09.10.2008
Pagamento sistematico di "tangenti" e fattispecie corruttiva
Nel pagamento sistematico di "tangenti" da parte di imprenditori per aggiudicarsi pubbliche commesse è ravvisabile la corruzione e non la concussione "ambientale".
Cassazione penale Sentenza, Sez. VI, 19/09/2008, n. 36154
Pagamento sistematico di "tangenti" e fattispecie corruttiva
Nel pagamento sistematico di "tangenti" da parte di imprenditori per aggiudicarsi pubbliche commesse è ravvisabile la corruzione e non la concussione "ambientale".
Cassazione penale Sentenza, Sez. VI, 19/09/2008, n. 36154
Interessante sentenza della Cassazione che coglie l’esatto discrimine tra la corruzione e la concussione.
Secondo la Corte, integra la fattispecie della corruzione (articolo 319 c.p.), e non quella della concussione anche cosiddetta "ambientale" (articolo 317 c.p.), una situazione in cui si apprezzi il sistematico pagamento di tangenti da parte di imprenditori di opere pubbliche, nella quale, in un contesto di costante flusso delle commesse, vengano privilegiati gli imprenditori che si siano opportunamente organizzati a tal fine, con conseguente disattivazione dei meccanismi propri della libera concorrenza.
Infatti, argomenta il giudice di legittimità, l’inserimento in un sistema nel quale il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della "tangente" siano costanti, non è agevole cogliere nella parte privata, specie se identificabile con un gruppo imprenditoriale ben attrezzato sotto il profilo organizzativo e sotto quello economico, lo stato di soggezione, indispensabile per la configurazione della concussione, anche ambientale, posto che, in tale situazione, detta parte mira principalmente ad assicurarsi vantaggi al di fuori degli schemi legali, approfittando proprio dei meccanismi criminosi e divenendo protagonista del sistema illecito.
In effetti, non sempre è facile distinguere, in concreto, tra corruzione e concussione.
La difficoltà, anzi, si accentua allorchè si discuta della possibile configurabilità della concussione "ambientale", giacchè soprattutto in questo caso non è sempre semplice cogliere i profili del rapporto intersoggettivo che si determina tra il privato e il pubblico ufficiale e, conseguentemente, il ruolo -di vittima o, alternativamente, di concorrente necessario- del primo.
In realtà, l'elemento fondamentale per distinguere tra la corruzione e la concussione è da individuare nell'apprezzamento del rapporto tra le volontà dei soggetti.
Nella corruzione il rapporto è paritario: vi è, in sostanza, una situazione di par condicio in forza della quale entrambe le parti si accordano liberamente e senza condizionamenti, mercanteggiando l'attività d'ufficio ciascuno per una finalità di profitto proprio.
Nella concussione manca questo rapporto paritario. Il privato, infatti, anche se non sempre si trova in una condizione addirittura di timore o di paura (il c.d. metus publicae potestatis) nei confronti del pubblico ufficiale, sicuramente sempre versa in una situazione di assoggettamento psicologico conseguente alla condotta abusiva del pubblico ufficiale che lo induce o costringe alla prestazione o alla promessa di prestazione solo per evitare un danno.
Peraltro, l'apprezzamento del rapporto -paritetico o no- tra le parti non è sempre immediatamente percepibile, anche perché non è facile la ricostruzione processuale degli stati d'animo psicologici, quali sono l'assoggettamento alla volontà altrui o, per converso, la piena libertà di autodeterminazione.
Occorre, quindi, ricercare nella fattispecie concreta tutti gli elementi indiziari che possano contribuire a fare chiarezza.
In questa prospettiva, utili elementi indiziari possono essere ricavati, come nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, dai "rapporti di forza" esistenti tra il pubblico ufficiale e il privato.
Non è infatti discutibile che, nell'apprezzamento del requisito della par condicio, inteso nei termini suesposti, notevole spessore indiziario dovrà ascriversi alla disamina dei contatti tra le parti e dei reciproci "rapporti di forza" (rilevante sarà il giudizio sul "potere economico" del privato, di norma direttamente proporzionale alla capacità di resistenza rispetto ad un'ipotizzabile pretesa illecita del pubblico agente), estendendosi, laddove possibile, la considerazione anche alle condotte antecedenti e susseguenti l'attività incriminata (per riferimenti, cfr. anche Cassazione, Sezione VI, 19 ottobre 2001, Berlusconi; Sezione VI, 3 novembre 2003, PG ed altro in proc. Di Giacomo).
A nostro avviso, poi, fondamentale elemento indiziario, utile per cogliere l’esatto discrimine tra le fattispecie di che trattasi, è costituito anche dall'apprezzamento della "finalità" che ha mosso il privato, giacchè questa finalità può fornire un contributo essenziale per ricostruire la posizione del privato rispetto a quella del pubblico ufficiale: se il privato si è mosso per perseguire un vantaggio indebito che non avrebbe potuto ottenere se non "pagando", non sembra dubitabile che debba ravvisarsi la corruzione; diverso discorso occorre fare, invece, dovendosi qualificare il fatto come concussione, nell'ipotesi in cui il privato abbia "pagato" solo per avere ciò di cui aveva diritto o addirittura per evitare un maggior danno prospettatogli, direttamente o indirettamente, dal pubblico ufficiale.
Di ciò vi è traccia anche nella sentenza in esame, laddove la Corte ha apprezzato nella vicenda, come ricostruita in sede di merito, che gli imprenditori si erano mossi a pagare sistematicamente sì da potersi aggiudicare le commesse pubbliche "disattivando" i meccanismi della libera concorrenza.
Giuseppe Amato, Procuratore della Repubblica di PineroloTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008