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martedì 23 dicembre 2008

L'IRAP ed i piccoli professionisti


Irap piccoli professionisti
S. Bottero (Approfondimento 17/10/2008)

La scintilla che ha determinato la presentazione di numerosi ricorsi è stata la sentenza della Corte Costituzionale 21 maggio 2001, n. 156 in cui i giudici considerarono legittimo l'assoggettamento all'IRAP di ogni tipo di attività autonomamente organizzata sia imprenditoriale sia professionale, ma allo stesso tempo evidenziarono la possibilità di attività di lavoro autonomo prive di organizzazione e, quindi, probabili escluse dall'applicazione del tributo.In sostanza, la Corte Costituzionale ha dato il via alla presentazione dei ricorsi da parte di tutti i lavoratori autonomi non operanti tramite una stabile organizzazione.L'Amministrazione finanziaria ha sempre sostenuto in giudizio che l'organizzazione è un elemento presente in ogni attività imprenditoriale o professionale. Nell'ultimo periodo, però, l'Agenzia delle Entrate ha dovuto prendere atto dell'ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione con la circolare 13 giugno 2008, n. 45/E.
Un po' di storia: le tre tesiLa Corte di Cassazione, con la sentenza 7 marzo 2007, n. 3676, ha fornito una ricostruzione puntuale delle tre tesi in merito all'ambito di applicazione dell'IRAP.Secondo la tesi, sostenuta dagli esercenti arti e professioni, essi non sono soggetti passivi di imposta data la prevalenza dell'aspetto professionale su quello organizzativo. L'intuitus personae, ovvero l'importanza del professionista e della sua opera professionale, è talmente rilevante da non consentire allo studio di avere un going concern indipendente nonostante la presenza di un'organizzazione. L'IRAP, pertanto, in base a questo orientamento, non è dovuta.A tale interpretazione, si contrappone la tesi dell'Agenzia delle Entrate secondo cui coloro che svolgono un'arte o una professione, ai sensi dell'art. 49, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 917/1986 (T.U.I.R.), sono sempre e comunque soggetti passivi di imposta, nonostante il legislatore abbia inserito l'espressione "autonomamente organizzata" nell'art. 2, D.Lgs. n. 446/1997, istitutivo dell'IRAP. L'inserimento, appena citato, infatti sarebbe solo una conferma di ciò che era già desumibile dalla norma originaria ovvero che sono soggette all'IRAP tutte le attività gestite in proprio e non sotto la direzione o all'interno di una struttura altrui. Per l'Agenzia delle Entrate, quindi, rientrano tra i soggetti obbligati al versamento del tributo tutti i titolari di partita IVA, esclusi i co.co.co. e gli occasionali.Tra i due orientamenti, appena esposti, la Corte di Cassazione ha adottato, come già anticipato, una via intermedia, sostenendo che la risposta deve ricercarsi nel concreto dello svolgimento dell'attività professionale, verificando se il professionista si giovi o meno di un supporto organizzativo.Pertanto, secondo la Corte Suprema, l'espressione "autonoma organizzazione", aggiunta dall'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 137/1998 all'art. 2, D.Lgs. n. 446/1997, non è ininfluente.L'autonoma organizzazione non esisterebbe per il solo svolgimento di un'attività artistica o professionale, ma bensì per l'esistenza di un apparato distinto dal professionista e composto da beni strumentali e lavoro altrui.Quindi, per la Corte di Cassazione, ad esempio nel caso del medico-pediatra trattato con la pronuncia 16 febbraio 2007, n. 3674, è errato quanto asserito dalla Commissione Tributaria Regionale, ovvero che l'elemento organizzativo viene meno quando l'opera del professionista sia prevalente su capitali e lavoro altrui. Tale ipotesi, infatti, comporterebbe nella maggior parte dei casi la non applicazione dell'IRAP data la tradizionale struttura delle attività professionali costituite in Italia.
Gli elementi da verificareL'esclusione dall'IRAP, secondo i giudici della Corte di Cassazione, non sarebbe giustificata dalla prevalenza della struttura rispetto al lavoro del titolare, ma bensì dalla mancanza di un insieme di fattori generatori di una condizione più favorevole per il professionista.In sostanza, ogni giudice di merito deve valutare caso per caso con un mero accertamento di fatto, cercando di individuare l'eventuale "surplus" che crea valore aggiunto rispetto alla sola attività intellettuale.Due sono gli elementi qualificanti secondo la Corte di Cassazione affinché ci sia un'autonoma organizzazione:· la responsabilità dell'organizzazione;· la presenza di una struttura, composta da uomini e da mezzi, operante al servizio del professionista.La mancanza o la carenza di questi fattori, che il contribuente deve dimostrare, determina l'inapplicabilità dell'IRAP.Sul punto, la Corte di Cassazione, con la sentenza 16 febbraio 2007, n. 3678, afferma che "è il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista nelle incombenze ordinarie ad essere interessato dall'imposizione che colpisce l'incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività autoorganizzata del solo lavoro personale". Inoltre, la sentenza n. 3678/2007 contiene indicazioni per il giudice di merito che deve verificare il quadro RE del modello Unico in cui si determina il reddito di lavoro autonomo ai fini IRPEF, focalizzando la propria attenzione sulla composizione dei costi (righi da 16 a 18).In particolare, le voci di maggiore interesse al fine di valutare l'applicabilità o meno dell'IRAP sono le quote di ammortamento dei beni strumentali, i canoni di locazione finanziaria e non, le spese relative agli immobili, le spese per prestazioni di lavoro dipendente, per le collaborazioni e i compensi elargiti a terzi e gli interessi passivi.Nel caso in cui il giudice, con una valutazione sia logica sia socio-economica, non rilevi la presenza di dipendenti e/o collaboratori o l'impiego di beni strumentali oltre quelli indispensabili alla professione, quali ad esempio il pc o il lettino per le visite, sarà possibile dichiarare l'assenza di una struttura organizzativa e produttiva tassabile ai fini IRAP.
La circolare n. 45/E/2008L'Agenzia delle Entrate con la circolare 13 giugno 2008, n. 45/E ha affermato che, preso atto dell'ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione, non è ulteriormente sostenibile la tesi interpretativa dell'assoggettamento generalizzato all'IRAP degli esercenti arti e professioni. Tale intervento dell'Amministrazione finanziaria, che rappresenta sicuramente un passo avanti a favore del contribuente, si aggiunge alle indicazioni rinvenibili nella circolare del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili 5 giugno 2008, n. 2/IR e nella risposta all'Interrogazione parlamentare 4 giugno 2008, n. 5-00072.Nonostante questi primi segnali positivi oltre alle sentenze della Suprema Corte, l'Agenzia delle Entrate non ha inserito limiti "numerici" così da consentire un'identificazione oggettiva dei professionisti per i quali l'IRAP non è dovuta, ma ha analizzato alcuni concetti.In particolare, nella circolare, l'Agenzia afferma che, ai fini dell'esistenza dell'autonoma organizzazione:· rileva la disponibilità di beni strumentali eccedenti il minimo per lo svolgimento dell'attività, anche qualora non siano acquisiti direttamente, ma da terzi a qualunque titolo;· i beni strumentali, così come indicati, rilevano anche quando il loro costo è stato interamente dedotto.Il test sui beni strumentali è da considerare superato, ai fini della non assoggettabilità all'IRAP, se il professionista ha i requisiti per l'adesione ai regimi dei minimi.Ovviamente, è escluso da IRAP il professionista che ha anche gli altri requisiti previsti dal citato regime, quali per esempio la mancanza di spese sostenute per lavoro dipendente o per collaboratori.Una prima base di valutazione è, pertanto, il regime dei contribuenti minimi. Al di fuori di questa ipotesi, è necessario valutare caso per caso. Per quanto riguarda la fattispecie in esame, pur mancando indicazioni puntuali, è plausibile ritenere che il professionista sia escluso dall'applicazione dell'IRAP in quanto il fatto di lavorare presso terzi senza una propria struttura rappresenta una condizione oggettiva difficilmente contestabile.
Riferimenti normativi- D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2- D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49- Agenzia delle Entrate, Circolare 13 giugno 2008, n. 45/E- Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, Circolare 5 giugno 2008, n. 2/IR- Risposta all'interrogazione parlamentare 4 giugno 2008, n. 5-00072- Corte di Cassazione, sentenza 7 marzo 2007, n. 5258- Corte di Cassazione, sentenze 16 febbraio 2007, dalla n. 3672 alla n. 3682- Corte Costituzionale, sentenza 10 aprile 2002, n. 103- Corte Costituzionale, sentenza 23 luglio 2001, n. 286- Corte Costituzionale, sentenza 21 maggio 2001, n. 156

Simone Bottero
Dottore Commercialista, Revisore Contabile e Pubblicista in Milano

L'IRAP ed i piccoli professionisti


Irap piccoli professionisti
S. Bottero (Approfondimento 17/10/2008)

La scintilla che ha determinato la presentazione di numerosi ricorsi è stata la sentenza della Corte Costituzionale 21 maggio 2001, n. 156 in cui i giudici considerarono legittimo l'assoggettamento all'IRAP di ogni tipo di attività autonomamente organizzata sia imprenditoriale sia professionale, ma allo stesso tempo evidenziarono la possibilità di attività di lavoro autonomo prive di organizzazione e, quindi, probabili escluse dall'applicazione del tributo.In sostanza, la Corte Costituzionale ha dato il via alla presentazione dei ricorsi da parte di tutti i lavoratori autonomi non operanti tramite una stabile organizzazione.L'Amministrazione finanziaria ha sempre sostenuto in giudizio che l'organizzazione è un elemento presente in ogni attività imprenditoriale o professionale. Nell'ultimo periodo, però, l'Agenzia delle Entrate ha dovuto prendere atto dell'ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione con la circolare 13 giugno 2008, n. 45/E.
Un po' di storia: le tre tesiLa Corte di Cassazione, con la sentenza 7 marzo 2007, n. 3676, ha fornito una ricostruzione puntuale delle tre tesi in merito all'ambito di applicazione dell'IRAP.Secondo la tesi, sostenuta dagli esercenti arti e professioni, essi non sono soggetti passivi di imposta data la prevalenza dell'aspetto professionale su quello organizzativo. L'intuitus personae, ovvero l'importanza del professionista e della sua opera professionale, è talmente rilevante da non consentire allo studio di avere un going concern indipendente nonostante la presenza di un'organizzazione. L'IRAP, pertanto, in base a questo orientamento, non è dovuta.A tale interpretazione, si contrappone la tesi dell'Agenzia delle Entrate secondo cui coloro che svolgono un'arte o una professione, ai sensi dell'art. 49, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 917/1986 (T.U.I.R.), sono sempre e comunque soggetti passivi di imposta, nonostante il legislatore abbia inserito l'espressione "autonomamente organizzata" nell'art. 2, D.Lgs. n. 446/1997, istitutivo dell'IRAP. L'inserimento, appena citato, infatti sarebbe solo una conferma di ciò che era già desumibile dalla norma originaria ovvero che sono soggette all'IRAP tutte le attività gestite in proprio e non sotto la direzione o all'interno di una struttura altrui. Per l'Agenzia delle Entrate, quindi, rientrano tra i soggetti obbligati al versamento del tributo tutti i titolari di partita IVA, esclusi i co.co.co. e gli occasionali.Tra i due orientamenti, appena esposti, la Corte di Cassazione ha adottato, come già anticipato, una via intermedia, sostenendo che la risposta deve ricercarsi nel concreto dello svolgimento dell'attività professionale, verificando se il professionista si giovi o meno di un supporto organizzativo.Pertanto, secondo la Corte Suprema, l'espressione "autonoma organizzazione", aggiunta dall'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 137/1998 all'art. 2, D.Lgs. n. 446/1997, non è ininfluente.L'autonoma organizzazione non esisterebbe per il solo svolgimento di un'attività artistica o professionale, ma bensì per l'esistenza di un apparato distinto dal professionista e composto da beni strumentali e lavoro altrui.Quindi, per la Corte di Cassazione, ad esempio nel caso del medico-pediatra trattato con la pronuncia 16 febbraio 2007, n. 3674, è errato quanto asserito dalla Commissione Tributaria Regionale, ovvero che l'elemento organizzativo viene meno quando l'opera del professionista sia prevalente su capitali e lavoro altrui. Tale ipotesi, infatti, comporterebbe nella maggior parte dei casi la non applicazione dell'IRAP data la tradizionale struttura delle attività professionali costituite in Italia.
Gli elementi da verificareL'esclusione dall'IRAP, secondo i giudici della Corte di Cassazione, non sarebbe giustificata dalla prevalenza della struttura rispetto al lavoro del titolare, ma bensì dalla mancanza di un insieme di fattori generatori di una condizione più favorevole per il professionista.In sostanza, ogni giudice di merito deve valutare caso per caso con un mero accertamento di fatto, cercando di individuare l'eventuale "surplus" che crea valore aggiunto rispetto alla sola attività intellettuale.Due sono gli elementi qualificanti secondo la Corte di Cassazione affinché ci sia un'autonoma organizzazione:· la responsabilità dell'organizzazione;· la presenza di una struttura, composta da uomini e da mezzi, operante al servizio del professionista.La mancanza o la carenza di questi fattori, che il contribuente deve dimostrare, determina l'inapplicabilità dell'IRAP.Sul punto, la Corte di Cassazione, con la sentenza 16 febbraio 2007, n. 3678, afferma che "è il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista nelle incombenze ordinarie ad essere interessato dall'imposizione che colpisce l'incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività autoorganizzata del solo lavoro personale". Inoltre, la sentenza n. 3678/2007 contiene indicazioni per il giudice di merito che deve verificare il quadro RE del modello Unico in cui si determina il reddito di lavoro autonomo ai fini IRPEF, focalizzando la propria attenzione sulla composizione dei costi (righi da 16 a 18).In particolare, le voci di maggiore interesse al fine di valutare l'applicabilità o meno dell'IRAP sono le quote di ammortamento dei beni strumentali, i canoni di locazione finanziaria e non, le spese relative agli immobili, le spese per prestazioni di lavoro dipendente, per le collaborazioni e i compensi elargiti a terzi e gli interessi passivi.Nel caso in cui il giudice, con una valutazione sia logica sia socio-economica, non rilevi la presenza di dipendenti e/o collaboratori o l'impiego di beni strumentali oltre quelli indispensabili alla professione, quali ad esempio il pc o il lettino per le visite, sarà possibile dichiarare l'assenza di una struttura organizzativa e produttiva tassabile ai fini IRAP.
La circolare n. 45/E/2008L'Agenzia delle Entrate con la circolare 13 giugno 2008, n. 45/E ha affermato che, preso atto dell'ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione, non è ulteriormente sostenibile la tesi interpretativa dell'assoggettamento generalizzato all'IRAP degli esercenti arti e professioni. Tale intervento dell'Amministrazione finanziaria, che rappresenta sicuramente un passo avanti a favore del contribuente, si aggiunge alle indicazioni rinvenibili nella circolare del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili 5 giugno 2008, n. 2/IR e nella risposta all'Interrogazione parlamentare 4 giugno 2008, n. 5-00072.Nonostante questi primi segnali positivi oltre alle sentenze della Suprema Corte, l'Agenzia delle Entrate non ha inserito limiti "numerici" così da consentire un'identificazione oggettiva dei professionisti per i quali l'IRAP non è dovuta, ma ha analizzato alcuni concetti.In particolare, nella circolare, l'Agenzia afferma che, ai fini dell'esistenza dell'autonoma organizzazione:· rileva la disponibilità di beni strumentali eccedenti il minimo per lo svolgimento dell'attività, anche qualora non siano acquisiti direttamente, ma da terzi a qualunque titolo;· i beni strumentali, così come indicati, rilevano anche quando il loro costo è stato interamente dedotto.Il test sui beni strumentali è da considerare superato, ai fini della non assoggettabilità all'IRAP, se il professionista ha i requisiti per l'adesione ai regimi dei minimi.Ovviamente, è escluso da IRAP il professionista che ha anche gli altri requisiti previsti dal citato regime, quali per esempio la mancanza di spese sostenute per lavoro dipendente o per collaboratori.Una prima base di valutazione è, pertanto, il regime dei contribuenti minimi. Al di fuori di questa ipotesi, è necessario valutare caso per caso. Per quanto riguarda la fattispecie in esame, pur mancando indicazioni puntuali, è plausibile ritenere che il professionista sia escluso dall'applicazione dell'IRAP in quanto il fatto di lavorare presso terzi senza una propria struttura rappresenta una condizione oggettiva difficilmente contestabile.
Riferimenti normativi- D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2- D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49- Agenzia delle Entrate, Circolare 13 giugno 2008, n. 45/E- Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, Circolare 5 giugno 2008, n. 2/IR- Risposta all'interrogazione parlamentare 4 giugno 2008, n. 5-00072- Corte di Cassazione, sentenza 7 marzo 2007, n. 5258- Corte di Cassazione, sentenze 16 febbraio 2007, dalla n. 3672 alla n. 3682- Corte Costituzionale, sentenza 10 aprile 2002, n. 103- Corte Costituzionale, sentenza 23 luglio 2001, n. 286- Corte Costituzionale, sentenza 21 maggio 2001, n. 156

Simone Bottero
Dottore Commercialista, Revisore Contabile e Pubblicista in Milano

mercoledì 17 dicembre 2008


Le verifiche fiscali: elementi a base dell'accertamernto analitico-induttivo

rassegna giurisprudenziale del mese di dicembre 2008 (Avv. Azzeccagarbugli)

Il cosiddetto accertamento presuntivo (o analitico-induttivo) trova origine nell’articolo 39 comma 1 lett. d) del Dpr n. 600/1973, che dispone che “per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio procede alla rettifica ……… se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’art. 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi alla impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32. L’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti. ……………...”
Continuiamo in questo numero della rassegna mensile ad illustrare le ultime sentenze che si sono occupate di questi aspetti dell’accertamento, evidenziando quali possono essere gli elementi che possono legittimare il Fisco alla rettifica del reddito dichiarato.

Rinvenimento di documentazione extracontabile
Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il ritrovamento di scritture contabili informali tenute su documenti non ufficiali quali brogliacci, appunti, annotazioni ovvero il rinvenimento di matrici di assegni, agende o block-notes, costituiscono indizi forniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza tali da legittimare l’Amministrazione finanziaria a procedere alla determinazione del maggior reddito imponibile con accertamento induttivo.
(Cassazione, sentenza n. 24206/2008)


I conti dei soci insufficienti a produrre un accertamento per la società

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale i prelevamenti e versamenti su conti correnti intestati al contribuente sono imputabili - in sede di accertamento induttivo e con presunzione ex lege - a maggiori proventi non dichiarati laddove non sia dimostrato che le relative movimentazioni siano già computate nell’ambito della dichiarazione ovvero non riferibili ad operazioni imponibili.
La disciplina dell’accertamento fondato sulle risultanze ed elementi emersi da indagini condotte su rapporti e conti correnti detenuti presso istituti di credito non contempla alcuna presunzione di imputazione di attività fiscalmente rilevante nei confronti del contribuente giusta il rapporto organico o familiare dei titolari dei conti, rapporti o posizioni verificati. Sebbene l’ambito della verifica possa naturalmente essere esteso sino a ricomprendere soggetti terzi - legati al contribuente da particolari vincoli (lavorativi o familiari) tali da ingenerare sospetti secondo la comune esperienza e l’id quod plerumque accidit - tale circostanza non è di per sé stessa sufficiente a superare il dato formale dovendosi dimostrare - con onere da assolversi a carico dell’Amministrazione finanziaria - l’intestazione fittizia e l’utilizzazione in concreto da parte del contribuente.
(Cassazione, sentenza n. 27186/2008)

Elementi extracontabili decisivi
Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale la regolare tenuta della contabilità non osta all’adozione dell’accertamento con metodo induttivo da parte dell’Amministrazione finanziaria. Del pari, il rinvenimento di documenti e dati extracontabili costituisce indizio munito dei caratteri di gravità, precisione e concordanza tali da rendere complessivamente inattendibile la contabilità ufficiale, consentire la rettifica ed invertire l’onere della prova a carico del contribuente.
(Cassazione, sentenza n. 25101/2008)

No all’accertamento se ci si è avvalsi di un mutuo
Deve ritenersi illegittimo e, pertanto, meritevole di annullamento l’avviso di accertamento attraverso il quale l’Amministrazione finanziaria abbia determinato con metodo sintetico-induttivo un maggior reddito nei confronti del contribuente il quale abbia documentato che i beni ritenuti indici rivelatori di capacità contributiva erano stati acquistati per il tramite di un mutuo e, dunque, non riconducibili ai proventi dell’attività.
(Cassazione, sentenza n. 11389/2008)


Il floppy dell’ex socio elemento indiziario pesante

In tema di IVA, l’uso di elementi acquisiti nell’ambito di procedure riguardanti altri soggetti non viola disposizioni che regolano l’accertamento o il principio del contraddittorio, atteso che l’art. 63, comma 1, Dpr n. 633/1972, dispone espressamente che, nell’ambito dei doveri di cooperazione con gli uffici, la Guardia di Finanza trasmette agli uffici stessi tutte le notizie acquisite, anche indirettamente, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria e che l’art. 54 del citato D.P.R. dispone che gli uffici, a loro volta, possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti (viene perciò cassata la sentenza di merito che aveva escluso la rilevanza della “contabilità in nero”, tenuta su floppy disk, di un piano bar e reperita presso l’abitazione dell’ex amministratore dell’esercizio).
(Cassazione, sentenza n. 8255/2008)


L’esistenza di contabilità parallela

Il ritrovamento, al di fuori della sede sociale, di una contabilità parallela costituisce indizio grave preciso e concordante nonché circostanza sufficiente a legittimare la rettifica delle dichiarazioni. E’ onere del contribuente fornire la dimostrazione dell’insussistenza di qualsiasi movimento extracontabile riferibile alle operazioni di cui ai documenti rinvenuti in sede di verifica in quanto regolarmente trascritte ovvero mai avvenute.
(Cassazione, sentenza n. 7915/2007)


Il consumo di materie sussidiarie all’attività
In materia tributaria, è sufficiente, quale prova presuntiva, un unico indizio, preciso e grave (ancorché l’art. 2729 del codice civile si esprima al plurale) e la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevolezza e probabilità. Si deve perciò ribadire che il consumo di tovaglioli costituisce sufficiente indizio per l’accertamento del reddito di un ristorante e ciò in quanto è consentito l’utilizzo di “presunzioni di secondo grado”, in cui si deduce da un fatto noto, nella specie, dal numero dei tovaglioli, un primo fatto ignoto, il numero dei coperti e da questo fatto un terzo elemento, il reddito.
(Cassazione, sentenza n. 12438/2007)


La contabilità informale innesca l’accertamento
Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il ritrovamento di scritture contabili informali tenute su documenti non ufficiali quali brogliacci, appunti, annotazioni ovvero il rinvenimento di matrici di assegni, agende o block-notes,
costituiscono indizi forniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza tali da legittimare l’Amministrazione finanziaria a procedere alla determinazione del maggior reddito imponibile con accertamento induttivo.
(Cassazione, sentenza n. 7701/2008)


Ancora sulla documentazione extracontabile

Costituisce principio consolidato, che consente il rigetto in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. del ricorso del contribuente, l’affermazione secondo cui, in tema di IVA, alla luce delle previsioni degli artt. 52, comma quarto, e 54, comma secondo, del D.P.R. n. 633 del 1972, la documentazione extracontabile reperita presso la sede dell’impresa, ancorché consistente in annotazioni personali dell’imprenditore, costituisce elemento probatorio, sia pure meramente presuntivo, utilmente valutabile in sede di accertamento, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolarità
nella tenuta della contabilità.
(Cassazione, sentenza n. 1400/2008)


Presunzioni sui versamenti bancari
Laddove il contribuente, sul quale grava il relativo onere probatorio, non dimostri l’estraneità alla determinazione del reddito imponibile di movimenti relativi a versamenti e prelevamenti in conto corrente gli importi corrispondenti si considerano componenti del reddito, anche in virtù di relazioni economiche o personali intercorrenti fra il titolare del rapporto di conto corrente ed il soggetto verificato.
(Cassazione, sentenza n. 26836/2008)


L’incidenza dei costi per materie prime
L’accertamento dell’incidenza del costo delle materie prime sull’intero ammontare degli acquisti di un determinato periodo d’imposta può consentire all’Amministrazione finanziaria di utilizzare tale dato anche per differenti periodi d’imposta avuto riguardo all’invarianza della natura dell’attività d’impresa esercitata dal contribuente.
(Cassazione, sentenza n. 22531/2007)


L’accertamento alla società di famiglia conferitaria di soci con redditi bassi
L’Amministrazione può legittimamente presumere che i soci (che non dispongano di propri rilevanti redditi) di una società a base azionaria ristretta e familiare abbiano proceduto ad un considerevole aumento del capitale sociale mediante il versamento di utili occulti in precedenza percepito dalla società stessa; di conseguenza, può procedere ad accertamento nei confronti della società senza che sia necessaria la preventiva emissione del relativo avviso nei confronti dei singoli soci. Tali elementi, che integrano una presunzione semplice, possono essere disattesi dal giudice di merito solo all’esito di un’adeguata valutazione critica.
(Cassazione, sentenza n. 24531/2007)



Perdite frequenti originano incongruenza
L’Amministrazione finanziaria può ricorrere alla determinazione induttiva del reddito imponibile, anche fuori dai casi previsti dall’art. 39, D.P.R n. 600/1973, laddove sia riscontrabile una grave ed ingiustificabile incongruenza fra i componenti positivi dichiarati e quelli desumibili dall’attività svolta o dagli studi di settore, anche alla luce di una sequenza di esercizi nei quali si registrano come risultati costanti perdite. La circostanza che le scritture contabili siano state regolarmente tenute non costituisce causa ostativa all’accertamento.
(Cassazione, sentenza n. 24436/2008)

Rilevanti anche gli appunti trovati presso i dipendenti
Gli appunti rinvenuti in sede di verifica sono ricondotti nel novero dei documenti riepilogativi e costitutivi della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa. È pertanto legittimo l’utilizzo, in qualità di indizio avente caratteri di gravità, precisione e concordanza, al fine di valutare l’attendibilità delle scritture contabili - ai sensi dell’art. 2709 c.c. - che contemplano tutti i documenti che rilevano fatti di gestione. Grava sull’imprenditore assolvere l’onere probatorio circa l’esclusione dei movimenti indicati dal contesto dell’attività esercitata.
(Cassazione, sentenza n. 25104/2008)

Le verifiche fiscali: elementi a base dell'accertamernto analitico-induttivo

rassegna giurisprudenziale del mese di dicembre 2008 (Avv. Azzeccagarbugli)

Il cosiddetto accertamento presuntivo (o analitico-induttivo) trova origine nell’articolo 39 comma 1 lett. d) del Dpr n. 600/1973, che dispone che “per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio procede alla rettifica ……… se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’art. 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi alla impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32. L’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti. ……………...”
Continuiamo in questo numero della rassegna mensile ad illustrare le ultime sentenze che si sono occupate di questi aspetti dell’accertamento, evidenziando quali possono essere gli elementi che possono legittimare il Fisco alla rettifica del reddito dichiarato.

Rinvenimento di documentazione extracontabile
Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il ritrovamento di scritture contabili informali tenute su documenti non ufficiali quali brogliacci, appunti, annotazioni ovvero il rinvenimento di matrici di assegni, agende o block-notes, costituiscono indizi forniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza tali da legittimare l’Amministrazione finanziaria a procedere alla determinazione del maggior reddito imponibile con accertamento induttivo.
(Cassazione, sentenza n. 24206/2008)


I conti dei soci insufficienti a produrre un accertamento per la società

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale i prelevamenti e versamenti su conti correnti intestati al contribuente sono imputabili - in sede di accertamento induttivo e con presunzione ex lege - a maggiori proventi non dichiarati laddove non sia dimostrato che le relative movimentazioni siano già computate nell’ambito della dichiarazione ovvero non riferibili ad operazioni imponibili.
La disciplina dell’accertamento fondato sulle risultanze ed elementi emersi da indagini condotte su rapporti e conti correnti detenuti presso istituti di credito non contempla alcuna presunzione di imputazione di attività fiscalmente rilevante nei confronti del contribuente giusta il rapporto organico o familiare dei titolari dei conti, rapporti o posizioni verificati. Sebbene l’ambito della verifica possa naturalmente essere esteso sino a ricomprendere soggetti terzi - legati al contribuente da particolari vincoli (lavorativi o familiari) tali da ingenerare sospetti secondo la comune esperienza e l’id quod plerumque accidit - tale circostanza non è di per sé stessa sufficiente a superare il dato formale dovendosi dimostrare - con onere da assolversi a carico dell’Amministrazione finanziaria - l’intestazione fittizia e l’utilizzazione in concreto da parte del contribuente.
(Cassazione, sentenza n. 27186/2008)

Elementi extracontabili decisivi
Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale la regolare tenuta della contabilità non osta all’adozione dell’accertamento con metodo induttivo da parte dell’Amministrazione finanziaria. Del pari, il rinvenimento di documenti e dati extracontabili costituisce indizio munito dei caratteri di gravità, precisione e concordanza tali da rendere complessivamente inattendibile la contabilità ufficiale, consentire la rettifica ed invertire l’onere della prova a carico del contribuente.
(Cassazione, sentenza n. 25101/2008)

No all’accertamento se ci si è avvalsi di un mutuo
Deve ritenersi illegittimo e, pertanto, meritevole di annullamento l’avviso di accertamento attraverso il quale l’Amministrazione finanziaria abbia determinato con metodo sintetico-induttivo un maggior reddito nei confronti del contribuente il quale abbia documentato che i beni ritenuti indici rivelatori di capacità contributiva erano stati acquistati per il tramite di un mutuo e, dunque, non riconducibili ai proventi dell’attività.
(Cassazione, sentenza n. 11389/2008)


Il floppy dell’ex socio elemento indiziario pesante

In tema di IVA, l’uso di elementi acquisiti nell’ambito di procedure riguardanti altri soggetti non viola disposizioni che regolano l’accertamento o il principio del contraddittorio, atteso che l’art. 63, comma 1, Dpr n. 633/1972, dispone espressamente che, nell’ambito dei doveri di cooperazione con gli uffici, la Guardia di Finanza trasmette agli uffici stessi tutte le notizie acquisite, anche indirettamente, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria e che l’art. 54 del citato D.P.R. dispone che gli uffici, a loro volta, possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti (viene perciò cassata la sentenza di merito che aveva escluso la rilevanza della “contabilità in nero”, tenuta su floppy disk, di un piano bar e reperita presso l’abitazione dell’ex amministratore dell’esercizio).
(Cassazione, sentenza n. 8255/2008)


L’esistenza di contabilità parallela

Il ritrovamento, al di fuori della sede sociale, di una contabilità parallela costituisce indizio grave preciso e concordante nonché circostanza sufficiente a legittimare la rettifica delle dichiarazioni. E’ onere del contribuente fornire la dimostrazione dell’insussistenza di qualsiasi movimento extracontabile riferibile alle operazioni di cui ai documenti rinvenuti in sede di verifica in quanto regolarmente trascritte ovvero mai avvenute.
(Cassazione, sentenza n. 7915/2007)


Il consumo di materie sussidiarie all’attività
In materia tributaria, è sufficiente, quale prova presuntiva, un unico indizio, preciso e grave (ancorché l’art. 2729 del codice civile si esprima al plurale) e la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevolezza e probabilità. Si deve perciò ribadire che il consumo di tovaglioli costituisce sufficiente indizio per l’accertamento del reddito di un ristorante e ciò in quanto è consentito l’utilizzo di “presunzioni di secondo grado”, in cui si deduce da un fatto noto, nella specie, dal numero dei tovaglioli, un primo fatto ignoto, il numero dei coperti e da questo fatto un terzo elemento, il reddito.
(Cassazione, sentenza n. 12438/2007)


La contabilità informale innesca l’accertamento
Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il ritrovamento di scritture contabili informali tenute su documenti non ufficiali quali brogliacci, appunti, annotazioni ovvero il rinvenimento di matrici di assegni, agende o block-notes,
costituiscono indizi forniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza tali da legittimare l’Amministrazione finanziaria a procedere alla determinazione del maggior reddito imponibile con accertamento induttivo.
(Cassazione, sentenza n. 7701/2008)


Ancora sulla documentazione extracontabile

Costituisce principio consolidato, che consente il rigetto in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. del ricorso del contribuente, l’affermazione secondo cui, in tema di IVA, alla luce delle previsioni degli artt. 52, comma quarto, e 54, comma secondo, del D.P.R. n. 633 del 1972, la documentazione extracontabile reperita presso la sede dell’impresa, ancorché consistente in annotazioni personali dell’imprenditore, costituisce elemento probatorio, sia pure meramente presuntivo, utilmente valutabile in sede di accertamento, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolarità
nella tenuta della contabilità.
(Cassazione, sentenza n. 1400/2008)


Presunzioni sui versamenti bancari
Laddove il contribuente, sul quale grava il relativo onere probatorio, non dimostri l’estraneità alla determinazione del reddito imponibile di movimenti relativi a versamenti e prelevamenti in conto corrente gli importi corrispondenti si considerano componenti del reddito, anche in virtù di relazioni economiche o personali intercorrenti fra il titolare del rapporto di conto corrente ed il soggetto verificato.
(Cassazione, sentenza n. 26836/2008)


L’incidenza dei costi per materie prime
L’accertamento dell’incidenza del costo delle materie prime sull’intero ammontare degli acquisti di un determinato periodo d’imposta può consentire all’Amministrazione finanziaria di utilizzare tale dato anche per differenti periodi d’imposta avuto riguardo all’invarianza della natura dell’attività d’impresa esercitata dal contribuente.
(Cassazione, sentenza n. 22531/2007)


L’accertamento alla società di famiglia conferitaria di soci con redditi bassi
L’Amministrazione può legittimamente presumere che i soci (che non dispongano di propri rilevanti redditi) di una società a base azionaria ristretta e familiare abbiano proceduto ad un considerevole aumento del capitale sociale mediante il versamento di utili occulti in precedenza percepito dalla società stessa; di conseguenza, può procedere ad accertamento nei confronti della società senza che sia necessaria la preventiva emissione del relativo avviso nei confronti dei singoli soci. Tali elementi, che integrano una presunzione semplice, possono essere disattesi dal giudice di merito solo all’esito di un’adeguata valutazione critica.
(Cassazione, sentenza n. 24531/2007)



Perdite frequenti originano incongruenza
L’Amministrazione finanziaria può ricorrere alla determinazione induttiva del reddito imponibile, anche fuori dai casi previsti dall’art. 39, D.P.R n. 600/1973, laddove sia riscontrabile una grave ed ingiustificabile incongruenza fra i componenti positivi dichiarati e quelli desumibili dall’attività svolta o dagli studi di settore, anche alla luce di una sequenza di esercizi nei quali si registrano come risultati costanti perdite. La circostanza che le scritture contabili siano state regolarmente tenute non costituisce causa ostativa all’accertamento.
(Cassazione, sentenza n. 24436/2008)

Rilevanti anche gli appunti trovati presso i dipendenti
Gli appunti rinvenuti in sede di verifica sono ricondotti nel novero dei documenti riepilogativi e costitutivi della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa. È pertanto legittimo l’utilizzo, in qualità di indizio avente caratteri di gravità, precisione e concordanza, al fine di valutare l’attendibilità delle scritture contabili - ai sensi dell’art. 2709 c.c. - che contemplano tutti i documenti che rilevano fatti di gestione. Grava sull’imprenditore assolvere l’onere probatorio circa l’esclusione dei movimenti indicati dal contesto dell’attività esercitata.
(Cassazione, sentenza n. 25104/2008)

lunedì 17 novembre 2008

La giurisprudenza Tributaria in tema di accertamento: Le percentuali di ricarico

Mai da sole le percentuali di ricarico

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte, tale da giustificare l’accoglimento del ricorso del contribuente in camera di consiglio ex art. 375 del codice di procedura civile, l’affermazione secondo cui le percentuali di ricarico elaborate dall’Amministrazione non costituiscono, di per sé, un fatto noto da cui si possa dedurre il “fatto ignoto” costituito dal reddito dell’impresa, salvo prova contraria a carico del contribuente. È infatti necessario che le percentuali di ricarico siano ancorate a specifiche circostanze che possono far presumere l’omessa dichiarazione di corrispettivi.
(Cassazione, sentenza n. 25200/08)


Calcoli corretti in presenza di articoli eterogenei

Deve ritenersi insufficientemente motivato l’avviso di accertamento tramite il quale l’Amministrazione finanziaria rettifichi l’imponibile dichiarato dal contribuente e ne ricostruisca induttivamente l’entità ricorrendo all’utilizzo delle percentuali di ricarico omettendo di adottare il criterio della media aritmetica ponderata in luogo della media semplice all’esito della presenza di articoli e merci eterogenei.
(Cassazione, sentenza n. 24434/08)


Il ricarico è frutto della media

Le percentuali medie di ricarico applicate alla merce venduta da aziende della medesima categoria, proprio per il fatto di essere medie, non sono da sole idonee a costituire il fatto noto da cui sia consentito dedurre il fatto ignoto (guadagno dei singolo esercente).
(Cassazione, sentenza n. 16862/08)


Il ricarico medio non è un fatto notorio

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’inammissibilità della rettifica della dichiarazione del contribuente sulla mera divergenza fra la percentuale di ricarico riscontrata e quella media del settore di appartenenza. Tale circostanza, estrapolata da un semplice dato statistico, non assume infatti valenza di presunzione fornita dei caratteri di gravità, precisione e concordanza non essendo suscettibile di integrare un fatto ‘noto - storicamente provato - dal quale argomentare il fatto ignoto.
(Cassazione, sentenza n. 15416/2008)

La rassegna di giurisprudenza continua qui con le seguenti sentenze (riservato ad utenti abbonati):


Elementi da coordinare con le prove del contribuente
(Cassazione, sentenza n. 10277/08)


Rilevante lo scostamento significativo con il settore
(Cassazione, sentenza n. 417/08)


Coerenza necessaria nelle percentuali di ricarico
(Commissione Tributaria Regionale Torino, sentenza n. 21/XXVII/08)


Il valore giuridico delle percentuali di ricarico
(Cassazione, sentenza n. 10960/07)


Quali ricarichi per le società in crisi
(Cassazione, sentenza n. 6549/08)


Nulle le verifiche fondate solo sui ricarichi
(Commissione Tributaria Regionale Puglia, sezione di Bari n. 390/XXII/07)


Insufficienti i parametri statistici
(Cassazione, sentenza n. 22938/07)


Percentuale di ricarico e onere della prova
(Cassazione, sentenza n. 19556/07)


L’utilizzo di dati di altri esercizi
(Cassazione, sentenza n. 22531/07)

La giurisprudenza Tributaria in tema di accertamento: Le percentuali di ricarico

Mai da sole le percentuali di ricarico

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte, tale da giustificare l’accoglimento del ricorso del contribuente in camera di consiglio ex art. 375 del codice di procedura civile, l’affermazione secondo cui le percentuali di ricarico elaborate dall’Amministrazione non costituiscono, di per sé, un fatto noto da cui si possa dedurre il “fatto ignoto” costituito dal reddito dell’impresa, salvo prova contraria a carico del contribuente. È infatti necessario che le percentuali di ricarico siano ancorate a specifiche circostanze che possono far presumere l’omessa dichiarazione di corrispettivi.
(Cassazione, sentenza n. 25200/08)


Calcoli corretti in presenza di articoli eterogenei

Deve ritenersi insufficientemente motivato l’avviso di accertamento tramite il quale l’Amministrazione finanziaria rettifichi l’imponibile dichiarato dal contribuente e ne ricostruisca induttivamente l’entità ricorrendo all’utilizzo delle percentuali di ricarico omettendo di adottare il criterio della media aritmetica ponderata in luogo della media semplice all’esito della presenza di articoli e merci eterogenei.
(Cassazione, sentenza n. 24434/08)


Il ricarico è frutto della media

Le percentuali medie di ricarico applicate alla merce venduta da aziende della medesima categoria, proprio per il fatto di essere medie, non sono da sole idonee a costituire il fatto noto da cui sia consentito dedurre il fatto ignoto (guadagno dei singolo esercente).
(Cassazione, sentenza n. 16862/08)


Il ricarico medio non è un fatto notorio

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’inammissibilità della rettifica della dichiarazione del contribuente sulla mera divergenza fra la percentuale di ricarico riscontrata e quella media del settore di appartenenza. Tale circostanza, estrapolata da un semplice dato statistico, non assume infatti valenza di presunzione fornita dei caratteri di gravità, precisione e concordanza non essendo suscettibile di integrare un fatto ‘noto - storicamente provato - dal quale argomentare il fatto ignoto.
(Cassazione, sentenza n. 15416/2008)

La rassegna di giurisprudenza continua qui con le seguenti sentenze (riservato ad utenti abbonati):


Elementi da coordinare con le prove del contribuente
(Cassazione, sentenza n. 10277/08)


Rilevante lo scostamento significativo con il settore
(Cassazione, sentenza n. 417/08)


Coerenza necessaria nelle percentuali di ricarico
(Commissione Tributaria Regionale Torino, sentenza n. 21/XXVII/08)


Il valore giuridico delle percentuali di ricarico
(Cassazione, sentenza n. 10960/07)


Quali ricarichi per le società in crisi
(Cassazione, sentenza n. 6549/08)


Nulle le verifiche fondate solo sui ricarichi
(Commissione Tributaria Regionale Puglia, sezione di Bari n. 390/XXII/07)


Insufficienti i parametri statistici
(Cassazione, sentenza n. 22938/07)


Percentuale di ricarico e onere della prova
(Cassazione, sentenza n. 19556/07)


L’utilizzo di dati di altri esercizi
(Cassazione, sentenza n. 22531/07)

giovedì 13 novembre 2008

Le O.N.L.U.S. e le attuvutà produttive di utili

06.11.2008
Importanti novità dalle S.U. su eccezione di difetto di giurisdizione e utili delle ONLUS
In una doppiamente notevole decisione le S.U. si soffermano sul termine entro cui può essere eccepito il difetto di giurisdizione e sul quesito se le ONLUS possano svolgere dietro compenso attività in favore di benestanti altrimenti svantaggiati.
Cassazione civile Sentenza 09/10/2008, n. 24883

Questi i responsi: a) il principio costituzionale di ragionevole durata del processo impone di ritenere che l’omessa contestazione in sede di appello della giurisdizione del giudice di primo grado ne comporti il definitivo radicamento; b) è compatibile con il fine solidaristico di una ONLUS lo svolgimento di attività produttive di utili, sempre che, accanto allo scopo solidaristico, non si realizzi, attraverso il conseguimento di essi, anche un fine di lucro.

1. Il fatto.
Una fondazione che gestisce una casa di riposo per anziani, nel bolognese, viene cancellata ad iniziativa dell'Agenzia delle entrate dall'anagrafe unica delle ONLUS prevista dall'art. 11 d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, perdendo così i cospicui benefici fiscali che tale decreto legislativo riserva alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
Sostiene l'Agenzia delle entrate che la fondazione svolge la propria attività in favore di anziani non economicamente svantaggiati, ma anzi benestanti, i quali corrispondono una retta adeguata a parametri di mercato, sicché la ONLUS realizza utili. In tal modo, secondo l'Agenzia delle entrate, la fondazione viene meno all'obbligo di «esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale» (art. 10, 1° co., lett. b, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460) cui le ONLUS devono attenersi.
La fondazione impugna con successo il provvedimento di cancellazione dall'anagrafe unica delle ONLUS dinanzi al giudice tributario.
L'Amministrazione delle finanze e l'Agenzia delle entrate, allora, ricorrono per cassazione contro la decisione di annullamento del provvedimento di cancellazione e spiegano, in sintesi, due motivi: a) da un lato formulano eccezione (mai prima avanzata) di difetto di giurisdizione del giudice tributario, per essere devoluta la controversia alla giurisdizione del giudice amministrativo; b) dall'altro lato ribadiscono che erroneamente il giudice tributario avrebbe ritenuto compatibile il fine solidaristico con l'ausilio prestato a benestanti e, così, con la realizzazione di utili.
La S.C., a sezioni unite, rileva anzitutto il difetto di legittimazione all'impugnazione dell'Amministrazione delle finanze, che non aveva partecipato al giudizio a quo, e respinge poi il ricorso dell'Agenzia delle entrate.
2. Eccezione e rilevazione del difetto di giurisdizione.
Delle 48 pagine impiegate dalla S.C. per motivare la propria decisione le prime 42 sono dedicate all'eccezione e rilevazione del difetto di giurisdizione, mentre solo le ultime 6 si soffermano sulle caratteristiche delle attività che le ONLUS possono svolgere.
La questione concernente l’eccezione e rilevazione del difetto di giurisdizione, risolta in un modo del tutto innovativo, possiede — diremmo — evidenti implicazioni di politica giudiziaria.
Da un lato l'art. 37 c.p.c. stabilisce che: «Il difetto di giurisdizione... è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo».
Dall'altro lato, però, secondo l'art. 329, 2° co., c.p.c.: «L'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate». Sicché, se il giudice a quo ha espressamente pronunciato sulla giurisdizione e tale statuizione non è stata impugnata, essa rimane ferma anche in sede di legittimità.
Cosa accade, invece, se nel corso del giudizio il difetto di giurisdizione non è stato espressamente eccepito o rilevato? Può ammettersi, avuto riguardo al principio di ragionevole durata del processo accolto dall'art. 111 Cost., che una parte, dopo aver atteso lo svolgimento di due gradi di giudizio, ed aver perso, estragga a sorpresa la carta dell'eccezione di difetto di giurisdizione facendo regredire il giudizio di anni e anni?
Ovvero che sia il giudice di legittimità a sollevare quella questione che, fino a quel punto, aveva visto concordi le parti ed i giudici dei gradi precedenti?
Evidentemente, il quesito, dati i tempi e lo stato di salute della giustizia civile, ha già in sé la risposta. Ecco, allora, che la «lettura costituzionalmente orientata» spazza via, o almeno cambia i connotati, anche alla eccezione e rilevazione del difetto di giurisdizione, come accaduto già in tanti altri campi del processo civile: la penultima di una lunga serie di vittime spesso illustri, se non andiamo errati, è stata la ferma lettura, fino a quel punto, dell'art. 291 c.p.c., accolta dopo un lungo travaglio giurisprudenziale, secondo cui la rinnovazione della notificazione andava ordinata non soltanto quando questa era nulla, ma anche quando era affetta da inesistenza o non eseguita affatto (v. Cass., sez. un., 30 luglio 2008, n. 20.604, secondo cui la rinnovazione va in tali ipotesi negata e la causa decisa seduta stante in rito).
Ed è così, con riguardo all'eccezione di difetto di giurisdizione, che «se l'eccezione non viene nemmeno sollevata con i motivi di impugnazione, la stessa non può più essere sollevata». Naturalmente, la pronuncia in commento non si limita ad una brutale applicazione del principio di ragionevole durata del processo, ma analizza con dovizia di argomentazioni — prima tra tutte le quella concernente la caduta del principio di inderogabilità delle norme sulla giurisdizione dettata dall'abrogato art. 2 c.p.c. — il modo in cui l'art. 111 Cost. piega il significato delle norme processuali al fine del contenimento dei tempi processuali. Ma sarebbe qui superfluo ripercorrere tutto il ragionamento: ciò che conta sottolineare è che la S.C.procede nel senso di uniformare quanto più possibile la disciplina del difetto di giurisdizione (art. 37 c.p.c.) a quella dell'incompetenza (art. 38 c.p.c.), sforzandosi di applicare nell'un caso i meccanismi preclusivi dettati per il secondo.
3. Gli utili delle ONLUS.
Non mancheranno numerosi lettori interessati assai più alla definizione delle attività che le ONLUS possono svolgere, dato il sempre maggiore rilievo del fenomeno degli enti no profit, che non alla questione processuale fino ad ora esaminata.
Ebbene, la S.C.chiarisce che le ONLUS ben possono prestare la propria attività per la finalità di solidarietà sociale normativamente prevista «anche a prescindere dalla sussistenza di una situazione di svantaggio economico del beneficiario». Quella dello svantaggio economico, difatti, è soltanto una delle diverse ipotesi in cui ricorre la finalità di solidarietà sociale, la quale si intende realizzata se l'attività svolta è diretta ad arrecare benefici a «persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari» (art. 10, 2° co., lett. a, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460).
Né il perseguimento della finalità di solidarietà sociale, avuto riguardo alla qualità dei beneficiari e dalla circostanza che essi corrispondessero rette in denaro a parametri di mercato, può essere esclusa in ragione del «divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili» (art. 10, 1° co., lett. d, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460). Chiarisce la S.C.che la norma preclude non già la realizzazione, ma soltanto la distribuzione degli utili: ed allora non vi è ostacolo a ritenere che — come affermato a pag. 43 — «la solidarietà non si manifesta soltanto con il sostegno economico, in quanto ben può manifestarsi nei confronti di persone anziane che "per condizioni psicologiche, familiari, sociali o per particolari necessità assistenziali risultino impossibilitate a permanere nel nucleo familiare di origine". Pertanto "non appare incompatibile con il fine solidaristico di una ONLUS lo svolgimento di attività dietro pagamento". Sempre che, occorre aggiungere, attraverso il pagamento non si realizzi, accanto all'intento solidaristico, anche un fine di lucro», considerato il precetto che impone «l'esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale» (art. 10, 1° co., lett. b, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460).
In definitiva, «la realizzazione di utili non esclude il fine solidaristico dell'attività; occorre, però, gli stessi vengano impiegati per la realizzazione di attività istituzionali o connesse... e che, comunque, non vengano distribuiti» (pag. 46). E, nel caso considerato, l'Agenzia delle entrate, attore in senso sostanziale, non aveva provato che gli utili fossero stati effettivamente distribuiti.

Mauro Di Marzio, magistrato
Tratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

Le O.N.L.U.S. e le attuvutà produttive di utili

06.11.2008
Importanti novità dalle S.U. su eccezione di difetto di giurisdizione e utili delle ONLUS
In una doppiamente notevole decisione le S.U. si soffermano sul termine entro cui può essere eccepito il difetto di giurisdizione e sul quesito se le ONLUS possano svolgere dietro compenso attività in favore di benestanti altrimenti svantaggiati.
Cassazione civile Sentenza 09/10/2008, n. 24883

Questi i responsi: a) il principio costituzionale di ragionevole durata del processo impone di ritenere che l’omessa contestazione in sede di appello della giurisdizione del giudice di primo grado ne comporti il definitivo radicamento; b) è compatibile con il fine solidaristico di una ONLUS lo svolgimento di attività produttive di utili, sempre che, accanto allo scopo solidaristico, non si realizzi, attraverso il conseguimento di essi, anche un fine di lucro.

1. Il fatto.
Una fondazione che gestisce una casa di riposo per anziani, nel bolognese, viene cancellata ad iniziativa dell'Agenzia delle entrate dall'anagrafe unica delle ONLUS prevista dall'art. 11 d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, perdendo così i cospicui benefici fiscali che tale decreto legislativo riserva alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
Sostiene l'Agenzia delle entrate che la fondazione svolge la propria attività in favore di anziani non economicamente svantaggiati, ma anzi benestanti, i quali corrispondono una retta adeguata a parametri di mercato, sicché la ONLUS realizza utili. In tal modo, secondo l'Agenzia delle entrate, la fondazione viene meno all'obbligo di «esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale» (art. 10, 1° co., lett. b, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460) cui le ONLUS devono attenersi.
La fondazione impugna con successo il provvedimento di cancellazione dall'anagrafe unica delle ONLUS dinanzi al giudice tributario.
L'Amministrazione delle finanze e l'Agenzia delle entrate, allora, ricorrono per cassazione contro la decisione di annullamento del provvedimento di cancellazione e spiegano, in sintesi, due motivi: a) da un lato formulano eccezione (mai prima avanzata) di difetto di giurisdizione del giudice tributario, per essere devoluta la controversia alla giurisdizione del giudice amministrativo; b) dall'altro lato ribadiscono che erroneamente il giudice tributario avrebbe ritenuto compatibile il fine solidaristico con l'ausilio prestato a benestanti e, così, con la realizzazione di utili.
La S.C., a sezioni unite, rileva anzitutto il difetto di legittimazione all'impugnazione dell'Amministrazione delle finanze, che non aveva partecipato al giudizio a quo, e respinge poi il ricorso dell'Agenzia delle entrate.
2. Eccezione e rilevazione del difetto di giurisdizione.
Delle 48 pagine impiegate dalla S.C. per motivare la propria decisione le prime 42 sono dedicate all'eccezione e rilevazione del difetto di giurisdizione, mentre solo le ultime 6 si soffermano sulle caratteristiche delle attività che le ONLUS possono svolgere.
La questione concernente l’eccezione e rilevazione del difetto di giurisdizione, risolta in un modo del tutto innovativo, possiede — diremmo — evidenti implicazioni di politica giudiziaria.
Da un lato l'art. 37 c.p.c. stabilisce che: «Il difetto di giurisdizione... è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo».
Dall'altro lato, però, secondo l'art. 329, 2° co., c.p.c.: «L'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate». Sicché, se il giudice a quo ha espressamente pronunciato sulla giurisdizione e tale statuizione non è stata impugnata, essa rimane ferma anche in sede di legittimità.
Cosa accade, invece, se nel corso del giudizio il difetto di giurisdizione non è stato espressamente eccepito o rilevato? Può ammettersi, avuto riguardo al principio di ragionevole durata del processo accolto dall'art. 111 Cost., che una parte, dopo aver atteso lo svolgimento di due gradi di giudizio, ed aver perso, estragga a sorpresa la carta dell'eccezione di difetto di giurisdizione facendo regredire il giudizio di anni e anni?
Ovvero che sia il giudice di legittimità a sollevare quella questione che, fino a quel punto, aveva visto concordi le parti ed i giudici dei gradi precedenti?
Evidentemente, il quesito, dati i tempi e lo stato di salute della giustizia civile, ha già in sé la risposta. Ecco, allora, che la «lettura costituzionalmente orientata» spazza via, o almeno cambia i connotati, anche alla eccezione e rilevazione del difetto di giurisdizione, come accaduto già in tanti altri campi del processo civile: la penultima di una lunga serie di vittime spesso illustri, se non andiamo errati, è stata la ferma lettura, fino a quel punto, dell'art. 291 c.p.c., accolta dopo un lungo travaglio giurisprudenziale, secondo cui la rinnovazione della notificazione andava ordinata non soltanto quando questa era nulla, ma anche quando era affetta da inesistenza o non eseguita affatto (v. Cass., sez. un., 30 luglio 2008, n. 20.604, secondo cui la rinnovazione va in tali ipotesi negata e la causa decisa seduta stante in rito).
Ed è così, con riguardo all'eccezione di difetto di giurisdizione, che «se l'eccezione non viene nemmeno sollevata con i motivi di impugnazione, la stessa non può più essere sollevata». Naturalmente, la pronuncia in commento non si limita ad una brutale applicazione del principio di ragionevole durata del processo, ma analizza con dovizia di argomentazioni — prima tra tutte le quella concernente la caduta del principio di inderogabilità delle norme sulla giurisdizione dettata dall'abrogato art. 2 c.p.c. — il modo in cui l'art. 111 Cost. piega il significato delle norme processuali al fine del contenimento dei tempi processuali. Ma sarebbe qui superfluo ripercorrere tutto il ragionamento: ciò che conta sottolineare è che la S.C.procede nel senso di uniformare quanto più possibile la disciplina del difetto di giurisdizione (art. 37 c.p.c.) a quella dell'incompetenza (art. 38 c.p.c.), sforzandosi di applicare nell'un caso i meccanismi preclusivi dettati per il secondo.
3. Gli utili delle ONLUS.
Non mancheranno numerosi lettori interessati assai più alla definizione delle attività che le ONLUS possono svolgere, dato il sempre maggiore rilievo del fenomeno degli enti no profit, che non alla questione processuale fino ad ora esaminata.
Ebbene, la S.C.chiarisce che le ONLUS ben possono prestare la propria attività per la finalità di solidarietà sociale normativamente prevista «anche a prescindere dalla sussistenza di una situazione di svantaggio economico del beneficiario». Quella dello svantaggio economico, difatti, è soltanto una delle diverse ipotesi in cui ricorre la finalità di solidarietà sociale, la quale si intende realizzata se l'attività svolta è diretta ad arrecare benefici a «persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari» (art. 10, 2° co., lett. a, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460).
Né il perseguimento della finalità di solidarietà sociale, avuto riguardo alla qualità dei beneficiari e dalla circostanza che essi corrispondessero rette in denaro a parametri di mercato, può essere esclusa in ragione del «divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili» (art. 10, 1° co., lett. d, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460). Chiarisce la S.C.che la norma preclude non già la realizzazione, ma soltanto la distribuzione degli utili: ed allora non vi è ostacolo a ritenere che — come affermato a pag. 43 — «la solidarietà non si manifesta soltanto con il sostegno economico, in quanto ben può manifestarsi nei confronti di persone anziane che "per condizioni psicologiche, familiari, sociali o per particolari necessità assistenziali risultino impossibilitate a permanere nel nucleo familiare di origine". Pertanto "non appare incompatibile con il fine solidaristico di una ONLUS lo svolgimento di attività dietro pagamento". Sempre che, occorre aggiungere, attraverso il pagamento non si realizzi, accanto all'intento solidaristico, anche un fine di lucro», considerato il precetto che impone «l'esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale» (art. 10, 1° co., lett. b, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460).
In definitiva, «la realizzazione di utili non esclude il fine solidaristico dell'attività; occorre, però, gli stessi vengano impiegati per la realizzazione di attività istituzionali o connesse... e che, comunque, non vengano distribuiti» (pag. 46). E, nel caso considerato, l'Agenzia delle entrate, attore in senso sostanziale, non aveva provato che gli utili fossero stati effettivamente distribuiti.

Mauro Di Marzio, magistrato
Tratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

lunedì 10 novembre 2008

IRAP: LE NUOVE REGOLE DI DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE

Irap: nuove modalità di determinazione della base imponibile per i soggetti Irpef
Agenzia Entrate , circolare 28.10.2008 n° 60


Per le imprese individuali e per le società di persone che hanno l’esercizio coincidente con l’anno solare, le nuove regole di determinazione della base imponibile ai fini dell’Irap si applicano a decorrere dal periodo d’imposta 2008.
E' questa una delle precisazioni contenute nella Circolare 28 ottobre 2008, n. 60 che illustra le nuove modalità di determinazione della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive per le società personali e gli imprenditori individuali (articolo 5-bis, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446).
In particolare, vengono affrontati i seguenti aspetti:
ambito soggettivo di applicazione dell'art. 5-bis, D.Lgs. n. 446/1997;
modalità di determinazione del valore della produzione;
valore e costi della produzione;
decorrenza della disposizione;
opzione per la determinazione della base imponibile Irap ai sensi dell'art. 5-bis, D.Lgs. n. 446/1997.
(Altalex, 31 ottobre 2008)

Agenzia delle Entrate, Circolare 28 ottobre 2008, n. 60/E
Direzione Centrale Normativa e Contenzioso

Oggetto: Le nuove modalità di determinazione della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive per le società personali e gli imprenditori individuali - articolo 5-bis del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.

PREMESSA
1. AMBITO SOGGETTIVO DI APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 5-BIS
2. MODALITÀ DI DETERMINAZIONE DEL VALORE DELLA PRODUZIONE
2.1 VALORE E COSTI DELLA PRODUZIONE
2.1.1 Ricavi2.1.2 Plusvalenze e minusvalenze
2.1.3 Variazione delle rimanenze finali
2.1.4 Costi della produzione
2.1.4.1 Costi per materie prime, sussidiarie, di consumo e merci
2.1.4.2 Costi per servizi
2.1.4.3 Costi per ammortamenti e canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali o immateriali
3. DECORRENZA DELLA DISPOSIZIONE
4. OPZIONE PER LA DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE IRAP AI SENSI DELL’ARTICOLO 5
PREMESSA
La legge n. 244 del 24 dicembre 2007 (di seguito legge finanziaria 2008), nell’articolo 1, commi da 50 a 52, detta disposizioni volte a “semplificare le regole di determinazione della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive e di separarne la disciplina applicativa e dichiarativa da quella concernente le imposte sul reddito …”.A tal fine, le disposizioni citate hanno ampiamente modificato il decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 istitutivo dell’IRAP (di seguito, decreto IRAP), prevedendo – per le imprese – differenziati criteri di determinazione del valore della produzione netta.Per le società di capitali e gli enti commerciali detti criteri sono enunciati nell’articolo 5, per le società di persone e le imprese individuali nell’articolo 5-bis del decreto IRAP.La presente circolare illustra gli effetti della riforma sulla determinazione della base imponibile Irap per le società commerciali di persone e per gli imprenditori individuali (di seguito, soggetti IRPEF).Secondo la disciplina in vigore prima delle modifiche apportate dalla legge finanziaria 2008 (fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2007), i soggetti IRPEF erano tenuti a determinare la base imponibile IRAP secondo gli stessi criteri enunciati all’articolo 5 del decreto IRAP, validi anche per le società di capitali e gli enti commerciali (soggetti IRES).Per effetto della riforma in vigore dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, il legislatore ha inteso, invece:• da un lato, restringere l’ambito applicativo dell’articolo 5 del decreto IRAP alle sole società di capitali ed agli enti ad esse equiparate, disponendo, altresì, diversamente dal passato, che per tali soggetti i componenti positivi e negativi del valore della produzione rilevano secondo i criteri di corretta qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti dai principi contabili adottati dall’impresa;• dall’altro, ricondurre le imprese individuali e le società di persone nel disposto del nuovo articolo 5-bis del decreto IRAP.Per i menzionati soggetti IRPEF tale ultima disposizione, nel prevedere che la base imponibile Irap debba essere modellata sulla base delle medesime regole di determinazione rilevanti ai fini delle imposte sui redditi, conferma un sistema sostanzialmente simile a quello contemplato nel previgente articolo 5 del decreto IRAP.Lo stesso articolo 5-bis prevede tuttavia che i predetti soggetti IRPEF in regime di contabilità ordinaria possano optare per l’applicazione della disciplina prevista per le società di capitali e per gli enti commerciali di cui al rivisitato articolo 5 del decreto IRAP.
1. AMBITO SOGGETTIVO DI APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 5-BIS
Ai sensi dell’articolo 5-bis, primo comma, primo periodo, del decreto IRAP, le nuove modalità di determinazione del valore della produzione netta si applicano:1) alle società in nome collettivo e in accomandita semplice e società ad esse equiparate ai sensi dell’articolo 5, comma 3, del Tuir residenti nel territorio dello Stato;2) alle persone fisiche residenti titolari di reddito d’impresa di cui all’articolo 55 del Tuir;3) alle persone fisiche non residenti titolari di reddito d’impresa di cui all’articolo 55 del Tuir.Più precisamente, le nuove regole di quantificazione del valore della produzione contenute nella disposizione in commento sono rivolte ai soggetti fiscalmente residenti nel territorio dello Stato che rivestono la forma giuridica di società in nome collettivo e in accomandita semplice e a quelle ad esse equiparate (trattasi delle società di fatto che hanno per oggetto l’esercizio di attività commerciali), nonché alle persone fisiche titolari di reddito d’impresa, ivi compresi i soggetti non residenti che sono assoggettati al tributo regionale in relazione all’esercizio di attività commerciali svolte nel territorio dello Stato per un periodo di tempo non inferiore a tre mesi per il tramite di stabili organizzazioni (base fissa o ufficio).Restano esclusi dall’ambito di applicazione del nuovo articolo 5-bis le società e gli enti non residenti di cui alla lettera d) dell’articolo 73 del TUIR. A tali soggetti, richiamati dall’articolo 3, comma 1, lettera e) del decreto IRAP, si applicano, infatti, ai fini della determinazione del valore della produzione netta le regole contenute negli articoli 5, 6 e 7 del medesimo decreto per effetto del rinvio disposto dal successivo articolo 10, comma 4.Posto che l’articolo 5-bis, comma 1, non contiene alcun riferimento al regime di contabilità ordinario o semplificato adottato dai contribuenti in parola (soggetti IRPEF), si ritiene che i medesimi ricadono nell’ambito applicativo della disposizione indipendentemente dal regime contabile adottato.
2. MODALITÀ DI DETERMINAZIONE DEL VALORE DELLA PRODUZIONE
2.1 VALORE E COSTI DELLA PRODUZIONE
L’articolo 5-bis dispone, al primo comma, che: “Per i soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), la base imponibile è determinata dalla differenza tra l'ammontare dei ricavi di cui all'articolo 85, comma 1, lettere a), b), f) e g), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e delle variazioni delle rimanenze finali di cui agli articoli 92 e 93 del medesimo testo unico, e l'ammontare dei costi delle materie prime, sussidiarie e di consumo, delle merci, dei servizi, dell'ammortamento e dei canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali e immateriali. (…) I componenti rilevanti si assumono secondo le regole di qualificazione, imputazione temporale e classificazione valevoli per la determinazione del reddito d'impresa ai fini dell'imposta personale”.La riportata norma individua i componenti del valore della produzione e i costi di produzione che assumono rilievo ai fini della determinazione della base imponibile Irap delle società di persone e delle imprese individuali. Detti componenti assumono rilievo ai fini dell’Irap secondo le medesime regole valevoli per la determinazione del reddito d’impresa.A tal fine non si applicano, pertanto, i criteri di corretta qualificazione, imputazione temporale e classificazione dei componenti positivi e negativi previsti dai principi contabili in materia di formazione del bilancio, come invece previsto dall’articolo 5 per i soggetti IRES.L’articolo 5-bis, comma 1, prevede, quindi, che la base imponibile dell’imposta è data dalla differenza tra:• la somma dei ricavi d’esercizio tipici di cui al comma 1, lettere a), b), f) e g) dell’articolo 85 del Tuir, e delle variazioni delle rimanenze finali di cui agli articoli 92 e 93 del Tuir; e,• la somma dei costi d’esercizio delle materie prime, sussidiarie e di consumo, delle merci, dei servizi, dell’ammortamento e dei canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali ed immateriali.La disposizione medesima prevede, altresì, esplicitamente che:1) i componenti positivi si assumono direttamente secondo le regole fiscali contenute nel Tuir (atteso che il legislatore opera un espresso rinvio alle voci di cui all’articolo 85, comma 1, lettere a), b), f) e g) del Tuir, nonché a quelle di cui agli articoli 92 e 93 dello stesso Tuir);2) i componenti negativi, relativi alle voci di costo delle materie prime, sussidiarie e di consumo, delle merci, dei servizi, dell’ammortamento e dei canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali ed immateriali sono individuati in base alla classificazione civilistica del bilancio. La normativa sul reddito d’impresa non disciplina, infatti, espressamente tali componenti di costo e, pertanto, il richiamo operato dal legislatore a tali voci - come meglio si chiarirà nel seguito - deve essere interpretato nel senso che gli stessi, seppur deducibili secondo l’ammontare risultante dall’applicazione delle disposizioni generali del reddito d’impresa, si assumono nell’imponibile Irap applicando i corretti principi contabili. I costi per servizi, invece, possono essere individuati sulla base della disciplina prevista, ai fini delle imposte sui redditi, dal decreto ministeriale 17 gennaio 1992.2.1.1 RicaviDanno luogo a ricavi rilevanti ai sensi del citato articolo 5-bis:• i corrispettivi derivanti dalle prestazioni di servizi e dalle cessioni a titolo oneroso di beni-merci, di beni di consumo, ad esclusione di quelli strumentali all’attività di impresa [comma 1, lettere a) e b) dell’articolo 85 del Tuir];• le indennità risarcitorie conseguite, anche in forma assicurativa, per la perdita ed il danneggiamento dei beni la cui cessione genera ricavi [comma 1, lettera f) dell’articolo 85 del Tuir];• i contributi in denaro o il valore normale di quelli in natura erogati in base a contratto [comma 1, lettera g) dell’articolo 85 del Tuir];• i contributi erogati in base a norma di legge che, ai sensi del medesimo articolo 5-bis, concorrono comunque alla formazione del valore della produzione, fatta eccezione per quelli correlati a costi indeducibili.Le menzionate voci sono rilevanti nel periodo d’imposta di competenza, secondo le ordinarie regole fiscali contenute nell’articolo 109 del Tuir.Considerato che la norma fa riferimento ai “contributi erogati in base a norma di legge”, si ritiene che ai fini del calcolo della base imponibile Irap debbano essere ricompresi in tale voce sia i “contributi spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge” [trattasi dei ricavi di cui al comma 1 dell’articolo 85, lettera h) del Tuir], sia i proventi in denaro o in natura conseguiti sempre in base a norma di legge a titolo di contributo [trattasi delle sopravvenienze attive di cui al comma 3 dell’articolo 88, lettera b) del Tuir].Per quanto concerne il periodo d’imposta cui imputare correttamente tali componenti positive della base imponibile, si fa presente che:• i “contributi spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge”, essendo riconducibili tra i ricavi d’esercizio, sono imputati per competenza ai sensi dell’articolo 109 del Tuir;• i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo, in base a disposizioni di legge, essendo riconducibili tra le sopravvenienze attive, rilevano, ai sensi del citato comma 3 dell’articolo 88, lettera b) del Tuir, nell’esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi, ma non oltre il quarto (i.e. secondo il principio di cassa).In deroga al principio generale i predetti contributi non concorrono alla formazione della base imponibile qualora la legge istitutiva, ovvero altre disposizioni di carattere speciale, espressamente li esentino dall’IRAP.Al riguardo, occorre ricordare che già ai sensi del previgente articolo 11, comma 3, del decreto IRAP, i contributi erogati a norma di legge concorrevano alla determinazione della base imponibile dell’imposta, fatta eccezione per quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione. Come noto, tale norma è stata interpretata dal comma 2-quinques dell’articolo 3 del decreto-legge 24 settembre 2002, n. 209, (così come sostituito dall’articolo 5, comma 3, della legge 27 dicembre 2002, n. 289), nel senso che il concorso alla determinazione della base imponibile Irap dei contributi in parola “si verifica anche in relazione a contributi per i quali sia prevista l'esclusione dalla base imponibile delle imposte sui redditi, sempre che l'esclusione dalla base imponibile dell'imposta regionale sulle attività produttive non sia prevista dalle leggi istitutive dei singoli contributi ovvero da altre disposizioni di carattere speciale”.La richiamata norma di interpretazione autentica è tuttora applicabile, posto che il nuovo articolo 5-bis del decreto IRAP, nel disporre che “i contributi erogati in base a norma di legge concorrono comunque alla formazione del valore della produzione, fatta eccezione per quelli correlati a costi indeducibili” ripropone sostanzialmente il medesimo contenuto della disposizione abrogata.In assenza di espresso riferimento ai proventi di natura finanziaria di cui al comma 1, lettere c), d) ed e) dell’articolo 85 del Tuir, si ritiene che gli stessi non rientrino tra i ricavi rilevanti ai fini della quantificazione del valore della produzione.Non sono imponibili, pertanto, ai fini IRAP i corrispettivi derivanti dalla cessione di attività finanziarie (azioni, quote di partecipazione anche non rappresentate da titoli e strumenti finanziari similari alle azioni di società o enti IRES, che non beneficiano del regime della partecipation exemption, obbligazioni e altri titoli in serie o di massa diversi dalle azioni e dagli strumenti similari alle azioni), non iscritte in bilancio tra le immobilizzazioni finanziarie, anche se non rientrano tra i beni che formano oggetto di scambio per l’impresa [comma 1 lettere c), d) ed e) dell’articolo 85 del Tuir].2.1.2 Plusvalenze e minusvalenzeLe plusvalenze non sono menzionate dall’art. 5-bis e quindi non concorrono alla formazione del valore della produzione netta ai fini IRAP.In particolare, non rilevano le plusvalenze relative a beni strumentali anche non derivanti da operazioni di trasferimento d’azienda (che ai sensi del previgente articolo 11, comma 3, del decreto IRAP concorrevano in ogni caso alla determinazione della base imponibile IRAP), né le plusvalenze derivanti dal realizzo di beni diversi da quelli strumentali e non costituenti beni-merce (cd. beni-patrimonio che, invece, se riferite ad immobili rilevano ai fini della determinazione del valore della produzione delle società di capitali e degli enti commerciali, nonché delle società di persone ed imprese individuali in regime di contabilità ordinaria che, come si dirà nel successivo paragrafo 4, optano per la determinazione della base imponibile IRAP secondo le regole dei soggetti IRES).Analogamente, tra i componenti negativi rilevanti ai fini della base imponibile Irap la norma in questione non opera alcun rinvio alla voce di costo relativa alle minusvalenze, la quale, pertanto, non risulterà rilevante ai fini del calcolo del tributo.Si ricorda, tuttavia, che ai sensi dell’articolo 1, comma 51, della legge finanziaria 2008, resta fermo “il concorso alla formazione della base imponibile delle quote residue delle plusvalenze o delle altre componenti positive conseguite fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2007 e la cui tassazione sia stata rateizzata in applicazione della precedente disciplina”.Pertanto, fermo restando che dal periodo d’imposta 2008 le plusvalenze non concorrono alla formazione della base imponibile dell’Irap, occorrerà in ogni caso aumentare la base imponibile medesima delle quote delle plusvalenze (o delle eventuali componenti positive) rateizzate (o rinviate) per effetto della disciplina previgente.2.1.3 Variazione delle rimanenze finaliL’articolo 5-bis dispone che il valore delle rimanenze da assumere ai fini della determinazione della base imponibile Irap deve essere considerato nello stesso ammontare che risulta dall’applicazione delle regole fiscali contenute negli articoli 92 e 93 del Tuir.L’articolo 92 del Tuir disciplina le variazioni delle rimanenze dei beni individuati dall’articolo 85, comma 1, lettere a) e b) del Tuir, ossia i beni merce e le materie prime e sussidiarie, i semilavorati e gli altri beni mobili non strumentali acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione.Se positive (rimanenze finali maggiori di quelle iniziali), dette variazioni di rimanenze incrementano il valore della produzione; se negative, lo riducono.Si ricorda che, ai sensi del comma 1 dell’articolo 92 del Tuir, le variazioni delle rimanenze finali rispetto alle esistenze iniziali concorrono alla formazione del reddito d’esercizio per un ammontare non inferiore a quello derivante dall’applicazione dei seguenti criteri.Le rimanenze finali dei suddetti beni, a meno che non siano valutate con il criterio del costo specifico, devono essere raggruppate in categorie omogenee per natura e per valore e devono essere valutate attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato applicando i criteri indicati nei successivi commi da 2 a 4 del medesimo articolo 92.Inoltre, nel caso di svalutazione delle rimanenze di beni, si dovrà assumere il valore derivante dall’applicazione del successivo comma 5.Infine, ai sensi del comma 6 dell’articolo 92 del Tuir, i prodotti in corso di lavorazione e i servizi in corso di esecuzione di durata infrannuale (12 mesi) sono valutati a costi specifici.L’articolo 93 del Tuir disciplina le modalità di valutazione delle rimanenze relativamente alle opere, forniture e servizi di durata ultrannuale.Ai sensi del comma 2 del citato articolo, le rimanenze in commento sono valutate sulla base dei corrispettivi pattuiti nell’esercizio.Si ricorda che, ai sensi del medesimo comma, delle maggiorazioni di prezzo richieste in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali si deve tener conto, finché dette maggiorazioni non siano state definitivamente stabilite, in misura non inferiore al 50 per cento.2.1.4 Costi della produzioneL’articolo 5-bis prevede, al comma 1, che ai fini della determinazione della base imponibile Irap devono essere sottratti dal valore della produzione i seguenti componenti negativi:1) costi per materie prime, sussidiarie, di consumo e merci;2) costi per servizi;3) ammortamenti e canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali e immateriali.Come anticipato, l’articolo 5-bis del decreto Irap, nello stabilire che i componenti positivi e negativi rilevanti ai fini del tributo sono determinati secondo le regole fiscali, fa riferimento a voci di costo che – non essendo tutte specificamente disciplinate dal TUIR – possono essere individuate utilizzando la classificazione per natura tipica delle disposizioni civilistiche. Naturalmente, le suddette componenti negative, al pari delle componenti positive del valore della produzione, si assumeranno con i medesimi criteri di determinazione e di imputazione temporale dettati dalle disposizioni del TUIR. Fanno eccezione i costi per servizi che come si è detto possono essere individuati sulla base della disciplina fiscale facendo riferimento a quanto previsto ai fini delle imposte sui redditi dal D.M 17 gennaio 1992.L’articolo 5-bis del decreto IRAP prevede, inoltre, che sono indeducibili ai fini della determinazione della base imponibile dell’imposta i seguenti componenti:a) le spese per il personale dipendente e assimilato;b) i costi, i compensi e gli utili indicati nel comma 1, lettera b), numeri da 2) a 5), dell’articolo 11 del medesimo decreto IRAP, vale a dire:- i compensi per attività commerciali e per prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente, nonché i compensi attribuiti per obblighi di fare, non fare o permettere, di cui all'articolo 67, comma 1, lettere i) e l), del TUIR;- i costi per prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 49, commi 2, lettera a), e 3, del TUIR;- i compensi per prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente ai sensi dell'articolo 47 del TUIR;- gli utili spettanti agli associati in partecipazione di cui alla lettera c) del predetto articolo 49, comma 2, del TUIR;c) la quota interessi dei canoni di locazione finanziaria, desunta dal contratto;d) le perdite su crediti;e) l’imposta comunale sugli immobili (ICI) di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504.
2.1.4.1 Costi per materie prime, sussidiarie, di consumo e merci
Per quanto attiene alle voci di costo in esame rilevanti ai fini dell’Irap, si fa presente che le stesse corrispondono alle voci indicate nell’aggregato B6 dello schema di conto economico di cui all’articolo 2425 del codice civile, i cui importi vanno imputati al netto di resi, sconti, abbuoni e premi. Gli sconti sono solo quelli di natura commerciale, e non quelli aventi natura finanziaria (proventi finanziari), peraltro non rilevanti ai fini della base imponibile dell’IRAP, essendo relativi a voci di costo non richiamate dalla norma in commento. I costi relativi ai beni in parola sono comprensivi dei costi accessori di acquisto (trasporti, assicurazioni, carico e scarico, ecc.) se inclusi dal fornitore nel prezzo di acquisto delle materie e delle merci. Sono incorporate nel costo dei beni e classificate allo stesso modo le imposte non recuperabili come, ad esempio, le imposte di fabbricazione.Come precisato anche nella circolare n. 141/E del 4 giugno 1998, della voce in esame fanno parte anche i costi per acquisti di beni destinati a mense, asili o circoli ricreativi per il personale.2.1.4.2 Costi per serviziIn base ai criteri individuati nell’articolo 1 del D.M. del 17 gennaio 1992, per attività consistenti nella prestazione di servizi ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi si intendono quelle indicate nei commi da 1 a 3 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e quelle elencate nel comma 4 dello stesso articolo 3, nelle lettere a), b), c), e) f) e h).In particolare, ai sensi dei commi 1 e 2 del citato articolo 3, si tratta delle prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte. Costituiscono inoltre prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo, le concessioni di beni in locazione, affitto, noleggio e simili, le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d'autore, quelle relative ad invenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili e quelle relative a marchi e insegne, nonché le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti o beni similari ai precedenti, i prestiti di denaro e di titoli non rappresentativi di merci, comprese le operazioni finanziarie mediante la negoziazione, anche a titolo di cessione pro-soluto, di crediti, cambiali o assegni, le somministrazioni di alimenti e bevande, le cessioni di contratti di ogni tipo e oggetto.Dette prestazioni, anche ai fini che qui interessano, rilevano secondo i criteri indicati al successivo comma 3 dell’articolo 3 in commento.Le prestazioni che ai sensi del D.M. 17 gennaio 1992 costituiscono prestazioni di servizi ai soli fini delle imposte dirette, sono quelle indicate al comma 4 del medesimo articolo 3 (ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non sono, invece, considerate prestazioni di servizi), ossia:“a) le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d'autore effettuate dagli autori e loro eredi o legatari, tranne quelle relative alle opere di ogni genere utilizzate da imprese a fini di pubblicità commerciale;b) i prestiti obbligazionari;c) le cessioni dei contratti di cui alle lettere a), b) e c) del terzo comma dell'articolo 2 [del D.P.R. n. 633 del 1972];e) le prestazioni di mandato e di mediazione relative ai diritti d'autore, tranne quelli concernenti opere di cui alla lettera a), e le prestazioni relative alla protezione dei diritti d'autore di ogni genere, comprese quelle di intermediazione nella riscossione dei proventi;f) le prestazioni di mandato e di mediazione relative ai prestiti obbligazionari;h) le prestazioni dei commissionari relative ai passaggi di cui al n. 3) del secondo comma dell’articolo 2 e quelle dei mandatari di cui al terzo comma del presente articolo. [articolo 3 del D.P.R. n. 633 del 1972]”.
2.1.4.3 Costi per ammortamenti e canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali o immateriali
Vanno inclusi nel costo relativo all’ammortamento dei beni strumentali materiali, tutti gli ammortamenti fiscali, senza possibilità di far valere gli ammortamenti anticipati e/o accelerati, già previsti all’articolo 102, comma 3, del TUIR, abrogato dal comma 33, lettera n), numero 1, della legge finanziaria 2008.Ai fini della determinazione della base imponibile IRAP, le predette voci di costo si assumono secondo i medesimi importi ammessi in deduzione sulla base delle disposizioni del TUIR.Considerazioni analoghe, valgono per i costi relativi alla locazione, anche finanziaria, dei beni strumentali materiali il cui valore, ai fini della quantificazione dell’IRAP, si assume secondo le regole fiscali contenute nel comma 7 del menzionato articolo 102 del TUIR. In ogni caso, si fa presente che l’ammontare ammesso in deduzione, ai fini del calcolo del valore della produzione, è solo quello riferito alla quota capitale dei canoni di locazione finanziaria, a nulla rilevando la quota interessi desunta dallo stesso contratto che, per espressa previsione normativa, è indeducibile ai fini del calcolo in parola.Il costo relativo all’ammortamento dei beni strumentali immateriali si ritiene debba ricomprendere tutte le categorie di immobilizzazioni immateriali, ivi compreso l’avviamento trattato all’articolo 103 del TUIR, rubricato “Ammortamento dei beni immateriali”, in quanto l’articolo 5-bis, comma 1, ultimo periodo del decreto Irap stabilisce che “i componenti rilevanti si assumono secondo le regole di qualificazione, imputazione temporale e classificazione valevoli per la determinazione del reddito d’impresa ai fini dell’imposta personale”.
3. DECORRENZA DELLA DISPOSIZIONE
Ai fini della decorrenza degli effetti della disposizione in esame, il comma 51 della legge finanziaria 2008 prevede che “le disposizioni di cui al comma 50 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007”. Pertanto, per le imprese individuali e per le società di persone che hanno l’esercizio coincidente con l’anno solare, le nuove regole di determinazione della base imponibile ai fini dell’Irap si applicano a decorrere dal periodo d’imposta 2008.
4. OPZIONE PER LA DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE IRAP AI SENSI DELL’ARTICOLO 5
Il regime “naturale” di determinazione del valore della produzione netta dei soggetti IRPEF (società di persone e imprese individuali), siano essi in regime di contabilità ordinaria o semplificata, è quello risultante dall’applicazione delle disposizioni contenute nell’articolo 5-bis del decreto IRAP.Per i soggetti IRPEF che si avvalgono della contabilità ordinaria, il comma 2 dell’articolo 5-bis in commento prevede la possibilità di abbandonare tale regime e di optare per il calcolo della base imponibile Irap secondo le modalità dettate nel riformulato articolo 5 dello stesso decreto IRAP per i soggetti IRES (“differenza tra valori e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell’articolo 2425 del codice civile, con esclusione delle voci di cui ai numeri 9), 10), lettere c) e d), 12) e 13), così come risultanti dal conto economico dell’esercizio.”). Ovviamente i soggetti che operano in regime di contabilità semplificata possono applicare unicamente le regole di cui all’articolo 5-bis.Ai fini della possibilità di esercitare l’opzione in questione, a nulla rileva la circostanza che i soggetti IRPEF adottino il regime di contabilità ordinaria per scelta, così come prescritto ai sensi dell’articolo 18, comma 6, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e non per obbligo ai sensi dell’articolo 14 e seguenti del menzionato D.P.R. n. 600 del 1973.L’opzione va esercitata utilizzando il modello per la “Comunicazione dell’opzione per la determinazione del valore della produzione netta di cui all’articolo 5-bis, comma 2, del D.Lgs. n. 446/97” approvato, con le relative istruzioni, con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 31 marzo 2008.A regime detta comunicazione deve essere inoltrata all’Agenzia delle entrate, pena l’inefficacia dell’opzione stessa, entro il termine di 60 giorni dall’inizio del periodo d’imposta per il quale si intende applicare la disciplina in parola. Per il periodo di imposta 2008 la comunicazione dell’opzione può essere inviata entro il termine del 31 ottobre 2008, così come disposto dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 29 maggio 2008.Ai sensi del comma 2 dell’articolo 5-bis e come specificato anche nelle istruzioni per la compilazione del modello:• l’opzione è irrevocabile per tre periodi d’imposta, al termine dei quali si intende tacitamente rinnovata per un altro triennio;• in caso di revoca dell’opzione precedentemente comunicata, il valore della produzione netta va determinato secondo le regole del comma 1 dell’articolo 5-bis del decreto IRAP per almeno un triennio, al termine del quale la revoca si intende tacitamente rinnovata per un altro triennio, salvo opzione per la determinazione del valore della produzione netta secondo le modalità stabilite dall’articolo 5 del medesimo decreto.Al riguardo occorre precisare che, per effetto del vincolo triennale dell’opzione esercitata, il contribuente è obbligato a mantenere, per lo stesso periodo di validità dell’opzione, il regime di contabilità ordinaria. L’esercizio della revoca dell’opzione precedentemente comunicata non preclude la possibilità per il contribuente di modificare il proprio regime contabile.Per le società di persone neo-costituite, l’opzione per la determinazione della base imponibile con le modalità previste dall’articolo 5 potrà essere esercitata, come previsto per l’esercizio dell’opzione a regime, entro 60 giorni dall’inizio del primo periodo di imposta.Per gli imprenditori individuali che iniziano l’attività in corso d’anno, l’opzione potrà essere esercitata in relazione a tale periodo di imposta entro 60 giorni dalla data di inizio dell’attività di cui all’articolo 35 del D.P.R. n. 633 del 1972.Qualora un soggetto IRES che si trasforma in società di persone intenda mantenere il regime di determinazione della base imponibile disciplinato dall’articolo 5 del decreto IRAP, dovrà esercitare l’opzione prevista dal comma 2 dell’articolo 5-bis entro il termine di 60 giorni dalla data di efficacia giuridica della trasformazione medesima.In caso di mancato esercizio dell’opzione, si intenderà “naturalmente” ed automaticamente adottato il regime di cui all’articolo 5-bis. Resta ferma in tal caso la possibilità di optare per l’applicazione del regime di cui all’articolo 5 nei termini “ordinari”, ossia entro 60 giorni dall’inizio del periodo d’imposta.In caso di trasformazione di società di persone in società di capitali, invece, non è necessaria alcuna comunicazione, atteso che queste ultime determinano la base imponibile esclusivamente in base all’articolo 5 del decreto IRAP, a prescindere dalle modalità di determinazione della base imponibile in precedenza applicate dalla società trasformanda.
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Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dagli uffici.

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