domenica 8 giugno 2008

D.L. "Sicurezza"


DECRETO-LEGGE 23 maggio 2008 , n. 92
Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica
(G.U. 26 maggio 2008, n. 122, serie generale)
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;
Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di introdurre disposizioni volte ad apprestare un quadro normativo piu' efficiente per contrastare fenomeni di illegalita' diffusa collegati all'immigrazione illegale e alla criminalita' organizzata, nonche' norme dirette a tutelare la sicurezza della circolazione stradale in relazione all'incremento degli incidenti stradali e delle relative vittime;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21 maggio 2008;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro dell'interno e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, dell'economia e
delle finanze e per la pubblica amministrazione e l'innovazione;
E m a n a
il seguente decreto-legge:
Art. 1.
Modifiche al codice penale
1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l'articolo 235 e' sostituito dal seguente:
«Art. 235 (Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato). -
Il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo superiore ai due anni.
Il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice e' punito con la reclusione da uno a quattro anni»;
b) l'articolo 312 e' sostituito dal seguente:
«Art. 312 (Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato). -
Il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero o il cittadino di Stato dell'Unione europea sia condannato ad una pena restrittiva della liberta' personale per taluno dei delitti preveduti da questo titolo.

Il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice e' punito con la reclusione da uno a quattro anni.»;

c) all'articolo 589 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al secondo comma, la parola: «cinque» e' sostituita dalla seguente: «sei»;

2) dopo il secondo comma, e' inserito il seguente:
«Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto e' commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:
1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.»;
3) al terzo comma, le parole: «anni dodici» sono sostituite dalle seguenti: «anni quindici»;
d) al terzo comma dell'articolo 590, e' aggiunto il seguente periodo:

«Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto e' commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi e' della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime e' della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.»;
e) dopo l'articolo 590 e' inserito il seguente:
«Art. 590-bis (Computo delle circostanze). -
Quando ricorre la circostanza di cui all'articolo 589, terzo comma, ovvero quella di cui all'articolo 590, quarto comma, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantita' di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti.»;
f) all'articolo 61, primo comma, dopo il numero 11 e' inserito il seguente:
«11-bis. Se il fatto e' commesso da soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale.».
Art. 2.
Modifiche al codice di procedura penale
1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 260, dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti:
«3-bis. L'autorita' giudiziaria procede, altresi', anche su richiesta dell'organo accertatore alla distruzione delle merci di cui sono comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione quando le stesse sono di difficile custodia, ovvero quando la custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica ovvero quando, anche all'esito di accertamenti compiuti ai sensi dell'articolo 360, risulti evidente la violazione dei predetti divieti. L'autorita' giudiziaria dispone il prelievo di uno o piu' campioni con l'osservanza delle formalita' di cui all'articolo 364 e ordina la distruzione della merce residua.
3-ter. Nei casi di sequestro nei procedimenti a carico di ignoti, la polizia giudiziaria, decorso il termine di tre mesi dalla data di effettuazione del sequestro, puo' procedere alla distruzione delle merci contraffatte sequestrate, previa comunicazione all'autorita' giudiziaria. La distruzione puo' avvenire dopo 15 giorni dalla comunicazione salva diversa decisione dell'autorita' giudiziaria. E' fatta salva la facolta' di conservazione di campioni da utilizzare a fini giudiziari.»;
b) al comma 1 dell'articolo 371-bis, dopo le parole:

«nell'articolo 51, comma 3-bis» sono inserite le seguenti: «e in relazione ai procedimenti di prevenzione»;
c) il comma 4 dell'articolo 449 e' sostituito dal seguente:

«4. Il pubblico ministero, quando l'arresto in flagranza e' gia' stato convalidato, procede al giudizio direttissimo presentando l'imputato in udienza non oltre il quindicesimo giorno dall'arresto, salvo che cio' pregiudichi gravemente le indagini.»;
d) al comma 5 dell'articolo 449, il primo periodo e' sostituito dal seguente: «Il pubblico ministero procede inoltre al giudizio direttissimo, salvo che cio' pregiudichi gravemente le indagini, nei confronti della persona che nel corso dell'interrogatorio ha reso confessione.»;

e) al comma 1 dell'articolo 450, le parole: «Se ritiene di procedere a giudizio direttissimo,» sono sostituite dalle seguenti:

«Quando procede a giudizio direttissimo,»;
f) al comma 1 dell'articolo 453, le parole: «il pubblico ministero puo' chiedere», sono sostituite dalla seguente: «salvo che cio' pregiudichi gravemente le indagini, il pubblico ministero chiede»;
g) all'articolo 453, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
1-bis. Il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai termini di cui all'articolo 454, comma 1, e comunque entro centottanta giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini.

1-ter. La richiesta di cui al comma 1-bis e' formulata dopo la definizione del procedimento di cui all'articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame.»;
h) all'articolo 455, dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente:

«1-bis. Nei casi di cui all'articolo 453, comma 1-bis, il giudice rigetta la richiesta se l'ordinanza che dispone la custodia cautelare e' stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.»;
i) all'articolo 599, i commi 4 e 5 sono abrogati;
l) all'articolo 602, il comma 2 e' abrogato;
m) all'articolo 656, comma 9, lettera a), dopo le parole: «della
legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni,» sono
inserite le seguenti: «nonche' di cui agli articoli 423-bis, 600-bis,
624-bis, e 628 del codice penale,».
Art. 3.
Modifiche al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274

1. All'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, dopo le parole: «derivi una malattia di durata superiore a venti giorni» sono inserite le seguenti: «, nonche' ad esclusione delle fattispecie di cui all'articolo 590, terzo comma, quando si tratta di fatto commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope,».
Art. 4.
Modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni

1. All'articolo 186 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2, lettera b), le parole: «l'arresto fino a tre mesi» sono sostituite dalle seguenti: «l'arresto fino a sei mesi»;
b) al comma 2, lettera c), le parole: «l'arresto fino a sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «l'arresto da tre mesi ad un anno» e sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Con la sentenza di
condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se e' stata applicata la sospensione condizionale della pena, e' sempre disposta la confisca del veicolo con il quale e' stato
commesso il reato ai sensi dell'articolo 240, comma 2, del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Il veicolo sottoposto a sequestro puo' essere affidato in
custodia al trasgressore. La stessa procedura si applica anche nel caso di cui al comma 2-bis.»;
c) dopo il comma 2-quater e' inserito il seguente:
«2-quinquies. Salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi del comma 2, il veicolo, qualora non possa essere guidato da altra persona idonea, puo' essere fatto trasportare fino al luogo indicato
dall'interessato o fino alla piu' vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia. Le spese per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del trasgressore.»;
d) al comma 7, il primo e il secondo periodo sono sostituiti dal seguente:
«Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente e' punito con le pene di cui al comma 2, lettera c)»;
e) al comma 7, terzo periodo, le parole: «Dalle violazioni conseguono» sono sostituite dalle seguenti: «La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta»;
f) al comma 7, quinto periodo, le parole: «Quando lo stesso soggetto compie piu' violazioni nel corso di un biennio,», sono sostituite dalle seguenti: «Se il fatto e' commesso da soggetto gia'
condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato,».
2. Al comma 1 dell'articolo 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) le parole: «e' punito con l'ammenda da euro 1000 a euro 4000 el'arresto fino a tre mesi», sono sostituite dalle seguenti: «e' punito con l'ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l'arresto da tre
mesi ad un anno»;
b) alla fine e' aggiunto il seguente periodo: «Si applicano le disposizioni dell'articolo 186, comma 2, lettera c), quinto e sesto periodo, nonche' quelle di cui al comma 2-quinquies del medesimo
articolo 186.».

3. All'articolo 189 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 6, le parole: «da tre mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da sei mesi a tre anni»;

b) al comma 7, le parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da un anno a tre anni».

4. All'articolo 222, comma 2, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se il fatto di cui al terzo periodo e' commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente.».
Art. 5.
Modifiche al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
1. All'articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, dopo il comma 5 e' inserito il seguente:
«5-bis. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque cede a titolo oneroso un immobile di cui abbia la disponibilita' ad un cittadino straniero irregolarmente soggiornante nel territorio dello Stato e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La condanna con provvedimento irrevocabile comporta la confisca dell'immobile, salvo che appartenga a persona estranea al reato. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti in materia di gestione e destinazione dei beni confiscati. Le somme di denaro ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al potenziamento delle attivita' di prevenzione e repressione dei reati in tema di immigrazione clandestina.».
Art. 6.
Modifica del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto2000, n. 267, in materia di attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale
1. L'articolo 54 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e' sostituito dal seguente:
«Art. 54 (Attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale). -
1. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende:
a) all'emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalla legge e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza pubblica;
b) allo svolgimento delle funzioni affidategli dalla legge in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria;
c) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone il prefetto.

2. Il sindaco, nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, concorre ad assicurare anche la cooperazione della polizia locale con le Forze di polizia statali, nell'ambito delle direttive di coordinamento impartite dal Ministro dell'interno -
Autorita' nazionale di pubblica sicurezza.
3. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende, altresi', alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva
militare e di statistica.

4. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumita' pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono tempestivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.
5. Qualora i provvedimenti di cui ai commi 1 e 4 possano comportare conseguenze sull'ordinata convivenza delle popolazioni dei comuni contigui o limitrofi, il prefetto indice un'apposita conferenza alla quale prendono parte i sindaci interessati, il presidente della provincia e, qualora ritenuto opportuno, soggetti pubblici e privati dell'ambito territoriale interessato dall'intervento.
6. In casi di emergenza, connessi con il traffico o con l'inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessita' dell'utenza o per motivi di sicurezza urbana, il sindaco puo' modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonche', d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, adottando i provvedimenti di cui al comma 4.
7. Se l'ordinanza adottata ai sensi del comma 4 e' rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all'ordine impartito, il sindaco puo' provvedere d'ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui siano incorsi.
8. Chi sostituisce il sindaco esercita anche le funzioni di cui al presente articolo.
9. Nell'ambito delle funzioni di cui al presente articolo, il prefetto puo' disporre ispezioni per accertare il regolare svolgimento dei compiti affidati, nonche' per l'acquisizione di dati e notizie interessanti altri servizi di carattere generale.
10. Nelle materie previste dai commi 1 e 3, nonche' dall'articolo 14, il sindaco, previa comunicazione al prefetto, puo' delegare l'esercizio delle funzioni ivi indicate al presidente del consiglio circoscrizionale; ove non siano costituiti gli organi di decentramento comunale, il sindaco puo' conferire la delega a un consigliere comunale per l'esercizio delle funzioni nei quartieri e nelle frazioni.
11. Nelle fattispecie di cui ai commi 1, 3 e 4, anche nel caso di inerzia del sindaco o del suo delegato nell'esercizio delle funzioni previste dal comma 10, il prefetto puo' intervenire con proprio provvedimento.

12. Il Ministro dell'interno puo' adottare atti di indirizzo per l'esercizio delle funzioni previste dal presente articolo da parte del sindaco.».
Art. 7.
Collaborazione della polizia municipale nell'ambito dei piani coordinati di controllo del territorio
1. I piani coordinati di controllo del territorio di cui al comma 1 dell'articolo 17 della legge 26 marzo 2001, n. 128, determinano i rapporti di reciproca collaborazione fra i contingenti di personale della polizia municipale e gli organi di Polizia dello Stato. Per le stesse finalita', con decreto da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della difesa, determina le procedure da osservare per assicurare, nel caso di interventi in flagranza di reato, l'immediata denuncia agli organi di Polizia dello Stato per il prosieguo dell'attivita' investigativa.
Art. 8.
Accesso della polizia municipale al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno
1. All'articolo 16-quater del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: «schedario dei veicoli rubati operante»sono sostituite dalle seguenti: «schedario dei veicoli rubati o rinvenuti e allo schedario dei documenti d'identita' rubati o smarriti operanti»;

b) dopo il comma 1 e' inserito il seguente:
«1-bis. Il personale di cui al comma 1 puo' essere, altresi', abilitato all'inserimento, presso il Centro elaborazione dati ivi indicato, dei dati di cui al comma 1 acquisiti autonomamente.».
Art. 9.
Centri di identificazione ed espulsione
1. Le parole: «centro di permanenza temporanea» ovvero: «centro di permanenza temporanea ed assistenza» sono sostituite, in generale, in tutte le disposizioni di legge o di regolamento, dalle seguenti: «centro di identificazione ed espulsione» quale nuova denominazione delle medesime strutture.
Art. 10.
Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575
1. Alla legge 31 maggio 1965, n. 575, sono apportate le seguenti modifiche:
a) l'articolo 2 e' sostituito dal seguente:
«Art. 2. - 1. Nei confronti delle persone indicate all'articolo 1 possono essere proposte dal Procuratore nazionale antimafia, dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona, dal questore o dal direttore della Direzione investigativa antimafia, anche se non vi e' stato il preventivo avviso, le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale, di cui al primo e al terzo comma dell'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni.
2. Quando non vi e' stato il preventivo avviso e la persona risulti definitivamente condannata per un delitto non colposo, con la notificazione della proposta il questore puo' imporre all'interessato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale il divieto di cui all'articolo 4, quarto comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423;
si applicano le disposizioni dei commi quarto, ultimo periodo, e quinto del medesimo articolo 4.»;
b) all'articolo 2-bis, comma 1, dopo le parole: «Il procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale»;

c) all'articolo 2-ter, sono apportate le seguenti modifiche:
1) al secondo comma, dopo le parole: «A richiesta del procuratore della Repubblica,» sono inserite le seguenti: «del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di
distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale,»;

2) al sesto comma, dopo le parole: «su richiesta del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale,»;
3) al settimo comma, dopo le parole: «su proposta del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale,»;

d) all'articolo 3-bis sono apportate le seguenti modifiche:
1) al settimo comma, dopo le parole: «su richiesta del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale,»;
e) all'articolo 3-quater sono apportate le seguenti modifiche:
1) al comma 1, dopo le parole: «il Procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale»;
2) al comma 5, dopo le parole: «il procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale»;
f) all'articolo 10-quater, secondo comma, dopo le parole: «su richiesta del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti «, del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale».
Art. 11.
Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152
1. All'articolo 19, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In deroga a quanto previsto dall'articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, nei casi previsti dal presente comma competente a richiedere le misure di prevenzione e' anche il Procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona.».
Art. 12.
Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12
1. Dopo l'articolo 110-bis del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e' inserito il seguente:
«Art. 110-ter (Applicazione di magistrati in materia di misure di prevenzione). -
1. Il Procuratore nazionale antimafia puo' disporre, nell'ambito dei poteri attribuiti in materia di misure di prevenzione e previa intesa con il competente procuratore distrettuale, l'applicazione temporanea di magistrati della direzione nazionale antimafia alle procure distrettuali per la trattazione di singoli procedimenti di prevenzione. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 110-bis.
2. Se ne fa richiesta il procuratore distrettuale, il Procuratore generale presso la Corte d'appello puo', per giustificati motivi, disporre che le funzioni di pubblico ministero per la trattazione delle misure di prevenzione siano esercitate da un magistrato designato dal Procuratore della Repubblica presso il giudice competente.».
Art. 13.
Entrata in vigore
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara' presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.

sabato 7 giugno 2008

Affinchè non accada mai più

"Era un angelo sospeso nel cielo,
ma un cavo si è spezzato.
Questa è la cronaca
di un incidente sul lavoro"


Affinchè non accada mai più

"Era un angelo sospeso nel cielo,
ma un cavo si è spezzato.
Questa è la cronaca
di un incidente sul lavoro"


giovedì 5 giugno 2008

La prima notificazione all'imputato/indagato


Processo penale, notificazioni alla parte, nullità, vizi, precisazioni

Cassazione penale , SS.UU., sentenza 15.05.2008 n° 19602

Processo penale – notificazioni alla parte – nullità – vizi – precisazioni [art. 157 c.p.p.]

La notificazione diversa dal modello di notificazione prescritto non provoca necessariamente la lesione del diritto alla conoscenza degli atti processuali, laddove si dimostri che l’imputato ne era comunque a conoscenza, con la conseguenza che non vi è inesistenza dell’atto. (1) (2)
(1) Sul tema della mancata notificazione all’imputato detenuto, si veda Cassazione penale 15417/2008.(2) Sul tema del dies a quo relativo ai termini per presentare l’appello, si veda Cassazione civile 4996/2008.

Tra i contributi più recenti della dottrina, si vedano:- Cusato, La notificazione degli atti civili, penali, amministrativi e tributari, CEDAM, 2008;- Peroni, Decreto di irreperibilità e notificazione del decreto di citazione a giudizio, in Diritto penale e processo, 2008, n. 2, IPSOA, p. 185;- Silvestri, In tema di notificazione del decreto che dispone i giudizio e irreperibilità dell'imputato, in Cassazione penale, 2008, n. 2, GIUFFRÈ, p. 652.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Sentenza 27 marzo - 15 maggio 2008, n. 19602

(Presidente Gemelli - Relatore Carmenini)

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 13 dicembre 2006, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del tribunale monocratico di Rossano del 2 novembre 2005, ha confermato il giudizio di responsabilità penale a carico di B. M. in ordine ai reati di cui agli arti 44 lett. b) d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A della rubrica) e 71 e 72 del medesimo d.P.R. (capo C), per avere realizzato un fabbricato a due piani fuori terra in cemento armato, edificato su un terrapieno sorretto da un muro di contenimento anch'esso in cemento armato, senza la prescritta concessione edilizia, senza il progetto esecutivo e la direzione di un tecnico qualificato, senza la previa prescritta denuncia all'Ufficio dell'ex Genio civile. Di conseguenza la Corte ha condannato l'imputata alla pena come in atti, confermando l'ordine di demolizione delle opere abusive, ha concesso i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna e ha dichiarato estinti per prescrizione gli ulteriori reati di cui al capo B (violazione degli arti. 93, 94 e 95 dei d.P.R. n. 380 del 2001).
La M. ha impugnato detta sentenza con ricorso per cassazione, articolando quattro motivi. Col primo motivo lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1 lett. c) cod. proc. pen., per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità. In particolare si duole dell'erronea applicazione dell'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., sul rilievo che la notificazione all'imputata dell'avviso di fissazione del giudizio di appello per l'udienza del 13.11.2006 è stata effettuata al difensore di fiducia, nonostante l'esistenza agli atti di un domicilio dichiarato; precisa che trattandosi di prima notificazione nella fase di appello, la stessa avrebbe dovuto essere effettuata ai sensi dell'art. 157, comma 1, cod. proc. pen. Secondo la ricorrente la modalità di notificazione adottata nella specie configurerebbe un'ipotesi di nullità assoluta ed insanabile, ai sensi dell'art. 179, in relazione all'art. 178, lett. c), cod. proc. pen., che travolgerebbe ogni atto conseguente, compresa la sentenza impugnata. Col secondo motivo deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all'art. 40 c.p., nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto. La M. assume di essere estranea ai fatti, essendo soltanto il marito il proprietario del terreno su cui insiste il manufatto e il committente dell'opera abusivamente realizzata; sostiene che la Corte di appello di Catanzaro ha violato il principio della responsabilità penale personale, e, con una motivazione palesemente illogica, ha ritenuto la sua colpevolezza sul presupposto che "la qualità di committenti oltre che di proprietari dell'opera abusiva discende dalla qualità di conviventi" e che "la stessa (l'imputata) era presente al momento dell'intervento dei militari operanti ed ha sottoscritto il verbale di constatazione dell'illecito edilizio". Col terzo e quarto motivo, infine, eccepisce la prescrizione anche dei residui reati e lamenta un trattamento sanzionatorio eccessivamente gravoso.
La Terza Sezione penale, rilevata l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla «legittimità della notificazione all'imputato del decreto di fissazione dell'udienza per il giudizio di appello» mediante consegna «al difensore di fiducia, ex art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., nonostante l'esistenza agli atti del domicilio dichiarato», ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 618 cod. proc. pen.
Il Primo Presidente, con decreto del 5 febbraio 2008, ha fissato, per la trattazione del ricorso, l'odierna udienza pubblica del 27 marzo 2008.

Motivi della decisione
La questione giuridica controversa può essere così sintetizzata: "Se la notificazione presso il difensore di fiducia, ex art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., possa essere effettuata anche nel caso in cui l'imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni".
Le soluzioni date dalla giurisprudenza di questa Corte hanno evidenziato un contrapposto orientamento, sviluppatosi soprattutto tra la Quinta Sezione penale, da un lato, e la Terza e la Sesta Sezione, dall'altro.
In breve, la Quinta Sezione ha affermato, con le sentenze Landro (25.01 - 27.02.2007, n. 8108 rv 236522) e Rizzato (24.10 - 06.12.2005, n. 44608 rv 232612), che il domicilio "legale" non può prevalere su quello dichiarato, considerato che l'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. è riferibile, nell'organizzazione della norma in cui si inserisce, alle ipotesi considerate dai commi precedenti; che "la disposizione di cui all'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. (relativa alte notifiche all'imputato mediante consegna al difensore di fiducia) si applica solo alle notificazioni successive a quella eseguita ai sensi dell'art. 157, comma ottavo, mentre non si applica nell'ipotesi in cui l'imputato abbia precedentemente eletto (dichiarato) domicilio nel luogo di abituale dimora, ex art. 161 cod. proc. pen."; che la nullità tempestivamente eccepita comporta la nullità del giudizio di appello e della sentenza impugnata".
Al contrario, la Terza sezione (sentenza Ardito, 20.09 -08.11.2007, n. 41063 rv 237639) e la Sesta Sezione (sentenze Casilli, 09.03 - 01.06.2006, n. 19267 rv 234499; Borrelli, 02.04 - 31.05.2007, n. 21341 rv 236874, ed altre) rilevano che la forma di notificazione prevista dall'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. "deve ritenersi prevalente su ogni altra", sicché, in presenza di nomina fiduciaria, è irrilevante, ai fini della successiva notificazione del decreto di citazione in appello, il domicilio dichiarato dall'imputato; evidenziano che il comma 8 bis dell'art. 157 cod. proc. pen. è stato introdotto dalla legge 22.4.2005, n. 60, che ha convertito con modificazioni il D.L. 21.2.2005, n. 17, all'enunciato fine di garantire la ragionevole durata del processo in ottemperanza all'art. 111 Cost. e, quindi, di accelerare i tempi di notifica degli atti; sottolineano che presupposto di operatività della norma è esclusivamente la previa rituale effettuazione di una prima notifica all'imputato "a piede libero", riferendosi a tale prima notifica l'incipit dell'art. 157 cod. proc. pen. "salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162 cod. proc. pen.", in considerazione proprio della ratio della nuova disposizione, volta a consentire un tendenziale e generalizzato risparmio di tempi attraverso l'automatica notificazione degli atti ulteriori al difensore di fiducia (che diviene domiciliatario per legge del proprio assistito); sostengono che l'indagato/imputato può, in qualsiasi momento, escludere la domiciliazione ex lege con dichiarazione o diversa elezione di domicilio esplicitamente ed espressamente formulata in tal senso; che il difensore di fiducia non soltanto ha la possibilità di proporre deduzioni per la valutazione, da parte del giudice ex art. 420 bis cod. proc. pen., del rilievo probabilistico del buon esito della citazione dell'imputato, ma può anche interrompere l'automatismo delineato dal comma 8 bis in esame, dal momento che la stessa norma prevede che egli "può dichiarare immediatamente all'autorità che procede di non accettare la notificazione".
Le opposte soluzioni ermeneutiche risentono della non univoca soluzione normativa data ai rilievi mossi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo al sistema previgente dei processi in contumacia, mediante la legge 22 aprile 2005, n. 60 di conversione del decreto legge 21 febbraio 2005, n.17, nel cui corpo è inserita la normativa in esame.
Due sono i principi ai quali la disciplina in parola ha inteso ispirarsi: 1) il diritto dell'imputato alla conoscenza dell'accusa; 2) la garanzia della ragionevole durata del processo.
Il secondo dei filoni giurisprudenziali sopra esposti mostra di privilegiare la celerità del processo e si inserisce tendenzialmente nelle linee maggiormente evolutive del rapporto imputato-difensore, privilegiando la figura del difensore di fiducia, nella quale individua l'elemento portante ed innovativo della legge n. 60 del 2005, ed assegnando alla notifica all'imputato, mediante consegna al difensore di fiducia, un ruolo del tutto fisiologico, quale forma ordinaria di notificazione.
L'auspicabile semplificazione del sistema delle notificazioni, non completato con chiarezza dal legislatore, non può, tuttavia, essere effettuato in via meramente ermeneutica. Le stesse sentenze fautrici di questo orientamento sono portate ad assegnare alla parte adempimenti non espressamente previsti, ma ricavabili solo forzatamente dal sistema (l'indagato/imputato può, in qualsiasi momento, escludere la domiciliazione ex lege con dichiarazione o diversa elezione di domicilio esplicitamente ed espressamente formulata in tal senso; il difensore di fiducia ha la possibilità di proporre deduzioni per la valutazione, da parte del giudice ex art. 420 bis cod. proc. pen., del rilievo probabilistico del buon esito della citazione dell'imputato). Questa soluzione, per altro, comporterebbe un forte ridimensionamento di taluni punti della vigente regolamentazione dell'elezione di domicilio (artt. 161 e 162 cod. proc. pen.), nel senso che la dichiarazione o l'elezione di domicilio ivi previste riguarderebbero esclusivamente l'imputato difeso d'ufficio, in quanto per l'imputato difeso di fiducia non sarebbe possibile alcuna dichiarazione di domicilio, né un'elezione diversa da quella presso il suo difensore.
La lettura sistematica, allo stato consentita dal complesso delle norme coinvolte - senza che per altro si possa fare carico alla sede ermeneutica della maggiore o minore incisività del raggio di azione della norma positiva -, deve condurre verso l'opzione prescelta dal primo orientamento, con le precisazioni applicative nei sensi di seguito esplicate.
Gli artt. 157 e 161 e seguenti cod. proc. pen. descrivono, per quanto attiene alle notificazioni all'imputato non detenuto, un percorso duplice, rafforzato dall'inizio testuale del primo di detti articoli ("salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162").
In buona sostanza il legislatore ha inteso assicurare la piena conoscenza dell'accusa da parte dell'imputato rappresentandosi due situazioni: la prima si verifica quando manca un previo contatto con le autorità indicate dall'art. 161 cod. proc. pen. ed in tal caso occorre una prima notificazione direttamente all'interessato in una delle forme previste dall'art. 157; la seconda si verifica quando l'imputato può essere avvertito dal giudice, dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria ed il tal caso emergerà, in genere, una dichiarazione o elezione di domicilio e si seguiranno le forme indicate dall'art. 161 e seguenti del codice di rito. In questa visione la disposizione contenuta nel comma 8 bis dell'art. 157 non può non essere letta nell'ambito dell'articolo che la contiene.
Il sistema appare, dunque, articolato secondo due tipologie di notificazioni.
Quando si deve effettuare la prima notificazione all'imputato, che non abbia eletto o dichiarato domicilio, si deve procedere in uno dei modi consecutivi previsti dai primi otto commi dell'art. 157.
Una volta effettuata regolarmente la prima notificazione, se l'imputato provvede a nominare il difensore di fiducia, tutte le successive notificazioni si effettuano mediante consegna al difensore; questi può "immediatamente", quindi antecedentemente alla prima notificazione presso di lui, dichiarare all'autorità che procede di non accettare la notificazione, altrimenti il processo nei suoi vari gradi seguirà con la notificazione al difensore di fiducia.
In caso di mancata nomina del difensore di fiducia, si procederà a norma dei commi 2 e 4 dell'art. 161 cod. proc. pen..
Se, invece, vi sono state elezione o dichiarazione di domicilio, si seguiranno direttamente le forme dettate dall'art. 161 e seguenti cod. proc. pen..
Va sottolineato che, in base alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la conoscenza dell'accusa, preordinata allo svolgimento di un'efficace attività difensiva, deve realizzarsi attraverso una "notificazione ufficiale proveniente dall'autorità competente" (Brozicek c. Italia, 19 dicembre 1989); ma non si richiede necessariamente una forma particolare. La stessa Corte delinea un'attività collaborativa da parte dell'imputato, una volta regolarmente avvisato (Kimmel c. Italia, 2 settembre 2004; Booker c. Italia, 14 settembre 2006; Zaratin c. Italia, 23 novembre 2006). Il disinteresse dell'imputato informato equivale ad una rinuncia a presenziare alle udienze con la conseguenza che non è configurabile nessuna violazione della Convenzione.
Ancora, in tema di semplificazione dell'iter del processo attraverso un sistema di notificazioni non incerto, vanno ribaditi i seguenti principi giurisprudenziali: a) l'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. "riguarda l'intero processo e non già ogni grado di giudizio, sicché non occorre individuare per ciascuna fase processuale una prima notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina" (in tal senso la Terza Sezione nell'ordinanza di rimessione, nonché Cass. Sez. V, 25.05.- 21.11.2006, n. 38136, ric. Bertone e altro, rv 235976 e Sez. IV, 11.10 - 21.11.2005, n. 41649, Mandrini, rv 232409); b) la nullità assoluta e insanabile prevista dall'art. 179 cod. pro. pen. ricorre soltanto nei caso in cui la notificazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato, mente essa non ricorre nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue l'applicabilità della sanatoria di cui all'art. 184 cod. proc. pen.. Per altro, l'imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare l'inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell'atto e indicare gli specifici elementi che consentano l'esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice stesso (Cass. Sez. U. sent. 00119 del 2005, Palumbo).
Si possono ora trarre le debite conclusioni sulla questione giuridica controversa.
Al quesito : "Se la notificazione presso il difensore di fiducia, ex art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., possa essere effettuata anche nel caso in cui l'imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni", deve essere data risposta negativa.
Consegue come lineare corollario che: 1) l'operatività dell'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. è subordinata all'assenza di una dichiarazione o elezione di domicilio. Tutte le successive notificazioni, qualora l'imputato abbia nominato un difensore di fiducia e non abbia dichiarato o eletto domicilio, devono essere eseguite mediante consegna al difensore, ferma restando l'assenza di una preclusione all'esercizio della facoltà dell'imputato stesso di dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni anche dopo la nomina di un difensore di fiducia, esercizio che ha l'effetto di paralizzare la regola contenuta nel citato comma 8 bis; 2) detta regola, inoltre, riguarda l'intero processo, sicché non occorre individuare per ciascuna fase processuale una prima notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina; 3) l'eventuale nullità derivante dalla notificazione effettuata ai sensi dell'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., per casi diversi da quelli previsti non configura una nullità assoluta ed insanabile per omessa vocatio in jus, bensì una nullità di ordine generale e a regime intermedio per inosservanza delle norme sulla notificazione, che deve ritenersi sanata quando risulti provato che l’errore non abbia impedito all'imputato di conoscere l'esistenza dell'atto e di esercitare il diritto di difesa; essa rimane comunque senza effetto se non è dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all'art. 184 comma primo, alle sanatorie generali di cui all'art. 183 e alle regole di deducibilità di cui all'art. 182 cod. proc. pan., oltre che ai termini di rilevabilità di cui all'art. 180 stesso codice.
Prendendo in esame la specifica situazione oggetto del primo motivo di ricorso, secondo le emergenze del processo, è agevole rilevare che il 2 dicembre 2003 la M., come risulta dal verbale redatto dalla polizia giudiziaria, dichiarava domicilio presso la sua abitazione in Rossano contrada Lampa Patire n. 29, ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen., e nominava difensore di fiducia l'avv. Leonardo Trento del foro di Rossano; riceveva a mani proprie, nel domicilio dichiarato, tutti gli atti del procedimento di primo grado (l'avviso di conclusione delle indagini preliminari e il decreto di citazione diretta a giudizio); il 2 novembre 2005 il Tribunale pronunciava sentenza di condanna, avverso la quale l'imputata proponeva appello personalmente con atto sottoscritto anche dal difensore di fiducia.
Il decreto di citazione per il giudizio di appello veniva notificato, ex art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., mediante consegna al difensore di fiducia, avv. Leonardo Trento; l'imputata non compariva all'udienza fissata e la Corte ne dichiarava la contumacia; l'estratto contumaciale della sentenza di secondo grado le veniva notificato il 19 gennaio 2007, di nuovo ai sensi dell'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., presso il difensore di fiducia, avv. Leonardo Trento, il quale non si era avvalso della facoltà di non accettare gli atti notificatigli; il 28 febbraio 2007 l'imputata proponeva personalmente ricorso per cassazione, con atto sottoscritto anche dal nuovo difensore Serafino Trento, nominato in calce al ricorso con contestuale revoca dell'avv. Leonardo Trento (v'è da notare che, a parte l'omonimia patronimica, entrambi i suddetti avvocati fanno parte non solo del medesimo Foro di Rossano, ma anche del medesimo studio - v. il timbro dello studio legale in cui figurano entrambi - e l'avv. Serafino Trento aveva anche sostituito l'avv. Leonardo Trento all'udienza del 15 dicembre 2004 nel corso del giudizio di primo grado).
Come si vede, la ricorrente non solo non deduce la mancata o comunque menomata conoscenza conseguente all'adozione del modello di notificazione previsto dall'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., ma dimostra di essere sempre stata a piena conoscenza di tutti gli sviluppi del processo, avendo anche proposto personalmente le impugnazioni, sia in grado di appello che in sede di legittimità; né il difensore, presso cui sono state effettuate le notificazioni, ha eccepito alcunché nel giudizio di appello: ne consegue che la notificazione, certamente non inesistente, ma viziata, in quanto diversa dal modello di notificazione prescritto, non ha provocato nessuna lesione del diritto alla conoscenza e all'intervento dell'imputata e, per altro, la relativa eccezione è comunque tardiva, poiché ben poteva e doveva essere dedotta nel giudizio di appello.
Il primo motivo di ricorso deve essere, quindi, disatteso.
A conclusioni analoghe deve pervenirsi in relazione al secondo motivo di doglianza, con il quale la ricorrente deduce l'erronea affermazione della sua colpevolezza in ordine ai reati ascrittile, in violazione del principio della responsabilità penale personale, assumendo di essere estranea ai fatti, al più attribuibili al marito, proprietario del terreno su cui insiste il manufatto e committente dell'opera abusivamente realizzata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, in tema di reati edilizi, la responsabilità relativa al manufatto sul quale l'abuso è stato effettuato può dedursi da indizi precisi e concordanti, quali la qualità di coniuge del committente, il regime patrimoniale dei coniugi, lo svolgimento di attività di vigilanza dell'esecuzione dei lavori, la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, la presenza in loco all'atto dell'accertamento. Pertanto, una volta ritenuto in fatto il diretto interesse ai lavori e la qualità della M. di committente dell'opera abusiva, secondo un accertamento corretto ed insindacabile in sede di legittimità, la Corte territoriale ha conseguentemente ritenuto la colpevolezza dell'imputata, pervenendo a conclusioni esenti da vizi logico-giuridici (v., ex plurimis, Cass. Sez. 3, sent. n. 32856 del 2005 rv 232200, Farzone; n. 26121 del 2005, Rosato, rv 231954).
Neppure si è verificata l'invocata prescrizione dei residui reati per i quali la Corte catanzarese ha affermato la responsabilità penale della M..
I fatti sono stati contestati come ancora in corso il 20.11.2003; il periodo prescrizionale massimo, secondo la normativa applicabile alla specie, matura in quattro anni e sei mesi; a questo arco di tempo va, poi, aggiunto il periodo di sospensione di un mese a causa del rinvio dell'udienza in sede di appello dal 13.11 al 13.12.2006, dietro richiesta del difensore dell'imputata: l'evento estintivo dei reati si verificherebbe, quindi, soltanto il 20.6.2008. Si aggiunga che la sentenza di appello ha fissato, senza rilievi di parte, al 2.12.2003 (e non al 20.11) la fine dei lavori.
Quanto al trattamento sanzionatorio, infine, la Corte territoriale, nel confermare i criteri adottati dal primo giudice, ha provveduto ad eliminare la pena inflitta per la contravvenzione dichiarata prescritta ed ha ridotto l'aumento per la continuazione, ritenuto eccessivo, pervenendo così ad una pena del tutto adeguata ai profili oggettivi e soggettivi dei reati commessi, secondo i criteri fissati dall'art. 133 c.p..
Consegue alle suesposte considerazioni il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La prima notificazione all'imputato/indagato


Processo penale, notificazioni alla parte, nullità, vizi, precisazioni

Cassazione penale , SS.UU., sentenza 15.05.2008 n° 19602

Processo penale – notificazioni alla parte – nullità – vizi – precisazioni [art. 157 c.p.p.]

La notificazione diversa dal modello di notificazione prescritto non provoca necessariamente la lesione del diritto alla conoscenza degli atti processuali, laddove si dimostri che l’imputato ne era comunque a conoscenza, con la conseguenza che non vi è inesistenza dell’atto. (1) (2)
(1) Sul tema della mancata notificazione all’imputato detenuto, si veda Cassazione penale 15417/2008.(2) Sul tema del dies a quo relativo ai termini per presentare l’appello, si veda Cassazione civile 4996/2008.

Tra i contributi più recenti della dottrina, si vedano:- Cusato, La notificazione degli atti civili, penali, amministrativi e tributari, CEDAM, 2008;- Peroni, Decreto di irreperibilità e notificazione del decreto di citazione a giudizio, in Diritto penale e processo, 2008, n. 2, IPSOA, p. 185;- Silvestri, In tema di notificazione del decreto che dispone i giudizio e irreperibilità dell'imputato, in Cassazione penale, 2008, n. 2, GIUFFRÈ, p. 652.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Sentenza 27 marzo - 15 maggio 2008, n. 19602

(Presidente Gemelli - Relatore Carmenini)

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 13 dicembre 2006, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del tribunale monocratico di Rossano del 2 novembre 2005, ha confermato il giudizio di responsabilità penale a carico di B. M. in ordine ai reati di cui agli arti 44 lett. b) d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A della rubrica) e 71 e 72 del medesimo d.P.R. (capo C), per avere realizzato un fabbricato a due piani fuori terra in cemento armato, edificato su un terrapieno sorretto da un muro di contenimento anch'esso in cemento armato, senza la prescritta concessione edilizia, senza il progetto esecutivo e la direzione di un tecnico qualificato, senza la previa prescritta denuncia all'Ufficio dell'ex Genio civile. Di conseguenza la Corte ha condannato l'imputata alla pena come in atti, confermando l'ordine di demolizione delle opere abusive, ha concesso i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna e ha dichiarato estinti per prescrizione gli ulteriori reati di cui al capo B (violazione degli arti. 93, 94 e 95 dei d.P.R. n. 380 del 2001).
La M. ha impugnato detta sentenza con ricorso per cassazione, articolando quattro motivi. Col primo motivo lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1 lett. c) cod. proc. pen., per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità. In particolare si duole dell'erronea applicazione dell'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., sul rilievo che la notificazione all'imputata dell'avviso di fissazione del giudizio di appello per l'udienza del 13.11.2006 è stata effettuata al difensore di fiducia, nonostante l'esistenza agli atti di un domicilio dichiarato; precisa che trattandosi di prima notificazione nella fase di appello, la stessa avrebbe dovuto essere effettuata ai sensi dell'art. 157, comma 1, cod. proc. pen. Secondo la ricorrente la modalità di notificazione adottata nella specie configurerebbe un'ipotesi di nullità assoluta ed insanabile, ai sensi dell'art. 179, in relazione all'art. 178, lett. c), cod. proc. pen., che travolgerebbe ogni atto conseguente, compresa la sentenza impugnata. Col secondo motivo deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all'art. 40 c.p., nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto. La M. assume di essere estranea ai fatti, essendo soltanto il marito il proprietario del terreno su cui insiste il manufatto e il committente dell'opera abusivamente realizzata; sostiene che la Corte di appello di Catanzaro ha violato il principio della responsabilità penale personale, e, con una motivazione palesemente illogica, ha ritenuto la sua colpevolezza sul presupposto che "la qualità di committenti oltre che di proprietari dell'opera abusiva discende dalla qualità di conviventi" e che "la stessa (l'imputata) era presente al momento dell'intervento dei militari operanti ed ha sottoscritto il verbale di constatazione dell'illecito edilizio". Col terzo e quarto motivo, infine, eccepisce la prescrizione anche dei residui reati e lamenta un trattamento sanzionatorio eccessivamente gravoso.
La Terza Sezione penale, rilevata l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla «legittimità della notificazione all'imputato del decreto di fissazione dell'udienza per il giudizio di appello» mediante consegna «al difensore di fiducia, ex art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., nonostante l'esistenza agli atti del domicilio dichiarato», ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 618 cod. proc. pen.
Il Primo Presidente, con decreto del 5 febbraio 2008, ha fissato, per la trattazione del ricorso, l'odierna udienza pubblica del 27 marzo 2008.

Motivi della decisione
La questione giuridica controversa può essere così sintetizzata: "Se la notificazione presso il difensore di fiducia, ex art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., possa essere effettuata anche nel caso in cui l'imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni".
Le soluzioni date dalla giurisprudenza di questa Corte hanno evidenziato un contrapposto orientamento, sviluppatosi soprattutto tra la Quinta Sezione penale, da un lato, e la Terza e la Sesta Sezione, dall'altro.
In breve, la Quinta Sezione ha affermato, con le sentenze Landro (25.01 - 27.02.2007, n. 8108 rv 236522) e Rizzato (24.10 - 06.12.2005, n. 44608 rv 232612), che il domicilio "legale" non può prevalere su quello dichiarato, considerato che l'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. è riferibile, nell'organizzazione della norma in cui si inserisce, alle ipotesi considerate dai commi precedenti; che "la disposizione di cui all'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. (relativa alte notifiche all'imputato mediante consegna al difensore di fiducia) si applica solo alle notificazioni successive a quella eseguita ai sensi dell'art. 157, comma ottavo, mentre non si applica nell'ipotesi in cui l'imputato abbia precedentemente eletto (dichiarato) domicilio nel luogo di abituale dimora, ex art. 161 cod. proc. pen."; che la nullità tempestivamente eccepita comporta la nullità del giudizio di appello e della sentenza impugnata".
Al contrario, la Terza sezione (sentenza Ardito, 20.09 -08.11.2007, n. 41063 rv 237639) e la Sesta Sezione (sentenze Casilli, 09.03 - 01.06.2006, n. 19267 rv 234499; Borrelli, 02.04 - 31.05.2007, n. 21341 rv 236874, ed altre) rilevano che la forma di notificazione prevista dall'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. "deve ritenersi prevalente su ogni altra", sicché, in presenza di nomina fiduciaria, è irrilevante, ai fini della successiva notificazione del decreto di citazione in appello, il domicilio dichiarato dall'imputato; evidenziano che il comma 8 bis dell'art. 157 cod. proc. pen. è stato introdotto dalla legge 22.4.2005, n. 60, che ha convertito con modificazioni il D.L. 21.2.2005, n. 17, all'enunciato fine di garantire la ragionevole durata del processo in ottemperanza all'art. 111 Cost. e, quindi, di accelerare i tempi di notifica degli atti; sottolineano che presupposto di operatività della norma è esclusivamente la previa rituale effettuazione di una prima notifica all'imputato "a piede libero", riferendosi a tale prima notifica l'incipit dell'art. 157 cod. proc. pen. "salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162 cod. proc. pen.", in considerazione proprio della ratio della nuova disposizione, volta a consentire un tendenziale e generalizzato risparmio di tempi attraverso l'automatica notificazione degli atti ulteriori al difensore di fiducia (che diviene domiciliatario per legge del proprio assistito); sostengono che l'indagato/imputato può, in qualsiasi momento, escludere la domiciliazione ex lege con dichiarazione o diversa elezione di domicilio esplicitamente ed espressamente formulata in tal senso; che il difensore di fiducia non soltanto ha la possibilità di proporre deduzioni per la valutazione, da parte del giudice ex art. 420 bis cod. proc. pen., del rilievo probabilistico del buon esito della citazione dell'imputato, ma può anche interrompere l'automatismo delineato dal comma 8 bis in esame, dal momento che la stessa norma prevede che egli "può dichiarare immediatamente all'autorità che procede di non accettare la notificazione".
Le opposte soluzioni ermeneutiche risentono della non univoca soluzione normativa data ai rilievi mossi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo al sistema previgente dei processi in contumacia, mediante la legge 22 aprile 2005, n. 60 di conversione del decreto legge 21 febbraio 2005, n.17, nel cui corpo è inserita la normativa in esame.
Due sono i principi ai quali la disciplina in parola ha inteso ispirarsi: 1) il diritto dell'imputato alla conoscenza dell'accusa; 2) la garanzia della ragionevole durata del processo.
Il secondo dei filoni giurisprudenziali sopra esposti mostra di privilegiare la celerità del processo e si inserisce tendenzialmente nelle linee maggiormente evolutive del rapporto imputato-difensore, privilegiando la figura del difensore di fiducia, nella quale individua l'elemento portante ed innovativo della legge n. 60 del 2005, ed assegnando alla notifica all'imputato, mediante consegna al difensore di fiducia, un ruolo del tutto fisiologico, quale forma ordinaria di notificazione.
L'auspicabile semplificazione del sistema delle notificazioni, non completato con chiarezza dal legislatore, non può, tuttavia, essere effettuato in via meramente ermeneutica. Le stesse sentenze fautrici di questo orientamento sono portate ad assegnare alla parte adempimenti non espressamente previsti, ma ricavabili solo forzatamente dal sistema (l'indagato/imputato può, in qualsiasi momento, escludere la domiciliazione ex lege con dichiarazione o diversa elezione di domicilio esplicitamente ed espressamente formulata in tal senso; il difensore di fiducia ha la possibilità di proporre deduzioni per la valutazione, da parte del giudice ex art. 420 bis cod. proc. pen., del rilievo probabilistico del buon esito della citazione dell'imputato). Questa soluzione, per altro, comporterebbe un forte ridimensionamento di taluni punti della vigente regolamentazione dell'elezione di domicilio (artt. 161 e 162 cod. proc. pen.), nel senso che la dichiarazione o l'elezione di domicilio ivi previste riguarderebbero esclusivamente l'imputato difeso d'ufficio, in quanto per l'imputato difeso di fiducia non sarebbe possibile alcuna dichiarazione di domicilio, né un'elezione diversa da quella presso il suo difensore.
La lettura sistematica, allo stato consentita dal complesso delle norme coinvolte - senza che per altro si possa fare carico alla sede ermeneutica della maggiore o minore incisività del raggio di azione della norma positiva -, deve condurre verso l'opzione prescelta dal primo orientamento, con le precisazioni applicative nei sensi di seguito esplicate.
Gli artt. 157 e 161 e seguenti cod. proc. pen. descrivono, per quanto attiene alle notificazioni all'imputato non detenuto, un percorso duplice, rafforzato dall'inizio testuale del primo di detti articoli ("salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162").
In buona sostanza il legislatore ha inteso assicurare la piena conoscenza dell'accusa da parte dell'imputato rappresentandosi due situazioni: la prima si verifica quando manca un previo contatto con le autorità indicate dall'art. 161 cod. proc. pen. ed in tal caso occorre una prima notificazione direttamente all'interessato in una delle forme previste dall'art. 157; la seconda si verifica quando l'imputato può essere avvertito dal giudice, dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria ed il tal caso emergerà, in genere, una dichiarazione o elezione di domicilio e si seguiranno le forme indicate dall'art. 161 e seguenti del codice di rito. In questa visione la disposizione contenuta nel comma 8 bis dell'art. 157 non può non essere letta nell'ambito dell'articolo che la contiene.
Il sistema appare, dunque, articolato secondo due tipologie di notificazioni.
Quando si deve effettuare la prima notificazione all'imputato, che non abbia eletto o dichiarato domicilio, si deve procedere in uno dei modi consecutivi previsti dai primi otto commi dell'art. 157.
Una volta effettuata regolarmente la prima notificazione, se l'imputato provvede a nominare il difensore di fiducia, tutte le successive notificazioni si effettuano mediante consegna al difensore; questi può "immediatamente", quindi antecedentemente alla prima notificazione presso di lui, dichiarare all'autorità che procede di non accettare la notificazione, altrimenti il processo nei suoi vari gradi seguirà con la notificazione al difensore di fiducia.
In caso di mancata nomina del difensore di fiducia, si procederà a norma dei commi 2 e 4 dell'art. 161 cod. proc. pen..
Se, invece, vi sono state elezione o dichiarazione di domicilio, si seguiranno direttamente le forme dettate dall'art. 161 e seguenti cod. proc. pen..
Va sottolineato che, in base alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la conoscenza dell'accusa, preordinata allo svolgimento di un'efficace attività difensiva, deve realizzarsi attraverso una "notificazione ufficiale proveniente dall'autorità competente" (Brozicek c. Italia, 19 dicembre 1989); ma non si richiede necessariamente una forma particolare. La stessa Corte delinea un'attività collaborativa da parte dell'imputato, una volta regolarmente avvisato (Kimmel c. Italia, 2 settembre 2004; Booker c. Italia, 14 settembre 2006; Zaratin c. Italia, 23 novembre 2006). Il disinteresse dell'imputato informato equivale ad una rinuncia a presenziare alle udienze con la conseguenza che non è configurabile nessuna violazione della Convenzione.
Ancora, in tema di semplificazione dell'iter del processo attraverso un sistema di notificazioni non incerto, vanno ribaditi i seguenti principi giurisprudenziali: a) l'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. "riguarda l'intero processo e non già ogni grado di giudizio, sicché non occorre individuare per ciascuna fase processuale una prima notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina" (in tal senso la Terza Sezione nell'ordinanza di rimessione, nonché Cass. Sez. V, 25.05.- 21.11.2006, n. 38136, ric. Bertone e altro, rv 235976 e Sez. IV, 11.10 - 21.11.2005, n. 41649, Mandrini, rv 232409); b) la nullità assoluta e insanabile prevista dall'art. 179 cod. pro. pen. ricorre soltanto nei caso in cui la notificazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato, mente essa non ricorre nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue l'applicabilità della sanatoria di cui all'art. 184 cod. proc. pen.. Per altro, l'imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare l'inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell'atto e indicare gli specifici elementi che consentano l'esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice stesso (Cass. Sez. U. sent. 00119 del 2005, Palumbo).
Si possono ora trarre le debite conclusioni sulla questione giuridica controversa.
Al quesito : "Se la notificazione presso il difensore di fiducia, ex art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., possa essere effettuata anche nel caso in cui l'imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni", deve essere data risposta negativa.
Consegue come lineare corollario che: 1) l'operatività dell'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. è subordinata all'assenza di una dichiarazione o elezione di domicilio. Tutte le successive notificazioni, qualora l'imputato abbia nominato un difensore di fiducia e non abbia dichiarato o eletto domicilio, devono essere eseguite mediante consegna al difensore, ferma restando l'assenza di una preclusione all'esercizio della facoltà dell'imputato stesso di dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni anche dopo la nomina di un difensore di fiducia, esercizio che ha l'effetto di paralizzare la regola contenuta nel citato comma 8 bis; 2) detta regola, inoltre, riguarda l'intero processo, sicché non occorre individuare per ciascuna fase processuale una prima notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina; 3) l'eventuale nullità derivante dalla notificazione effettuata ai sensi dell'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., per casi diversi da quelli previsti non configura una nullità assoluta ed insanabile per omessa vocatio in jus, bensì una nullità di ordine generale e a regime intermedio per inosservanza delle norme sulla notificazione, che deve ritenersi sanata quando risulti provato che l’errore non abbia impedito all'imputato di conoscere l'esistenza dell'atto e di esercitare il diritto di difesa; essa rimane comunque senza effetto se non è dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all'art. 184 comma primo, alle sanatorie generali di cui all'art. 183 e alle regole di deducibilità di cui all'art. 182 cod. proc. pan., oltre che ai termini di rilevabilità di cui all'art. 180 stesso codice.
Prendendo in esame la specifica situazione oggetto del primo motivo di ricorso, secondo le emergenze del processo, è agevole rilevare che il 2 dicembre 2003 la M., come risulta dal verbale redatto dalla polizia giudiziaria, dichiarava domicilio presso la sua abitazione in Rossano contrada Lampa Patire n. 29, ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen., e nominava difensore di fiducia l'avv. Leonardo Trento del foro di Rossano; riceveva a mani proprie, nel domicilio dichiarato, tutti gli atti del procedimento di primo grado (l'avviso di conclusione delle indagini preliminari e il decreto di citazione diretta a giudizio); il 2 novembre 2005 il Tribunale pronunciava sentenza di condanna, avverso la quale l'imputata proponeva appello personalmente con atto sottoscritto anche dal difensore di fiducia.
Il decreto di citazione per il giudizio di appello veniva notificato, ex art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., mediante consegna al difensore di fiducia, avv. Leonardo Trento; l'imputata non compariva all'udienza fissata e la Corte ne dichiarava la contumacia; l'estratto contumaciale della sentenza di secondo grado le veniva notificato il 19 gennaio 2007, di nuovo ai sensi dell'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., presso il difensore di fiducia, avv. Leonardo Trento, il quale non si era avvalso della facoltà di non accettare gli atti notificatigli; il 28 febbraio 2007 l'imputata proponeva personalmente ricorso per cassazione, con atto sottoscritto anche dal nuovo difensore Serafino Trento, nominato in calce al ricorso con contestuale revoca dell'avv. Leonardo Trento (v'è da notare che, a parte l'omonimia patronimica, entrambi i suddetti avvocati fanno parte non solo del medesimo Foro di Rossano, ma anche del medesimo studio - v. il timbro dello studio legale in cui figurano entrambi - e l'avv. Serafino Trento aveva anche sostituito l'avv. Leonardo Trento all'udienza del 15 dicembre 2004 nel corso del giudizio di primo grado).
Come si vede, la ricorrente non solo non deduce la mancata o comunque menomata conoscenza conseguente all'adozione del modello di notificazione previsto dall'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., ma dimostra di essere sempre stata a piena conoscenza di tutti gli sviluppi del processo, avendo anche proposto personalmente le impugnazioni, sia in grado di appello che in sede di legittimità; né il difensore, presso cui sono state effettuate le notificazioni, ha eccepito alcunché nel giudizio di appello: ne consegue che la notificazione, certamente non inesistente, ma viziata, in quanto diversa dal modello di notificazione prescritto, non ha provocato nessuna lesione del diritto alla conoscenza e all'intervento dell'imputata e, per altro, la relativa eccezione è comunque tardiva, poiché ben poteva e doveva essere dedotta nel giudizio di appello.
Il primo motivo di ricorso deve essere, quindi, disatteso.
A conclusioni analoghe deve pervenirsi in relazione al secondo motivo di doglianza, con il quale la ricorrente deduce l'erronea affermazione della sua colpevolezza in ordine ai reati ascrittile, in violazione del principio della responsabilità penale personale, assumendo di essere estranea ai fatti, al più attribuibili al marito, proprietario del terreno su cui insiste il manufatto e committente dell'opera abusivamente realizzata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, in tema di reati edilizi, la responsabilità relativa al manufatto sul quale l'abuso è stato effettuato può dedursi da indizi precisi e concordanti, quali la qualità di coniuge del committente, il regime patrimoniale dei coniugi, lo svolgimento di attività di vigilanza dell'esecuzione dei lavori, la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, la presenza in loco all'atto dell'accertamento. Pertanto, una volta ritenuto in fatto il diretto interesse ai lavori e la qualità della M. di committente dell'opera abusiva, secondo un accertamento corretto ed insindacabile in sede di legittimità, la Corte territoriale ha conseguentemente ritenuto la colpevolezza dell'imputata, pervenendo a conclusioni esenti da vizi logico-giuridici (v., ex plurimis, Cass. Sez. 3, sent. n. 32856 del 2005 rv 232200, Farzone; n. 26121 del 2005, Rosato, rv 231954).
Neppure si è verificata l'invocata prescrizione dei residui reati per i quali la Corte catanzarese ha affermato la responsabilità penale della M..
I fatti sono stati contestati come ancora in corso il 20.11.2003; il periodo prescrizionale massimo, secondo la normativa applicabile alla specie, matura in quattro anni e sei mesi; a questo arco di tempo va, poi, aggiunto il periodo di sospensione di un mese a causa del rinvio dell'udienza in sede di appello dal 13.11 al 13.12.2006, dietro richiesta del difensore dell'imputata: l'evento estintivo dei reati si verificherebbe, quindi, soltanto il 20.6.2008. Si aggiunga che la sentenza di appello ha fissato, senza rilievi di parte, al 2.12.2003 (e non al 20.11) la fine dei lavori.
Quanto al trattamento sanzionatorio, infine, la Corte territoriale, nel confermare i criteri adottati dal primo giudice, ha provveduto ad eliminare la pena inflitta per la contravvenzione dichiarata prescritta ed ha ridotto l'aumento per la continuazione, ritenuto eccessivo, pervenendo così ad una pena del tutto adeguata ai profili oggettivi e soggettivi dei reati commessi, secondo i criteri fissati dall'art. 133 c.p..
Consegue alle suesposte considerazioni il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

mercoledì 28 maggio 2008

La nuova nozione di Piccolo imprenditore ai fini del fallimento


22.05.2008
Nuova nozione di piccolo imprenditore e sua perseguibilità per pregressi fatti di bancarotta

Le Sezioni Unite affrontano il tema della successione di norme nel tempo in relazione ai fatti di bancarotta commessi prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 169 del 2007 che ha modificato i requisiti per l'assoggettabilità a fallimento.

Cassazione penale Sentenza, Sez. SS.UU., 15/05/2008, n. 19601 - N.L.

La quinta sezione penale della Corte, con ordinanza del 27 novembre 2007, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni unite rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale interno alla stessa sezione sulla questione della ricaduta in campo penale della riforma attuata con il decreto legislativo 9 gennaio 2006 n. 5 nei confronti del piccolo imprenditore, e la conseguente sottoponibilità o meno di questi alla punibilità per i reati di bancarotta integrati prima della modifica.
Infatti da un lato era stata esclusa la punibilità per il soggetto oggi qualificato piccolo imprenditore, ai sensi delle disposizioni vigenti, per i reati di bancarotta integrati a seguito della dichiarazione di fallimento, mentre in altra occasione era stata ritenuta la non applicabilità, in senso favorevole all’imputato, delle disposizioni che regolano la successione di norme nel tempo, anche per la presenza della disposizione transitoria di cui all’art. 150 del citato decreto n. 5.
Poiché come è facilmente rilevabile facilmente la questione si pone nel solco del complesso tema della successione di norme nel tempo, nei suoi vari aspetti, oggetto anche di recente dell’ennesimo intervento delle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un 16 gennaio 2008, Magera, in tema di disciplina dell’immigrazione, della quale si è già dato conto), la soluzione del contrasto era stata così affidata alle Sezioni Unite penali della Corte, che lo hanno risolto nel senso di cui in prosieguo.
E’ noto come con il d. 1gs. 9 gennaio 2006, n. 5 sia stata operata la "Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, ai sensi dell'art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80, emanato sulla base della legge-delega 14 maggio 2005, n.80.
L'art. 1, comma 6, lett. a), n. 1, della legge-delega, aveva stabilito, con riguardo alla "disciplina del fallimento", il principio direttivo, di contenuto indubitabilmente molto ampio, cosi formulato: "semplificare la disciplina attraverso 1'estensione dei soggetti esonerati dall'applicabilita dell'istituto.
Successivamente al citato decreto legislativo n. 5 è stato poi emanato, sulla base della stessa legge-delega, come modificata, con 1'inserimento nell'art. 1, del comma 5-bis, ad opera dell'art. 1 comma 3 della legge 12 luglio 2006, n. 228, il d. 1gs. 12 settembre 2007, n. 169, contenente "Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonche al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa”
L’originario quesito proposto all’attenzione delle Sezioni Unite è stato pertanto integrato nei seguenti termini: "se i fatti di bancarotta commessi prima dell'entrata in vigore del d. 1gs. 9 gennaio 2006, n. 5, e del successivo d. 1gs. 12 settembre 2007, n. 169, che hanno modificato i requisiti perche 1'imprenditore sia assoggettabile a fallimento, continuano a essere previsti come reato, anche se in base alla nuova normativa 1'imprenditore non potrebbe pia essere dichiarato fallito".
Le Sezioni Unite, che in più occasioni si sono occupate del delicato tema della successione di norme nel tempo, hanno ricordato come per stabilire se si verta in tema di abolitio criminis, rilevante ex art. 2 comma secondo c.p., occorre verificare se la norma extrapenale incida su un elemento della fattispecie astratta, non essendo di per se rilevante una mutata situazione di fatto che da quella norma derivi. Passando al caso concreto il collegio ha rilevato che nella struttura delle fattispecie di bancarotta di cui agli artt. 216 e seguenti della legge fallimentare il presupposto formale affinché le condotte poste in essere possano essere prese in considerazione, ai fini della responsabilita penale, non richiama le condizioni di fatto richieste per il fallimento (o 1'ammissione alle altre procedure concorsuali), consistendo invece nella esistenza di una sentenza dichiarativa di fallimento.
In tal modo nella struttura dei reati di bancarotta la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale, e non per i fatti con essa accertati, e poiché in quanto atto della giurisdizione richiamato dalla fattispecie penale, la sentenza dichiarativa di fallimento è insindacabile in sede penale, ne discende come logica conseguenza, come affermato dalle Sezioni Unite, che il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti della legge fallimentare non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza della impresa ma anche quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste dall'art. 1 l. fall. per la fallibilità dell'imprenditore, sicché le modifiche apportate all'art. 1 l. fall., ad opera del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 e poi del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell'art 2 c.p. sui procedimenti penali in corso.

Alfredo Montagna, sost. proc. gen. Corte di CassazioneTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

La nuova nozione di Piccolo imprenditore ai fini del fallimento


22.05.2008
Nuova nozione di piccolo imprenditore e sua perseguibilità per pregressi fatti di bancarotta

Le Sezioni Unite affrontano il tema della successione di norme nel tempo in relazione ai fatti di bancarotta commessi prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 169 del 2007 che ha modificato i requisiti per l'assoggettabilità a fallimento.

Cassazione penale Sentenza, Sez. SS.UU., 15/05/2008, n. 19601 - N.L.

La quinta sezione penale della Corte, con ordinanza del 27 novembre 2007, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni unite rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale interno alla stessa sezione sulla questione della ricaduta in campo penale della riforma attuata con il decreto legislativo 9 gennaio 2006 n. 5 nei confronti del piccolo imprenditore, e la conseguente sottoponibilità o meno di questi alla punibilità per i reati di bancarotta integrati prima della modifica.
Infatti da un lato era stata esclusa la punibilità per il soggetto oggi qualificato piccolo imprenditore, ai sensi delle disposizioni vigenti, per i reati di bancarotta integrati a seguito della dichiarazione di fallimento, mentre in altra occasione era stata ritenuta la non applicabilità, in senso favorevole all’imputato, delle disposizioni che regolano la successione di norme nel tempo, anche per la presenza della disposizione transitoria di cui all’art. 150 del citato decreto n. 5.
Poiché come è facilmente rilevabile facilmente la questione si pone nel solco del complesso tema della successione di norme nel tempo, nei suoi vari aspetti, oggetto anche di recente dell’ennesimo intervento delle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un 16 gennaio 2008, Magera, in tema di disciplina dell’immigrazione, della quale si è già dato conto), la soluzione del contrasto era stata così affidata alle Sezioni Unite penali della Corte, che lo hanno risolto nel senso di cui in prosieguo.
E’ noto come con il d. 1gs. 9 gennaio 2006, n. 5 sia stata operata la "Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, ai sensi dell'art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80, emanato sulla base della legge-delega 14 maggio 2005, n.80.
L'art. 1, comma 6, lett. a), n. 1, della legge-delega, aveva stabilito, con riguardo alla "disciplina del fallimento", il principio direttivo, di contenuto indubitabilmente molto ampio, cosi formulato: "semplificare la disciplina attraverso 1'estensione dei soggetti esonerati dall'applicabilita dell'istituto.
Successivamente al citato decreto legislativo n. 5 è stato poi emanato, sulla base della stessa legge-delega, come modificata, con 1'inserimento nell'art. 1, del comma 5-bis, ad opera dell'art. 1 comma 3 della legge 12 luglio 2006, n. 228, il d. 1gs. 12 settembre 2007, n. 169, contenente "Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonche al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa”
L’originario quesito proposto all’attenzione delle Sezioni Unite è stato pertanto integrato nei seguenti termini: "se i fatti di bancarotta commessi prima dell'entrata in vigore del d. 1gs. 9 gennaio 2006, n. 5, e del successivo d. 1gs. 12 settembre 2007, n. 169, che hanno modificato i requisiti perche 1'imprenditore sia assoggettabile a fallimento, continuano a essere previsti come reato, anche se in base alla nuova normativa 1'imprenditore non potrebbe pia essere dichiarato fallito".
Le Sezioni Unite, che in più occasioni si sono occupate del delicato tema della successione di norme nel tempo, hanno ricordato come per stabilire se si verta in tema di abolitio criminis, rilevante ex art. 2 comma secondo c.p., occorre verificare se la norma extrapenale incida su un elemento della fattispecie astratta, non essendo di per se rilevante una mutata situazione di fatto che da quella norma derivi. Passando al caso concreto il collegio ha rilevato che nella struttura delle fattispecie di bancarotta di cui agli artt. 216 e seguenti della legge fallimentare il presupposto formale affinché le condotte poste in essere possano essere prese in considerazione, ai fini della responsabilita penale, non richiama le condizioni di fatto richieste per il fallimento (o 1'ammissione alle altre procedure concorsuali), consistendo invece nella esistenza di una sentenza dichiarativa di fallimento.
In tal modo nella struttura dei reati di bancarotta la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale, e non per i fatti con essa accertati, e poiché in quanto atto della giurisdizione richiamato dalla fattispecie penale, la sentenza dichiarativa di fallimento è insindacabile in sede penale, ne discende come logica conseguenza, come affermato dalle Sezioni Unite, che il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti della legge fallimentare non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza della impresa ma anche quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste dall'art. 1 l. fall. per la fallibilità dell'imprenditore, sicché le modifiche apportate all'art. 1 l. fall., ad opera del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 e poi del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell'art 2 c.p. sui procedimenti penali in corso.

Alfredo Montagna, sost. proc. gen. Corte di CassazioneTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

mercoledì 21 maggio 2008

Dalla Corte d Giustizia delle Comunità Europee

15.05.2008

Indennizzo per l'uso del bene prima della sua sostituzione, il no della Corte di Giustizia

Può il venditore di bene di consumo non conforme pretendere dal consumatore un indennizzo per l'uso del bene prima della sua sostituzione con un bene nuovo? Negativa la risposta della Corte di giustizia.

Corte di Giustizia Sentenza 17/04/2008, n. Causa C 404/06

Il caso prospettato dalla Cassazione tedesca alla Corte di giustizia prende le mosse dal contratto di vendita di un set forno che non mostrava nel primo periodo di sua utilizzazione alcuna anomalia.
Accortosi però che il bene presentava un difetto di conformità il consumatore segnalava l’inconveniente al venditore che provvedeva alla sostituzione del forno pretendendo, tuttavia, il pagamento di un indennizzo per l’uso del bene non conforme del quale aveva goduto l’acquirente alla stregua della normativa interna tedesca -artt. 439, n. 4, e 346, nn. 1 e 2, punto l, del BGB - che autorizza il venditore, in caso di sostituzione di un bene non conforme, ad ottenere un’indennità a titolo di compensazione dei vantaggi che l’acquirente ha ritratto dall’uso di tale bene fino alla sua sostituzione con un nuovo bene.
Nel giudizio proposto innanzi al giudice tedesco l’acquirente aveva chiesto la restituzione dell’indennizzo e la Cassazione si è rivolta alla Corte di Lussemburgo per sapere se la possibilità, riconosciuta dall’ordinamento tedesco, di pretendere un’indennità in caso di sostituzione del bene fosse o meno compatibile con il diritto comunitario, ritenendo che nessuna interpretazione conforme della normativa interna al diritto comunitario era possibile.
Vale la pena di rammentare che secondo l’art.3 dir.99/44/CEE «Il venditore risponde al consumatore di qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene. In caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma del paragrafo 3, o ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto relativo a tale bene, conformemente ai paragrafi 5 e 6. In primo luogo il consumatore può chiedere al venditore di riparare il bene o di sostituirlo, senza spese in entrambi i casi, salvo che ciò sia impossibile o sproporzionato.Un rimedio è da considerare sproporzionato se impone al venditore spese irragionevoli in confronto all’altro rimedio (...).Le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un lasso di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha voluto il bene. L’espressione “senza spese” nei paragrafi 2 e 3 si riferisce ai costi necessari per rendere conformi i beni, in particolar modo con riferimento alle spese di spedizione e per la mano d’opera e i materiali. Il consumatore può chiedere una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto:– se il consumatore non ha diritto né alla [riparazione] né alla sostituzione o–se il venditore non ha esperito il rimedio entro un periodo ragionevole ovverse il venditore non ha esperito il rimedio senza notevoli inconvenienti per il consumatore(.)».Inoltre, va menzionato il quindicesimo ‘considerando’ della direttiva, «gli Stati membri possono prevedere che il rimborso al consumatore può essere ridotto, in considerazione dell’uso che quest’ultimo ha fatto del bene dal momento della consegna; (...) [le modalità di] risoluzione del contratto [possono] essere stabilit[e] dalla legislazione nazionale».
Orbene, il giudice comunitario ha così stabilito che l’art. 3 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, 1999/44/CE deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale consenta al venditore, nel caso in cui abbia venduto un bene di consumo presentante un difetto di conformità, di esigere dal consumatore un’indennità per l’uso di tale bene non conforme fino alla sua sostituzione con un bene nuovo.
Nessuna disposizione della direttiva sulla vendita di beni di consumo abilita infatti a ritenere che la sostituzione del bene non conforme possa essere agganciata al pagamento di un indennizzo da parte dell’acquirente per l’utilizzazione del bene non conforme, essa dipendendo in via esclusiva da un inadempimento del venditore, i cui effetti non possono ripercuotersi negativamente sull’acquirente. Ciò perché il legislatore comunitario ha inteso fare della gratuità del ripristino della conformità del bene da parte del venditore un elemento essenziale della tutela garantita al consumatore da tale direttiva. Tale obbligo mira a tutelare il consumatore dal rischio di oneri finanziari che potrebbe dissuadere il consumatore stesso dal far valere i propri diritti in caso di assenza di una tutela di questo tipo. Tale garanzia di gratuità voluta dal legislatore comunitario porta ad escludere la possibilità di qualsiasi rivendicazione economica da parte del venditore nell’ambito dell’esecuzione dell’obbligo a lui incombente di ripristino della conformità del bene oggetto del contratto.
L’unica possibilità in cui la direttiva consente al venditore di pretendere il pagamento di un indennizzo è quella che ricorre in caso di risoluzione del contratto, caso nel quale, in applicazione del principio della mutua restituzione dei vantaggi ricevuti, il venditore deve rimborsare al consumatore il prezzo di vendita del bene.

Roberto Conti, Magistrato in PalermoTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

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