domenica 27 settembre 2009

Le aree destinate a parcheggio dei veicoli. legislazioni e normative

Le aree destinate a parcheggio dei veicoli, legislazioni e normative













Breve descrizione della evoluzione storica della 

normativa riguardanti tale aree





Innanzitutto, per area destinata a parcheggio si 

intende quella porzione di suolo, posta sia in 

superficie che nel sottosuolo degli edifici, necessaria 

alla sosta, alla manovra o all'accesso dei veicoli

La disciplina giuridica di tale aree è stata caratterizzata 

da vari interventi legislativi, che si sono succeduti 

nel tempo, nonchè da un forte dibattito dottrinale 

e giurisprudenziale che sembra non essere ancora 

terminato.





La legge 267 del 1967 (Legge Ponte)





Il primo intervento legislativo finalizzato a 

disciplinare organicamente la materie venne 

posto in essere con la legge 765/1967 

(Legge Ponte) che prevedeva, all'art 18, 

che le costruzioni realizzate in seguito 

alla data del 1 settembre 1967 fossero 

provviste di spazi destinati a parcheggio 

in misura non inferiore ad un metro 

quadrato per ogni venti metri cubi di 

costruzione. Tali parcheggi avrebbero 

dovuto essere posti nelle adiacenze 

degli edifici, o ubicati sia all'interno che 

nel sottosuolo degli edifici stessi.

Tuttavia, tale primo intervento legislativo 

non definiva la natura del vincolo delle 

aree adibite a parcheggio per cui dovette 

intervenire prima la dottrina e poi la 

giurisprudenza.





1) Secondo un primo orientamento 

dottrinario, il vincolo de quo avrebbe 

dovuto essere considerato un vincolo 

oggettivo di destinazione, per cui i legittimi 

proprietari di tali aree avrebbero potuto 

liberamente disporne anche verso 

soggetti “esterni”. Si tratterebbe, 

quindi, di un mero vincolo oggettivo

cioè la semplice destinazione a parcheggi 

di determinate aree ubicate presso le 

abitazioni.





2) Un altro orientamento, invece, 

individuava nei parcheggi un vincolo 

di destinazione di tipo soggettivo

cioè tali aree avrebbero potuto essere 

utilizzate soltanto dai proprietari o dai 

detentori qualificati delle unità abitative 

di riferimento. In base a ciò, se il parcheggio 

fosse interno all'edificio, quello si sarebbe 

dovuto ascrivere ai servizi comuni ex 

art. 1117 c.c.. Se invece il parcheggio 

fosse adiacente all'edificio, quello 

avrebbe dovuto qualificarsi come 

pertinenza ex lege 

(sul punto si veda anche: 

Cass. Civ. Sent. 244 del 1995).





3) Infine, un terzo orientamento 

riteneva che i proprietari delle unità 

abitative avessero un diritto d'uso 

sui parcheggi. Tale diritto avrebbe potuto 

farsi valere anche in caso di trasferimento 

delle aree a tale fine destinate. La mancata 

previsione di detto diritto d'uso avrebbe 

comportato la nullità ex art. 1418 c.c. 

del contratto di compravendita dell'unità 

abitativa considerata (sul punto si veda anche: 

Cass. Civ. Sez. Unite Sent. 9631 del 1996).





Al di là del dibattito dottrinale, invece, 

la Suprema Corte con la Sentenza a 

Sezioni Unite n. 6600 del 1984 enunciò 

alcuni punti fermi sulla portata e 

sull'applicazione dell'art 18 della Legge 

Ponte. Innanzitutto, l'art 18 venne 

considerato norma imperativa operante 

anche tra privati. In secondo luogo, 

il posto auto venne considerato una 

pertinenza ex lege dell'immobile adibito 

ad abitazione. Infine, una ipotetica 

vendita dell'unità abitativa senza il 

parcheggio avrebbe comportato 

l'integrazione ex art. 1347 c.c. del 

contratto di compravendita, 

determinando in capo all'ex proprietario 

un diritto reale d'uso sull'area adibita a 

parcheggio.





La legge 47 del 1985

In seguito, il Legislatore intervenne 

ancora sul regime giuridico riguardante 

dette aree con l'art 26 della legge 47 del 

1985. Tale articolo stabiliva testualmente 

che le aree destinate a parcheggio 

costituivano delle vere e proprie pertinenze 

delle costruzioni ai sensi 

degli art. 817, 818, 819 c.c. e seguenti. 

La portata di tale intervento normativo 

venne poi precisata dalla pronuncia della 

Cassazione a S.U. n. 3363 del 1989

la quale chiarì il valore normativo della 

legge 47/1985 e ribadì che l'ex proprietario 

avrebbe avuto diritto 

a godere di un diritto reale d'uso 

sulle aree adibite 

a parcheggio.





La legge n. 122 del 1989 (Legge Tognoli )

Di seguito, la Legge Tognoli (L. 122 del 1989) disciplinò 

ulteriormente l'ambito in esame, immettendo notevoli 

innovazioni. In primo luogo, stabilì un nuovo 

rapporto di un metro quadro di parcheggi 

per ogni dieci metri cubi di costruzione. 

Inoltre, veniva disposto un nuovo regime 

di agevolazioni fiscali per i costruttori. 

Infine, venne stabilito che le aree 

adibite a parcheggio non avrebbero 

potuto essere cedute separatamente 

rispetto all'unità abitativa alla quale 

erano legate da vincolo pertinenziale. 

In caso contrario, l'atto di compravendita 

sarebbe stato nullo ex art. 1418 c.c..

Tale legge, però, portò ulteriori problemi 

interpretativi ed applicativi, soprattutto 

riguardo all'ipotesi, molto frequente nella 

pratica, di realizzazione di posti auto in 

eccedenza rispetto a quanto richiesto dalla 

disciplina di settore.

Quindi, tali dubbi vennero fugati ancora 

dalla Suprema Corte.

In base ad un primo orientamento 

giurisprudenziale, dettato 

dalla Cassazione conSent. 10459 del 2001

il vincolo di destinazione

riguarderebbe l'intera area adibita 

a parcheggio, a prescindere dal fatto 

per cui una parte dei posti 

auto sarebbe eccessiva rispetto a quanto 

richiesto della legge. Invece, in base ad un secondo 

orientamento, peraltro confermato dalla Sezioni Unite 

con Sent. 12793 del 2005, la aree che eccedono la misura

imposta dalla legge non sarebbero soggette 

a nessun vincolo e quindi il proprietario potrebbe

 legittimamente cederle a terzi.





La legge 246 del 2005

In ultimo, si registra un ulteriore intervento 

legislativo con la recente 

L. 246 del 2005. In base a tale norma gli spazi 

adibiti a parcheggi non

sono gravati da vincoli pertinenziali di 

sorta né da diritti d'uso 

a favore dei proprietari di altre unità immobiliari 

e sono trasferibili

autonomamente da esse. Dalla predetta 

disposizione si evince che

è stato tolto da tale aree sia il vincolo 

pertinenziale che il relativo 

diritto d'uso. Inoltre, viene finalmente 

stabilita la possibilità per gli aventi diritto di 

cedere liberamente i posti auto, senza alcun 

obbligo verso i titolari delle unità 

abitative a cui si riferiscono.

Infine, la Cassazione con la Sent. 4264 

del 2006, in sostanza, chiarisce che 

la sopra detta norma si applica solo 

per i parcheggi realizzati con le 

nuove abitazioni ed ha come destinatari 

i privati e la loro autonomia negoziale.





Avv. Azzeccagarbugli


Le aree destinate a parcheggio dei veicoli. legislazioni e normative

Le aree destinate a parcheggio dei veicoli, legislazioni e normative






Breve descrizione della evoluzione storica della 
normativa riguardanti tale aree


Innanzitutto, per area destinata a parcheggio si 
intende quella porzione di suolo, posta sia in 
superficie che nel sottosuolo degli edifici, necessaria 
alla sosta, alla manovra o all'accesso dei veicoli
La disciplina giuridica di tale aree è stata caratterizzata 
da vari interventi legislativi, che si sono succeduti 
nel tempo, nonchè da un forte dibattito dottrinale 
e giurisprudenziale che sembra non essere ancora 
terminato.


La legge 267 del 1967 (Legge Ponte)


Il primo intervento legislativo finalizzato a 
disciplinare organicamente la materie venne 
posto in essere con la legge 765/1967 
(Legge Ponte) che prevedeva, all'art 18, 
che le costruzioni realizzate in seguito 
alla data del 1 settembre 1967 fossero 
provviste di spazi destinati a parcheggio 
in misura non inferiore ad un metro 
quadrato per ogni venti metri cubi di 
costruzione. Tali parcheggi avrebbero 
dovuto essere posti nelle adiacenze 
degli edifici, o ubicati sia all'interno che 
nel sottosuolo degli edifici stessi.
Tuttavia, tale primo intervento legislativo 
non definiva la natura del vincolo delle 
aree adibite a parcheggio per cui dovette 
intervenire prima la dottrina e poi la 
giurisprudenza.


1) Secondo un primo orientamento 
dottrinario, il vincolo de quo avrebbe 
dovuto essere considerato un vincolo 
oggettivo di destinazione, per cui i legittimi 
proprietari di tali aree avrebbero potuto 
liberamente disporne anche verso 
soggetti “esterni”. Si tratterebbe, 
quindi, di un mero vincolo oggettivo
cioè la semplice destinazione a parcheggi 
di determinate aree ubicate presso le 
abitazioni.


2) Un altro orientamento, invece, 
individuava nei parcheggi un vincolo 
di destinazione di tipo soggettivo
cioè tali aree avrebbero potuto essere 
utilizzate soltanto dai proprietari o dai 
detentori qualificati delle unità abitative 
di riferimento. In base a ciò, se il parcheggio 
fosse interno all'edificio, quello si sarebbe 
dovuto ascrivere ai servizi comuni ex 
art. 1117 c.c.. Se invece il parcheggio 
fosse adiacente all'edificio, quello 
avrebbe dovuto qualificarsi come 
pertinenza ex lege 
(sul punto si veda anche: 
Cass. Civ. Sent. 244 del 1995).


3) Infine, un terzo orientamento 
riteneva che i proprietari delle unità 
abitative avessero un diritto d'uso 
sui parcheggi. Tale diritto avrebbe potuto 
farsi valere anche in caso di trasferimento 
delle aree a tale fine destinate. La mancata 
previsione di detto diritto d'uso avrebbe 
comportato la nullità ex art. 1418 c.c. 
del contratto di compravendita dell'unità 
abitativa considerata (sul punto si veda anche: 
Cass. Civ. Sez. Unite Sent. 9631 del 1996).


Al di là del dibattito dottrinale, invece, 
la Suprema Corte con la Sentenza a 
Sezioni Unite n. 6600 del 1984 enunciò 
alcuni punti fermi sulla portata e 
sull'applicazione dell'art 18 della Legge 
Ponte. Innanzitutto, l'art 18 venne 
considerato norma imperativa operante 
anche tra privati. In secondo luogo, 
il posto auto venne considerato una 
pertinenza ex lege dell'immobile adibito 
ad abitazione. Infine, una ipotetica 
vendita dell'unità abitativa senza il 
parcheggio avrebbe comportato 
l'integrazione ex art. 1347 c.c. del 
contratto di compravendita, 
determinando in capo all'ex proprietario 
un diritto reale d'uso sull'area adibita a 
parcheggio.


La legge 47 del 1985
In seguito, il Legislatore intervenne 
ancora sul regime giuridico riguardante 
dette aree con l'art 26 della legge 47 del 
1985. Tale articolo stabiliva testualmente 
che le aree destinate a parcheggio 
costituivano delle vere e proprie pertinenze 
delle costruzioni ai sensi 
degli art. 817, 818, 819 c.c. e seguenti. 
La portata di tale intervento normativo 
venne poi precisata dalla pronuncia della 
Cassazione a S.U. n. 3363 del 1989
la quale chiarì il valore normativo della 
legge 47/1985 e ribadì che l'ex proprietario 
avrebbe avuto diritto 
a godere di un diritto reale d'uso 
sulle aree adibite 
a parcheggio.


La legge n. 122 del 1989 (Legge Tognoli )
Di seguito, la Legge Tognoli (L. 122 del 1989) disciplinò 
ulteriormente l'ambito in esame, immettendo notevoli 
innovazioni. In primo luogo, stabilì un nuovo 
rapporto di un metro quadro di parcheggi 
per ogni dieci metri cubi di costruzione. 
Inoltre, veniva disposto un nuovo regime 
di agevolazioni fiscali per i costruttori. 
Infine, venne stabilito che le aree 
adibite a parcheggio non avrebbero 
potuto essere cedute separatamente 
rispetto all'unità abitativa alla quale 
erano legate da vincolo pertinenziale. 
In caso contrario, l'atto di compravendita 
sarebbe stato nullo ex art. 1418 c.c..
Tale legge, però, portò ulteriori problemi 
interpretativi ed applicativi, soprattutto 
riguardo all'ipotesi, molto frequente nella 
pratica, di realizzazione di posti auto in 
eccedenza rispetto a quanto richiesto dalla 
disciplina di settore.
Quindi, tali dubbi vennero fugati ancora 
dalla Suprema Corte.
In base ad un primo orientamento 
giurisprudenziale, dettato 
dalla Cassazione conSent. 10459 del 2001
il vincolo di destinazione
riguarderebbe l'intera area adibita 
a parcheggio, a prescindere dal fatto 
per cui una parte dei posti 
auto sarebbe eccessiva rispetto a quanto 
richiesto della legge. Invece, in base ad un secondo 
orientamento, peraltro confermato dalla Sezioni Unite 
con Sent. 12793 del 2005, la aree che eccedono la misura
imposta dalla legge non sarebbero soggette 
a nessun vincolo e quindi il proprietario potrebbe
 legittimamente cederle a terzi.


La legge 246 del 2005
In ultimo, si registra un ulteriore intervento 
legislativo con la recente 
L. 246 del 2005. In base a tale norma gli spazi 
adibiti a parcheggi non
sono gravati da vincoli pertinenziali di 
sorta né da diritti d'uso 
a favore dei proprietari di altre unità immobiliari 
e sono trasferibili
autonomamente da esse. Dalla predetta 
disposizione si evince che
è stato tolto da tale aree sia il vincolo 
pertinenziale che il relativo 
diritto d'uso. Inoltre, viene finalmente 
stabilita la possibilità per gli aventi diritto di 
cedere liberamente i posti auto, senza alcun 
obbligo verso i titolari delle unità 
abitative a cui si riferiscono.
Infine, la Cassazione con la Sent. 4264 
del 2006, in sostanza, chiarisce che 
la sopra detta norma si applica solo 
per i parcheggi realizzati con le 
nuove abitazioni ed ha come destinatari 
i privati e la loro autonomia negoziale.


Avv. Azzeccagarbugli

...Comportamenti virtuosi dagli Ordini ......

Gratuito patrocinio

Data Pubblicazione 25/9/2009

Articolo tratto da:
Italia Oggi

L'Ordine di Torino si è affidato a una società di factoring

Recuperati 100 mila euro dallo stato

Per la prima volta in Italia un Ordine degli avvocati, quello di Torino, si è fatto coordinatore di un'operazione di factoring, ossia di cessione del credito vantato nei confronti dello Stato da numerosi avvocati che lamentano forti ritardi nel pagamento delle loro prestazioni professionali nell'ambito del patrocinio a spese dello Stato e al momento, in via sperimentale, l'operazione ha riguardato 12 avvocati per complessivi 100 mila euro che sono ora stati liquidati ai diretti interessati. Secondo le stime dell'Oua, l'organismo unitario dell'avvocatura, sarebbero 5 mila avvocati in attesa di circa 10 milioni di euro di parcelle per il gratuito patrocinio non pagate dallo stato (si veda ItaliaOggi del 29 luglio 2009).

I compensi sono relativi a parcelle mai pagate da più di un anno o addirittura dal 2006 per processi celebrati davanti ai giudici del tribunale e della Corte d'appello. Torino, quindi fa da apripista su queste problematiche. L'annuncio è stato dato dal presidente dell'ordine degli avvocati torinesi, Mauro Ronco, che ieri ha illustrato contestualmente l'iniziativa a pochi giorni dalla conferenza nazionale, in programma sabato nel capoluogo piemontese, convocata per discutere il problema e nell'ambito della quale sarà presentata una proposta di legge che intende dare risposte concrete alla questione. «Nei mesi scorsi», spiega l'avvocato Ronco, «abbiamo provato a fare un monitoraggio informale su quanti colleghi sarebbero stati interessati all'operazione di factoring a cui pensavamo. Credevamo di arrivare a richieste di qualche migliaio di euro, invece abbiamo raggiunto la cifra di 800 mila euro». Sono quindi state analizzate le richieste ed è stato deciso di fare una prima sperimentazione riguardante 100 mila euro di crediti. A fine luglio è quindi stata avviata l'operazione con una società di factoring di Biella che ha ricevuto i crediti e ora i 12 legali coinvolti hanno ricevuto l'anticipo, pari all'80%, mentre allo Stato è stata notificata la cessione del credito.

«È un'iniziativa unica nel suo genere», sottolinea Ronco, «che abbiamo deciso di intraprendere a fronte di una situazione di gravissimi ritardi nei pagamenti, alcuni risalenti addirittura al 2006-2007 anche se l'anno più grave è stato il 2008. Come ordine abbiamo avuto la funzione di coordinare le diverse posizioni di credito e abbiamo sostenuto le spese della pratica». Accanto a questa iniziativa l'ordine degli avvocati torinesi ne ha però assunta anche un'altra «che vorrebbe risolvere il problema alla radice». Si tratta di una proposta di legge che chiede, da un lato, di compensare i crediti vantati dagli avvocati per questo patrocinio con quanto loro devono per imposte, tasse o contributi previdenziali o, dall'altro, di sospendere i termini relativi agli adempimenti fiscali fino all'incasso del credito vantato.


...Comportamenti virtuosi dagli Ordini ......

Gratuito patrocinio

Data Pubblicazione 25/9/2009

Articolo tratto da:
Italia Oggi

L'Ordine di Torino si è affidato a una società di factoring

Recuperati 100 mila euro dallo stato

Per la prima volta in Italia un Ordine degli avvocati, quello di Torino, si è fatto coordinatore di un'operazione di factoring, ossia di cessione del credito vantato nei confronti dello Stato da numerosi avvocati che lamentano forti ritardi nel pagamento delle loro prestazioni professionali nell'ambito del patrocinio a spese dello Stato e al momento, in via sperimentale, l'operazione ha riguardato 12 avvocati per complessivi 100 mila euro che sono ora stati liquidati ai diretti interessati. Secondo le stime dell'Oua, l'organismo unitario dell'avvocatura, sarebbero 5 mila avvocati in attesa di circa 10 milioni di euro di parcelle per il gratuito patrocinio non pagate dallo stato (si veda ItaliaOggi del 29 luglio 2009).

I compensi sono relativi a parcelle mai pagate da più di un anno o addirittura dal 2006 per processi celebrati davanti ai giudici del tribunale e della Corte d'appello. Torino, quindi fa da apripista su queste problematiche. L'annuncio è stato dato dal presidente dell'ordine degli avvocati torinesi, Mauro Ronco, che ieri ha illustrato contestualmente l'iniziativa a pochi giorni dalla conferenza nazionale, in programma sabato nel capoluogo piemontese, convocata per discutere il problema e nell'ambito della quale sarà presentata una proposta di legge che intende dare risposte concrete alla questione. «Nei mesi scorsi», spiega l'avvocato Ronco, «abbiamo provato a fare un monitoraggio informale su quanti colleghi sarebbero stati interessati all'operazione di factoring a cui pensavamo. Credevamo di arrivare a richieste di qualche migliaio di euro, invece abbiamo raggiunto la cifra di 800 mila euro». Sono quindi state analizzate le richieste ed è stato deciso di fare una prima sperimentazione riguardante 100 mila euro di crediti. A fine luglio è quindi stata avviata l'operazione con una società di factoring di Biella che ha ricevuto i crediti e ora i 12 legali coinvolti hanno ricevuto l'anticipo, pari all'80%, mentre allo Stato è stata notificata la cessione del credito.

«È un'iniziativa unica nel suo genere», sottolinea Ronco, «che abbiamo deciso di intraprendere a fronte di una situazione di gravissimi ritardi nei pagamenti, alcuni risalenti addirittura al 2006-2007 anche se l'anno più grave è stato il 2008. Come ordine abbiamo avuto la funzione di coordinare le diverse posizioni di credito e abbiamo sostenuto le spese della pratica». Accanto a questa iniziativa l'ordine degli avvocati torinesi ne ha però assunta anche un'altra «che vorrebbe risolvere il problema alla radice». Si tratta di una proposta di legge che chiede, da un lato, di compensare i crediti vantati dagli avvocati per questo patrocinio con quanto loro devono per imposte, tasse o contributi previdenziali o, dall'altro, di sospendere i termini relativi agli adempimenti fiscali fino all'incasso del credito vantato.


lunedì 21 settembre 2009

Disservizi subiti
dagli utenti in costanza di rapporto di
abbonamento con il fornitore telefonico:
excursus normativo e giurisprudenziale


Giorgio Vanacore
avvocato in Napoli
giorgiovanacoreavv@libero.it


1. - E’ noto che il cd. contratto di abbonamento telefonico sia dalla giurisprudenza inquadrato nella somministrazione (cfr. Corte Cost. 20 dicembre 1998 n. 1104, id., 30 dicembre 1994 n. 546; Cass. 28 maggio 2004 n. 10313, idd., 2 dicembre 2002 n. 17041, 29 aprile 1997 n. 3686 Cass. 29 novembre 1978 n. 5613, Trib. Roma 23 marzo 1987 [ord.], Giud. pace Pomigliano d’Arco 22 marzo 2007, Giud. pace Torre Annunziata 14 novembre 2005), la dove la dottrina lo inserisce nell’appalto di servizi (Di Fazio, Sulla natura del contratto di abbonamento telefonico, Temi Rom., 1972, 622 e ss., Cottino, Del contratto estimatorio. Della somministrazione, Comm. Scialoja - Branca, artt. 1556 - 1570, Bologna - Roma, 1970).
Trattasi, in entrambi i casi, di contratto a prestazioni corrispettive e per adesione, in cui, a fronte dell’obbligo dell’utente finale di corrispondere il corrispettivo del servizio, vi è quello del gestore di fornirgli quest’ultimo, pena la violazione del fondamentale art. 1218 c.c.
A proposito della violazione di tale ultima norma, si ricordi che il recente diritto vivente, che qui s’invoca, ha notevolmente alleggerito l’onere probatorio dell’avente diritto alla prestazione, il quale ai fini dell’affermazione del suo diritto risarcitorio deve soltanto allegare la violazione contrattuale del debitore.
Cfr., Cass. 10 maggio 2002, n. 6735: «In tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento; anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento della obbligazione, ma il suo inesatto inadempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (anche per difformità rispetto al dovuto), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento».
In chiusura, si ricordi l’importante disposto dell’art. 1175 c.c., che esige il generale dovere di correttezza, e l’art. 1176, comma 2, c.c.., che commisura la diligenza di un operatore professionale (differente per quantità e qualità da quella generica ex art. 1176, comma 1, c.c.) sulla natura dell’attività esercitata.
Sul punto, Trib. Brindisi 29 maggio - 6 giugno 2006, ha recentemente sanzionato un gestore telefonico per violazione della buona fede in danno dell’utente:
«. . . Tale dovere solidaristico (quello della b. f., ndr), peraltro s’impone con maggior forza nei casi di contratti per adesione (qual è indubbiamente il contratto di abbonamento telefonico), in cui le clausole contrattuali vengono predisposte unilateralmente dal contraente che si trova nella posizione di maggior potere contrattuale che gli consente di imporre alla controparte il contenuto del contratto, senza la possibilità di discutere o modificare le clausole predisposte».


2. - I pregnanti doveri solidaristici affermati in linea di principio nell’esposizione precedente, hanno ricevuto, con riferimento ai cc.dd. call centers, regolamentazione a mezzo della recente delibera del 14 giugno 2007 dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, di cui si trascrivono gli artt. 3 e 4 dell’Allegato A:
«I call center . . . assicurano oltre al rispetto delle disposizioni vigenti . . . un efficace canale di comunicazione per facilitare le relazioni e la gestione delle interazioni fra gli operatori e gli utenti.
La politica di comunicazione dei call center deve essere orientata alla massima trasparenza nei confronti dell’utente e alla coerenza con le finalità e gli obiettivi del servizio stesso e della presente direttiva, agevolando l’utente nell’accesso ai servizi erogati e nella conoscenza dell’albero per i sistemi di risposta automatica. . . . (art. 3, comma 1 e 2).
. . .
Il call center assicura che la modalità e i contenuti di relazione con gli utenti, che usufruiscono del servizio . . . siano conformi alle seguenti regole:
. . .
e) dotarsi di procedure di gestione delle segnalazioni o dei reclami che garantiscano all’utente di ricevere sempre una risposta adeguata entro i tempi contrattualmente definiti e indicati nelle carte dei servizi;
. . .
g) perseguire l’obiettivo dell’uniformità delle risposte e delle proposte commerciali al variare dell’addetto;
h) dare risposta in differita nel caso in cui l’addetto o il responsabile non abbiano a disposizione o non possano fornire in linea l’informazione richiesta, con prima richiamata o contatto, ad esempio via e - mail, di norma non oltre il secondo giorno lavorativo successivo (art. 4, comma 1).
Analogamente, l’art. 6 dell’Allegato A, prefissa ai centri di assistenza dei tempi stringenti di attesa per le chiamate effettuate dagli utenti, variabili, per i servizi fissi di telecomunicazione, tra i 60 ed i 90 secondi, il non rispetto dei quali integra violazione degli standard qualitativi del servizio e, quindi, della diligenza professionale di un operatore di telecomunicazioni.

3. - Ad integrazione di eventuali illeciti perpetrati dagli operatori telefonici, soccorrono altresì le disposizioni testuali delle cc.dd. condizioni generali di contratto e delle Carte dei servizi di cui essi sono tenute a dotarsi.
A solo scopo esemplificativo, si trascrivono l’art. 3.1. delle condizioni generali di contratto dell’operatore Wind s.p.a. (ma il discorso è estensibile anche agli altri operatori):
«3. Servizio clienti - segnalazione guasti
3.1. Le eventuali segnalazioni potranno essere inoltrate, telefonicamente al servizio clienti. . . o mediante comunicazione scritta al servizio clienti. Al cliente sarà dato riscontro con la massima celerità. È fatto salvo ogni diritto del cliente previsto dalla normativa vigente».
Ancora, sempre con riguardo all’operatore Wind s.p.a. - si ripete, preso solo ad esempio a fini scientifici nel presente scritto - la Carta dei servizi di cui si è dotata ha dettato pregnanti prescrizioni ai seguenti articoli: 1.2. (in tema di continuità del servizio), 1.4. (cortesia), 1.5. (efficacia ed efficienza), 2 (indicatori di qualità), 2.1. (attivazione del servizio) e 2.2 (irregolare funzionamento del servizio).
In conclusione, per comodità si trascrive tale ultima norma:
«Wind si impegna ad eliminare eventuali irregolarità funzionali del servizio entro il quarto giorno non festivo successivo a quello in cui è pervenuta la segnalazione, ad eccezione dei guasti di particolare complessità che verranno comunque riparati con la massima tempestività».
Giorgio Vanacore
avvocato in Napoli
giorgiovanacoreavv@libero.it

Disservizi subiti
dagli utenti in costanza di rapporto di
abbonamento con il fornitore telefonico:
excursus normativo e giurisprudenziale


Giorgio Vanacore
avvocato in Napoli
giorgiovanacoreavv@libero.it


1. - E’ noto che il cd. contratto di abbonamento telefonico sia dalla giurisprudenza inquadrato nella somministrazione (cfr. Corte Cost. 20 dicembre 1998 n. 1104, id., 30 dicembre 1994 n. 546; Cass. 28 maggio 2004 n. 10313, idd., 2 dicembre 2002 n. 17041, 29 aprile 1997 n. 3686 Cass. 29 novembre 1978 n. 5613, Trib. Roma 23 marzo 1987 [ord.], Giud. pace Pomigliano d’Arco 22 marzo 2007, Giud. pace Torre Annunziata 14 novembre 2005), la dove la dottrina lo inserisce nell’appalto di servizi (Di Fazio, Sulla natura del contratto di abbonamento telefonico, Temi Rom., 1972, 622 e ss., Cottino, Del contratto estimatorio. Della somministrazione, Comm. Scialoja - Branca, artt. 1556 - 1570, Bologna - Roma, 1970).
Trattasi, in entrambi i casi, di contratto a prestazioni corrispettive e per adesione, in cui, a fronte dell’obbligo dell’utente finale di corrispondere il corrispettivo del servizio, vi è quello del gestore di fornirgli quest’ultimo, pena la violazione del fondamentale art. 1218 c.c.
A proposito della violazione di tale ultima norma, si ricordi che il recente diritto vivente, che qui s’invoca, ha notevolmente alleggerito l’onere probatorio dell’avente diritto alla prestazione, il quale ai fini dell’affermazione del suo diritto risarcitorio deve soltanto allegare la violazione contrattuale del debitore.
Cfr., Cass. 10 maggio 2002, n. 6735: «In tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento; anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento della obbligazione, ma il suo inesatto inadempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (anche per difformità rispetto al dovuto), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento».
In chiusura, si ricordi l’importante disposto dell’art. 1175 c.c., che esige il generale dovere di correttezza, e l’art. 1176, comma 2, c.c.., che commisura la diligenza di un operatore professionale (differente per quantità e qualità da quella generica ex art. 1176, comma 1, c.c.) sulla natura dell’attività esercitata.
Sul punto, Trib. Brindisi 29 maggio - 6 giugno 2006, ha recentemente sanzionato un gestore telefonico per violazione della buona fede in danno dell’utente:
«. . . Tale dovere solidaristico (quello della b. f., ndr), peraltro s’impone con maggior forza nei casi di contratti per adesione (qual è indubbiamente il contratto di abbonamento telefonico), in cui le clausole contrattuali vengono predisposte unilateralmente dal contraente che si trova nella posizione di maggior potere contrattuale che gli consente di imporre alla controparte il contenuto del contratto, senza la possibilità di discutere o modificare le clausole predisposte».


2. - I pregnanti doveri solidaristici affermati in linea di principio nell’esposizione precedente, hanno ricevuto, con riferimento ai cc.dd. call centers, regolamentazione a mezzo della recente delibera del 14 giugno 2007 dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, di cui si trascrivono gli artt. 3 e 4 dell’Allegato A:
«I call center . . . assicurano oltre al rispetto delle disposizioni vigenti . . . un efficace canale di comunicazione per facilitare le relazioni e la gestione delle interazioni fra gli operatori e gli utenti.
La politica di comunicazione dei call center deve essere orientata alla massima trasparenza nei confronti dell’utente e alla coerenza con le finalità e gli obiettivi del servizio stesso e della presente direttiva, agevolando l’utente nell’accesso ai servizi erogati e nella conoscenza dell’albero per i sistemi di risposta automatica. . . . (art. 3, comma 1 e 2).
. . .
Il call center assicura che la modalità e i contenuti di relazione con gli utenti, che usufruiscono del servizio . . . siano conformi alle seguenti regole:
. . .
e) dotarsi di procedure di gestione delle segnalazioni o dei reclami che garantiscano all’utente di ricevere sempre una risposta adeguata entro i tempi contrattualmente definiti e indicati nelle carte dei servizi;
. . .
g) perseguire l’obiettivo dell’uniformità delle risposte e delle proposte commerciali al variare dell’addetto;
h) dare risposta in differita nel caso in cui l’addetto o il responsabile non abbiano a disposizione o non possano fornire in linea l’informazione richiesta, con prima richiamata o contatto, ad esempio via e - mail, di norma non oltre il secondo giorno lavorativo successivo (art. 4, comma 1).
Analogamente, l’art. 6 dell’Allegato A, prefissa ai centri di assistenza dei tempi stringenti di attesa per le chiamate effettuate dagli utenti, variabili, per i servizi fissi di telecomunicazione, tra i 60 ed i 90 secondi, il non rispetto dei quali integra violazione degli standard qualitativi del servizio e, quindi, della diligenza professionale di un operatore di telecomunicazioni.

3. - Ad integrazione di eventuali illeciti perpetrati dagli operatori telefonici, soccorrono altresì le disposizioni testuali delle cc.dd. condizioni generali di contratto e delle Carte dei servizi di cui essi sono tenute a dotarsi.
A solo scopo esemplificativo, si trascrivono l’art. 3.1. delle condizioni generali di contratto dell’operatore Wind s.p.a. (ma il discorso è estensibile anche agli altri operatori):
«3. Servizio clienti - segnalazione guasti
3.1. Le eventuali segnalazioni potranno essere inoltrate, telefonicamente al servizio clienti. . . o mediante comunicazione scritta al servizio clienti. Al cliente sarà dato riscontro con la massima celerità. È fatto salvo ogni diritto del cliente previsto dalla normativa vigente».
Ancora, sempre con riguardo all’operatore Wind s.p.a. - si ripete, preso solo ad esempio a fini scientifici nel presente scritto - la Carta dei servizi di cui si è dotata ha dettato pregnanti prescrizioni ai seguenti articoli: 1.2. (in tema di continuità del servizio), 1.4. (cortesia), 1.5. (efficacia ed efficienza), 2 (indicatori di qualità), 2.1. (attivazione del servizio) e 2.2 (irregolare funzionamento del servizio).
In conclusione, per comodità si trascrive tale ultima norma:
«Wind si impegna ad eliminare eventuali irregolarità funzionali del servizio entro il quarto giorno non festivo successivo a quello in cui è pervenuta la segnalazione, ad eccezione dei guasti di particolare complessità che verranno comunque riparati con la massima tempestività».
Giorgio Vanacore
avvocato in Napoli
giorgiovanacoreavv@libero.it

martedì 15 settembre 2009

Sottotetto , Utilizzabilità da parte di tutti i condomini , Presunzione di proprietà comune

Cass. civ., se. II, 20 luglio 1999, n. 7764

In un edificio di più piani appartenenti a proprietari diversi, l'appartenenza del sottotetto ( non indicato nell'articolo 1117, Codice civile, tra le parti comuni dell'edificio ) si determina in base al titolo ed in mancanza in base alla funzione cui esso è destinato in concreto. Pertanto, ove trattasi di vano destinato esclusivamente a servire da protezione dell'appartamento dell'ultimo piano, esso ne costituisce pertinenza e deve perciò considerarsi di proprietà esclusiva del proprietario dell'ultimo piano, mentre va annoverato tra le parti comuni se utilizzabile, anche solo potenzialmente, per gli usi comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di comunione prevista dalla norma citata, la quale opera ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile, per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi
Sottotetto , Utilizzabilità da parte di tutti i condomini , Presunzione di proprietà comune

Cass. civ., se. II, 20 luglio 1999, n. 7764

In un edificio di più piani appartenenti a proprietari diversi, l'appartenenza del sottotetto ( non indicato nell'articolo 1117, Codice civile, tra le parti comuni dell'edificio ) si determina in base al titolo ed in mancanza in base alla funzione cui esso è destinato in concreto. Pertanto, ove trattasi di vano destinato esclusivamente a servire da protezione dell'appartamento dell'ultimo piano, esso ne costituisce pertinenza e deve perciò considerarsi di proprietà esclusiva del proprietario dell'ultimo piano, mentre va annoverato tra le parti comuni se utilizzabile, anche solo potenzialmente, per gli usi comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di comunione prevista dalla norma citata, la quale opera ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile, per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi
Proprietario esclusivo del lastrico solare, pagamento delle spese condominiali, divieto di sopredificare

Cass., Sez.. 2 sentenza n. 13328 del 29/11/1999

Il proprietario esclusivo del lastrico solare e' tenuto al pagamento, in proporzione dei relativi millesimi, delle spese condominiali comuni anche nel caso in cui e' vietato sopredificare dalla normativa edilizia applicabile nella zona ove esiste l'edificio, perchè tale divieto - peraltro non immutabile - non fa venir meno il suo diritto di proprietà sul lastrico solare, ne' questo e' utilizzabile soltanto per sopraelevare.

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...