giovedì 13 novembre 2008

Le O.N.L.U.S. e le attuvutà produttive di utili

06.11.2008
Importanti novità dalle S.U. su eccezione di difetto di giurisdizione e utili delle ONLUS
In una doppiamente notevole decisione le S.U. si soffermano sul termine entro cui può essere eccepito il difetto di giurisdizione e sul quesito se le ONLUS possano svolgere dietro compenso attività in favore di benestanti altrimenti svantaggiati.
Cassazione civile Sentenza 09/10/2008, n. 24883

Questi i responsi: a) il principio costituzionale di ragionevole durata del processo impone di ritenere che l’omessa contestazione in sede di appello della giurisdizione del giudice di primo grado ne comporti il definitivo radicamento; b) è compatibile con il fine solidaristico di una ONLUS lo svolgimento di attività produttive di utili, sempre che, accanto allo scopo solidaristico, non si realizzi, attraverso il conseguimento di essi, anche un fine di lucro.

1. Il fatto.
Una fondazione che gestisce una casa di riposo per anziani, nel bolognese, viene cancellata ad iniziativa dell'Agenzia delle entrate dall'anagrafe unica delle ONLUS prevista dall'art. 11 d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, perdendo così i cospicui benefici fiscali che tale decreto legislativo riserva alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
Sostiene l'Agenzia delle entrate che la fondazione svolge la propria attività in favore di anziani non economicamente svantaggiati, ma anzi benestanti, i quali corrispondono una retta adeguata a parametri di mercato, sicché la ONLUS realizza utili. In tal modo, secondo l'Agenzia delle entrate, la fondazione viene meno all'obbligo di «esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale» (art. 10, 1° co., lett. b, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460) cui le ONLUS devono attenersi.
La fondazione impugna con successo il provvedimento di cancellazione dall'anagrafe unica delle ONLUS dinanzi al giudice tributario.
L'Amministrazione delle finanze e l'Agenzia delle entrate, allora, ricorrono per cassazione contro la decisione di annullamento del provvedimento di cancellazione e spiegano, in sintesi, due motivi: a) da un lato formulano eccezione (mai prima avanzata) di difetto di giurisdizione del giudice tributario, per essere devoluta la controversia alla giurisdizione del giudice amministrativo; b) dall'altro lato ribadiscono che erroneamente il giudice tributario avrebbe ritenuto compatibile il fine solidaristico con l'ausilio prestato a benestanti e, così, con la realizzazione di utili.
La S.C., a sezioni unite, rileva anzitutto il difetto di legittimazione all'impugnazione dell'Amministrazione delle finanze, che non aveva partecipato al giudizio a quo, e respinge poi il ricorso dell'Agenzia delle entrate.
2. Eccezione e rilevazione del difetto di giurisdizione.
Delle 48 pagine impiegate dalla S.C. per motivare la propria decisione le prime 42 sono dedicate all'eccezione e rilevazione del difetto di giurisdizione, mentre solo le ultime 6 si soffermano sulle caratteristiche delle attività che le ONLUS possono svolgere.
La questione concernente l’eccezione e rilevazione del difetto di giurisdizione, risolta in un modo del tutto innovativo, possiede — diremmo — evidenti implicazioni di politica giudiziaria.
Da un lato l'art. 37 c.p.c. stabilisce che: «Il difetto di giurisdizione... è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo».
Dall'altro lato, però, secondo l'art. 329, 2° co., c.p.c.: «L'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate». Sicché, se il giudice a quo ha espressamente pronunciato sulla giurisdizione e tale statuizione non è stata impugnata, essa rimane ferma anche in sede di legittimità.
Cosa accade, invece, se nel corso del giudizio il difetto di giurisdizione non è stato espressamente eccepito o rilevato? Può ammettersi, avuto riguardo al principio di ragionevole durata del processo accolto dall'art. 111 Cost., che una parte, dopo aver atteso lo svolgimento di due gradi di giudizio, ed aver perso, estragga a sorpresa la carta dell'eccezione di difetto di giurisdizione facendo regredire il giudizio di anni e anni?
Ovvero che sia il giudice di legittimità a sollevare quella questione che, fino a quel punto, aveva visto concordi le parti ed i giudici dei gradi precedenti?
Evidentemente, il quesito, dati i tempi e lo stato di salute della giustizia civile, ha già in sé la risposta. Ecco, allora, che la «lettura costituzionalmente orientata» spazza via, o almeno cambia i connotati, anche alla eccezione e rilevazione del difetto di giurisdizione, come accaduto già in tanti altri campi del processo civile: la penultima di una lunga serie di vittime spesso illustri, se non andiamo errati, è stata la ferma lettura, fino a quel punto, dell'art. 291 c.p.c., accolta dopo un lungo travaglio giurisprudenziale, secondo cui la rinnovazione della notificazione andava ordinata non soltanto quando questa era nulla, ma anche quando era affetta da inesistenza o non eseguita affatto (v. Cass., sez. un., 30 luglio 2008, n. 20.604, secondo cui la rinnovazione va in tali ipotesi negata e la causa decisa seduta stante in rito).
Ed è così, con riguardo all'eccezione di difetto di giurisdizione, che «se l'eccezione non viene nemmeno sollevata con i motivi di impugnazione, la stessa non può più essere sollevata». Naturalmente, la pronuncia in commento non si limita ad una brutale applicazione del principio di ragionevole durata del processo, ma analizza con dovizia di argomentazioni — prima tra tutte le quella concernente la caduta del principio di inderogabilità delle norme sulla giurisdizione dettata dall'abrogato art. 2 c.p.c. — il modo in cui l'art. 111 Cost. piega il significato delle norme processuali al fine del contenimento dei tempi processuali. Ma sarebbe qui superfluo ripercorrere tutto il ragionamento: ciò che conta sottolineare è che la S.C.procede nel senso di uniformare quanto più possibile la disciplina del difetto di giurisdizione (art. 37 c.p.c.) a quella dell'incompetenza (art. 38 c.p.c.), sforzandosi di applicare nell'un caso i meccanismi preclusivi dettati per il secondo.
3. Gli utili delle ONLUS.
Non mancheranno numerosi lettori interessati assai più alla definizione delle attività che le ONLUS possono svolgere, dato il sempre maggiore rilievo del fenomeno degli enti no profit, che non alla questione processuale fino ad ora esaminata.
Ebbene, la S.C.chiarisce che le ONLUS ben possono prestare la propria attività per la finalità di solidarietà sociale normativamente prevista «anche a prescindere dalla sussistenza di una situazione di svantaggio economico del beneficiario». Quella dello svantaggio economico, difatti, è soltanto una delle diverse ipotesi in cui ricorre la finalità di solidarietà sociale, la quale si intende realizzata se l'attività svolta è diretta ad arrecare benefici a «persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari» (art. 10, 2° co., lett. a, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460).
Né il perseguimento della finalità di solidarietà sociale, avuto riguardo alla qualità dei beneficiari e dalla circostanza che essi corrispondessero rette in denaro a parametri di mercato, può essere esclusa in ragione del «divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili» (art. 10, 1° co., lett. d, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460). Chiarisce la S.C.che la norma preclude non già la realizzazione, ma soltanto la distribuzione degli utili: ed allora non vi è ostacolo a ritenere che — come affermato a pag. 43 — «la solidarietà non si manifesta soltanto con il sostegno economico, in quanto ben può manifestarsi nei confronti di persone anziane che "per condizioni psicologiche, familiari, sociali o per particolari necessità assistenziali risultino impossibilitate a permanere nel nucleo familiare di origine". Pertanto "non appare incompatibile con il fine solidaristico di una ONLUS lo svolgimento di attività dietro pagamento". Sempre che, occorre aggiungere, attraverso il pagamento non si realizzi, accanto all'intento solidaristico, anche un fine di lucro», considerato il precetto che impone «l'esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale» (art. 10, 1° co., lett. b, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460).
In definitiva, «la realizzazione di utili non esclude il fine solidaristico dell'attività; occorre, però, gli stessi vengano impiegati per la realizzazione di attività istituzionali o connesse... e che, comunque, non vengano distribuiti» (pag. 46). E, nel caso considerato, l'Agenzia delle entrate, attore in senso sostanziale, non aveva provato che gli utili fossero stati effettivamente distribuiti.

Mauro Di Marzio, magistrato
Tratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...