mercoledì 28 maggio 2008

La nuova nozione di Piccolo imprenditore ai fini del fallimento


22.05.2008
Nuova nozione di piccolo imprenditore e sua perseguibilità per pregressi fatti di bancarotta

Le Sezioni Unite affrontano il tema della successione di norme nel tempo in relazione ai fatti di bancarotta commessi prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 169 del 2007 che ha modificato i requisiti per l'assoggettabilità a fallimento.

Cassazione penale Sentenza, Sez. SS.UU., 15/05/2008, n. 19601 - N.L.

La quinta sezione penale della Corte, con ordinanza del 27 novembre 2007, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni unite rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale interno alla stessa sezione sulla questione della ricaduta in campo penale della riforma attuata con il decreto legislativo 9 gennaio 2006 n. 5 nei confronti del piccolo imprenditore, e la conseguente sottoponibilità o meno di questi alla punibilità per i reati di bancarotta integrati prima della modifica.
Infatti da un lato era stata esclusa la punibilità per il soggetto oggi qualificato piccolo imprenditore, ai sensi delle disposizioni vigenti, per i reati di bancarotta integrati a seguito della dichiarazione di fallimento, mentre in altra occasione era stata ritenuta la non applicabilità, in senso favorevole all’imputato, delle disposizioni che regolano la successione di norme nel tempo, anche per la presenza della disposizione transitoria di cui all’art. 150 del citato decreto n. 5.
Poiché come è facilmente rilevabile facilmente la questione si pone nel solco del complesso tema della successione di norme nel tempo, nei suoi vari aspetti, oggetto anche di recente dell’ennesimo intervento delle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un 16 gennaio 2008, Magera, in tema di disciplina dell’immigrazione, della quale si è già dato conto), la soluzione del contrasto era stata così affidata alle Sezioni Unite penali della Corte, che lo hanno risolto nel senso di cui in prosieguo.
E’ noto come con il d. 1gs. 9 gennaio 2006, n. 5 sia stata operata la "Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, ai sensi dell'art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80, emanato sulla base della legge-delega 14 maggio 2005, n.80.
L'art. 1, comma 6, lett. a), n. 1, della legge-delega, aveva stabilito, con riguardo alla "disciplina del fallimento", il principio direttivo, di contenuto indubitabilmente molto ampio, cosi formulato: "semplificare la disciplina attraverso 1'estensione dei soggetti esonerati dall'applicabilita dell'istituto.
Successivamente al citato decreto legislativo n. 5 è stato poi emanato, sulla base della stessa legge-delega, come modificata, con 1'inserimento nell'art. 1, del comma 5-bis, ad opera dell'art. 1 comma 3 della legge 12 luglio 2006, n. 228, il d. 1gs. 12 settembre 2007, n. 169, contenente "Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonche al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa”
L’originario quesito proposto all’attenzione delle Sezioni Unite è stato pertanto integrato nei seguenti termini: "se i fatti di bancarotta commessi prima dell'entrata in vigore del d. 1gs. 9 gennaio 2006, n. 5, e del successivo d. 1gs. 12 settembre 2007, n. 169, che hanno modificato i requisiti perche 1'imprenditore sia assoggettabile a fallimento, continuano a essere previsti come reato, anche se in base alla nuova normativa 1'imprenditore non potrebbe pia essere dichiarato fallito".
Le Sezioni Unite, che in più occasioni si sono occupate del delicato tema della successione di norme nel tempo, hanno ricordato come per stabilire se si verta in tema di abolitio criminis, rilevante ex art. 2 comma secondo c.p., occorre verificare se la norma extrapenale incida su un elemento della fattispecie astratta, non essendo di per se rilevante una mutata situazione di fatto che da quella norma derivi. Passando al caso concreto il collegio ha rilevato che nella struttura delle fattispecie di bancarotta di cui agli artt. 216 e seguenti della legge fallimentare il presupposto formale affinché le condotte poste in essere possano essere prese in considerazione, ai fini della responsabilita penale, non richiama le condizioni di fatto richieste per il fallimento (o 1'ammissione alle altre procedure concorsuali), consistendo invece nella esistenza di una sentenza dichiarativa di fallimento.
In tal modo nella struttura dei reati di bancarotta la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale, e non per i fatti con essa accertati, e poiché in quanto atto della giurisdizione richiamato dalla fattispecie penale, la sentenza dichiarativa di fallimento è insindacabile in sede penale, ne discende come logica conseguenza, come affermato dalle Sezioni Unite, che il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti della legge fallimentare non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza della impresa ma anche quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste dall'art. 1 l. fall. per la fallibilità dell'imprenditore, sicché le modifiche apportate all'art. 1 l. fall., ad opera del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 e poi del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell'art 2 c.p. sui procedimenti penali in corso.

Alfredo Montagna, sost. proc. gen. Corte di CassazioneTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

La nuova nozione di Piccolo imprenditore ai fini del fallimento


22.05.2008
Nuova nozione di piccolo imprenditore e sua perseguibilità per pregressi fatti di bancarotta

Le Sezioni Unite affrontano il tema della successione di norme nel tempo in relazione ai fatti di bancarotta commessi prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 169 del 2007 che ha modificato i requisiti per l'assoggettabilità a fallimento.

Cassazione penale Sentenza, Sez. SS.UU., 15/05/2008, n. 19601 - N.L.

La quinta sezione penale della Corte, con ordinanza del 27 novembre 2007, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni unite rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale interno alla stessa sezione sulla questione della ricaduta in campo penale della riforma attuata con il decreto legislativo 9 gennaio 2006 n. 5 nei confronti del piccolo imprenditore, e la conseguente sottoponibilità o meno di questi alla punibilità per i reati di bancarotta integrati prima della modifica.
Infatti da un lato era stata esclusa la punibilità per il soggetto oggi qualificato piccolo imprenditore, ai sensi delle disposizioni vigenti, per i reati di bancarotta integrati a seguito della dichiarazione di fallimento, mentre in altra occasione era stata ritenuta la non applicabilità, in senso favorevole all’imputato, delle disposizioni che regolano la successione di norme nel tempo, anche per la presenza della disposizione transitoria di cui all’art. 150 del citato decreto n. 5.
Poiché come è facilmente rilevabile facilmente la questione si pone nel solco del complesso tema della successione di norme nel tempo, nei suoi vari aspetti, oggetto anche di recente dell’ennesimo intervento delle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un 16 gennaio 2008, Magera, in tema di disciplina dell’immigrazione, della quale si è già dato conto), la soluzione del contrasto era stata così affidata alle Sezioni Unite penali della Corte, che lo hanno risolto nel senso di cui in prosieguo.
E’ noto come con il d. 1gs. 9 gennaio 2006, n. 5 sia stata operata la "Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, ai sensi dell'art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80, emanato sulla base della legge-delega 14 maggio 2005, n.80.
L'art. 1, comma 6, lett. a), n. 1, della legge-delega, aveva stabilito, con riguardo alla "disciplina del fallimento", il principio direttivo, di contenuto indubitabilmente molto ampio, cosi formulato: "semplificare la disciplina attraverso 1'estensione dei soggetti esonerati dall'applicabilita dell'istituto.
Successivamente al citato decreto legislativo n. 5 è stato poi emanato, sulla base della stessa legge-delega, come modificata, con 1'inserimento nell'art. 1, del comma 5-bis, ad opera dell'art. 1 comma 3 della legge 12 luglio 2006, n. 228, il d. 1gs. 12 settembre 2007, n. 169, contenente "Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonche al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa”
L’originario quesito proposto all’attenzione delle Sezioni Unite è stato pertanto integrato nei seguenti termini: "se i fatti di bancarotta commessi prima dell'entrata in vigore del d. 1gs. 9 gennaio 2006, n. 5, e del successivo d. 1gs. 12 settembre 2007, n. 169, che hanno modificato i requisiti perche 1'imprenditore sia assoggettabile a fallimento, continuano a essere previsti come reato, anche se in base alla nuova normativa 1'imprenditore non potrebbe pia essere dichiarato fallito".
Le Sezioni Unite, che in più occasioni si sono occupate del delicato tema della successione di norme nel tempo, hanno ricordato come per stabilire se si verta in tema di abolitio criminis, rilevante ex art. 2 comma secondo c.p., occorre verificare se la norma extrapenale incida su un elemento della fattispecie astratta, non essendo di per se rilevante una mutata situazione di fatto che da quella norma derivi. Passando al caso concreto il collegio ha rilevato che nella struttura delle fattispecie di bancarotta di cui agli artt. 216 e seguenti della legge fallimentare il presupposto formale affinché le condotte poste in essere possano essere prese in considerazione, ai fini della responsabilita penale, non richiama le condizioni di fatto richieste per il fallimento (o 1'ammissione alle altre procedure concorsuali), consistendo invece nella esistenza di una sentenza dichiarativa di fallimento.
In tal modo nella struttura dei reati di bancarotta la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale, e non per i fatti con essa accertati, e poiché in quanto atto della giurisdizione richiamato dalla fattispecie penale, la sentenza dichiarativa di fallimento è insindacabile in sede penale, ne discende come logica conseguenza, come affermato dalle Sezioni Unite, che il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti della legge fallimentare non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza della impresa ma anche quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste dall'art. 1 l. fall. per la fallibilità dell'imprenditore, sicché le modifiche apportate all'art. 1 l. fall., ad opera del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 e poi del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell'art 2 c.p. sui procedimenti penali in corso.

Alfredo Montagna, sost. proc. gen. Corte di CassazioneTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

mercoledì 21 maggio 2008

Dalla Corte d Giustizia delle Comunità Europee

15.05.2008

Indennizzo per l'uso del bene prima della sua sostituzione, il no della Corte di Giustizia

Può il venditore di bene di consumo non conforme pretendere dal consumatore un indennizzo per l'uso del bene prima della sua sostituzione con un bene nuovo? Negativa la risposta della Corte di giustizia.

Corte di Giustizia Sentenza 17/04/2008, n. Causa C 404/06

Il caso prospettato dalla Cassazione tedesca alla Corte di giustizia prende le mosse dal contratto di vendita di un set forno che non mostrava nel primo periodo di sua utilizzazione alcuna anomalia.
Accortosi però che il bene presentava un difetto di conformità il consumatore segnalava l’inconveniente al venditore che provvedeva alla sostituzione del forno pretendendo, tuttavia, il pagamento di un indennizzo per l’uso del bene non conforme del quale aveva goduto l’acquirente alla stregua della normativa interna tedesca -artt. 439, n. 4, e 346, nn. 1 e 2, punto l, del BGB - che autorizza il venditore, in caso di sostituzione di un bene non conforme, ad ottenere un’indennità a titolo di compensazione dei vantaggi che l’acquirente ha ritratto dall’uso di tale bene fino alla sua sostituzione con un nuovo bene.
Nel giudizio proposto innanzi al giudice tedesco l’acquirente aveva chiesto la restituzione dell’indennizzo e la Cassazione si è rivolta alla Corte di Lussemburgo per sapere se la possibilità, riconosciuta dall’ordinamento tedesco, di pretendere un’indennità in caso di sostituzione del bene fosse o meno compatibile con il diritto comunitario, ritenendo che nessuna interpretazione conforme della normativa interna al diritto comunitario era possibile.
Vale la pena di rammentare che secondo l’art.3 dir.99/44/CEE «Il venditore risponde al consumatore di qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene. In caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma del paragrafo 3, o ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto relativo a tale bene, conformemente ai paragrafi 5 e 6. In primo luogo il consumatore può chiedere al venditore di riparare il bene o di sostituirlo, senza spese in entrambi i casi, salvo che ciò sia impossibile o sproporzionato.Un rimedio è da considerare sproporzionato se impone al venditore spese irragionevoli in confronto all’altro rimedio (...).Le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un lasso di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha voluto il bene. L’espressione “senza spese” nei paragrafi 2 e 3 si riferisce ai costi necessari per rendere conformi i beni, in particolar modo con riferimento alle spese di spedizione e per la mano d’opera e i materiali. Il consumatore può chiedere una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto:– se il consumatore non ha diritto né alla [riparazione] né alla sostituzione o–se il venditore non ha esperito il rimedio entro un periodo ragionevole ovverse il venditore non ha esperito il rimedio senza notevoli inconvenienti per il consumatore(.)».Inoltre, va menzionato il quindicesimo ‘considerando’ della direttiva, «gli Stati membri possono prevedere che il rimborso al consumatore può essere ridotto, in considerazione dell’uso che quest’ultimo ha fatto del bene dal momento della consegna; (...) [le modalità di] risoluzione del contratto [possono] essere stabilit[e] dalla legislazione nazionale».
Orbene, il giudice comunitario ha così stabilito che l’art. 3 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, 1999/44/CE deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale consenta al venditore, nel caso in cui abbia venduto un bene di consumo presentante un difetto di conformità, di esigere dal consumatore un’indennità per l’uso di tale bene non conforme fino alla sua sostituzione con un bene nuovo.
Nessuna disposizione della direttiva sulla vendita di beni di consumo abilita infatti a ritenere che la sostituzione del bene non conforme possa essere agganciata al pagamento di un indennizzo da parte dell’acquirente per l’utilizzazione del bene non conforme, essa dipendendo in via esclusiva da un inadempimento del venditore, i cui effetti non possono ripercuotersi negativamente sull’acquirente. Ciò perché il legislatore comunitario ha inteso fare della gratuità del ripristino della conformità del bene da parte del venditore un elemento essenziale della tutela garantita al consumatore da tale direttiva. Tale obbligo mira a tutelare il consumatore dal rischio di oneri finanziari che potrebbe dissuadere il consumatore stesso dal far valere i propri diritti in caso di assenza di una tutela di questo tipo. Tale garanzia di gratuità voluta dal legislatore comunitario porta ad escludere la possibilità di qualsiasi rivendicazione economica da parte del venditore nell’ambito dell’esecuzione dell’obbligo a lui incombente di ripristino della conformità del bene oggetto del contratto.
L’unica possibilità in cui la direttiva consente al venditore di pretendere il pagamento di un indennizzo è quella che ricorre in caso di risoluzione del contratto, caso nel quale, in applicazione del principio della mutua restituzione dei vantaggi ricevuti, il venditore deve rimborsare al consumatore il prezzo di vendita del bene.

Roberto Conti, Magistrato in PalermoTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

Dalla Corte d Giustizia delle Comunità Europee

15.05.2008

Indennizzo per l'uso del bene prima della sua sostituzione, il no della Corte di Giustizia

Può il venditore di bene di consumo non conforme pretendere dal consumatore un indennizzo per l'uso del bene prima della sua sostituzione con un bene nuovo? Negativa la risposta della Corte di giustizia.

Corte di Giustizia Sentenza 17/04/2008, n. Causa C 404/06

Il caso prospettato dalla Cassazione tedesca alla Corte di giustizia prende le mosse dal contratto di vendita di un set forno che non mostrava nel primo periodo di sua utilizzazione alcuna anomalia.
Accortosi però che il bene presentava un difetto di conformità il consumatore segnalava l’inconveniente al venditore che provvedeva alla sostituzione del forno pretendendo, tuttavia, il pagamento di un indennizzo per l’uso del bene non conforme del quale aveva goduto l’acquirente alla stregua della normativa interna tedesca -artt. 439, n. 4, e 346, nn. 1 e 2, punto l, del BGB - che autorizza il venditore, in caso di sostituzione di un bene non conforme, ad ottenere un’indennità a titolo di compensazione dei vantaggi che l’acquirente ha ritratto dall’uso di tale bene fino alla sua sostituzione con un nuovo bene.
Nel giudizio proposto innanzi al giudice tedesco l’acquirente aveva chiesto la restituzione dell’indennizzo e la Cassazione si è rivolta alla Corte di Lussemburgo per sapere se la possibilità, riconosciuta dall’ordinamento tedesco, di pretendere un’indennità in caso di sostituzione del bene fosse o meno compatibile con il diritto comunitario, ritenendo che nessuna interpretazione conforme della normativa interna al diritto comunitario era possibile.
Vale la pena di rammentare che secondo l’art.3 dir.99/44/CEE «Il venditore risponde al consumatore di qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene. In caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma del paragrafo 3, o ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto relativo a tale bene, conformemente ai paragrafi 5 e 6. In primo luogo il consumatore può chiedere al venditore di riparare il bene o di sostituirlo, senza spese in entrambi i casi, salvo che ciò sia impossibile o sproporzionato.Un rimedio è da considerare sproporzionato se impone al venditore spese irragionevoli in confronto all’altro rimedio (...).Le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un lasso di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha voluto il bene. L’espressione “senza spese” nei paragrafi 2 e 3 si riferisce ai costi necessari per rendere conformi i beni, in particolar modo con riferimento alle spese di spedizione e per la mano d’opera e i materiali. Il consumatore può chiedere una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto:– se il consumatore non ha diritto né alla [riparazione] né alla sostituzione o–se il venditore non ha esperito il rimedio entro un periodo ragionevole ovverse il venditore non ha esperito il rimedio senza notevoli inconvenienti per il consumatore(.)».Inoltre, va menzionato il quindicesimo ‘considerando’ della direttiva, «gli Stati membri possono prevedere che il rimborso al consumatore può essere ridotto, in considerazione dell’uso che quest’ultimo ha fatto del bene dal momento della consegna; (...) [le modalità di] risoluzione del contratto [possono] essere stabilit[e] dalla legislazione nazionale».
Orbene, il giudice comunitario ha così stabilito che l’art. 3 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, 1999/44/CE deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale consenta al venditore, nel caso in cui abbia venduto un bene di consumo presentante un difetto di conformità, di esigere dal consumatore un’indennità per l’uso di tale bene non conforme fino alla sua sostituzione con un bene nuovo.
Nessuna disposizione della direttiva sulla vendita di beni di consumo abilita infatti a ritenere che la sostituzione del bene non conforme possa essere agganciata al pagamento di un indennizzo da parte dell’acquirente per l’utilizzazione del bene non conforme, essa dipendendo in via esclusiva da un inadempimento del venditore, i cui effetti non possono ripercuotersi negativamente sull’acquirente. Ciò perché il legislatore comunitario ha inteso fare della gratuità del ripristino della conformità del bene da parte del venditore un elemento essenziale della tutela garantita al consumatore da tale direttiva. Tale obbligo mira a tutelare il consumatore dal rischio di oneri finanziari che potrebbe dissuadere il consumatore stesso dal far valere i propri diritti in caso di assenza di una tutela di questo tipo. Tale garanzia di gratuità voluta dal legislatore comunitario porta ad escludere la possibilità di qualsiasi rivendicazione economica da parte del venditore nell’ambito dell’esecuzione dell’obbligo a lui incombente di ripristino della conformità del bene oggetto del contratto.
L’unica possibilità in cui la direttiva consente al venditore di pretendere il pagamento di un indennizzo è quella che ricorre in caso di risoluzione del contratto, caso nel quale, in applicazione del principio della mutua restituzione dei vantaggi ricevuti, il venditore deve rimborsare al consumatore il prezzo di vendita del bene.

Roberto Conti, Magistrato in PalermoTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

lunedì 19 maggio 2008

Diritto delle Locazioni

Sfratto, sospensione dell'esecuzione, anziano ultrasessantacinquenne
Cassazione civile , sez. III, sentenza 07.04.2008 n° 8961

Sfratto - sospensione dell'esecuzione - anziano ultrasessantacinquenne - reddito disponibile - locazione altro immobile - equipollenza - necessità - insussistenza

Non è legittima la sospensione dell'esecuzione di sfratto in danno di un anziano ultrasessantacinquenne, se costui dispone di un reddito sufficiente ad accedere alla locazione di altro alloggio, anche se con caratteristiche non equipollenti a quello attualmente in locazione.
(Fonte: Altalex Massimario 17/2008)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 26 febbraio – 7 aprile 2008, n. 8961
(Presidente Varrone – Relatore Federico)

Svolgimento del processo

Con ricorso 13.1.03 F. M. R. chiedeva al Tribunale di Salerno in funzione di G.E. che, ai sensi dell'art. 1 d.l. 122/02, fosse dichiarato che a M. N. non spettava la sospensione dell'esecuzione dello sfratto, relativamente all'immobile in Salerno, via *****, prevista dalla norma suddetta, in riferimento all'art. 80 commi 20-22 della L. 388/90.Con ordinanza 18.1.03 il G.E. disponeva che l'esecuzione proseguisse.Con successivo ricorso del 28.1.03 la N. si opponeva ex art. 1 comma 2 ultimo periodo d.l. 122/02 conv. in L. 185/02 al suddetto provvedimento, e l'adito Tribunale, con sentenza depositata il 23.9.03, accoglieva l'opposizione, disponendo la sospensione dell'esecuzione dello sfratto sino al 30.6.03.Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione ex art. 111 cost. la F., affidandosi ad un unico motivo, mentre nessuna attività difensiva è stata svolta dall'intimata.

Motivi della decisione

Con l'unico motivo la ricorrente deduce la violazione dell'art. 80 commi 20, 21 e 22 L. 388/00, in combinato disposto con l'art. 1 commi 1 e 2 del D.L. 122/02 conv. in L. 185/02 ed in relazione all'art. 12 delle preleggi, avendo il Tribunale erroneamente ritenuto che per "altra abitazione" di cui parlano le norme suddette debba intendersi una diversa abitazione che sia equipollente con quella oggetto di sfratto.Il ricorso è fondato.Ha ritenuto, infatti, la sentenza gravata che per la sospensione delle procedure esecutive di rilascio per finita locazione, già disposta per gli immobili adibiti ad uso abitativo dall'art. 1 comma 1 D.l. n. 450/01, conv. in L. n. 14/02, e prorogata sino alla data del 30.6.03 dall'art. 1 comma 1 D.l. n. 122/02, occorresse che almeno uno dei requisiti previsti dalla prima parte della norma di cui all'art. 80 comma 20 L. n. 388/00 (esecutato o suo familiare ultrasessantacinquenne o gravemente handicappato) concorresse con almeno uno della seconda parte della norma stessa (mancanza di reddito idoneo a garantire una valida alternativa abitativa, ovvero indisponibilità di altra abitazione), ed ha sottolineato inoltre come la norma suddetta di legge so limitasse a postulare la possibilità sic et simpliciter di un'alternativa abitativa, tanto da legittimare la tesi dell'equipollenza dell'alternativa alla soluzione esistente, onde offrire una tutela sempre più effettiva a persone di età già molto avanzata.E' stato così escluso che la N., sessantacinquenne, fosse titolare di un reddito tale da consentirle il fitto di un alloggio con caratteristiche analoghe a quelle dell'immobile oggetto dell'esecuzione, e che comunque, in rapporto alle finalità in materia della legge, si potesse imporre all'esecutata un particolare onere - date le sue modeste capacità reddituali - di adattarsi anche a soluzioni abitative più disagiate di quella allo stato esistente.L'assunto in questione viola manifestamente il tenore letterale delle norme richiamate dal ricorrente nell'intitolazione del motivo di ricorso.Ed invero, ove si tenga presente il chiaro disposto della norma del citato comma 20 dell'art. 80 della legge n. 388/00, così come riportato testualmente nella sentenza impugnata, si rileva che nessun elemento consente ragionevolmente una sua interpretazione nel senso voluto dal Tribunale, e cioè che all'esecutata non possa imporsi alcuna soluzione alternativa abitativa che non sia equipollente (per le dimensioni più ridotte dell'alloggio e la sua localizzazione in zona della città più periferica).Se è vero, infatti, che dalla lettera della legge non risultano imposti siffatti sacrifici, è però altrettanto vero che dalla medesima non si evince neppure l'opposta soluzione, fondata sulla tesi dell'equipollenza dell'alternativa alla soluzione esistente.La norma si limita a prescrivere che, ai fini della sospensione dell'esecuzione, oltre alla presenza nell'immobile di persone, almeno sessantacinquenni o gravemente handicappate, appartenenti al nucleo familiare, occorra altresì o la mancata disponibilità di altra abitazione o quella di redditi sufficienti ad accedere all'affitto di una nuova casa, per cui la valutazione del reddito a disposizione dell'inquilino (nella specie, Euro 995,00 mensili) deve essere effettuata non in relazione alla possibilità di affitto di un alloggio equipollente (nel senso sopra indicato) a quello oggetto dell'esecuzione, ma in relazione a quella del reperimento in ogni caso di un alloggio a condizioni anche più disagiate di quelle già esistenti, quanto ad estensione di esso e ad ubicazione nel perimetro cittadino, purché pur sempre in astratto idoneo alle esigenze abitative dell'esecutata ed alle sue condizioni personali.Deve, dunque, affermarsi il principio che nel caso in esame, ai fini della sospensione dell'esecuzione in danno della N. sino alla data del 30.6.03, non debba aversi riguardo alla disponibilità, da parte dell'esecutata, di un reddito sufficiente ad accedere alla locazione di un alloggio aventi caratteristiche analoghe a quelle dell'immobile oggetto di esecuzione:, bastando che esso consenta comunque il fitto di un alloggio, anche a condizioni più disagiate (quanto all'ampiezza, alla, ubicazione meno favorevole in città ed alla stessa tipologia dell'immobile), purché adeguato alla situazione personale ed alle conseguenti esigenze abitative dell'interessata.La sentenza impugnata va, quindi, cassata, con rinvio al Tribunale di Salerno in diversa composizione, che dovrà attenersi al principio di diritto come sopra affermato e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Salerno in diversa composizione.

Diritto delle Locazioni

Sfratto, sospensione dell'esecuzione, anziano ultrasessantacinquenne
Cassazione civile , sez. III, sentenza 07.04.2008 n° 8961

Sfratto - sospensione dell'esecuzione - anziano ultrasessantacinquenne - reddito disponibile - locazione altro immobile - equipollenza - necessità - insussistenza

Non è legittima la sospensione dell'esecuzione di sfratto in danno di un anziano ultrasessantacinquenne, se costui dispone di un reddito sufficiente ad accedere alla locazione di altro alloggio, anche se con caratteristiche non equipollenti a quello attualmente in locazione.
(Fonte: Altalex Massimario 17/2008)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 26 febbraio – 7 aprile 2008, n. 8961
(Presidente Varrone – Relatore Federico)

Svolgimento del processo

Con ricorso 13.1.03 F. M. R. chiedeva al Tribunale di Salerno in funzione di G.E. che, ai sensi dell'art. 1 d.l. 122/02, fosse dichiarato che a M. N. non spettava la sospensione dell'esecuzione dello sfratto, relativamente all'immobile in Salerno, via *****, prevista dalla norma suddetta, in riferimento all'art. 80 commi 20-22 della L. 388/90.Con ordinanza 18.1.03 il G.E. disponeva che l'esecuzione proseguisse.Con successivo ricorso del 28.1.03 la N. si opponeva ex art. 1 comma 2 ultimo periodo d.l. 122/02 conv. in L. 185/02 al suddetto provvedimento, e l'adito Tribunale, con sentenza depositata il 23.9.03, accoglieva l'opposizione, disponendo la sospensione dell'esecuzione dello sfratto sino al 30.6.03.Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione ex art. 111 cost. la F., affidandosi ad un unico motivo, mentre nessuna attività difensiva è stata svolta dall'intimata.

Motivi della decisione

Con l'unico motivo la ricorrente deduce la violazione dell'art. 80 commi 20, 21 e 22 L. 388/00, in combinato disposto con l'art. 1 commi 1 e 2 del D.L. 122/02 conv. in L. 185/02 ed in relazione all'art. 12 delle preleggi, avendo il Tribunale erroneamente ritenuto che per "altra abitazione" di cui parlano le norme suddette debba intendersi una diversa abitazione che sia equipollente con quella oggetto di sfratto.Il ricorso è fondato.Ha ritenuto, infatti, la sentenza gravata che per la sospensione delle procedure esecutive di rilascio per finita locazione, già disposta per gli immobili adibiti ad uso abitativo dall'art. 1 comma 1 D.l. n. 450/01, conv. in L. n. 14/02, e prorogata sino alla data del 30.6.03 dall'art. 1 comma 1 D.l. n. 122/02, occorresse che almeno uno dei requisiti previsti dalla prima parte della norma di cui all'art. 80 comma 20 L. n. 388/00 (esecutato o suo familiare ultrasessantacinquenne o gravemente handicappato) concorresse con almeno uno della seconda parte della norma stessa (mancanza di reddito idoneo a garantire una valida alternativa abitativa, ovvero indisponibilità di altra abitazione), ed ha sottolineato inoltre come la norma suddetta di legge so limitasse a postulare la possibilità sic et simpliciter di un'alternativa abitativa, tanto da legittimare la tesi dell'equipollenza dell'alternativa alla soluzione esistente, onde offrire una tutela sempre più effettiva a persone di età già molto avanzata.E' stato così escluso che la N., sessantacinquenne, fosse titolare di un reddito tale da consentirle il fitto di un alloggio con caratteristiche analoghe a quelle dell'immobile oggetto dell'esecuzione, e che comunque, in rapporto alle finalità in materia della legge, si potesse imporre all'esecutata un particolare onere - date le sue modeste capacità reddituali - di adattarsi anche a soluzioni abitative più disagiate di quella allo stato esistente.L'assunto in questione viola manifestamente il tenore letterale delle norme richiamate dal ricorrente nell'intitolazione del motivo di ricorso.Ed invero, ove si tenga presente il chiaro disposto della norma del citato comma 20 dell'art. 80 della legge n. 388/00, così come riportato testualmente nella sentenza impugnata, si rileva che nessun elemento consente ragionevolmente una sua interpretazione nel senso voluto dal Tribunale, e cioè che all'esecutata non possa imporsi alcuna soluzione alternativa abitativa che non sia equipollente (per le dimensioni più ridotte dell'alloggio e la sua localizzazione in zona della città più periferica).Se è vero, infatti, che dalla lettera della legge non risultano imposti siffatti sacrifici, è però altrettanto vero che dalla medesima non si evince neppure l'opposta soluzione, fondata sulla tesi dell'equipollenza dell'alternativa alla soluzione esistente.La norma si limita a prescrivere che, ai fini della sospensione dell'esecuzione, oltre alla presenza nell'immobile di persone, almeno sessantacinquenni o gravemente handicappate, appartenenti al nucleo familiare, occorra altresì o la mancata disponibilità di altra abitazione o quella di redditi sufficienti ad accedere all'affitto di una nuova casa, per cui la valutazione del reddito a disposizione dell'inquilino (nella specie, Euro 995,00 mensili) deve essere effettuata non in relazione alla possibilità di affitto di un alloggio equipollente (nel senso sopra indicato) a quello oggetto dell'esecuzione, ma in relazione a quella del reperimento in ogni caso di un alloggio a condizioni anche più disagiate di quelle già esistenti, quanto ad estensione di esso e ad ubicazione nel perimetro cittadino, purché pur sempre in astratto idoneo alle esigenze abitative dell'esecutata ed alle sue condizioni personali.Deve, dunque, affermarsi il principio che nel caso in esame, ai fini della sospensione dell'esecuzione in danno della N. sino alla data del 30.6.03, non debba aversi riguardo alla disponibilità, da parte dell'esecutata, di un reddito sufficiente ad accedere alla locazione di un alloggio aventi caratteristiche analoghe a quelle dell'immobile oggetto di esecuzione:, bastando che esso consenta comunque il fitto di un alloggio, anche a condizioni più disagiate (quanto all'ampiezza, alla, ubicazione meno favorevole in città ed alla stessa tipologia dell'immobile), purché adeguato alla situazione personale ed alle conseguenti esigenze abitative dell'interessata.La sentenza impugnata va, quindi, cassata, con rinvio al Tribunale di Salerno in diversa composizione, che dovrà attenersi al principio di diritto come sopra affermato e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Salerno in diversa composizione.

venerdì 16 maggio 2008

News dalla Suprema Corte





CORTE DI CASSAZIONE
SENTENZA N. 9812 DEL 14/04/2008





- LAVORATORI DI CALL CENTER - LAVORO SUBORDINATO E NON AUTONOMO-

La Corte, in una causa previdenziale, afferma che correttamente il giudice di merito ha inquadrato nel lavoro subordinato, e non nel lavoro autonomo, le prestazioni svolte dai lavoratori di call center, per le caratteristiche del lavoro svolto: necessità di seguire le direttive dell'azienda in relazione ad ogni singola telefonata, orario di lavoro preciso, utilizzazione di attrezzature e materiali di proprietà della società, necessità di giustificare le assenze. Il datore di lavoro è pertanto tenuto a versare i contributi.


Sentenza n. 9812 del 14 aprile 2008 (Sezione Lavoro, Presidente E. Ravagnani, Relatore G. D'Agostino)


A cura dell'Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione


News dalla Suprema Corte





CORTE DI CASSAZIONE
SENTENZA N. 9812 DEL 14/04/2008





- LAVORATORI DI CALL CENTER - LAVORO SUBORDINATO E NON AUTONOMO-

La Corte, in una causa previdenziale, afferma che correttamente il giudice di merito ha inquadrato nel lavoro subordinato, e non nel lavoro autonomo, le prestazioni svolte dai lavoratori di call center, per le caratteristiche del lavoro svolto: necessità di seguire le direttive dell'azienda in relazione ad ogni singola telefonata, orario di lavoro preciso, utilizzazione di attrezzature e materiali di proprietà della società, necessità di giustificare le assenze. Il datore di lavoro è pertanto tenuto a versare i contributi.


Sentenza n. 9812 del 14 aprile 2008 (Sezione Lavoro, Presidente E. Ravagnani, Relatore G. D'Agostino)


A cura dell'Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione


martedì 13 maggio 2008

Sul termine di impugnazione del titolo edificatorio
Consiglio di Stato , sez. V, decisione 06.02.2008 n° 322 (
Alessandro Del Dotto)


Concessione edilizia – proprietario confinante – impugnazione – dies a quo – termine conclusivo dei lavori
Il proprietario, confinate con immobile oggetto di ristrutturazione, è legittimato ad agire in giudizio nei termini di legge che decorrano dal momento conclusivo, e non da quello iniziale di realizzazione dell’opera, in quanto è solo con il completamento dell'opera che si può compiutamente valutare se agire o meno in sede giurisdizionale. (1)
(1) In tema di modifica della volumetria, si veda Corte d'Appello Potenza,

(Fonte:
Altalex Massimario 10/2008. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)

Consiglio di Stato
Sezione V
Decisione 6 febbraio 2008, n. 322
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Quinta Sezione)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sui ricorsi in appello n. 4916/2001 e n. 5120/2001 proposti da:
1) R.G. n. 4916/2001: COMUNE DI CESENATICO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Benedetto Graziosi ed elettivamente domiciliato presso lo studio Grez, in Roma, Lungotevere Flaminio n. 46, Palazzo IV, scala B.

CONTRO

i Sigg.ri F. L., L. e M. in proprio e anche come eredi di T. C., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Gaetano Rossi e Luigi Onofri ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, Via Niccolò Piccolomini, n. 34.

E NEI CONFRONTI DI

X. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;
2) R.G. n. 5120/2001: X. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Claudio Chiola e Paolo Tellerini ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, Via della Camilluccia, n. 785;
CONTRO

i Sigg.ri F. L., L.e M. in proprio e anche come eredi di T. C., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Gaetano Rossi e Luigi Onofri ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, Via Niccolò Piccolomini, n. 34.

E NEI CONFRONTI DI

COMUNE DI CESENATICO, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, sez. II,, n. 373/2000 del 17.03.2000.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 18 dicembre 2007, il Consigliere Nicola Russo;
Uditi gli avv.ti Graziosi e Onofri;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO

La causa concerne la legittimità della concessione edilizia n. 220 del 1994, rilasciata dal Comune di Cesenatico a favore della X. s.r.l. ai fini della ristrutturazione di un immobile sito alla Via Mazzini (civici 28, 30, 32) e contestata dai confinanti signori F..
Ritenuta la tempestività del gravame, il TAR Emilia Romagna, Sede di Bologna, Sez. II, lo ha accolto con sentenza n. 337/2000 sotto il duplice profilo che l'intervento aveva comportato una vietata immutazione della facciata dell'edificio preesistente nonché un non consentito recupero di superfici (da una superfetazione soggetta a demolizione).
La sentenza è stata gravata con distinti appelli sia dal Comune di Cesenatico che dalla X. s.r.l.
Si sono costituiti gli appellati i quali insistono, previa riunione, per la reiezione.
La causa è passata in decisione all'udienza del 18 dicembre 2007.

DIRITTO

Gli appelli, riguardando la medesima sentenza, vanno riuniti. Gli stessi risultano infondati.
Tanto il Comune quanto la parte privata reiterano l'eccezione di tardività del ricorso introduttivo, sostenendo che a tal fine non si sarebbe potuta assumere, quale momento determinante, la data di ultimazione dei lavori, dovendosi invece far riferimento, quanto meno per ciò che concerne la censura relativa alla immodificabilità della facciata, al relativo (anteriore) completamento.
Rileva il Collegio che l'eccezione di tardività, essendo destinata ad incidere sul fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale, postula una prova rigorosa e questa deve essere fornita dalla parte che la formula. Una tale prova nella specie non risulta raggiunta ed è anzi da escludere, già su un piano teorico, che il privato confinante debba seguire giorno per giorno i lavori che si svolgono sul fondo finitimo perché in relazione ad ogni step dell'attività edificatoria decorrerebbe un autonomo termine di impugnazione. Ritiene infatti il Collegio che è solo con il completamento dell'opera (nel corso della quale sono sempre possibili una serie di varianti) che il privato confinante può compiutamente valutare se gravarsi o meno in sede giurisdizionale. E poiché, nel caso considerato, l'impugnazione è certamente tempestiva con riferimento alla data di ultimazione del manufatto, la sentenza di primo grado non merita alcuna censura sul punto.
Questa, peraltro, merita conferma anche nel merito. Circa la censura riguardante la (non consentita) modifica della facciata dell'edificio in questione, il Comune, prima ancora che la sua infondatezza, ne prospetta l'inammissibilità sostenendo che la relativa denuncia si risolverebbe in un atto emulativo poiché il vicino non ne riceverebbe alcun pregiudizio. L'eccezione è infondata giacché, nella materia considerata, il pregiudizio (e quindi l'interesse ad agire) coincidono con la violazione della prescrizione.
Dal punto di vista sostanziale, nessuna delle argomentazioni delle parti appellanti è idonea a superare il rilievo, accertato dal TAR con apposita attività istruttoria, che il vincolo di facciata del quale era stata lamentata la violazione era esistente alla data di rilascio della concessione edilizia sicché esso non avrebbe potuto essere disapplicato dalla Commissione edilizia.
Non diversa sorte meritano gli appelli relativamente al capo della sentenza che riguarda il recupero della volumetria della superfetazione demolita. Sul punto è assorbente la considerazione che la superficie oggetto di recupero, per essere riutilizzata nel nuovo progetto, avrebbe dovuto essere abitabile, in tal modo a parere del Collegio dovendosi interpretare la definizione resa dalla prescrizione urbanistica A3.
La peculiarità della vicenda consente di derogare dalla regola della soccombenza e di far luogo alla compensazione delle spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando, riunisce i ricorsi e li respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 dicembre 2007, con l'intervento dei signori:
CLAUDIO MARCHITIELLO Presidente
MARCO LIPARI Consigliere
CARO LUCREZIO MONTICELLI Consigliere
MARZIO BRANCA Consigliere
NICOLA RUSSO Consigliere est.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Nicola Russo F.to Claudio Marchitiello
IL SEGRETARIO
F.to Cinzia Giglio
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 6-02-2008.
Sul termine di impugnazione del titolo edificatorio
Consiglio di Stato , sez. V, decisione 06.02.2008 n° 322 (
Alessandro Del Dotto)


Concessione edilizia – proprietario confinante – impugnazione – dies a quo – termine conclusivo dei lavori
Il proprietario, confinate con immobile oggetto di ristrutturazione, è legittimato ad agire in giudizio nei termini di legge che decorrano dal momento conclusivo, e non da quello iniziale di realizzazione dell’opera, in quanto è solo con il completamento dell'opera che si può compiutamente valutare se agire o meno in sede giurisdizionale. (1)
(1) In tema di modifica della volumetria, si veda Corte d'Appello Potenza,

(Fonte:
Altalex Massimario 10/2008. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)

Consiglio di Stato
Sezione V
Decisione 6 febbraio 2008, n. 322
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Quinta Sezione)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sui ricorsi in appello n. 4916/2001 e n. 5120/2001 proposti da:
1) R.G. n. 4916/2001: COMUNE DI CESENATICO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Benedetto Graziosi ed elettivamente domiciliato presso lo studio Grez, in Roma, Lungotevere Flaminio n. 46, Palazzo IV, scala B.

CONTRO

i Sigg.ri F. L., L. e M. in proprio e anche come eredi di T. C., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Gaetano Rossi e Luigi Onofri ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, Via Niccolò Piccolomini, n. 34.

E NEI CONFRONTI DI

X. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;
2) R.G. n. 5120/2001: X. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Claudio Chiola e Paolo Tellerini ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, Via della Camilluccia, n. 785;
CONTRO

i Sigg.ri F. L., L.e M. in proprio e anche come eredi di T. C., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Gaetano Rossi e Luigi Onofri ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, Via Niccolò Piccolomini, n. 34.

E NEI CONFRONTI DI

COMUNE DI CESENATICO, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, sez. II,, n. 373/2000 del 17.03.2000.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 18 dicembre 2007, il Consigliere Nicola Russo;
Uditi gli avv.ti Graziosi e Onofri;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO

La causa concerne la legittimità della concessione edilizia n. 220 del 1994, rilasciata dal Comune di Cesenatico a favore della X. s.r.l. ai fini della ristrutturazione di un immobile sito alla Via Mazzini (civici 28, 30, 32) e contestata dai confinanti signori F..
Ritenuta la tempestività del gravame, il TAR Emilia Romagna, Sede di Bologna, Sez. II, lo ha accolto con sentenza n. 337/2000 sotto il duplice profilo che l'intervento aveva comportato una vietata immutazione della facciata dell'edificio preesistente nonché un non consentito recupero di superfici (da una superfetazione soggetta a demolizione).
La sentenza è stata gravata con distinti appelli sia dal Comune di Cesenatico che dalla X. s.r.l.
Si sono costituiti gli appellati i quali insistono, previa riunione, per la reiezione.
La causa è passata in decisione all'udienza del 18 dicembre 2007.

DIRITTO

Gli appelli, riguardando la medesima sentenza, vanno riuniti. Gli stessi risultano infondati.
Tanto il Comune quanto la parte privata reiterano l'eccezione di tardività del ricorso introduttivo, sostenendo che a tal fine non si sarebbe potuta assumere, quale momento determinante, la data di ultimazione dei lavori, dovendosi invece far riferimento, quanto meno per ciò che concerne la censura relativa alla immodificabilità della facciata, al relativo (anteriore) completamento.
Rileva il Collegio che l'eccezione di tardività, essendo destinata ad incidere sul fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale, postula una prova rigorosa e questa deve essere fornita dalla parte che la formula. Una tale prova nella specie non risulta raggiunta ed è anzi da escludere, già su un piano teorico, che il privato confinante debba seguire giorno per giorno i lavori che si svolgono sul fondo finitimo perché in relazione ad ogni step dell'attività edificatoria decorrerebbe un autonomo termine di impugnazione. Ritiene infatti il Collegio che è solo con il completamento dell'opera (nel corso della quale sono sempre possibili una serie di varianti) che il privato confinante può compiutamente valutare se gravarsi o meno in sede giurisdizionale. E poiché, nel caso considerato, l'impugnazione è certamente tempestiva con riferimento alla data di ultimazione del manufatto, la sentenza di primo grado non merita alcuna censura sul punto.
Questa, peraltro, merita conferma anche nel merito. Circa la censura riguardante la (non consentita) modifica della facciata dell'edificio in questione, il Comune, prima ancora che la sua infondatezza, ne prospetta l'inammissibilità sostenendo che la relativa denuncia si risolverebbe in un atto emulativo poiché il vicino non ne riceverebbe alcun pregiudizio. L'eccezione è infondata giacché, nella materia considerata, il pregiudizio (e quindi l'interesse ad agire) coincidono con la violazione della prescrizione.
Dal punto di vista sostanziale, nessuna delle argomentazioni delle parti appellanti è idonea a superare il rilievo, accertato dal TAR con apposita attività istruttoria, che il vincolo di facciata del quale era stata lamentata la violazione era esistente alla data di rilascio della concessione edilizia sicché esso non avrebbe potuto essere disapplicato dalla Commissione edilizia.
Non diversa sorte meritano gli appelli relativamente al capo della sentenza che riguarda il recupero della volumetria della superfetazione demolita. Sul punto è assorbente la considerazione che la superficie oggetto di recupero, per essere riutilizzata nel nuovo progetto, avrebbe dovuto essere abitabile, in tal modo a parere del Collegio dovendosi interpretare la definizione resa dalla prescrizione urbanistica A3.
La peculiarità della vicenda consente di derogare dalla regola della soccombenza e di far luogo alla compensazione delle spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando, riunisce i ricorsi e li respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 dicembre 2007, con l'intervento dei signori:
CLAUDIO MARCHITIELLO Presidente
MARCO LIPARI Consigliere
CARO LUCREZIO MONTICELLI Consigliere
MARZIO BRANCA Consigliere
NICOLA RUSSO Consigliere est.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Nicola Russo F.to Claudio Marchitiello
IL SEGRETARIO
F.to Cinzia Giglio
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 6-02-2008.

Principio di tutela effettiva nel diritto comunitario


Il principio di tutela giurisdizionale effettiva non richiede, in quanto tale, l’esistenza di un ricorso autonomo diretto, in via principale, a contestare la conformità di disposizioni nazionali con norme comunitarie, purché il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività sia garantito nell’ambito del sistema dei ricorsi interni.
Ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto comunitario dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, del suo svolgimento e delle sue peculiarità dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali.
Il giudice nazionale investito di una controversia disciplinata dal diritto comunitario deve essere in grado di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della successiva pronuncia giurisdizionale sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario.
La concessione di provvedimenti provvisori per sospendere l’applicazione di disposizioni nazionali fino a quando il giudice competente si sia pronunciato sulla loro conformità con il diritto comunitario è disciplinata dai criteri fissati dal diritto nazionale applicabile dinanzi a tale giudice.
In tal senso il Giudice comunitario ha liquidato la questione relativa alla necessità che un ordinamento nazionale debba prevedere uno strumento di tutela che consenta al cittadino leso di far valere in via diretta e principale la violazione delle norme e dei principi del diritto comunitario.
Più in particolare, si chiedeva al Consesso giurisdizionale europeo di giudicare della conformità all’ordinamento comunitario delle norme nazionali (svedesi, n.d.a.) che non prevedevano un istituto processuale che consentisse in via diretta ed immediata di far valere una (presunta) discordanza fra la normativa nazionale e la normativa comunitaria, considerando anche il profilo più squisitamente tecnico-processuale sugli strumenti di tutela in via principale oltre che gli strumenti di tutela cautelare.
Si faceva, pertanto, questione della c.d. “effettività della tutela” giurisdizionale offerta dall’ordinamento nazionale “trascinato” in giudizio.
Proprio in questo senso, sono stati “messi a fuoco” alcuni essenziali punti per una basilare valutazione della rispondenza del diritto interno alle norme del diritto comunitario, rammentando – inoltre – alcuni fondamentali principi in materia.

(Altalex, 12 aprile 2008. Nota di Alessandro Del Dotto)

Principio di tutela giurisdizionale – conformità di una disposizione nazionale con il diritto comunitario – giudizio incidentale - autonomia procedurale – principi di equivalenza e di effettività [art. 49 CE]

Il principio di tutela giurisdizionale del diritto comunitario non richiede, nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, l’esistenza di un ricorso autonomo diretto, in via principale, ad esaminare la conformità di disposizioni nazionali con il diritto comunitario, qualora altri mezzi di gravame, effettivi, consentano tale giudizio.
(Fonte:
Altalex Massimario 26/2007. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)

Corte di Giustizia Europea
Grande Sezione
Sentenza 13 marzo 2007, C-432/05

«Principio di tutela giurisdizionale – Legislazione nazionale che non prevede un ricorso autonomo per contestare la conformità di una disposizione nazionale con il diritto comunitario – Autonomia procedurale – Principi di equivalenza e di effettività – Tutela provvisoria»
Nel procedimento C-432/05,avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, [1] dallo Högsta domstolen (Svezia), con ordinanza 24 novembre 2005, pervenuta in cancelleria il 5 dicembre 2005, nella causa traUnibet (London) Ltd,Unibet (International) LtdcontroJustitiekanslern,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente,
dai sigg. C.W.A. Timmermans, A. Rosas, K. Lenaerts (relatore),
R. Schintgen, P. Kūris e E. Juhász, presidenti di Sezione,
dai sigg. J. Makarczyk, G. Arestis, U. Lõhmus, E. Levits, A. Ó Caoimh e L. Bay Larsen, giudici,
avvocato generale: sig.ra E. Sharpston
cancelliere: sig. J. Swedenborg, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 3 ottobre 2006,considerate le osservazioni presentate:
per l’Unibet (London) Ltd. e l’Unibet (International) Ltd., dagli avv.ti H. Bergman e O. Wiklund, advokater;
per il governo svedese, dalla sig.ra K. Wistrand, in qualità di agente;
per il governo belga, dalla sig.ra A. Hubert, assistita dagli avv.ti S. Verhulst e P. Vlaemminck, advocaten;
per il governo ceco, dal sig. T. Boček, in qualità di agente;
per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e A. Dittrich, in qualità di agenti;
per il governo ellenico, dalla sig.ra A. Samoni-Rantou e sig. K. Boskovits, in qualità di agenti;
per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. F. Sclafani, avvocato dello Stato;
per il governo dei Paesi Bassi, dalle sig.re H.G. Sevenster e C. ten Dam, in qualità di agenti;
per il governo austriaco, dal sig. H. Dossi, in qualità di agente;
per il governo portoghese, dai sigg. L. Fernandes e J. De Oliveira, in qualità di agenti;
per il governo finlandese, dalla sig.ra E. Bygglin, in qualità di agente;
per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra C. White, successivamente dalla sig.ra Z. Bryanston-Cross, in qualità di agenti, assistite dal sig. T. Ward, barrister;
per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. E. Traversa e K. Simonsson, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 novembre 2006,
ha pronunciato la seguente
Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario.
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Unibet (London) Ltd e Unibet (International) Ltd (in prosieguo: unitariamente considerate, l’"Unibet") e la Justitiekanslern in merito all’applicazione della legge svedese sulle lotterie e i giochi d’azzardo (lotterilagen, SFS 1994, n. 1000, in prosieguo: la "legge sulle lotterie").
Contesto normativo
Le norme processuali
3 Dall’ordinanza di rinvio risulta che il capitolo 11, art. 14 della costituzione svedese (regeringsformen) disciplina il controllo di legittimità delle disposizioni nazionali, di natura legislativa o regolamentare, con norme di rango superiore. In forza di tale articolo, se un giudice ritiene che una disposizione nazionale non sia conforme ad una norma costituzionale o ad un’altra norma di rango superiore, tale disposizione deve essere disapplicata. Tuttavia, se detta disposizione emana dal Parlamento o dal governo svedese, essa deve essere disapplicata solo se la mancata conformità è manifesta. Tale ultima condizione non è tuttavia richiesta quando la questione di conformità si pone rispetto ad una norma di diritto comunitario.
4 Secondo il giudice del rinvio, il diritto svedese non prevede un ricorso autonomo diretto, in via principale, a far dichiarare la mancata conformità di un atto adottato dal Parlamento o dal governo con una norma di rango superiore, poiché un tale controllo può essere effettuato solo in via incidentale nell’ambito di procedimenti avviati dinanzi ai giudici ordinari o dinanzi ai giudici amministrativi.
5 In base al capitolo 13, art. 1, del codice di procedura svedese (rättegångsbalken, in prosieguo: il "codice di procedura"), che disciplina i procedimenti dinanzi ai giudici ordinari, un’azione di risarcimento può essere promossa allo scopo di ottenere il risarcimento dei danni. Una tale azione può sfociare in una pronuncia esecutiva che condanna il convenuto a pagare il risarcimento dei danni all’attore.
6 Secondo l’art. 2, primo comma, dello stesso capitolo del codice di procedura, un’azione può essere promossa per accertare l’esistenza di un rapporto giuridico tra il convenuto e l’attore, quando da tale rapporto derivi un danno per l’attore. In base al secondo comma del medesimo articolo, la domanda viene esaminata se si riferisce all’esistenza di detto rapporto. Una tale azione può solo sfociare in una pronuncia dichiarativa che constata, se del caso, l’esistenza di un rapporto giuridico tra le parti, come l’obbligo di pagare il risarcimento dei danni all’attore.
7 In tale contesto, il giudice investito può essere portato a verificare, in via incidentale, la conformità con una norma di rango superiore di una disposizione legislativa applicabile, la quale, se del caso, deve essere disapplicata.
8 La concessione di provvedimenti provvisori nei procedimenti civili è disciplinata dal capitolo 15 del codice di procedura. L’art. 3 di tale capitolo prevede la possibilità di disporre provvedimenti provvisori in favore dell’attore per tutelare i diritti di quest’ultimo. In base a tale disposizione, se l’attore dimostra la fondatezza delle sue pretese nei confronti di un terzo, che queste sono o possono essere oggetto di un ricorso e che tale soggetto terzo è in grado di lederle con un’azione od omissione, il giudice competente può disporre provvedimenti d’interdizione o d’ingiunzione, accompagnati, se del caso, da sanzioni pecuniarie nei confronti di tale terzo.
9 Il medesimo capitolo 15, art. 7, impone all’attore a vantaggio del quale sono stati adottati i provvedimenti provvisori, applicando in particolare l’art. 3 del detto capitolo, di presentare dinanzi al giudice competente un ricorso nel merito un mese dopo la concessione di tali provvedimenti, dato che questi ultimi possono assicurare una tutela provvisoria dei diritti che l’attore fa valere e garantire il rispetto di tali diritti solo sino alla pronuncia di merito. La legge sulle lotterie
10 In forza della legge sulle lotterie, le attività relative alle lotterie aperte al pubblico e, più ampiamente, tutti i giochi le cui possibilità di vincita si fondano sul caso, quali le scommesse, il lotto, le macchine per il gioco d’azzardo e la roulette, sono soggette ad un’autorizzazione amministrativa rilasciata dalle autorità competenti a livello locale o nazionale.
11 La decisione di rigetto di una domanda di autorizzazione diretta ad organizzare tali attività può essere impugnata dinanzi ai giudici amministrativi di primo grado o, se detta decisione emana dal governo, dinanzi al Regeringsrätten (Corte amministrativa suprema). In tale contesto, tali giudici possono essere portati a verificare, in via incidentale, la conformità di una disposizione legislativa applicabile al diritto comunitario, la quale se del caso deve essere disapplicata.
12 L’art. 38 della legge sulle lotterie vieta di promuovere, a titolo professionale o in altro modo a fine di lucro, la partecipazione ad una lotteria non autorizzata organizzata in Svezia o ad una lotteria organizzata al di fuori della Svezia.
13 In forza dell’art. 52 di tale legge, detto divieto può dar luogo ad ingiunzioni la cui violazione è passibile di ammende amministrative. I provvedimenti amministrativi adottati dalle autorità competenti su tale base possono essere impugnati dinanzi ai giudici amministrativi, i quali possono ordinare la sospensione della loro esecuzione ed essere portati a verificare, in via incidentale, la conformità di una disposizione legislativa applicabile al diritto comunitario, che dev’essere, se del caso, disapplicata.
14 Il divieto di promozione previsto dall’art. 38 della legge sulle lotterie può essere oggetto di una richiesta di deroga indirizzata al governo ovvero all’autorità designata a tale scopo. La decisione di rigetto relativa ad una tale richiesta può essere impugnata, in forza della legge svedese sul controllo di legittimità di talune decisioni amministrative (lagen on rättsprövning av vissa förvaltningsbeslut, SFS 1988, n. 205), dinanzi al Regeringsrätten, che può valutare, in via incidentale, la conformità di una disposizione applicabile al diritto comunitario, la quale dev’essere, se del caso, disapplicata.
15 In forza dell’art. 54 della legge sulle lotterie, la promozione della partecipazione ad una lotteria organizzata all’estero è passibile di sanzione penale e di condanna a sei mesi di reclusione qualora detta promozione sia rivolta in maniera particolare a persone residenti in Svezia.
16 Nell’ambito di procedimenti penali avviati, a tale titolo, dalle autorità competenti, il tingsrätt (giudice ordinario di primo grado) può essere portato a verificare, in via incidentale, la conformità al diritto comunitario di una disposizione legislativa applicabile, che deve essere, se del caso, disapplicata. La controversia nella causa principale e le questioni pregiudiziali
17 Dai documenti del fascicolo risulta che, nel corso del mese di novembre 2003, l’Unibet acquistava spazi pubblicitari presso vari mass-media svedesi allo scopo di promuovere i suoi servizi di scommesse su internet. Ai sensi della legge sulle lotterie, lo Stato svedese adottava vari provvedimenti, come le ingiunzioni e l’avvio di procedimenti penali contro i mass-media che avevano accettato di fornire spazi pubblicitari all’Unibet.
18 Pur non essendo stata stessa oggetto di provvedimenti amministrativi né di procedimenti penali, l’Unibet citava in giudizio, il 1° dicembre 2003, lo Stato svedese dinanzi al tingsrätt per far constatare, in primo luogo, il suo diritto, risultante dall’art. 49 CE [2], a promuovere in Svezia i servizi di giochi e scommesse senza esserne impedita dal divieto previsto dall’art. 38 della legge sulle lotterie (in prosieguo: la "domanda dichiarativa"), in secondo luogo, per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di tale divieto di promozione (in prosieguo: la "domanda di risarcimento") e, in terzo luogo, per sentir dichiarare l’inapplicabilità nei suoi confronti di detto divieto nonché delle misure e sanzioni ad esso conseguenti (in prosieguo: la "prima domanda di provvedimenti provvisori").
19 La domanda dichiarativa veniva respinta con decisione del 2 luglio 2004 del tingsrätt. Quest’ultimo riteneva che gli argomenti invocati a sostegno di tale domanda non risultassero dall’esistenza di un rapporto giuridico concreto tra l’Unibet e lo Stato svedese e che detta domanda implicasse che si procedesse al controllo di una norma in astratto, mentre una tale azione è irricevibile in diritto svedese. Il tingsrätt non si pronunciava sulla domanda di risarcimento né sulla prima domanda di provvedimenti provvisori.
20 Su appello proposto dall’Unibet, anche la domanda dichiarativa e la prima domanda di provvedimenti provvisori venivano respinte con sentenza dello hovrätt (Corte d’Appello) dell’8 ottobre 2004. Quest’ultimo giudice riteneva infatti che la domanda dichiarativa costituisse un ricorso di accertamento irricevibile in base al diritto svedese e che non risulta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia che il principio di tutela giurisdizionale esige che venga introdotta la possibilità di esercitare un controllo di una norma in astratto quando un tale ricorso non sia previsto dal diritto nazionale. Detto giudice dichiarava peraltro che la questione della conformità del divieto di promozione, enunciato all’art. 38 della legge sulle lotterie, al diritto comunitario è valutata al momento dell’esame della domanda di risarcimento dal tingsrätt.
21 Lo hovrätt riteneva anche che, qualora la Unibet avesse esercitato i diritti che essa invocava ed avesse effettuato la promozione dei suoi servizi in Svezia, la conformità del detto divieto con il diritto comunitario avrebbe potuto essere esaminata dal giudice adito nell’ambito di un ricorso diretto contro dei provvedimenti amministrativi o un procedimento penale.
22 Lo hovrätt statuiva pertanto che la domanda dichiarativa dell’Unibet non poteva considerarsi ricevibile in base al diritto comunitario e che la prima domanda di provvedimenti provvisori era divenuta priva di oggetto.
23 Nell’ambito di una prima impugnazione dinanzi allo Högsta domstolen (Corte suprema) contro la sentenza dello hovrätt dell’8 ottobre 2004, la Unibet conclude nel senso della ricevibilità della sua domanda dichiarativa e della sua prima domanda di provvedimenti provvisori in forza tanto del diritto svedese quanto del diritto comunitario.
24 Poco tempo dopo la sentenza dello hovrätt dell’8 ottobre 2004 che respingeva la sua domanda dichiarativa e la sua prima domanda di provvedimenti provvisori, l’Unibet adiva il tingsrätt con una nuova domanda di provvedimenti provvisori per l’autorizzazione immediata, nonostante il divieto di promozione previsto dall’art. 38 della legge sulle lotterie, a promuovere i suoi servizi in attesa della conclusione del procedimento di merito relativo alla domanda di risarcimento e attenuare il pregiudizio connesso a tale divieto (in prosieguo: la "seconda domanda di provvedimenti provvisori"). L’Unibet affermava che tale domanda era direttamente connessa alla violazione dei diritti ad essa spettanti in base al diritto comunitario nonché alla sua domanda di risarcimento in quanto diretta a far cessare il danno derivante da una tale violazione.
25 Con sentenza 12 novembre 2004, il tingsrätt respingeva detta domanda ritenendo che l’esame della causa non avesse dimostrato che l’art. 38 della legge sulle lotterie contrasta con il diritto comunitario e che l’Unibet non avesse neppure provato l’esistenza di un serio dubbio circa la conformità del divieto previsto da tale disposizione con il diritto comunitario. L’appello proposto dall’Unibet avverso tale pronuncia veniva ugualmente respinto con una sentenza dello hovrätt del 26 gennaio 2005.
26 Nell’ambito di una seconda impugnazione dinanzi allo Högsta domstolen, la Unibet chiede l’annullamento di questa sentenza dello hovrätt e la pronuncia di provvedimenti provvisori conformemente alla sua domanda di primo grado.
27 Per quanto riguarda la prima impugnazione, il giudice del rinvio sottolinea che, secondo il diritto svedese, un ricorso autonomo non può essere proposto allo scopo di far constatare, in via principale, la mancata conformità di una disposizione nazionale con una norma di rango superiore. Il giudice del rinvio si pone la questione, a tal proposito, circa i requisiti comunitari del principio di tutela giurisdizionale, pur rilevando che l’Unibet potrebbe ottenere l’esame della conformità della legge sulle lotterie con il diritto comunitario qualora essa dovesse violare le disposizioni di tale legge e dovesse essere oggetto di procedimenti penali o nell’ambito di un’azione di risarcimento o ancora in occasione del controllo giurisdizionale di decisioni amministrative che respingono, se del caso, una richiesta di autorizzazione o di deroga presentata in base a detta legge.
28 Secondo il giudice del rinvio, la prima domanda di provvedimenti provvisori presentata dinanzi ai giudici di merito nell’ambito di tale impugnazione solleva questioni simili poiché in diritto svedese una tale domanda non può essere ricevibile se la domanda principale è essa stessa irricevibile.
29 Per quanto riguarda la seconda impugnazione relativa alla seconda domanda di provvedimenti provvisori, il giudice del rinvio ritiene che si pongano questioni di diritto comunitario, dal momento che l’Unibet sostiene che la detta domanda è connessa a diritti ad essa spettanti in forza del diritto comunitario. Tali questioni riguarderebbero essenzialmente i criteri da attuare per la concessione di tali provvedimenti nel contesto della controversia principale.
30 Ritenendo, in tali circostanze, che la soluzione della controversia nella causa principale necessiti di un’interpretazione del diritto comunitario, lo Högsta domstolen ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
"1) Se il requisito di diritto comunitario in base al quale le norme processuali nazionali devono offrire una tutela effettiva ai diritti conferiti ai privati dall’ordinamento giuridico comunitario, debba essere interpretato nel senso che è ammissibile la proposizione di un’azione per far dichiarare che talune disposizioni nazionali sono contrarie all’art. 49 del Trattato CE, nel caso in cui la compatibilità delle medesime disposizioni nazionali con il detto articolo possa essere valutata esclusivamente in via pregiudiziale, ad esempio in un’azione civile di risarcimento dei danni, in un procedimento riguardante la concreta violazione di una disposizione nazionale o in un’azione di controllo della legittimità.
2) Se il requisito di diritto comunitario di una tutela effettiva implichi che l’ordinamento giuridico nazionale deve offrire una tutela provvisoria per cui le norme giuridiche nazionali che ostano all’esercizio del diritto rivendicato, fondato sul diritto comunitario, possano essere disapplicate nei confronti di un privato per consentirgli l’esercizio di tale diritto, fino a quando la questione dell’esistenza del diritto stesso sia stata valutata in via definitiva dal giudice nazionale.
3) Nel caso in cui la risposta alla questione n. 2 sia affermativa, se il diritto comunitario implichi che un giudice nazionale, in una situazione in cui è questione della compatibilità delle disposizioni nazionali con il diritto comunitario, in sede di valutazione di una richiesta di tutela provvisoria dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario, debba applicare disposizioni nazionali relative ai presupposti di tale tutela oppure, in tale situazione, debba applicare i criteri di diritto comunitario relativi alla detta tutela. 4) Nel caso in cui la risposta alla questione n. 3 sia che devono essere applicati i criteri del diritto comunitario, quali essi siano".Sulle questioni pregiudizialiConsiderazioni preliminari
31 Occorre disattendere l’argomentazione del governo belga secondo cui la presente domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile a causa dell’inesistenza di una vera controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio.
32 Infatti, così come ha rilevato l’Avvocato generale al paragrafo 23 delle sue conclusioni, esiste una controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio nel senso che l’Unibet ha adito i giudici svedesi per far dichiarare l’art. 38 della legge sulle lotterie in contrasto con l’art. 49 CE, onde essere autorizzata a promuovere in Svezia i suoi servizi, ed ottenere il risarcimento del danno ch’essa sostiene di aver subito in ragione del divieto previsto dall’art. 38.
33 Orbene, il problema di sapere se l’azione dell’Unibet sia ricevibile dinanzi ai giudici svedesi, oggetto della prima questione sottoposta dal giudice del rinvio, non ha alcuna incidenza per la valutazione della ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale.
34 La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame è quindi ricevibile.
35 Di conseguenza, occorre risolvere le questioni sottoposte dal giudice del rinvio, tenendo conto delle indicazioni fornite da quest’ultimo per quanto riguarda il contesto normativo svedese quale è stato esposto ai punti da 3 a 16 della presente sentenza. Sulla prima questione
36 Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario debba essere interpretato nel senso ch’esso richiede, nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, l’esistenza di un ricorso autonomo diretto ad esaminare, in via principale, la conformità di disposizioni nazionali con l’art. 49 CE, qualora altri rimedi giurisdizionali consentano di valutare in via incidentale una tale conformità.
37 Prima di tutto si deve ricordare che, in base ad una giurisprudenza costante, il principio di tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale di diritto comunitario che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (sentenze 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punti 18 e 19; 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag. 4097, punto 14; 27 novembre 2001, causa C-424/99, Commissione/Austria, Racc. pag. I-9285, punto 45; 25 luglio 2002, causa C-50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc. pag. I-6677, punto 39, e 19 giugno 2003, causa C-467/01, Eribrand, Racc. pag. I-6471, punto 61) e che è stato ribadito anche all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1).
38 A tal riguardo, è compito dei giudici nazionali, secondo il principio di collaborazione enunciato dall’art. 10 CE, garantire la tutela giurisdizionale dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario (v., in tal senso, sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe, Racc. pag. 1989, punto 5, e causa 45/76, Comet, Racc. pag. 2043, punto 12; 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, punti 21 e 22; 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame e a., Racc. pag. I-2433, punto 19, nonché 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 12).
39 Occorre altresì ricordare che, in mancanza di una disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario (v., in particolare, sentenze citate Rewe, punto 5; Comet, punto 13; Peterbroeck, punto 12; 20 settembre 2001, causa C-453/99, Courage e Crehan, Racc. pag. I-6297, punto 29, nonché 11 settembre 2003, causa C-13/01, Safalero, Racc. pag. I-8679, punto 49).
40 Infatti, nonostante il Trattato CE abbia istituito un certo numero di azioni dirette che possono essere eventualmente esperite dai singoli dinanzi al giudice comunitario, non ha comunque inteso creare mezzi d’impugnazione esperibili dinanzi ai giudici nazionali, onde salvaguardare il diritto comunitario, diversi da quelli già contemplati dal diritto nazionale (sentenza 7 luglio 1981, causa 158/80, Rewe, Racc. pag. 1805, punto 44).
41 La situazione sarebbe diversa solo se risultasse dall’economia dell’ordinamento giuridico nazionale in questione che non esiste alcun mezzo di gravame che permette, anche in via incidentale, di garantire il rispetto dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario (v., in tal senso, sentenza 16 dicembre 1976, Rewe, cit., punto 5, e citate sentenze Comet, punto 16, nonché Factortame e a., punti 19-23).
42 Pertanto, anche se in via di principio spetta al diritto nazionale determinare la legittimazione e l’interesse ad agire di un soggetto dell’ordinamento, il diritto comunitario richiede tuttavia che la normativa nazionale non leda il diritto ad una effettiva tutela giurisdizionale (v., in particolare, sentenze 11 luglio 1991, cause riunite da C-87/90 a C-89/90, Verholen e a., Racc. pag. I-3757, punto 24 e Safalero, cit., punto 50). Spetta infatti agli Stati membri prevedere un sistema di rimedi giurisdizionali e di procedimenti inteso a garantire il rispetto di tale diritto (sentenza Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, cit., punto 41).
43 A tal riguardo, le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, sentenza 16 dicembre 1976, Rewe, cit., punto 5, e citate sentenze Comet, punti 13-16; Peterbroeck, punto 12; Courage e Crehan, punto 29; Eribrand, punto 62, nonché Safalero, punto 49).
44 Inoltre, spetta ai giudici nazionali interpretare le modalità procedurali applicabili ai ricorsi di cui essi sono investiti, quali l’esigenza di un rapporto giuridico concreto tra il ricorrente e lo Stato, per quanto possibile in modo tale che dette modalità possano ricevere un’applicazione che contribuisca al perseguimento dell’obiettivo, ricordato al punto 37 della presente sentenza, di garantire una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario.
45 È alla luce di tali considerazioni che occorre risolvere la prima questione sottoposta dal giudice del rinvio.
46 Secondo quest’ultimo, il diritto svedese non prevede la possibilità di esperire un ricorso autonomo diretto a contestare, in via principale, la conformità di disposizioni nazionali con norme di rango superiore.
47 A tal riguardo, occorre ricordare, così come risulta dalla giurisprudenza comunitaria menzionata al punto 40 della presente sentenza e come hanno affermato tutti i governi che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte nonché la Commissione delle Comunità europee, che il principio di tutela giurisdizionale effettiva non richiede, in quanto tale, l’esistenza di un ricorso autonomo diretto, in via principale, a contestare la conformità di disposizioni nazionali con norme comunitarie, purché il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività sia garantito nell’ambito del sistema dei ricorsi interni.
48 Orbene, in primo luogo, risulta dall’ordinanza di rinvio che il diritto svedese non prevede la possibilità di esperire un tale ricorso autonomo, sia che la norma di rango superiore, il cui rispetto occorre garantire, sia nazionale o comunitaria.
49 Per quanto riguarda queste due categorie di norme, il diritto svedese lascia tuttavia ai singoli la possibilità di ottenere un esame, in via incidentale, di tale questione di conformità, nell’ambito di procedure introdotte dinanzi ai giudici ordinari o dinanzi ai giudici amministrativi.
50 Dall’ordinanza di rinvio risulta anche che il giudice incaricato di decidere tale questione debba disapplicare la disposizione controversa qualora esso non la ritenga conforme ad una norma di rango superiore, sia che si tratti di una norma nazionale o comunitaria.
51 Nell’ambito di tale esame, è solo in caso di non conformità manifesta di una disposizione emanata dal Parlamento o dal governo svedese con una norma di rango superiore che una tale disposizione rimane disapplicata. Così come è stato rilevato al punto 3 della presente sentenza, tale condizione non viene invece richiesta quando la norma di rango superiore in questione è una norma di diritto comunitario.
52 Pertanto così come hanno rilevato tutti i governi che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte, nonché la Commissione, è giocoforza constatare che le modalità procedurali dei ricorsi istituiti dal diritto svedese per garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in base al diritto comunitario non sono meno favorevoli di quelli dei ricorsi volti a garantire la tutela dei diritti dei singoli fondati su disposizioni interne.
53 Occorre, in secondo luogo, verificare se i rimedi giurisdizionali incidentali previsti dal diritto svedese per contestare la conformità di una disposizione nazionale con il diritto comunitario non abbiano l’effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario.
54 A tal riguardo, ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto comunitario dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, del suo svolgimento e delle sue peculiarità dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali (v. sentenza Peterbroeck, cit., punto 14).
55 Orbene, risulta dall’ordinanza di rinvio che il diritto svedese non esclude la possibilità per il singolo, come l’Unibet, di contestare la conformità di una legislazione nazionale quale la legge sulle lotterie con il diritto comunitario, ma che, al contrario, esistono a tale scopo vari rimedi incidentali.
56 Così, da una parte, il giudice del rinvio precisa che l’Unibet ha la possibilità di ottenere un esame relativo alla conformità della legge sulle lotterie nell’ambito di una domanda di risarcimento dinanzi ai giudici ordinari.
57 Inoltre, dall’ordinanza di rinvio risulta che la Unibet ha presentato una tale domanda, che è stata dichiarata ricevibile.
58 Di conseguenza, poiché l’esame relativo alla conformità della legge sulle lotterie con il diritto comunitario avverrà nell’ambito della valutazione della domanda di risarcimento, la detta domanda costituisce un’azione che consente alla Unibet di garantire la tutela effettiva dei diritti conferiti a quest’ultima dal diritto comunitario.
59 Al tal riguardo, spetta al giudice del rinvio garantire che l’esame sulla conformità della legge con il diritto comunitario avverrà indipendentemente dalla valutazione di merito vertente sulle condizioni relative al danno e al nesso di causalità nell’ambito dell’azione di risarcimento.
60 D’altra parte, il giudice del rinvio aggiunge che se la Unibet richiedesse al governo svedese una deroga al divieto di promuovere in Svezia i suoi servizi, la decisione eventuale di rigetto di tale domanda sarebbe soggetta ad un controllo giurisdizionale del Regeringsrätten nell’ambito del quale la Unibet potrebbe far valere la mancata conformità delle disposizioni della legge sulle lotterie con il diritto comunitario. Se del caso, il giudice competente sarebbe tenuto a disapplicare le disposizioni di tale legge dichiarate in contrasto con il diritto comunitario.
61 A tal riguardo, occorre rilevare che un tale controllo giurisdizionale, che consente alla Unibet di ottenere una pronuncia giurisdizionale che dichiari la mancata conformità di dette disposizioni con il diritto comunitario, costituisce un rimedio giurisdizionale che le garantisce una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che le spettano in forza del diritto comunitario (v., in tal senso, sentenze Heylens e a., cit., punto 14, e 7 maggio 1991, Vlassopoulou, causa C-340/89, Racc. pag. I-2357, punto 22).
62 D’altronde, il giudice del rinvio precisa che qualora la Unibet dovesse violare le disposizioni della legge sulle lotterie ed essere oggetto di provvedimenti amministrativi o di procedimenti penali da parte delle autorità nazionali competenti, essa avrebbe la possibilità, nell’ambito di un procedimento introdotto dinanzi ad un giudice amministrativo o ad un giudice ordinario, di contestare la conformità delle dette disposizioni con il diritto comunitario. Se del caso, il giudice competente sarebbe tenuto a disapplicare le disposizioni di detta legge dichiarate in contrasto al diritto comunitario.
63 Oltre ai rimedi giurisdizionali esposti ai punti 56 e 60 della presente sentenza, la Unibet avrebbe dunque la possibilità di far valere, nell’ambito di un ricorso giurisdizionale intentato contro l’amministrazione o nell’ambito di un procedimento penale, la mancata conformità con il diritto comunitario dei provvedimenti presi o richiesti nei suoi confronti in ragione del fatto che la promozione dei suoi servizi in Svezia non è stata autorizzata dalle autorità nazionali competenti. 64 In ogni caso, risulta dai punti 56-61 della presente sentenza che occorre considerare che la Unibet dispone di rimedi giurisdizionali che le garantiscono una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti ad essa spettanti in forza dell’ordinamento giuridico comunitario. Se, al contrario, così come è stato menzionato al punto 62 della presente sentenza, essa fosse obbligata ad esporsi a procedimenti amministrativi o penali nei suoi confronti e alle sanzioni che ne possono derivare, come unico rimedio giurisdizionale per contestare la conformità di disposizioni nazionali in causa con il diritto comunitario, ciò non basterebbe a garantirgli una tale tutela giurisdizionale effettiva. 65 Di conseguenza, occorre rispondere alla prima questione che il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che esso non richiede, nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, l’esistenza di un ricorso autonomo diretto, in via principale, ad esaminare la conformità di disposizioni nazionali con l’art. 49 CE, qualora altri mezzi di gravame effettivi, non meno favorevoli di quelli che disciplinano azioni nazionali simili, consentano di valutare in via incidentale una tale conformità, ciò che spetta al giudice nazionale verificare.Sulla seconda questione
66 Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario richieda, nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, la possibilità di ottenere che provvedimenti provvisori siano concessi per sospendere l’applicazione di disposizioni nazionali fino a quando il giudice competente si sia pronunciato sulla loro conformità con il diritto comunitario.
67 In via preliminare, si deve ricordare che il giudice nazionale investito di una controversia disciplinata dal diritto comunitario deve essere in grado di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della successiva pronuncia giurisdizionale sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario (sentenze Factortame e a., cit., punto 21, e 11 gennaio 2001, causa C-226/99, Siples, Racc. pag. I-277, punto 19).
68 Nel contesto giuridico nazionale quale esposto nell’ordinanza di rinvio, le richieste di tali provvedimenti sono volti a garantire una tutela provvisoria dei diritti che il ricorrente fa valere nel merito, così come risulta dal punto 9 della presente sentenza.
69 Nella controversia principale pendente, è pacifico che l’Unibet abbia proposto due domande di provvedimenti provvisori, la prima nell’ambito di una domanda dichiarativa, la seconda nell’ambito di una domanda di risarcimento.
70 Per quanto riguarda la prima di queste due domande di provvedimenti provvisori, risulta dall’ordinanza di rinvio che la domanda dichiarativa è dichiarata irricevibile, in forza del diritto nazionale, in primo grado e in appello. Pur confermando detta interpretazione del diritto nazionale, il giudice del rinvio si è tuttavia interrogato sui requisiti del diritto comunitario, a tal riguardo, il che lo ha condotto a proporre la prima questione pregiudiziale (v. punti da 36 a 65 della presente sentenza).
71 Orbene, risulta dalla soluzione apportata alla prima questione che il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario non richiede, nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, l’esistenza di un ricorso autonomo diretto, in via principale, ad esaminare la conformità di disposizioni nazionali con il diritto comunitario, qualora altri rimedi giurisdizionali consentano di valutare in via incidentale una tale conformità, ciò che spetta al giudice nazionale verificare.
72 Quando la ricevibilità di un ricorso diretto a garantire il rispetto dei diritti spettanti al singolo in forza del diritto comunitario, non è certa in forza del diritto nazionale, applicato conformemente ai requisiti di diritto comunitario, il principio di tutela giurisdizionale effettiva richiede che il giudice nazionale possa, ciononostante, fin da tale fase concedere i provvedimenti provvisori necessari per garantire il rispetto di tali diritti.
73 Tuttavia, il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario non richiede, nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, la possibilità di ottenere che dei provvedimenti provvisori siano concessi dal giudice nazionale competente nell’ambito di una domanda irricevibile in base al diritto di tale Stato membro, purché il diritto comunitario, interpretato conformemente al punto 71 della presente sentenza, non rimetta in questione detta irricevibilità.
74 Per quanto riguarda la domanda di provvedimenti provvisori presentata nell’ambito dell’azione di risarcimento, risulta dall’ordinanza di rinvio e dagli altri documenti del fascicolo che tale domanda è stata dichiarata ricevibile.
75 Così come ha rilevato l’Avvocato generale al paragrafo 74 delle sue conclusioni e come è stato ricordato al punto 67 della presente sentenza, il giudice nazionale investito di una controversia disciplinata dal diritto comunitario dev’essere in grado di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della successiva pronuncia giurisdizionale sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario.
76 Di conseguenza, dal momento che il giudice nazionale competente esaminerà, nell’ambito di un’azione di risarcimento, la conformità della legge sulle lotterie con il diritto comunitario, esso deve poter accordare i provvedimenti provvisori richiesti se la concessione di tali provvedimenti è necessaria, ciò che spetta al giudice nazionale verificare, per garantire la piena efficacia della successiva pronuncia giurisdizionale sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario.
77 Si evince da quanto precede, che occorre risolvere la seconda questione dichiarando che il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che esso richiede, nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, che provvedimenti provvisori possano essere concessi fino a quando il giudice competente si sia pronunciato sulla conformità di disposizioni nazionali con il diritto comunitario, quando la concessione di tali provvedimenti è necessaria per garantire la piena efficacia della successiva pronuncia giurisdizionale sull’esistenza di tali diritti. Sulla terza questione
78 Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se considerato il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario e in caso di dubbio sulla conformità di disposizioni nazionali con quest’ultimo, la concessione di provvedimenti provvisori per sospendere l’applicazione di dette disposizioni fino a quando il giudice competente si sia pronunciato sulla loro conformità con il diritto comunitario sia disciplinata dai criteri fissati dal diritto nazionale applicabile dinanzi al giudice competente o dai criteri comunitari.
79 A tal riguardo, risulta, certo, da una giurisprudenza costante che la sospensione dell’esecuzione di una disposizione nazionale fondata su una normativa comunitaria in una controversia pendente dinanzi al giudice nazionale, pur essendo disciplinata da norme di rito nazionali sia assoggettata in tutti gli Stati membri a condizioni di concessione uniformi e analoghe a quelle dei provvedimenti urgenti dinanzi al giudice comunitario (sentenze 21 febbraio 1991, cause riunite C-143/88 e C-92/89, Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest, Racc. pag. I-415, punti 26 e 27; 9 novembre 1995, causa C-465/93, Atlanta Fruchthandelsgesellschaft, Racc. pag. I-3761, punto 39, e 6 dicembre 2005, cause riunite C-453/03, C-11/04, C-12/04 e C-194/04, ABNA e a., Racc. pag. I-10423, punto 104). Tuttavia, la controversia principale è diversa da quelle che hanno portato a tali sentenze, in quanto la domanda di provvedimenti provvisori della Unibet non mira a sospendere gli effetti di una disposizione nazionale adottata sulla base della disciplina comunitaria la cui legittimità sarebbe contestata, ma gli effetti di una normativa nazionale la cui conformità con il diritto comunitario è contestata.
80 Pertanto, in mancanza di una disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascun Stato membro stabilire le condizioni per la concessione di provvedimenti provvisori intesi a garantire la salvaguardia dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario.
81 Di conseguenza, la concessione di provvedimenti provvisori per sospendere l’applicazione di disposizioni nazionali fino a quando il giudice competente si sia pronunciato sulla loro conformità con il diritto comunitario è disciplinata dai criteri fissati dal diritto nazionale applicabile dinanzi a tale giudice.
82 Tuttavia, tali criteri non possono essere meno vantaggiosi di quelli concernenti domande simili di natura interna (principio di equivalenza) né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile la tutela giurisdizionale provvisoria dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività).
83 Pertanto, occorre risolvere la terza questione dichiarando che il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che, in caso di dubbio sulla conformità di disposizioni nazionali con il diritto comunitario, la concessione eventuale di provvedimenti provvisori per sospendere l’applicazione di dette disposizioni fino a quando il giudice competente si sia pronunciato sulla loro conformità con il diritto comunitario è disciplinata dai criteri fissati dal diritto nazionale applicabile dinanzi a detto giudice, purché tali criteri non siano meno favorevoli di quelli concernenti domande simili di natura interna e non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile la tutela giurisdizionale provvisoria di tali diritti. Sulla quarta questione
84 Considerata la soluzione data alla terza questione, non occorre risolvere la quarta questione. Sulle spese
85 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi,
la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) Il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che esso non richiede, nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, l’esistenza di un ricorso autonomo diretto, in via principale, ad esaminare la conformità di disposizioni nazionali con l’art. 49 CE, qualora altri mezzi di gravame effettivi, non meno favorevoli di quelli che disciplinano azioni nazionali simili, consentano di valutare in via incidentale una tale conformità, ciò che spetta al giudice nazionale verificare.
2) Il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che, in caso di dubbio sulla conformità di disposizioni nazionali con il diritto comunitario, la concessione eventuale di provvedimenti provvisori per sospendere l’applicazione di dette disposizioni fino a quando il giudice competente si sia pronunciato sulla loro conformità con il diritto comunitario è disciplinata dai criteri fissati dal diritto nazionale applicabile dinanzi a detto giudice, purché tali criteri non siano meno favorevoli di quelli concernenti domande simili di natura interna e non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile la tutela giurisdizionale provvisoria di tali diritti.
3) Il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che, in caso di dubbio sulla conformità di disposizioni nazionali con il diritto comunitario, la concessione eventuale di provvedimenti provvisori per sospendere l’applicazione di dette disposizioni fino a quando il giudice competente si sia pronunciato sulla loro conformità con il diritto comunitario è disciplinata dai criteri fissati dal diritto nazionale applicabile dinanzi a detto giudice, purché tali criteri non siano meno favorevoli di quelli concernenti domande simili di natura interna e non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile la tutela giurisdizionale provvisoria di tali diritti.

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