martedì 22 luglio 2008

Il Libro Unico del lavoro: Chiarimenti dal Ministero

Lavoro: istituzione del libro unico e abolizione di libro matricola e registro d'impresa
Decreto Ministero Lavoro 10.07.2008

Istituzione del libro unico del lavoro entro il periodo di paga relativo a dicembre 2008 ed abolizione immediata di libro matricola e registro d'impresa.
Sono queste le novità contenute nel Decreto 10 luglio 2008 con cui il Ministero del Lavoro ha dato attuazione alle disposizioni dell'articolo 39, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (c.d. manovrà d'estate).
Il libro unico del lavoro dovrà essere conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati (il datore di lavoro è tenuto a custodirlo - nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 - per 5 anni dalla data dell'ultima registrazione).
In caso di verifiche sarà inoltre possibile esibire il libro unico anche tramite fax o email.
(Altalex, 14 luglio 2008)

MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, DECRETO 10 luglio 2008
Articolo 1 Modalità di tenuta
1. Fermo restando l'obbligo, in fase di stampa, di attribuire a ciascun foglio una numerazione sequenziale, conservando eventuali fogli deteriorati o annullati, la tenuta e la conservazione del libro unico del lavoro può essere effettuata mediante la utilizzazione di uno dei seguenti sistemi:a) a elaborazione e stampa meccanografica su fogli mobili a ciclo continuo, con numerazione di ogni pagina e vidimazione prima della messa in uso presso l'Inail o, in alternativa, con numerazione e vidimazione effettuata, dai soggetti appositamente autorizzati dall'Inail, in sede di stampa del modulo continuo;b) a stampa laser, con autorizzazione preventiva, da parte dell'Inail, alla stampa e generazione della numerazione automatica;c) su supporti magnetici, sui quali ogni singola scrittura costituisca documento informatico e sia collegata alle registrazioni in precedenza effettuate, o a elaborazione automatica dei dati, garantendo oltre la consultabilità, in ogni momento, anche la inalterabilità e la integrità dei dati, nonché la sequenzialità cronologica delle operazioni eseguite, nel rispetto delle regole tecniche di cui all'articolo 71 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82; tali sistemi sono sottratti a obblighi di vidimazione e autorizzazione, previa apposita comunicazione scritta, anche a mezzo fax o e-mail, alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio, prima della messa in uso, con indicazione dettagliata delle caratteristiche tecniche del sistema adottato.2. Ciascuna annotazione relativa allo stato di presenza o di assenza dei lavoratori deve essere effettuata utilizzando una causale precisamente identificata e inequivoca. In caso di annotazione tramite codici o sigle, il soggetto che cura la tenuta del libro unico del lavoro rende immediatamente disponibile, al momento della esibizione dello stesso, anche la decodificazione utile alla piena comprensione delle annotazioni e delle scritturazioni effettuate.3. Fermi restando gli altri obblighi di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 39 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, la registrazione dei dati variabili delle retribuzioni può avvenire con un differimento non superiore a un mese, a condizione che di ciò sia data precisa annotazione sul libro unico del lavoro.
Articolo 2 Gestione della numerazione unitaria per consulenti del lavoro e soggetti autorizzati
1. I consulenti del lavoro, i professionisti e gli altri soggetti di cui all'articolo 1, commi 1 e 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che siano autorizzati ad adottare un sistema di numerazione unitaria del libro unico del lavoro per i datori di lavoro assistiti devono:a)ottenere delega scritta da ogni datore di lavoro, anche inserita nella lettera di incarico o documento equipollente;b)inviare, in via telematica, al l'Inail con la prima richiesta di autorizzazione, un elenco dei suddetti datori di lavoro e del codice fiscale dei medesimi;c) dare comunicazione, in via telematica, all'Inail, entro 30 giorni dall'evento, della avvenuta acquisizione di un nuovo datore di lavoro e della interruzione di assistenza nei confronti di uno dei datori di lavoro già comunicati ai sensi della precedente lettera b).
Articolo 3 Luogo di tenuta e modalità di esibizione
1. Il libro unico del lavoro è conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati o presso la sede dei servizi e dei centri di assistenza delle associazioni di categoria delle imprese artigiane e delle altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 5, comma 1, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.2. Il libro unico del lavoro deve essere tempestivamente esibito agli organi di vigilanza nel luogo in cui si esegue il lavoro, quando trattasi di sede stabile di lavoro, anche a mezzo fax o posta elettronica, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale. In caso di attività mobili o itineranti, le cui procedure operative comportano lo svolgimento delle prestazioni lavorative presso più luoghi di lavoro nell'ambito della stessa giornata o sono caratterizzate dalla mobilità dei lavoratori sul territorio, il libro unico del lavoro deve essere esibito, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale, entro il termine assegnato nella richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.
3. I consulenti del lavoro e gli altri professionisti abilitati, nonché i servizi e i centri di assistenza delle associazioni di categoria di cui all'articolo 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, devono esibire il libro unico del lavoro dagli stessi detenuto non oltre quindici giorni dalla richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.
Articolo 4 Elenchi riepilogativi mensili
1. A richiesta degli organi di vigilanza, in occasione di un accesso ispettivo, i datori di lavoro che impiegano oltre dieci lavoratori od operano con più sedi stabili di lavoro ed elaborano il libro unico del lavoro con uno dei sistemi di cui all'articolo 1, comma 1, del presente decreto,devono esibire elenchi riepilogativi mensili del personale occupato e dei dati individuali relativi alle presenze, alle ferie e ai tempi di lavoro e di riposo, aggiornati all'ultimo periodo di registrazione sul libro unico del lavoro, anche suddivisi per ciascuna sede.2. Il personale ispettivo ha facoltà di richiedere gli elenchi riepilogativi mensili relativi ai cinque anni che precedono l'inizio dell'accertamento, avendo cura di verificare, nel caso concreto, la materiale possibilità di realizzazione e di esibizione degli stessi da parte del datore di lavoro, del consulente del lavoro o della associazione di categoria di cui all'articolo 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.
Articolo 5 Sede stabile di lavoro e computo dei lavoratori
1. Ai fini della corretta applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 3 e 4 del presente decreto si considera "sede stabile di lavoro" qualsiasi articolazione autonoma della impresa, stabilmente organizzata, che sia idonea ad espletare, in tutto o in parte, l'attività aziendale e risulti dotata degli strumenti necessari, anche con riguardo alla presenza di uffici amministrativi.2. Ai fini del calcolo dei lavoratori di cui all'articolo 39, comma 7, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e all'articolo 4 del presente decreto, si computano i lavoratori subordinati, a prescindere dall'effettivo orario di lavoro svolto, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo, che siano iscritti sul libro unico del lavoro e ancora in forza.
Articolo 6 Obbligo di conservazione
1. Il datore di lavoro ha l'obbligo di conservare il libro unico del lavoro per la durata di cinque anni dalla data dell'ultima registrazione e di custodirlo nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di protezione dei dati personali.2. L'obbligo di cui al comma 1 è esteso ai libri obbligatori in materia di lavoro dismessi in seguito all'entrata in vigore della semplificazione di cui all'articolo 39 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e alle disposizioni del presente decreto.
Articolo 7 Regime transitorio e disposizioni finali
1. Fino al periodo di paga relativo al mese di dicembre 2008 i datori di lavoro, in via transitoria, possono adempiere agli obblighi di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro, secondo ledisposizioni dettate dall'articolo 39 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e dal presente decreto, mediante la corretta e regolare tenuta del libro paga, nelle sue sezioni paga e presenze o del registro dei lavoranti e del libretto personale di controllo per i lavoranti a domicilio, debitamente compilati e aggiornati.2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto le disposizioni normative ancora vigenti che fanno richiamo ai libri obbligatori di lavoro o ai libri di matricola e di paga, devono essere riferite al libro unico del lavoro, per quanto compatibile.3. Il libro matricola e il registro d'impresa s'intendono immediatamente abrogati.

Il Libro Unico del lavoro: Chiarimenti dal Ministero

Lavoro: istituzione del libro unico e abolizione di libro matricola e registro d'impresa
Decreto Ministero Lavoro 10.07.2008

Istituzione del libro unico del lavoro entro il periodo di paga relativo a dicembre 2008 ed abolizione immediata di libro matricola e registro d'impresa.
Sono queste le novità contenute nel Decreto 10 luglio 2008 con cui il Ministero del Lavoro ha dato attuazione alle disposizioni dell'articolo 39, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (c.d. manovrà d'estate).
Il libro unico del lavoro dovrà essere conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati (il datore di lavoro è tenuto a custodirlo - nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 - per 5 anni dalla data dell'ultima registrazione).
In caso di verifiche sarà inoltre possibile esibire il libro unico anche tramite fax o email.
(Altalex, 14 luglio 2008)

MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, DECRETO 10 luglio 2008
Articolo 1 Modalità di tenuta
1. Fermo restando l'obbligo, in fase di stampa, di attribuire a ciascun foglio una numerazione sequenziale, conservando eventuali fogli deteriorati o annullati, la tenuta e la conservazione del libro unico del lavoro può essere effettuata mediante la utilizzazione di uno dei seguenti sistemi:a) a elaborazione e stampa meccanografica su fogli mobili a ciclo continuo, con numerazione di ogni pagina e vidimazione prima della messa in uso presso l'Inail o, in alternativa, con numerazione e vidimazione effettuata, dai soggetti appositamente autorizzati dall'Inail, in sede di stampa del modulo continuo;b) a stampa laser, con autorizzazione preventiva, da parte dell'Inail, alla stampa e generazione della numerazione automatica;c) su supporti magnetici, sui quali ogni singola scrittura costituisca documento informatico e sia collegata alle registrazioni in precedenza effettuate, o a elaborazione automatica dei dati, garantendo oltre la consultabilità, in ogni momento, anche la inalterabilità e la integrità dei dati, nonché la sequenzialità cronologica delle operazioni eseguite, nel rispetto delle regole tecniche di cui all'articolo 71 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82; tali sistemi sono sottratti a obblighi di vidimazione e autorizzazione, previa apposita comunicazione scritta, anche a mezzo fax o e-mail, alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio, prima della messa in uso, con indicazione dettagliata delle caratteristiche tecniche del sistema adottato.2. Ciascuna annotazione relativa allo stato di presenza o di assenza dei lavoratori deve essere effettuata utilizzando una causale precisamente identificata e inequivoca. In caso di annotazione tramite codici o sigle, il soggetto che cura la tenuta del libro unico del lavoro rende immediatamente disponibile, al momento della esibizione dello stesso, anche la decodificazione utile alla piena comprensione delle annotazioni e delle scritturazioni effettuate.3. Fermi restando gli altri obblighi di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 39 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, la registrazione dei dati variabili delle retribuzioni può avvenire con un differimento non superiore a un mese, a condizione che di ciò sia data precisa annotazione sul libro unico del lavoro.
Articolo 2 Gestione della numerazione unitaria per consulenti del lavoro e soggetti autorizzati
1. I consulenti del lavoro, i professionisti e gli altri soggetti di cui all'articolo 1, commi 1 e 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che siano autorizzati ad adottare un sistema di numerazione unitaria del libro unico del lavoro per i datori di lavoro assistiti devono:a)ottenere delega scritta da ogni datore di lavoro, anche inserita nella lettera di incarico o documento equipollente;b)inviare, in via telematica, al l'Inail con la prima richiesta di autorizzazione, un elenco dei suddetti datori di lavoro e del codice fiscale dei medesimi;c) dare comunicazione, in via telematica, all'Inail, entro 30 giorni dall'evento, della avvenuta acquisizione di un nuovo datore di lavoro e della interruzione di assistenza nei confronti di uno dei datori di lavoro già comunicati ai sensi della precedente lettera b).
Articolo 3 Luogo di tenuta e modalità di esibizione
1. Il libro unico del lavoro è conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati o presso la sede dei servizi e dei centri di assistenza delle associazioni di categoria delle imprese artigiane e delle altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 5, comma 1, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.2. Il libro unico del lavoro deve essere tempestivamente esibito agli organi di vigilanza nel luogo in cui si esegue il lavoro, quando trattasi di sede stabile di lavoro, anche a mezzo fax o posta elettronica, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale. In caso di attività mobili o itineranti, le cui procedure operative comportano lo svolgimento delle prestazioni lavorative presso più luoghi di lavoro nell'ambito della stessa giornata o sono caratterizzate dalla mobilità dei lavoratori sul territorio, il libro unico del lavoro deve essere esibito, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale, entro il termine assegnato nella richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.
3. I consulenti del lavoro e gli altri professionisti abilitati, nonché i servizi e i centri di assistenza delle associazioni di categoria di cui all'articolo 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, devono esibire il libro unico del lavoro dagli stessi detenuto non oltre quindici giorni dalla richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.
Articolo 4 Elenchi riepilogativi mensili
1. A richiesta degli organi di vigilanza, in occasione di un accesso ispettivo, i datori di lavoro che impiegano oltre dieci lavoratori od operano con più sedi stabili di lavoro ed elaborano il libro unico del lavoro con uno dei sistemi di cui all'articolo 1, comma 1, del presente decreto,devono esibire elenchi riepilogativi mensili del personale occupato e dei dati individuali relativi alle presenze, alle ferie e ai tempi di lavoro e di riposo, aggiornati all'ultimo periodo di registrazione sul libro unico del lavoro, anche suddivisi per ciascuna sede.2. Il personale ispettivo ha facoltà di richiedere gli elenchi riepilogativi mensili relativi ai cinque anni che precedono l'inizio dell'accertamento, avendo cura di verificare, nel caso concreto, la materiale possibilità di realizzazione e di esibizione degli stessi da parte del datore di lavoro, del consulente del lavoro o della associazione di categoria di cui all'articolo 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.
Articolo 5 Sede stabile di lavoro e computo dei lavoratori
1. Ai fini della corretta applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 3 e 4 del presente decreto si considera "sede stabile di lavoro" qualsiasi articolazione autonoma della impresa, stabilmente organizzata, che sia idonea ad espletare, in tutto o in parte, l'attività aziendale e risulti dotata degli strumenti necessari, anche con riguardo alla presenza di uffici amministrativi.2. Ai fini del calcolo dei lavoratori di cui all'articolo 39, comma 7, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e all'articolo 4 del presente decreto, si computano i lavoratori subordinati, a prescindere dall'effettivo orario di lavoro svolto, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo, che siano iscritti sul libro unico del lavoro e ancora in forza.
Articolo 6 Obbligo di conservazione
1. Il datore di lavoro ha l'obbligo di conservare il libro unico del lavoro per la durata di cinque anni dalla data dell'ultima registrazione e di custodirlo nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di protezione dei dati personali.2. L'obbligo di cui al comma 1 è esteso ai libri obbligatori in materia di lavoro dismessi in seguito all'entrata in vigore della semplificazione di cui all'articolo 39 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e alle disposizioni del presente decreto.
Articolo 7 Regime transitorio e disposizioni finali
1. Fino al periodo di paga relativo al mese di dicembre 2008 i datori di lavoro, in via transitoria, possono adempiere agli obblighi di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro, secondo ledisposizioni dettate dall'articolo 39 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e dal presente decreto, mediante la corretta e regolare tenuta del libro paga, nelle sue sezioni paga e presenze o del registro dei lavoranti e del libretto personale di controllo per i lavoranti a domicilio, debitamente compilati e aggiornati.2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto le disposizioni normative ancora vigenti che fanno richiamo ai libri obbligatori di lavoro o ai libri di matricola e di paga, devono essere riferite al libro unico del lavoro, per quanto compatibile.3. Il libro matricola e il registro d'impresa s'intendono immediatamente abrogati.

lunedì 21 luglio 2008

Aforismi e Citazioni

Ea damna quae casu ita acciderint ut nihil
possit imputari, non pertinent ad reliquorum onus


Quei danni che si siano verificati per caso, sì che nulla possa essere addebitato, non rientrano nel rendiconto

Aforismi e Citazioni

Ea damna quae casu ita acciderint ut nihil
possit imputari, non pertinent ad reliquorum onus


Quei danni che si siano verificati per caso, sì che nulla possa essere addebitato, non rientrano nel rendiconto

giovedì 17 luglio 2008

Appalti: illegittima esclusione


10.07.2008
Riammissione in gara della concorrente illegittimamente esclusa e rinnovazione della procedura di gara

Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato ha individuato in quali casi, nonostante l'invalidità della gara per l'illegittima esclusione di alcune ditte offerenti, la stazione appaltante non debba disporre la rinnovazione integrale della procedura, con la riapertura della stessa fase di presentazione delle offerte, ma sia sufficiente ripetere la fase di valutazione delle offerte.
Consiglio di Stato Sentenza, Sez. V, 09/06/2008, n. 2843
Il Consiglio di Stato ha affermato che, dopo la riammissione in gara della concorrente illegittimamente esclusa, la stazione appaltante può legittimamente mantenere fermo il subprocedimento di presentazione delle offerte e limitarsi a disporre la rinnovazione solo della fase dell'esame comparativo delle offerte già pervenute.
Tale principio ha valore per e solo in relazione alle procedure di aggiudicazione cd. automatiche, quali quelle da aggiudicarsi con il metodo del prezzo più basso, nelle quali l'accertamento dei vizi concernenti l'ammissione o l'esclusione dei concorrenti non comporta la necessità di rinnovare la procedura sin dal momento della presentazione delle offerte.
In tali casi, infatti, il criterio oggettivo e vincolato dell'aggiudicazione priva di qualsiasi rilevanza l'intervenuta conoscenza da parte della commissione giudicatrice dei contenuti delle altre offerte già ammesse.
Diversamente, qualora si debbano effettuare apprezzamenti di discrezionalità tecnica o amministrativa, con attribuzione di punteggi legati a valutazioni di ordine tecnico (licitazione privata col metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, appalto concorso), l'illegittima esclusione di un concorrente, se accertata dopo l’esame delle offerte, rende necessario il rinnovo dell'intero procedimento a partire dalla stessa fase di presentazione delle offerte.
Secondo il Consiglio di Stato, in tali casi, la riammissione delle concorrenti originariamente escluse, infatti, impedirebbe di effettuare una valutazione delle offerte rispettando i principi della par condicio tra i concorrenti e della necessaria con testualità del giudizio comparativo, perchè la seconda valutazione risulterebbe oggettivamente condizionata dall'intervenuta conoscenza delle precedenti offerte e dall'attribuzione del punteggio.

Valeria De Carlo, Avvocato in MilanoTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

Appalti: illegittima esclusione


10.07.2008
Riammissione in gara della concorrente illegittimamente esclusa e rinnovazione della procedura di gara

Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato ha individuato in quali casi, nonostante l'invalidità della gara per l'illegittima esclusione di alcune ditte offerenti, la stazione appaltante non debba disporre la rinnovazione integrale della procedura, con la riapertura della stessa fase di presentazione delle offerte, ma sia sufficiente ripetere la fase di valutazione delle offerte.
Consiglio di Stato Sentenza, Sez. V, 09/06/2008, n. 2843
Il Consiglio di Stato ha affermato che, dopo la riammissione in gara della concorrente illegittimamente esclusa, la stazione appaltante può legittimamente mantenere fermo il subprocedimento di presentazione delle offerte e limitarsi a disporre la rinnovazione solo della fase dell'esame comparativo delle offerte già pervenute.
Tale principio ha valore per e solo in relazione alle procedure di aggiudicazione cd. automatiche, quali quelle da aggiudicarsi con il metodo del prezzo più basso, nelle quali l'accertamento dei vizi concernenti l'ammissione o l'esclusione dei concorrenti non comporta la necessità di rinnovare la procedura sin dal momento della presentazione delle offerte.
In tali casi, infatti, il criterio oggettivo e vincolato dell'aggiudicazione priva di qualsiasi rilevanza l'intervenuta conoscenza da parte della commissione giudicatrice dei contenuti delle altre offerte già ammesse.
Diversamente, qualora si debbano effettuare apprezzamenti di discrezionalità tecnica o amministrativa, con attribuzione di punteggi legati a valutazioni di ordine tecnico (licitazione privata col metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, appalto concorso), l'illegittima esclusione di un concorrente, se accertata dopo l’esame delle offerte, rende necessario il rinnovo dell'intero procedimento a partire dalla stessa fase di presentazione delle offerte.
Secondo il Consiglio di Stato, in tali casi, la riammissione delle concorrenti originariamente escluse, infatti, impedirebbe di effettuare una valutazione delle offerte rispettando i principi della par condicio tra i concorrenti e della necessaria con testualità del giudizio comparativo, perchè la seconda valutazione risulterebbe oggettivamente condizionata dall'intervenuta conoscenza delle precedenti offerte e dall'attribuzione del punteggio.

Valeria De Carlo, Avvocato in MilanoTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

lunedì 14 luglio 2008

Consulenze aziendali fiscali e commerciali, commercialisti, competenza esclusiva
Cassazione civile , sez. II, sentenza 11.06.2008 n° 15530

Consulenze aziendali fiscali e commerciali – commercialisti – competenza esclusiva – esclusione [art. 2231 c.c.]
La prestazione di consulenza aziendale fiscale e commerciale non rientra nelle attività che sono riservate in via esclusiva ad una determinata categoria professionale. Il loro esercizio, infatti, non è subordinato all'iscrizione in apposito albo o ad abilitazione.
(Fonte: Altalex Massimario 24/2008)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 1 aprile - 11 giugno 2008, n. 15530
(Presidente Mensitieri – Relatore Migliucci)
Svolgimento del processo
E. N. proponeva appello avverso la sentenza del Pretore di Padova n. 1017/98, depositata il 30.12.98 con cui, revocato il decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto per pagamento, di prestazioni professionali, era stato anche condannato alla restituzione di L.850.000 in favore di F. C..
Sosteneva che il pretore aveva errato nel ritenere inesigibile la sua richiesta di consulente del lavoro per aver svolto attività riservata ai commercialisti; che aveva errato nel valutare le prove documentali e testimoniali assunte in I grado.
Si costituiva il convenuto chiedendo la conferma dell'impugnata sentenza. Con sentenza dep. il 6 febbraio 2003 la Corte di appello di Venezia respingeva l'impugnazione, ritenendo che le attività professionali in relazione alle quali era stato chiesto il compenso non rientravano fra quelle attribuite dall'art. 2 della L. 11.1.79 n. 12 ai consulenti del lavoro, che svolgono tutti gli adempimenti previsti per l’amministrazione del personale dipendente nonché ogni altra funzione che sia affine, connessa e conseguente. Nella specie,non rientravano nelle competenze del consulente del lavoro l'attività relativa alla cessione di azienda e la correlativa valutazione patrimoniale della panetteria, né lo studio di fattibilità dell'apertura nel Comune di Salvezzano di un negozio di erboristeria né la redazione dell'atto di transazione stipulato dal N. per porre fine alla controversia sfociata in una denuncia penale da parte di colui il quale doveva acquistare la panetteria, e che aveva contestato al C. di aver abusivamente asportato dal negozio derrate alimentari già inventariate, facenti ormai parte dell'oggetto del contratto di cessione d'azienda. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il N. sulla base di un unico motivo.
Resiste con controricorso il C..
Motivi della decisione
Con l'unico articolato motivo il ricorrente,lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 12 del 1979, in relazione all'art. 2231 cod. civ., censura la sentenza che: a) erroneamente aveva limitato le attribuzioni dei consulenti del lavoro, senza tenere conto dell' ampliamento della competenza in materia fiscale e tributaria conferita con una serie di provvedimenti legislativi introdotti in epoca successiva alla legge n. 12 del 1979; b) fra le attività proprie dei consulenti del lavoro devono essere annoverate anche quelle operazioni che, pur essendo di competenza di altre categorie professionali, non sono a queste riservate in via esclusiva, secondo quanto al riguardo statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 418 del 1996,che ha ritenuto conforme ai principi dettati dalla legge delega i decreti n. 1067 e 1068 del 1953. b) in ogni caso, gli atti compiuti dal N. non rientravano fra quelli tipici di cui ai menzionati decreti.
Il motivo è fondato.
La sentenza, nel ritenere non dovuto il compenso chiesto dal ricorrente per attività professionali che non rientravano nelle competenze professionali attribuite al consulente del lavoro,ha confermato la decisione di primo grado che aveva considerato le stesse riservate ai dottori commercialisti.
Orbene, l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, dà luogo, ai sensi degli articoli 1418 e 2231 cod. civ., a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, sicché il professionista non iscritto all'albo o che non sia munito nemmeno della necessaria qualifica professionale per appartenere a categoria del tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa. Peraltro, al fine di stabilire se ricorra la nullità prevista dall'art. 2231 cod. civ., occorre verificare se la prestazione espletata dal professionista rientri in quelle attività che sono riservate in via esclusiva a una determinata categoria professionale, essendo l'esercizio della professione subordinato per legge all'iscrizione in apposito albo o ad abilitazione.
Nella specie, tale indagine non è stata affatto compiuta dai giudici di appello, che si sono limitati ad escludere che l'attività espletata dal ricorrente rientrasse nelle attribuzioni dei consulenti del lavoro secondo quanto al riguardo previsto dalla legge n. 12 del 1979.
Vanno qui richiamati i principi elaborati dalla Corte Costituzionale,secondo cui il sistema degli ordinamenti professionali di cui all'art. 33, quinto comma, della Costituzione, deve essere ispirato al principio della concorrenza e della interdisciplinarità, avendo la funzione di tutelare non l'interesse corporativo di una categoria professionale ma quello degli interessi di un società che si connotano in ragione di una accresciuta e sempre maggiore complessità :il che porta ad escludere una interpretazione delle sfere di competenza professionale in chiave di generale esclusività monopolistica (Corte Cost. 345 del 1995).
Ed alla luce di tali principi ancora la Consulta (sentenza n. 418 del 1996), nel ritenere manifestamente infondata la questione di illegittimità dell'art. 1 , primo e ultimo comma del D.P.R n. 1067 DEL 1953 e dell'art. 1 , primo e ultimo comma, del D.P.R n. 1068 del 1953 in relazione all'art. 76 Cost.,ne ha rilevato la conformità alla precisa prescrizione contenuta nell'articolo unico, lettera a), della legge 28 dicembre 1952, n. 3060 (Delega al Governo della facoltà di provvedere alla riforma degli ordinamenti delle professioni di esercente in economia e commercio e di ragioniere), secondo cui "la determinazione del campo delle attività professionali non deve importare attribuzioni di attività in via esclusiva".
Nelle norme delegate - hanno sottolineato i giudici delle leggi - non si rinviene alcuna attribuzione in via esclusiva di competenze, ma viene riaffermato che l'elencazione delle attività, oggetto della professione disciplinata, non pregiudica ne' "l'esercizio di ogni altra attività professionale dei professionisti considerati ne' quanto può formare oggetto dell'attività professionale di altre categorie a norma di leggi e regolamenti". In altri termini la disposizione comporta, da un canto, la non tassatività della elencazione delle attività e, dall'altro, la non limitazione dell'ambito delle attribuzioni e attività in genere professionale di altre categorie di liberi professionisti.
L'espressione "a norma di leggi e regolamenti", di cui all'ultimo comma di entrambe le disposizioni impugnate, dei D.P.R. nn. 1067 e 1068 del 1953, deve doverosamente essere intesa non con esclusivo riferimento a professioni regolamentate mediante iscrizione ad albo, ma anche, con riferimento agli spazi di libertà di espressione di lavoro autonomo e di libero esercizio di attività intellettuale autonoma non collegati a iscrizione in albi. Al di fuori delle attività comportanti prestazioni che possono essere fornite solo da soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista per legge come condizione di esercizio), per tutte le altre attività di professione intellettuale o per tutte le altre prestazioni di assistenza o consulenza (che non si risolvano in una attività di professione protetta ed attribuita in via esclusiva, quale l'assistenza in giudizio,cfr.Cass. 12840/2006), vige il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione (salvi gli oneri amministrativi o tributari).
Pertanto, erroneamente la Corte di appello ha escluso il diritto al compenso, non rientrando le attività professionali svolte dal N. (consulenza e valutazione in materia aziendale; redazione di un atto di transazione) in quelle riservate solo a soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista dalla legge come condizione di esercizio della professione).
Il ricorso va pertanto accolto;
la sentenza va cassata,con rinvio,anche per le spese della presente fase,ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. Il giudice di rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto: "Nelle materie commerciali, economiche finanziarie e di ragioneria, le prestazioni di assistenza o consulenza aziendale non sono riservate per legge in via esclusiva ai dottori commercialisti, ai ragionieri e ai periti commerciali, non rientrando fra le attività che possono essere svolte esclusivamente da soggetti iscritti ad apposito albo professionale o provvisti di specifica abilitazione ".

P.Q.M.

Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia,anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Venezia
Consulenze aziendali fiscali e commerciali, commercialisti, competenza esclusiva
Cassazione civile , sez. II, sentenza 11.06.2008 n° 15530

Consulenze aziendali fiscali e commerciali – commercialisti – competenza esclusiva – esclusione [art. 2231 c.c.]
La prestazione di consulenza aziendale fiscale e commerciale non rientra nelle attività che sono riservate in via esclusiva ad una determinata categoria professionale. Il loro esercizio, infatti, non è subordinato all'iscrizione in apposito albo o ad abilitazione.
(Fonte: Altalex Massimario 24/2008)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 1 aprile - 11 giugno 2008, n. 15530
(Presidente Mensitieri – Relatore Migliucci)
Svolgimento del processo
E. N. proponeva appello avverso la sentenza del Pretore di Padova n. 1017/98, depositata il 30.12.98 con cui, revocato il decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto per pagamento, di prestazioni professionali, era stato anche condannato alla restituzione di L.850.000 in favore di F. C..
Sosteneva che il pretore aveva errato nel ritenere inesigibile la sua richiesta di consulente del lavoro per aver svolto attività riservata ai commercialisti; che aveva errato nel valutare le prove documentali e testimoniali assunte in I grado.
Si costituiva il convenuto chiedendo la conferma dell'impugnata sentenza. Con sentenza dep. il 6 febbraio 2003 la Corte di appello di Venezia respingeva l'impugnazione, ritenendo che le attività professionali in relazione alle quali era stato chiesto il compenso non rientravano fra quelle attribuite dall'art. 2 della L. 11.1.79 n. 12 ai consulenti del lavoro, che svolgono tutti gli adempimenti previsti per l’amministrazione del personale dipendente nonché ogni altra funzione che sia affine, connessa e conseguente. Nella specie,non rientravano nelle competenze del consulente del lavoro l'attività relativa alla cessione di azienda e la correlativa valutazione patrimoniale della panetteria, né lo studio di fattibilità dell'apertura nel Comune di Salvezzano di un negozio di erboristeria né la redazione dell'atto di transazione stipulato dal N. per porre fine alla controversia sfociata in una denuncia penale da parte di colui il quale doveva acquistare la panetteria, e che aveva contestato al C. di aver abusivamente asportato dal negozio derrate alimentari già inventariate, facenti ormai parte dell'oggetto del contratto di cessione d'azienda. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il N. sulla base di un unico motivo.
Resiste con controricorso il C..
Motivi della decisione
Con l'unico articolato motivo il ricorrente,lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 12 del 1979, in relazione all'art. 2231 cod. civ., censura la sentenza che: a) erroneamente aveva limitato le attribuzioni dei consulenti del lavoro, senza tenere conto dell' ampliamento della competenza in materia fiscale e tributaria conferita con una serie di provvedimenti legislativi introdotti in epoca successiva alla legge n. 12 del 1979; b) fra le attività proprie dei consulenti del lavoro devono essere annoverate anche quelle operazioni che, pur essendo di competenza di altre categorie professionali, non sono a queste riservate in via esclusiva, secondo quanto al riguardo statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 418 del 1996,che ha ritenuto conforme ai principi dettati dalla legge delega i decreti n. 1067 e 1068 del 1953. b) in ogni caso, gli atti compiuti dal N. non rientravano fra quelli tipici di cui ai menzionati decreti.
Il motivo è fondato.
La sentenza, nel ritenere non dovuto il compenso chiesto dal ricorrente per attività professionali che non rientravano nelle competenze professionali attribuite al consulente del lavoro,ha confermato la decisione di primo grado che aveva considerato le stesse riservate ai dottori commercialisti.
Orbene, l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, dà luogo, ai sensi degli articoli 1418 e 2231 cod. civ., a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, sicché il professionista non iscritto all'albo o che non sia munito nemmeno della necessaria qualifica professionale per appartenere a categoria del tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa. Peraltro, al fine di stabilire se ricorra la nullità prevista dall'art. 2231 cod. civ., occorre verificare se la prestazione espletata dal professionista rientri in quelle attività che sono riservate in via esclusiva a una determinata categoria professionale, essendo l'esercizio della professione subordinato per legge all'iscrizione in apposito albo o ad abilitazione.
Nella specie, tale indagine non è stata affatto compiuta dai giudici di appello, che si sono limitati ad escludere che l'attività espletata dal ricorrente rientrasse nelle attribuzioni dei consulenti del lavoro secondo quanto al riguardo previsto dalla legge n. 12 del 1979.
Vanno qui richiamati i principi elaborati dalla Corte Costituzionale,secondo cui il sistema degli ordinamenti professionali di cui all'art. 33, quinto comma, della Costituzione, deve essere ispirato al principio della concorrenza e della interdisciplinarità, avendo la funzione di tutelare non l'interesse corporativo di una categoria professionale ma quello degli interessi di un società che si connotano in ragione di una accresciuta e sempre maggiore complessità :il che porta ad escludere una interpretazione delle sfere di competenza professionale in chiave di generale esclusività monopolistica (Corte Cost. 345 del 1995).
Ed alla luce di tali principi ancora la Consulta (sentenza n. 418 del 1996), nel ritenere manifestamente infondata la questione di illegittimità dell'art. 1 , primo e ultimo comma del D.P.R n. 1067 DEL 1953 e dell'art. 1 , primo e ultimo comma, del D.P.R n. 1068 del 1953 in relazione all'art. 76 Cost.,ne ha rilevato la conformità alla precisa prescrizione contenuta nell'articolo unico, lettera a), della legge 28 dicembre 1952, n. 3060 (Delega al Governo della facoltà di provvedere alla riforma degli ordinamenti delle professioni di esercente in economia e commercio e di ragioniere), secondo cui "la determinazione del campo delle attività professionali non deve importare attribuzioni di attività in via esclusiva".
Nelle norme delegate - hanno sottolineato i giudici delle leggi - non si rinviene alcuna attribuzione in via esclusiva di competenze, ma viene riaffermato che l'elencazione delle attività, oggetto della professione disciplinata, non pregiudica ne' "l'esercizio di ogni altra attività professionale dei professionisti considerati ne' quanto può formare oggetto dell'attività professionale di altre categorie a norma di leggi e regolamenti". In altri termini la disposizione comporta, da un canto, la non tassatività della elencazione delle attività e, dall'altro, la non limitazione dell'ambito delle attribuzioni e attività in genere professionale di altre categorie di liberi professionisti.
L'espressione "a norma di leggi e regolamenti", di cui all'ultimo comma di entrambe le disposizioni impugnate, dei D.P.R. nn. 1067 e 1068 del 1953, deve doverosamente essere intesa non con esclusivo riferimento a professioni regolamentate mediante iscrizione ad albo, ma anche, con riferimento agli spazi di libertà di espressione di lavoro autonomo e di libero esercizio di attività intellettuale autonoma non collegati a iscrizione in albi. Al di fuori delle attività comportanti prestazioni che possono essere fornite solo da soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista per legge come condizione di esercizio), per tutte le altre attività di professione intellettuale o per tutte le altre prestazioni di assistenza o consulenza (che non si risolvano in una attività di professione protetta ed attribuita in via esclusiva, quale l'assistenza in giudizio,cfr.Cass. 12840/2006), vige il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione (salvi gli oneri amministrativi o tributari).
Pertanto, erroneamente la Corte di appello ha escluso il diritto al compenso, non rientrando le attività professionali svolte dal N. (consulenza e valutazione in materia aziendale; redazione di un atto di transazione) in quelle riservate solo a soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista dalla legge come condizione di esercizio della professione).
Il ricorso va pertanto accolto;
la sentenza va cassata,con rinvio,anche per le spese della presente fase,ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. Il giudice di rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto: "Nelle materie commerciali, economiche finanziarie e di ragioneria, le prestazioni di assistenza o consulenza aziendale non sono riservate per legge in via esclusiva ai dottori commercialisti, ai ragionieri e ai periti commerciali, non rientrando fra le attività che possono essere svolte esclusivamente da soggetti iscritti ad apposito albo professionale o provvisti di specifica abilitazione ".

P.Q.M.

Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia,anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Venezia
La chiusura di una preesistente tettoia è un intervento di ristrutturazione edilizia

TAR Abruzzo-L'Aquila, sez. I, sentenza 07.03.2008 n° 127 (
Alessandro Del Dotto)

L’intervento in questione (chiusura di una preesistente tettoia) deve configurarsi, invero, non già come intervento manutentivo, che presupporrebbe la natura non innovativa degli apporti edilizi, e, nel caso di specie, della funzione di sola copertura propria della tettoia preesistente, ma di vera e propria ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 31, lett.d), legge 5 agosto 1978, n. 457, ed ora dell’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi di trasformazione di un immobile tale da portare, come in effetti nella specie porta, ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Non può revocarsi in dubbio, infatti, che la chiusura della tettoia importi non la sola copertura di una superficie, ma la piena utilizzabilità di un volume, in sicuro ampliamento del fabbricato cui accede.
Le dimensioni non certo trascurabili della struttura e i materiali utilizzati (cemento armato) confortano circa la qualificazione dell’opera ed il suo assoggettamento alla disciplina propria delle opere edilizie soggette a permesso di costruire.
Né può surrettiziamente, come tenta di fare la difesa ricorrente, operarsi una distinzione tra le varie fasi di realizzazione dell’intervento, che ha comportato, com’ è ovvio, dapprima la sostituzione della preesistente struttura in ferro con altra, analoga, in cemento armato (si tratta delle opere strutturali), e, successivamente, la tompagnatura delle pareti aperte della tettoia, per desumerne la natura meramente sostitutiva e manutentiva, essendo viceversa chiaro che l’opera edilizia va vista nella sua globalità e, in tale ottica, non vi dubbio che la preesistente tettoia in ferro (ed è tutt’altro che trascurabile le scelta dei materiali), sia pure ancorata al suolo, è opera diversa dall’ampliamento chiuso su tutti i lati del fabbricato principale, sia pure inglobante la superficie prima coperta dalla detta tettoia.
Questo l’iter motivazionale che ha determinato il Giudice amministrativo di prime cure nel respingere il ricorso proposto per l’annullamento di una ordinanza di demolizione di opere edilizie, fra le quali una tettoia che, pur preesistente, era stata sostituita nelle sue parti essenziali (in specie, strutturali: da ferro a cemento a armato) ed era stata tamponata sui lati.
Si segnala come, invero, già la mera tamponatura su tre lati (più che considerazioni sulla superficie o sui materiali impiegati, tuttavia non irrilevanti) potesse concretare l’ipotesi di creazione di un nuovo volume che, ai sensi della disciplina edilizia vigente, comporta la necessità di un titolo abilitativo (sul punto, cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, sentenza 22.3.2007, n. 2725 o anche T.A.R. Piemonte, sez. I, sentenza 12.7.2005, n. 2484) poiché non assimilabile ad un semplice intervento manutentivo (ordinario).
(Altalex, 2 luglio 2008. Nota di Alessandro Del Dotto)
La chiusura di una preesistente tettoia è un intervento di ristrutturazione edilizia

TAR Abruzzo-L'Aquila, sez. I, sentenza 07.03.2008 n° 127 (
Alessandro Del Dotto)

L’intervento in questione (chiusura di una preesistente tettoia) deve configurarsi, invero, non già come intervento manutentivo, che presupporrebbe la natura non innovativa degli apporti edilizi, e, nel caso di specie, della funzione di sola copertura propria della tettoia preesistente, ma di vera e propria ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 31, lett.d), legge 5 agosto 1978, n. 457, ed ora dell’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi di trasformazione di un immobile tale da portare, come in effetti nella specie porta, ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Non può revocarsi in dubbio, infatti, che la chiusura della tettoia importi non la sola copertura di una superficie, ma la piena utilizzabilità di un volume, in sicuro ampliamento del fabbricato cui accede.
Le dimensioni non certo trascurabili della struttura e i materiali utilizzati (cemento armato) confortano circa la qualificazione dell’opera ed il suo assoggettamento alla disciplina propria delle opere edilizie soggette a permesso di costruire.
Né può surrettiziamente, come tenta di fare la difesa ricorrente, operarsi una distinzione tra le varie fasi di realizzazione dell’intervento, che ha comportato, com’ è ovvio, dapprima la sostituzione della preesistente struttura in ferro con altra, analoga, in cemento armato (si tratta delle opere strutturali), e, successivamente, la tompagnatura delle pareti aperte della tettoia, per desumerne la natura meramente sostitutiva e manutentiva, essendo viceversa chiaro che l’opera edilizia va vista nella sua globalità e, in tale ottica, non vi dubbio che la preesistente tettoia in ferro (ed è tutt’altro che trascurabile le scelta dei materiali), sia pure ancorata al suolo, è opera diversa dall’ampliamento chiuso su tutti i lati del fabbricato principale, sia pure inglobante la superficie prima coperta dalla detta tettoia.
Questo l’iter motivazionale che ha determinato il Giudice amministrativo di prime cure nel respingere il ricorso proposto per l’annullamento di una ordinanza di demolizione di opere edilizie, fra le quali una tettoia che, pur preesistente, era stata sostituita nelle sue parti essenziali (in specie, strutturali: da ferro a cemento a armato) ed era stata tamponata sui lati.
Si segnala come, invero, già la mera tamponatura su tre lati (più che considerazioni sulla superficie o sui materiali impiegati, tuttavia non irrilevanti) potesse concretare l’ipotesi di creazione di un nuovo volume che, ai sensi della disciplina edilizia vigente, comporta la necessità di un titolo abilitativo (sul punto, cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, sentenza 22.3.2007, n. 2725 o anche T.A.R. Piemonte, sez. I, sentenza 12.7.2005, n. 2484) poiché non assimilabile ad un semplice intervento manutentivo (ordinario).
(Altalex, 2 luglio 2008. Nota di Alessandro Del Dotto)

Chiusura di una tettoia: è ristrutturazione.

Edilizia, superficie edificabile, chiusura di una tettoia, intervento innovativo
TAR Abruzzo-L'Aquila, sez. I, sentenza 07.03.2008 n° 127

Edilizia – superficie edificabile – chiusura di una tettoia – intervento innovativo [art. 3, D.P.R. 380/2001]
La chiusura di una preesistente tettoia comporta non la sola copertura di una superficie, ma la piena utilizzabilità di un volume, in sicuro ampliamento del fabbricato cui accede. Ne deriva che tale intervento si configura come innovativo e non meramente manutentivo e, pertanto, deve rispettare la disciplina in tema di distanza e di superficie massima edificabile. (1)
(1) In materia di edificabilità, si vedano anche: Tar Campania-Napoli 15615/2007; Consiglio di Stato 6337/2007.
(Fonte: Altalex Massimario 24/2008. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)

T.A.R.
Abruzzo - L'Aquila
Sezione I
Sentenza 7 marzo 2008, n. 127
(Pres. Catoni, Est. Abbruzzese)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 134 del 2005, proposto da:
Costruzioni Italia S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Anna Maria Nardis, Carmela Corneli, con domicilio eletto presso Anna Maria Avv. Nardis in L'Aquila, via Maiella, N. 2; Gallese & Catturuzza S.a.s., Ga.Pa. Costruzioni S.r.l.;
contro
Comune di Silvi, rappresentato e difeso dall'avv. Fausto Castelli, con domicilio eletto presso Vincenzo Avv. Salvi in L'Aquila, via Fontesecco 16;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
dell’ingiunzione n.202 del 22.12.2004, avente ad oggetto demolizione di opere edilizie.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Silvi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30/01/2008 il dott. Maria Abbruzzese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
La società ricorrente ha realizzato una struttura in cemento armato delle dimensioni di ml.6,85 x 13,65, con altezza minima di ml.2,53 e max di ml.3,24 al piano terra, sul lato sud del fabbricato principale ubicato in Silvi, Contrada Piombo Alta, in luogo della preesistente tettoia oggetto di condono, nonché, al piano interrato, sul lato est del medesimo fabbricato, un muro a distanza, come calcolata dai tecnici comunali, di ml.1,80 dal confine demaniale; le sopra descritte opere edilizie sono oggetto dell’ingiunzione di demolizione impugnata.
Il ricorso deduce: 1) violazione di legge, nullità dell’ordinanza ex art. 7 legge n.241/90, in ragione dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento e comunque dell’intervenuta estinzione della procedura non essendo stato emanato alcun provvedimento definitivo a seguito del decorso di 45 giorni dall’ordinanza di sospensione n.35/04; 2) eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e violazione di legge per illegittimità dell’ordine di demolizione della struttura in c.a. al posto della tettoia, non avendo tenuto conto il Comune della preesistenza della tettoia e della natura meramente manutentiva dell’intervento realizzato; 3) eccesso di potere per travisamento ed illegittimità dell’ordine di demolizione del muro al piano interrato, risultando perfettamente rispettata la distanza di legge dal confine demaniale.
Concludeva per l’accoglimento del ricorso e dell’istanza cautelare.
Si costituiva il Comune di Silvi deducendo la piena legittimità dell’atto impugnato.
Il TAR adito accoglieva la proposta istanza cautelare.
Le parti depositavano memorie e documentazione.
All’esito della pubblica udienza del 30 gennaio 2008, il Collegio riservava la decisione in camera di consiglio.
DIRITTO
Dalla documentazione versata in atti, risulta che, con il rilascio del permesso di costruire n.50 dell’1.8.2006 (in produzione di parte ricorrente), che ha ad oggetto la sopraelevazione di una porzione di fabbricato e l’ampliamento del piano interrato del fabbricato di proprietà della ricorrente, inglobante il muro in contestazione, deve intendersi venuto meno l’interesse all’annullamento, quanto al punto 2), dell’ingiunzione impugnata, e del secondo motivo di ricorso, che riguardano appunto il muro, in ragione delle richiamate sopravvenienze procedimentali.
In parte qua, il ricorso va, pertanto, dichiarato improcedibile.
In ordine alla ulteriore contestazione operata, deve rilevarsi che essa ha ad oggetto una struttura in cemento armato delle dimensioni di ml.6,80 x 13,65 ed altezza, massima di ml.3,24 e minima di ml.2,53, realizzata in ampliamento dell’edificio principale, a destinazione ristorante, realizzata in assenza del permesso di costruire al posto di una preesistente tettoia in legno, già condonata, in data 8.11.2002, con concessione edilizia in sanatoria n.232/02/C.
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce l’illegittimità dell’ingiunzione giacché non preceduta da comunicazione di avvio del procedimemto.
Premesso che, com’è noto, la comunicazione di avvio ha lo scopo di innescare il contraddittorio procedimentale con la parte destinataria del provvedimento, o comunque ad esso interessata, il Collegio non può non rilevare che la parte, nel caso di specie, ha effettivamente esercitato tale sua facoltà, intervenendo nel procedimento (cfr. controdeduzioni pervenute al Comune in data 6.4.2004/120567, citate nel corpo del provvedimento impugnato; cfr. pag.4), così determinando la scrupolosa e puntuale disamina della posizioni da essa sostenute da parte del Comune, che ne dà ampio conto proprio in sede motivazionale.
Il motivo è pertanto infondato.
Con il terzo motivo, la ricorrente deduce l’illegittimità dell’ingiunzione muovendo dalla qualificazione dell’intervento edilizio realizzato e deducendone la non assoggettabilità a sanzione demolitoria, in ragione della sua natura sostanzialmente manutentiva.
Si tratta, secondo la contestazione del Comune, di manufatto non condonabile ex D.L.269/2003, giacché realizzato in epoca posteriore al 31.3.2003, come risultante dal sopralluogo del 19.11.2003, e non conforme alle norme urbanistiche perché realizzato in violazione delle distanze minime dai confini dai fabbricati (rilevate pari a ml.1,15 dal confine sud ed a ml.4,20 dal fabbricato prospiciente, inferiori alle minime prescritte dagli artt, 35 e 36 delle vigneti NTA, pari a ml.5,00 per i confini e ml.10,00, o pari all’altezza del fabbricato più alto, per i fabbricati), oltre che esorbitante dalla superficie edificabile massima realizzabile nella zona di pertinenza (zona B1 – residenziale ambito urbano).
In proposito, la ricorrente sostiene la natura meramente manutentiva dell’intervento in questione, tenuto conto della preesistenza di una struttura in ferro (la tettoia), di identiche dimensioni, collegata a terra mediante sistema fondale, e dunque già stabilmente ancorata al suolo, anche perché realizzata unitamente al pavimento esterno al piano terra in cemento, e già condonata.
L’intervento sarebbe consistito nella sostituzione della struttura in ferro con altra analoga in cemento armato e nella successiva tompagnatura dei perimetrali, il che qualificherebbe l’opera in termini di manutenzione.
Il Collegio non condivide la tesi difensiva di parte ricorrente.
L’intervento in questione (chiusura di una preesistente tettoia) deve configurarsi, invero, non già come intervento manutentivo, che presupporrebbe la natura non innovativa degli apporti edilizi, e, nel caso di specie, della funzione di sola copertura propria della tettoia preesistente, ma di vera e propria ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 31, lett.d), legge 5 agosto 1978, n.457, ed ora dell’art. 3 del D.P.R. n.380 del 2001, trattandosi di trasformazione di un immobile tale da portare, come in effetti nella specie porta, ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Non può revocarsi in dubbio, infatti, che la chiusura della tettoia importi non la sola copertura di una superficie, ma la piena utilizzabilità di un volume, in sicuro ampliamento del fabbricato cui accede.
Le dimensioni non certo trascurabili della struttura stessa (di circa mq.80) e i materiali utilizzati (cemento armato) confortano circa la qualificazione dell’opera ed il suo assoggettamento alla disciplina propria delle opere edilizie soggette a permesso di costruire (cfr., in termini, TAR Campania, Napoli, sez.IV, 7 giugno 2006, n.10444).
Né può surrettiziamente, come tenta di fare la difesa ricorrente, operarsi una distinzione tra le varie fasi di realizzazione dell’intervento, che ha comportato, com’ è ovvio, dapprima la sostituzione della preesistente struttura in ferro con altra, analoga, in cemento armato (si tratta delle opere strutturali), e, successivamente, la tompagnatura delle pareti aperte della tettoia, per desumerne la natura meramente sostitutiva e manutentiva, essendo viceversa chiaro che l’opera edilizia va vista nella sua globalità e, in tale ottica, non vi dubbio che la preesistente tettoia in ferro (ed è tutt’altro che trascurabile le scelta dei materiali), sia pure ancorata al suolo, è opera diversa dall’ampliamento chiuso su tutti i lati del fabbricato principale, sia pure inglobante la superficie prima coperta dalla detta tettoia.
Del resto, la distinzione concettuale tra tettoia aperta su tre lati e superficie chiusa su tutti i lati è chiaramente rappresentata dall’art. 47 del REC del Comune di Silvi, che esclude che possano essere qualificati portici, con conseguente possibilità di scomputo dal calcolo delle superfici edificabili, gli spazi interamente chiusi, che non presentino almeno un lato completamento aperto (art. 47, punto 4 lett.a), così come pure evidenziato nel corpo del provvedimento impugnato.
La qualificazione dell’opera, come sopra operata, e il suo sicuro assoggettamento alle disposizioni richiamate dal Comune in punto di distanza e di superficie massima edificabile comportano, per tale parte, la legittimità dell’ingiunzione impugnata ed il rigetto del ricorso in parte de qua.
La soccombenza, visto l’esito complessivo del ricorso, va posta sostanzialmente a carico di parte ricorrente; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo – L’AQUILA, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, così provvede: dichiara il ricorso in parte improcedibile e rigetta per il resto, nei sensi di cui in motivazione.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune di Silvi, che si liquidano in complessivi Euro 2.000 (duemila).
Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 30/01/2008 con l'intervento dei signori:
Antonio Catoni, Presidente
Rolando Speca, Consigliere
Maria Abbruzzese, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 07/03/2008.

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...