errore il consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto.


Corte Giust. CE Sentenza 10/09/2009, n. Causa C-446/07






22.10.2009

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martedì 13 ottobre 2009

La natura dei Contributi di Bonifica:Quando si paga la tariffa relativa al servizio pubblico di fognatura non sono dovuti ex art. 14, co. 2 L. 36/94



Articolo 05.09.09
La natura dei contributi di bonifica …. storia di un camaleonte giuridico




In origine i contributi di bonifica erano volontari e si configuravano come corrispettivo di un servizio reso nell’interesse dei soci dal consorzio di appartenenza; successivamente, l’art.59 del r.d. 13/02/1933 n.215 li ha resi obbligatori e trasformati in persone giuridiche di diritto pubblico, attribuendo loro la potestà di imporre contributi alle proprietà consorziate.


L’imposizione forzosa di tali contributi ha posto il problema della natura giuridica di questi. Secondo un primo orientamento i contributi consortili non sono assimilabili ai tributi se non per alcuni aspetti, fra cui quello delle modalità di esazione; riprova ulteriore ne è la loro mancata inclusione tra quelli devoluti alla cognizione delle commissioni tributarie in base all’elencazione contenuta nell’art. 2 della legge 546 del 31/12/1992.


Secondo una seconda impostazione, prevalente in dottrina e giurisprudenza, i contributi consortili si configurano, in ragione del dettato normativo posto dagli articoli 860 c.c. e dal r.d. n.215 del 13/02/1933 e successive modifiche, come prestazioni patrimoniali di natura pubblicistica, rientrante nella categoria generale dei tributi (Sentenza 9493 del 23 settembre 1998 della Corte di Cassazione SS.UU. Civ.), e, in particolare, delle tasse, con riguardo ai quali la legge fissa direttamente i presupposti e i requisiti per la spettanza del potere impositivo e l’assoggettamento ad esso, rimanendo affidata alla discrezionalità del consorzio solo la loro quantificazione; per cui, in assenza di detti presupposti e requisiti l’imposizione del tributo si qualifica come illegittima.


L’obbligo di contribuire alle opere di bonifica ha, quindi, quali suoi indefettibili presupposti, ex art. 10 del regio decreto n.215 del 1933 e 860 c.c., la proprietà di un immobile che sia incluso nel perimetro consortile e l’esistenza di uno specifico vantaggio direttamente tratto dalle opere consortili stesse e che si traduca in una utilitas per il fondo (Sentenza 7511/93 della Corte di Cassazione Prima Sez. Civ.). 


A tal fine non è sufficiente che l’utilità sia in rapporto eziologico con l’attività consortile e che si riverberi in favore del proprietario di uno di detti immobili, ma è necessario che tale utilitas si traduca in un vantaggio di tipo fondiario, cioè incidente strettamente sull’immobile stesso(Sentenza 968 del 30 gennaio 1998 della Corte di Cassazione SS.UU. Civ.). Tale vantaggio, inoltre, deve essere diretto e specifico, conseguito o conseguibile a causa della bonifica, tale cioè da tradursi in una qualità del fondo (Cass. S.U. n.8960 del 14/10/1996, in Arch. Loc. 1996, PAG.683).


Inoltre, a conforto della tesi “tributaria” dei contributi consortili, è giunta di recente la legge 448 del 2001 che, all’art.12 comma 2, ha attribuito alla competenza delle commissioni tributarie tutte le controversie aventi ad oggetto i “tributi di ogni genere e specie”, facendovi rientrare, quindi, anche le liti aventi ad oggetto i contributi sulla bonifica.


Un terzo orientamento, minoritario in dottrina (Massimiliano Balloriani, Roberto De Rosa, Salvatore Mezzanotte, Manuale Breve Diritto civile, Percorsi Giuffrè, 2008, pag.189 ss), riconduce i contributi sulla bonifica agli oneri reali. La riconducibilità di tali contributi all’onere reale comporta, perciò solo, la debenza del contributo per il sol fatto che gli immobili si trovino nel comprensorio gestito dal Consorzio per cui, di conseguenza, il beneficio dagli stessi fruibile avrebbe potuto essere anche potenziale o futuro.


Optare per la tesi “tributaria” o per quella “reale” non è soltanto una questione dogmatica ma comporta, invece, diverse conseguenze giuridiche.


Ritenere, infatti, il contributo di bonifica una figura peculiare di tassa impone, perciò solo, al giudice tributario di verificare se le attività del consorzio abbiano effettivamente apportato agli immobili presenti nel comprensorio un beneficio attuale e concreto tale da giustificare il giusto e proporzionato corrispettivo. In concreto, quindi, si dovrà valutare se si è verificato un aumento di valore degli immobili in funzione delle attività, opere o strutture del consorzio come, ad esempio, quelle inerenti l’attività manutentiva dei canali consortili o le opere necessarie volte a preservare gli immobili da alluvioni o frane.


Scegliendo, invece, la tesi dell’onere reale il giudice tributario dovrebbe verificare soltanto la titolarità dell’immobile sito nel perimetro oggetto del raggio d’azione del Consorzio e valutare la congruità della prestazione pecuniaria dovuta all’ente creditore. In caso d’inadempimento il Consorzio potrà espropriare il fondo che fungerà, quindi, da garanzia reale (secondo una certa impostazione l’onere reale costituisce una sorta di obbligazione rafforzata dalla garanzia costituita dal fondo).


A parere di chi scrive i contributi di bonifica rientrano in un tertium genus ossia rientrano tra le prestazioni patrimoniali atipiche (sul punto vedi AA.VV., DIRITTO TRIBUTARIO, 2008, Simone, pag.20).


Il contributo sulla bonifica ha lo schema giuridico dell’imposta ma è dovuto dal singolo proprietario o titolare di altro diritto reale per un particolare vantaggio da lui ricevuto e per le spese da lui provocate e poste a carico dell’ente pubblico.


In definitiva si può affermare che il contributo consortile per la bonifica è una entrata pubblica di natura latamente tributaria che l’ente pubblico impositore realizza sotto forma di prelievo coattivo di ricchezza a carico di determinati soggetti, per il fatto che costoro traggono un vantaggio diretto o indiretto dai servizi di bonifica e manutenzione dei canali d’irrigazione, anche senza che essi li abbiano richiesti.


La difficoltà di collocare nella giusta dimensione giuridica i contributi sulla bonifica comporta anche ulteriori interrogativi sia sulla costituzionalità della legge istitutiva dei consorzi di bonifica e sia sulla possibilità di una sovrapposizione impositiva dovuta ai tributi sul servizio idrico integrato. Con riferimento a questi ultimi, infatti, quando gli immobili sono serviti da rete fognaria i proprietari sono tenuti al pagamento della tariffa relativa al servizio di pubblica fognatura e la legge 36/94, all’art.14 comma 2, esenta costoro dal pagamento di qualsiasi altra tariffa al medesimo titolo dovuta ad altri enti. Inoltre, parecchie leggi regionali (vedi, ad esempio, la legge regionale campana n.4 del 25/02/03) hanno espressamente sancito l’esenzione dal contributo consortile per i privati che sono già contribuenti del servizio di pubblica fognatura del comune di residenza per cui l’ulteriore richiesta del tributo di bonifica diverrebbe illegittimo e, se versato, ripetibile ex art.2033 c.c..


Con riferimento alla costituzionalità della legge istitutiva dei consorzi di bonifica occorre ora valutare la compatibilità del r.d. del 23 con l’117 e 118 della Costituzione nonché con l’art.41, secondo comma, della Carta.


Già prima della modifica del titolo V la legge 59/97 e il dlgs. 112/98 stabilivano che le funzioni della difesa del suolo dovevano essere attribuite ai comuni (che hanno già la competenza in materia di primo intervento di protezione civile) e alle province (che già oggi conformano il territorio con il piano territoriale di coordinamento). In base a tali norme ai consorzi di bonifica residuerebbero soltanto le funzioni che riguardano il servizio irriguo, ossia la fornitura d’acqua alle aziende agricole. Se consideriamo che l’agricoltura è una materia oggetto di competenza legislativa regionale (in quanto non compresa negli elenchi previsti dall’art.117) e il governo del territorio è una materia concorrente ex art.117, secondo comma, sembra evidente che l’attuale normativa sembri contrastare con le attuali esigenze di autonomia legislativa e finanziaria garantita alle regioni. Il r.d. del 23 sembrerebbe contrastare anche con l’art.118, ultimo comma, il quale stabilisce che “Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività d’interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà…”. Del resto l’art.860 c.c., norma successiva al r.d. del 23, stabilisce che “i proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio sono obbligati a contribuire nella spesa necessaria per l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle opere in ragione del beneficio che traggono dalla bonifica….” mentre l’art. 862 c.c. afferma che all’escuzione, alla manutenzione e all’esercizio delle opere di bonifica può provvedersi a mezzo di consorzi tra i proprietari interessati. Solo in assenza dell’iniziativa dei privati questi si costituiscono d’ufficio.


Tuttavia la legge del 23 non consente il consorzio ad iniziativa dei privati contrastando con l’art.118, ultimo comma, mentre il r.d. 23 contrasta con l’art. 41 secondo comma e 42 secondo comma della Costituzione nella parte in cui non prevede le cause di scioglimento di tali forme peculiari di consorzio. Non prevedendo specificamente ed espressamente le cause di scioglimento degli stessi potrebbe provocare una compressione intollerabile del diritto di proprietà e, in particolare, di tutte le attività imprenditoriali, soprattutto agricole, insistenti sul comprensorio di bonifica.
 

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