22.05.2008
Nuova nozione di piccolo imprenditore e sua perseguibilità per pregressi fatti di bancarotta
Le Sezioni Unite affrontano il tema della successione di norme nel tempo in relazione ai fatti di bancarotta commessi prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 169 del 2007 che ha modificato i requisiti per l'assoggettabilità a fallimento.
Cassazione penale Sentenza, Sez. SS.UU., 15/05/2008, n. 19601 - N.L.
La quinta sezione penale della Corte, con ordinanza del 27 novembre 2007, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni unite rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale interno alla stessa sezione sulla questione della ricaduta in campo penale della riforma attuata con il decreto legislativo 9 gennaio 2006 n. 5 nei confronti del piccolo imprenditore, e la conseguente sottoponibilità o meno di questi alla punibilità per i reati di bancarotta integrati prima della modifica.
Infatti da un lato era stata esclusa la punibilità per il soggetto oggi qualificato piccolo imprenditore, ai sensi delle disposizioni vigenti, per i reati di bancarotta integrati a seguito della dichiarazione di fallimento, mentre in altra occasione era stata ritenuta la non applicabilità, in senso favorevole all’imputato, delle disposizioni che regolano la successione di norme nel tempo, anche per la presenza della disposizione transitoria di cui all’art. 150 del citato decreto n. 5.
Poiché come è facilmente rilevabile facilmente la questione si pone nel solco del complesso tema della successione di norme nel tempo, nei suoi vari aspetti, oggetto anche di recente dell’ennesimo intervento delle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un 16 gennaio 2008, Magera, in tema di disciplina dell’immigrazione, della quale si è già dato conto), la soluzione del contrasto era stata così affidata alle Sezioni Unite penali della Corte, che lo hanno risolto nel senso di cui in prosieguo.
E’ noto come con il d. 1gs. 9 gennaio 2006, n. 5 sia stata operata la "Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, ai sensi dell'art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80, emanato sulla base della legge-delega 14 maggio 2005, n.80.
L'art. 1, comma 6, lett. a), n. 1, della legge-delega, aveva stabilito, con riguardo alla "disciplina del fallimento", il principio direttivo, di contenuto indubitabilmente molto ampio, cosi formulato: "semplificare la disciplina attraverso 1'estensione dei soggetti esonerati dall'applicabilita dell'istituto.
Successivamente al citato decreto legislativo n. 5 è stato poi emanato, sulla base della stessa legge-delega, come modificata, con 1'inserimento nell'art. 1, del comma 5-bis, ad opera dell'art. 1 comma 3 della legge 12 luglio 2006, n. 228, il d. 1gs. 12 settembre 2007, n. 169, contenente "Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonche al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa”
L’originario quesito proposto all’attenzione delle Sezioni Unite è stato pertanto integrato nei seguenti termini: "se i fatti di bancarotta commessi prima dell'entrata in vigore del d. 1gs. 9 gennaio 2006, n. 5, e del successivo d. 1gs. 12 settembre 2007, n. 169, che hanno modificato i requisiti perche 1'imprenditore sia assoggettabile a fallimento, continuano a essere previsti come reato, anche se in base alla nuova normativa 1'imprenditore non potrebbe pia essere dichiarato fallito".
Le Sezioni Unite, che in più occasioni si sono occupate del delicato tema della successione di norme nel tempo, hanno ricordato come per stabilire se si verta in tema di abolitio criminis, rilevante ex art. 2 comma secondo c.p., occorre verificare se la norma extrapenale incida su un elemento della fattispecie astratta, non essendo di per se rilevante una mutata situazione di fatto che da quella norma derivi. Passando al caso concreto il collegio ha rilevato che nella struttura delle fattispecie di bancarotta di cui agli artt. 216 e seguenti della legge fallimentare il presupposto formale affinché le condotte poste in essere possano essere prese in considerazione, ai fini della responsabilita penale, non richiama le condizioni di fatto richieste per il fallimento (o 1'ammissione alle altre procedure concorsuali), consistendo invece nella esistenza di una sentenza dichiarativa di fallimento.
In tal modo nella struttura dei reati di bancarotta la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale, e non per i fatti con essa accertati, e poiché in quanto atto della giurisdizione richiamato dalla fattispecie penale, la sentenza dichiarativa di fallimento è insindacabile in sede penale, ne discende come logica conseguenza, come affermato dalle Sezioni Unite, che il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti della legge fallimentare non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza della impresa ma anche quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste dall'art. 1 l. fall. per la fallibilità dell'imprenditore, sicché le modifiche apportate all'art. 1 l. fall., ad opera del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 e poi del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell'art 2 c.p. sui procedimenti penali in corso.
Alfredo Montagna, sost. proc. gen. Corte di CassazioneTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008