mercoledì 13 gennaio 2010

VARIE E VARIE

Ivan Reitman





(1946)













PERICOLOSAMENTE INSIEME (Legal Eagles, 1986)





Accusa: « Signore e signori della Giuria. La Pubblica Accusa è pronta a provare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la notte del sette ottobre Cheisea Deardon commise il crimine di omicidio contro la persona di certo Victor Taft, e che, nell'intento di provocare la morte di Victor Taft, gli sparò in pieno petto tre colpi. Presenteremo testi che dichiareranno, sotto giuramento, di aver visto Chelsea Deardon fuggire dal luogo del delitto. Le perizie proveranno che la pistola usata per uccidere Victor Taft era registrata a nome di Chelsea Deardon e, più importante, che c'erano le sue impronte sulla pistola. Così noi proveremo che Chelsea Deardon era sul luogo del delitto, possedeva i mezzi per ordire tale delitto, e ogni opportunità per commetterlo. "Opportunità" e "mezzi", elementi cruciali di per sé sufficienti a stabilire la colpa oltre ogni ragionevole dubbio in un caso di omicidio. Ma noi possiamo anche fornire un valido e inoppugnabile movente. Questo è un omicidio compiuto da una donna che è stata segretamente l'amante di Victor Taft per due anni, durante i quali egli fu, per lei, il solo mezzo di sostentamento! ».





Avvocato Logan: « Signore e signori, Chelsea Deardon non ha ucciso Victor Taft. La Pubblica Accusa ha suggerito un possibile movente basato interamente su dei "si dice", congetture e prove circostanziali. Prove che, superficialmente, sembrerebbero di qualche sostanza, ma che, a un più attento esame, risulteranno di nessunissima rilevanza in questo caso ... Non la bevete, eh? Non mi state neanche ascoltando, vero, giusto? Vi dico che vi capisco. Dopo aver ascoltato il signor Blanchard sciorinare le proprie prove dell'accusa ... persino io sono convinto ... la mia cliente ha assassinato Victor Taft! In fondo, se fossi entrato là e avessi trovato Victor Taft morto per terra, e le impronte di Chelsea Deardon sulla pistola che lo ha ucciso, niente al mondo mi convincerebbe che non è colpevole. Ecco, risparmiamoci un sacco di tempo, allora. Siamo sinceri, sono sicuro che abbiamo tutti di meglio da fare. Chi crede che Chelsea Deardon sia colpevole? ».





Accusa: «Obiezione, Vostro Onore! ».





Logan: « Non tiratevi indietro, ho la mano alzata, guardate, io penso che la mia cliente abbia assassinato Victor Taft a sangue freddo, non ne siete tutti convinti? ».





Giudice: «Signor Logan... ».





Logan: « Lui è d'accordo con me! Tu sei convinta... guardate! l'accusa dice "colpevole", tutti i giurati dicono "colpevole", rispar- miamo allo Stato di New York tanto tempo e denaro e passiamo direttamente alla sentenza... ».





Un giurato: « Mi scusi avvocato... ». Logan: «Dica... ».





Giurato: «Non ha diritto a un equo processo? ».





Logan: « Che abbia un equo processo, ma che sia condannata! ... anche se la Giuria ormai giudica la mia cliente colpevole, vorrei che si mettesse a verbale che credo ancora in quella Giuria, e mi impegno ad accettare il suo verdetto finale, qualunque esso sia ... Allora, premesso che è colpevole, ora che facciamo? Questo è il problema, vero? È un problema particolarmente arduo, perché noi partiamo dall'assioma legale di un Paese che protegge noi e i nostri diritti. Si chiama "presunzione d'innocenza", cioè si presume che tu sia innocente finché non sia provato che tu sia colpevole. Perciò, qualsiasi idea vi possiate già essere fatti sul caso, Chelsea Deardon deve essere vista dai vostri occhi, deve essere intesa dalle vostre menti, deve essere compresa dai vostri cuori come innocente. E allora, qual'è la verità? Forse la verità comincia diciotto anni fa, quando decine di quadri, opere d'arte del padre di Chelsea, Sebastian Deardon, forse furono distrutte dall'incendio in cui egli tragicamente perse la vita. Ora, l'assicurazione pagò per quei dipinti due milioni e mezzo di dollari, eccezionale come somma per quei tempi, ma irrisoria per il loro valore attuale. Riteniamo che quei dipinti ancora esistano, e che oggi valgano più di venti milioni di dollari. Victor Taft non è stato assassinato a scopo di vendetta dall'imputata. È stato assassinato allo scopo di proteggere qualcuno. Qualcuno che a sua volta, diciotto anni fa, gli fu complice in incendio doloso, frode e omicidio. Qualcuno che ha tratto vantaggio da Chelsea Deardon. Qualcuno che, ora, cerca di addossarle un crimine di cui egli è responsabile. Signore e signori della giuria, questo è un caso molto complesso, però io confido che voi, ascoltati tutti gli elementi, arriverete ad una decisione che sarà veritiera. E la verità è che Chelsea Deardon è innocente! Grazie.





[Pericolosamente insieme di Ivan Reitman (1986), tratto da Giovanni Ziccardi, Il diritto al cinema, Giuffrè Editore, 2010, pp.108-110]





[Con l'occasione segnaliamo l'associazione Legal Drama Society (LDS)]





























Rassegna di notizie





- Diritto dei contratti e delle obbligazioni, diritto comunitario, diritto processuale civile:





PARLAMENTO E CONSIGLIO UE:





REGOLAMENTO LEGGE APPLICABILE ALLE OBBLIGAZIONI CONTRATTUALI (ROMA I)













È applicabile ai contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009 il Regolamento del Parlamento e del Consiglio 17 giugno 2008 n.593 (Roma I), obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri alle obbligazioni contrattuali in materia civile e commerciale, in circostanze che comportino un conflitto di leggi.













Il Regolamento ribadisce l'autonomia contrattuale: "Il contratto è disciplinato dalla legge scelta dalle parti. La scelta è espressa o risulta chiaramente dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze del caso. Le parti possono designare la legge applicabile a tutto il contratto ovvero a una parte soltanto di esso". Tuttavia, "Qualora tutti gli altri elementi pertinenti alla situazione siano ubicati, nel momento in cui si opera la scelta, in un paese diverso da quello la cui legge è stata scelta, la scelta effettuata dalle parti fa salva l'applicazione delle disposizioni alle quali la legge di tale diverso paese non permette di derogare convenzionalmente". Quest'ultima disposizione è evidentemente dettata per evitare che le parti di un contratto cerchino di sottrarsi all'applicazione di norme del proprio ordinamento (ad esempio in materia di diritto del lavoro), dichiarando applicabili quelle di un altro ordinamento giudicate più favorevoli.













In mancanza di scelta delle parti, fatta eccezione per i contratti di trasporto, conclusi dai consumatori, di assicurazione e individuali di lavoro, "la legge che disciplina il contratto è determinata come segue:





a) il contratto di vendita di beni è disciplinato dalla legge del paese nel quale il venditore ha la residenza abituale;





b) il contratto di prestazione di servizi è disciplinato dalla legge del paese nel quale il prestatore di servizi ha la residenza abituale;





c) il contratto avente per oggetto un diritto reale immobiliare o la locazione di un immobile è disciplinato dalla legge del paese in cui l'immobile è situato;





d) in deroga alla lettera c), la locazione di un immobile concluso per uso privato temporaneo per un periodo di non oltre sei mesi consecutivi è disciplinata dalla legge del paese nel quale il proprietario ha la residenza abituale, purché il locatario sia una persona fisica e abbia la sua residenza abituale nello stesso paese;





e) il contratto di affiliazione (franchising) è disciplinato dalla legge del paese nel quale l'affiliato ha la residenza abituale;





f) il contratto di distribuzione è disciplinato dalla legge del paese nel quale il distributore ha la residenza abituale".













Come si vede si è cercato di tipizzare alcuni modelli principali che effettivamente coprono la maggior parte delle ipotesi. La novità rispetto a quanto previsto dalla Convenzione di Roma del 1980 risiede proprio nella individuazione di casi specifici quali il contratto di distribuzione e di franchising. Qualora il contratto non possa essere classificato tra i suddetti tipi o i suoi elementi lo facciano rientrare nell'ambito di più di uno dei tipi specificati, il contratto sarà disciplinato dalla legge del paese nel quale la parte che deve effettuare la prestazione caratteristica del contratto ha la residenza abituale.













È bene precisare quale sia l'ambito di applicazione del Regolamento. In particolare, si stabilisce che la legge applicabile al contratto disciplina a) la sua interpretazione; b) l'esecuzione delle obbligazioni che ne discendono; c) entro i limiti dei poteri attribuiti al giudice dalla sua legge processuale, le conseguenze dell'inadempimento totale o parziale di quelle obbligazioni, compresa la liquidazione del danno in quanto sia disciplinata da norme giuridiche; d) i diversi modi di estinzione delle obbligazioni nonché le prescrizioni e decadenze; e) le conseguenze della nullità del contratto.













Quanto al consenso ed alla validità sostanziale del contratto, si stabilisce che "L'esistenza e la validità del contratto o di una sua disposizione si stabiliscono in base alla legge che sarebbe applicabile in virtù del presente regolamento se il contratto o la disposizione fossero validi. / Tuttavia, un contraente, al fine di dimostrare che non ha dato il suo consenso, può riferirsi alla legge del paese in cui ha la residenza abituale, se dalle circostanze risulta che non sarebbe ragionevole stabilire l'effetto del comportamento di questo contraente secondo la legge prevista nel paragrafo 1".













Infine, ricordiamo che il Regolamento del Parlamento e del Consiglio dell'11 luglio 2007 n.864 (Roma II), applicabile dall'11 gennaio 2009, disciplina la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali. Per completezza, è opportuno ricordare che questo Regolamento stabilisce che "La legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali derivanti dalle trattative precontrattuali, a prescindere dal fatto che il contratto sia stato effettivamente concluso o meno, è la legge che si applica al contratto o che sarebbe stata applicabile al contratto se lo stesso fosse stato concluso".













(Parlamento UE e Consiglio UE, Regolamento 17 giugno 2008, 593: Regolamento sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I)).













- Diritto penale, diritto d'autore, diritto delle nuove tecnologie:





CASSAZIONE SU PENALI:





PIRATEBAY.ORG E I PROVIDER INTERNET SOTTO ESAME













La Corte di Cassazione ha cassato la pronuncia con la quale il tribunale per il riesame aveva annullato il sequestro preventivo del sito web www.thepiratebay.org.%20%20%20%20%20%20%20La%20Cassazione%20ha%20elaborato%20il%20seguente%20principio%20di%20diritto: "sussistendo gli elementi del reato di cui all'art.171 ter, comma 2, lett.a-bis), cit., il giudice può disporre il sequestro preventivo del sito web il cui gestore concorra nell'attività penalmente illecita di diffusione nella rete Internet di opere coperte da diritto d'autore, senza averne diritto, richiedendo contestualmente che i provider del servizio di connessione Internet escludano l'accesso al sito al limitato fine di precludere l'attività di illecita diffusione di tali opere". Ricordiamo che a norma della citata norma: "È punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 2.582 a euro 15.493 chiunque in violazione dell'art. 16, a fini di lucro, comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un'opera dell'ingegno protetta dal diritto d'autore, o parte di essa".













- Sulla responsabilità a titolo di concorso nel reato del gestore del sito che indicizza le informazioni













Secondo la Cassazione, "se il sito web si limitasse a mettere a disposizione il protocollo di comunicazione (quale quello peer-to-peer) per consentire la condivisione dei file, contenenti l'opera coperta da diritto d'autore, ed il loro trasferimento tra utenti, il titolare del sito stesso sarebbe in realtà estraneo al reato. Però se il titolare del sito non si limita a ciò ma fa qualcosa di più - ossia indicizza le informazioni che gli vengono dagli utenti che sono tutti potenziali autori di uploading, sicché queste informazioni (i.e. chiavi di accesso agli utenti periferici che posseggono, in tutto o in parte, l'opera), anche se ridotte al minimo, ma pur sempre essenziali perché gli utenti possano orientarsi chiedendo il downloading di quell'opera piuttosto che un'altra, sono in tal modo elaborate e rese disponibili nel sito, ad esempio a mezzo di un motore di ricerca o con delle liste indicizzate - il sito cessa di essere un mero "corriere" che organizza il trasporto dei dati. C'è un quid pluris in quanto viene resa disponibile all'utenza del sito anche una indicizzazione costantemente aggiornata che consente di percepire il contenuto dei file suscettibili di trasferimento. A quel punto l'attività del trasporto dei file (file transfert) non è più agnostica; ma si caratterizza come trasporto di dati contenenti materiale coperto da diritto d'autore. Ed allora è vero che lo scambio dei file avviene da utente ad utente (peer-to-peer), ma l'attività del sito web (al quale è riferibile il protocollo di trasferimento e l'indicizzazione dei dati essenziali) è quella che consente ciò e pertanto c'è un rapporto causale a tale condotta che ben può essere inquadrato nella partecipazione imputabile a titolo di concorso di persone ex art.110 c.p.; cfr. Cassazione, Sezione II, 17 giugno 1992 - 16 luglio 1992, n.8017, secondo cui l'attività di colui che concorre nel reato ex art.110 c.p. può essere rappresentata da qualsiasi forma di compartecipazione o contributo di ordine materiale o psicologico a tutte o ad alcune delle fasi di ideazione, organizzazione ed esecuzione della condotta illecita; Cassazione, Sezione I, 14 febbraio 2006 - 2 maggio 2006, n.15023, secondo cui la partecipazione al reato può consistere anche in un apporto che soltanto agevoli la condotta illecita; Cassazione, Sezione IV, 22 maggio 2007 - 26 giugno 2007, n.24895, secondo cui anche il mero "contributo agevolatore", che, se di minima importanza, dà luogo all'attenuante di cui all'art.114 c.p., comunque consente l'imputazione a titolo di concorso nel reato; infine, cfr. Cassazione, Sezione VI, 28 giugno 20076 - 30 luglio 2007, n.30968, sulla responsabilità a titolo di concorso del direttore responsabile di un sito web ove era stata effettuata la pubblicazione di un atto amministrativo a carattere riservato".













Prosegue la Cassazione in questo passaggio fondamentale della pronuncia "In altre parole, la tecnologia peer-to-peer decentra sì l'uploading (la diffusione in rete dell'opera), ma non ha anche l'effetto, per così dire, di decentrare l'illegalità della diffusione dell'opera coperta da diritto d'autore senza averne diritto. Rimane comunque un apporto del centro (ossia del titolare del sito web) a ciò che fa la periferia (gli utenti del servizio informatico che, utilizzando qunato reso disponibile nel sito web, scaricano l'opera protetta dal diritto d'autore), apporto che, nel nostro ordinamento giuridico, consente l'imputazione a titolo di concorso nel reato previsto dal citato art.171 ter, comma 2, lett. a) bis cit. . Mentre l'attività di indicizzazione e di tracciamento, che è essenziale perché gli utenti possano operare il trasferimento dell'opera (che in tal caso va da una pluralità di utenti autori dell'uploading verso una potenziale pluralità di utenti ricettori del downloading) è ascrivibile al (gestore del) sito web e quindi rimane l'imputabilità a titolo di concorso nel reato di cui all'art.171 ter, comma 2, lett. a) bis cit.. Sarebbe possibile predicare l'estraneità del sito web - o, più precisamente, del suo titolare - alla diffusione dell'opera solo nel caso estremo in cui la sua attività fosse completamente agnostica, ove ad esempio anche l'indicizzazione dei dati essenziali fosse decentrata verso la periferia".













- Sull'obbligo di esclusione dall'accesso al sito posto a carico dei provider della connessione ad internet













Leggiamo i passaggi cruciali della sentenza che hanno già suscitato un ampio dibattito e che forse sono stati interpretati sommariamente da alcuni commentatori.













"L'originario provvedimento del g.i.p., annullato dal tribunale per il riesame, ha disposto poi che i fornitori di servizi internet (internet Service Provider) e segnatamente i provider operanti sul territorio dello Stato italiano inibissero ai rispettivi utenti l'accesso all'indirizzo del sito web denominato www.thepiratebay.org, ai relativi alias e nomi di dominio rinvianti al sito medesimo.













Nella specie pertanto al sequestro preventivo del sito web si accompagna una vera e propria inibitoria - questa sì - priva del carattere reale, ma ciò non inficia la legittimità della misura cautelare nel suo complesso giacché comunque è soddisfatto il principio di tipicità e di legalità.













Occorre infatti considerate in proposito che in questa specifica materia (della circolazione di dati sulla rete informatica Internet) uno speciale potere inibitorio è assegnato all'autorità giudiziaria dagli artt. 14-16 Decreto Legislativo 9 aprile 2003 n.70, di attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa ai servizi della società dell'informazione. Tale normativa speciale, nel prevedere in generale la libera circolazione - nei limiti però del rispetto del diritto d'autore: art.4, comma1, lett.a) - di tali servizi, quali quelli prestati dai provider per l'accesso alla rete informatica Internet, contempla anche, come deroga a tale principio, che la libera circolazione di un determinato servizio possa essere limitata con provvedimento dell'autorità giudiziaria per motivi attinenti all'opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento di reati. In particolare gli artt.14, comma 3, 15, comma 3, e 16, comma 3, prevedono che l'autorità giudiziaria possa esigere anche in via d'urgenza, che il prestatore del servizio impedisca o ponga fine alle violazioni commesse; disposizioni queste che vanno lette unitamente al successivo art.17; il quale esclude sì un generale obbligo di sorveglianza nel senso che il provider non è tenuto a verificare che i dati che trasmette concretino un'attività illecita, segnatamente in violazione del diritto d'autore, ma - congiuntamente all'obbligo di denunciare l'attività illecita, ove il prestatore del servizio ne sia comunque venuto a conoscenza, e di fornire le informazioni dirette all'identificazione dell'autore dell'attività illecita - contempla che l'autorità giudiziaria possa richiedere al prestatore di tali servizi di impedire l'accesso al contenuto illecito (art.17, comma 3).













La lettura congiunta di tali disposizioni consente di affermare che sussiste un potere inibitorio dell'autorità giudiziaria penale avente il contenuto di un ordine ai provider dei servizi suddetti di preludere l'accesso alla rete informatica Internet al solo fine di impedire la prosecuzione della perpetrazione del reato di cui all'art. 17ter, comma 2, lett.a-bis) cit.













Tale inibitoria peraltro deve essere rispettosa del principio di "proporzionalità" (art.5, comma 2, lett.b, Decreto Legislativo 70/2003, cit.) della limitazione dell'accesso rispetto all'obiettivo di individuazione e perseguimento di reati, atteso che la circolazione di informazioni sulla rete informatica Internet rappresenta pur sempre una forma di espressione e diffusione del pensiero che ricade nella garanzia costituzionale dell'art.21, primo comma, Costituzione (cfr. in proposito Cassazione, Sezione III, 11 dicembre 2008 - 10 marzo 2009, n.10535, che, con riferimento ai blog sulla rete Internet, distingue tra libertà di manifestazione del pensiero e libertà di stampa); profilo questo che però nella specie non viene in rilievo perché il ricorso in esame pone solo il quesito dell'astratta configurabilità, o meno, di un'inibitoria di accesso ad un sito web mediante la rete informatica Internet, quale provvedimento del giudice penale che acceda ad un sequestro preventivo del sito stesso. Tale inibitoria può essere adottata "anche in via d'urgenza", come espressamente prevedono gli artt.14, comma 3, 15, comma 3, e 16, comma 3, sicché, coniugando tali disposizioni con l'art.321 c.p.p., è possibile che il giudice penale, nel disporre il sequestro preventivo del sito web, che - come già rilevato - costituisce una misura cautelare di carattere reale, possa contestualmente richiedere al provider di escludere l'accesso al sito al limitato fine, nella specie, di precludere l'attività di illecita diffusione di opere coperte da diritto d'autore, così realizzandosi un rafforzamento della cautela che dalla mera sottrazione della disponibilità della cosa, tipica del sequestro preventivo, si amplia fino a comprendere anche una vera e propria inibitoria di attività, rispettosa anch'essa, nella particolare fattispecie in esame, del principio di tipicità e di legalità in quanto riferibile ad espresse e specifiche previsioni normative".













(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 23 dicembre 2009, n. 49437: Violazione del diritto d'autore - Sequestro preventivo di sito web - Esclusione dell'accesso al sito).













- Diritto amministrativo, diritto pubblico, diritto dei consumatori:





GOVERNO:





DECRETO LEGISLATIVO RICORSO PER EFFICIENZA DELLE AMMINISTRAZIONI













E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore il 15 gennaio 2010 il Decreto Legislativo che regola la "class action amministrativa" diretta a "ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio", che può essere promossa dai titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.













Il ricorso, devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non consente di ottenere il risarcimento del danno cagionato dagli atti e dai comportamenti. Il giudice accoglie la domanda se accerta la violazione, l'omissione o l'inadempimento, ordinando alla pubblica amministrazione o al concessionario di porvi rimedio entro un congruo termine, nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.













(Presidente della Repubblica, Decreto Legislativo del 20 dicembre 2009, n.198: Attuazione dell'articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ricorso per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2009, n.303).













- Diritto penale, diritto d'autore:





CASSAZIONE SU PENALI:





DURATA DEL DIRITTO DI UTILIZZAZIONE DI OPERE CINEMATOGRAFICHE













Le Sezioni Unite Penali della Cassazione hanno risolto un contrasto formatosi in seno alla Cassazione in punto al computo del termine di durata dei diritti di utilizzazione delle opere cinematografiche. In particolare, le Sezioni Unite hanno elaborato i seguenti principi:













- ai fini del calcolo il periodo di sospensione del termine per la tutela del diritto di autore, stabilito dal D. Lgs. C.p.S. n. 1430 del 1947 per i cittadini dei Paesi vincitori della seconda guerra mondiale in esecuzione del Trattato di pace di Parigi, non si cumula con il periodo di proroga stabilito, in precedenza, dal D. Lgs. lgt. n. 440 del 1945 (sicché il termine di durata ex art. 32 della legge n. 633 del 1941 operante anteriormente alla modifica operata dall'art.3 del Dpr n. 19 del 1978 non può oltrepassare complessivi trentasei anni dalla data di prima proiezione pubblica dell'opera);













- il termine di durata di cinquant'anni, stabilito dal predetto art.3 del DPR n. 19 del 1978 in luogo del precedente termine di anni trentasei, non si applica alle opere per le quali, all'entrata in vigore di detta norma, detta durata di anni trentasei sia già scaduta;













- nel caso di opera cinematografica costituita da cartoni animati, la tutela del diritto di utilizzazione economica spettante al produttore prevista per le opere cinematografiche non si cumula con la tutela prevista per l'autore dei disegni impiegati per la realizzazione del cartone animato, sì che la scadenza del termine relativo al primo aspetto è sufficiente a determinare la caduta dell'opera in pubblico dominio.













Su quest'ultimo punto, la Cassazione ha affermato che "deve essere confutato l'assunto (formulato in alcune decisioni di merito) secondo il quale le opere cinematografiche di animazione aventi ad oggetto personaggi dei cartoni animati godrebbero di una doppia protezione, perché a quella fissata dalla legge per l'opera filmica nel suo complesso si cumulerebbe quella stabilita per i disegni con i quali l'opera stessa è stata realizzata, con la conseguenza che, finché dura la protezione per i disegni dei personaggi, non potrebbe determinarsi la caduta in pubblico dominio nemmeno dei film che li utilizzano. La tesi della duplice tutela - come correttamente evidenziato dalla III Sezione penale nella sentenza n. 38721/2007, alle cui argomentazioni, condivise da queste Sezioni Unite, si rinvia - non solo manca di qualsiasi base normativa, ma nemmeno potrebbe fondarsi su una applicazione analogica di altre nonne, sia per il divieto di analogia "in malam partem" in materia penale sia per la mancanza delle condizioni di utilizzazione dell'"argumentum a simili", data la evidente diversità di ratio legis fra le norme sulla tutela dell'opera cinematografica e quelle sulla tutela dei disegni. I disegni, in quanto opere dell'ingegno appartenenti ad una specifica categoria, godono della protezione riservata al loro autore, ma, qualora siano stati riversati nella rappresentazione di immagini in movimento, concorrono a dar luogo alla costituzione di un'opera dell'ingegno autonoma e diversa, che la legge individua e protegge come tale, attribuendo il diritto ad un diverso soggetto e con diversi termini di protezione. Ne consegue che il diritto di utilizzazione della nuova opera dell'ingegno costituita dal cartone animato spetta al produttore del film ed ha la durata prevista per le opere cinematografiche; mentre la tutela di ogni diversa ed ulteriore utilizzazione dei disegni spetta alloro autore, ed ha la durata prevista per le opere delle arti figurative. Nella fattispecie in esame, quindi. il decorso del primo termine ha determinato la caduta in pubblico dominio delle opere cinematografiche anche qualora non fosse ancora caduto in pubblico dominio il diritto sui disegni".













La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.













(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Penali, Sentenza 29 dicembre 2009, n.49783: Duplicazione di opere cinematografiche - Diritto di utilizzazione - Durata).













- Diritto pubblico, diritto della circolazione stradale, diritto processuale civile:





CASSAZIONE CIVILE:





ANCORA SULLA LIQUIDAZIONE DEL DANNO ESISTENZIALE













La Corte di Cassazione ha ripercorso l'orientamento delle Sezioni Unite in materia di risarcimento del danno esistenziale, nell'ambito di un caso di grande interesse (trauma causato dall'avere improvvisamente scoperto di dover perdere il trattamento pensionistico e di dover lavorare per ulteriori dieci anni).













"Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. ex purimis, Cass., SU n. 26972/2008, cit.), dal cui orientamento il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, hanno evidenziato che, quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato (come si verifica nel caso di specie, avendo il lavoratore, per conseguenza dell'illecita condotta perpetrata nei suoi confronti, riportato lesioni alla propria integrità psico-fisica), la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; più in particolare, sempre nella suddetta ipotesi, spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, ivi compreso il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva causata dal reato; tale pregiudizio, che può essere permanente o temporaneo (e tali circostanze devono essere tenute presenti in sede di liquidazione, mentre sono irrilevanti ai fini della risarcibilità), può inoltre sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali ed in quest'ultimo caso, tuttavia, di esso il giudice dovrà tenere conto nella personalizzazione del danno biologico, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione.













Infatti, sempre secondo le Sezioni Unite, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale, ma, ove vengano lamentate degenerazioni patologiche della sofferenza, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca, costituisce componente, con la conseguenza che determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale inteso nei suindicati termini, sovente liquidato in percentuale del primo, cosicché, esclusa la praticabilità di tale operazione, il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, dovrà procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.













Parimenti possono costituire solo "voci" del danno biologico (al quale va riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva) nel suo aspetto dinamico il cosiddetto danno alla vita di relazione e i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione".













La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.













(Corte di Cassazione - Sezione Quarta Lavoro, Sentenza 30 novembre 2009, n.25236: Danno non patrimoniale - Danno biologico - Danno esistenziale - Danno morale - Duplicazione - Esclusione).













- Diritto della responsabilità civile e del risarcimento dei danni, diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, diritto processuale civile:





CASSAZIONE SU CIVILI:





IL RISARCIMENTO PER DANNI ALLA SOCIETÀ NON LO CHIEDE IL SOCIO













In un giudizio promosso per il l'inadempimento del contratto e per il risarcimento dei danni subiti da una società assicuratrice a causa della relazione negativa della certificazione del bilancio, le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito quattro importanti principi, il primo di carattere sostanziale gli altri processuale:













"Qualora una società di capitali subisca, per effetto dell'illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché tale danno possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non già anche a ciascuno dei soci, in quanto l'illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio e obbliga il responsabile a risarcirle il danno, costituendo l'incidenza negativa sui diritti del socio nascenti dalla partecipazione sociale un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell'illecito";













"Le esigenze di certezza giuridica, espresse nel principio di conservazione delle procedure concorsuali ricavabile dall'art. 21 l. f. ed estensibile nei limiti di compatibilità alla procedura di liquidazione coatta amministrativa comportano che, in relazione alla costituzione dei rapporti processuali attinenti ai soggetti sottoposti alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, l'apertura della procedura con la conseguente nomina dei suoi organi sulla base di un provvedimento formalmente idoneo e la loro immissione nel possesso e nella gestione del patrimonio - costituisce un "fatto giuridico" di per sé idoneo a radicare la legittimazione processuale, attiva e passiva, del commissario liquidatore, in relazione ai rapporti giuridici che ne formano oggetto, a prescindere dalla validità intrinseca del provvedimento, finché esso non venga rimosso dalla stessa amministrazione, ovvero annullato, dichiarato nullo o giuridicamente inesistente con provvedimento giurisdizionale a ciò idoneo che renda non più proseguibile la procedura, il quale avrà effetto "ex nunc";













"In seguito all'apertura della procedura, in relazione ai rapporti patrimoniali in essa compresi, sussiste una legittimazione processuale del fallito e dei soggetti sottoposti a liquidazione coatta amministrativa suppletiva, in deroga alla legittimazione esclusiva degli organi della procedura, in relazione a detti rapporti, nel solo caso d'inattività e disinteresse di questi, mentre ove riguardo al rapporto in questione essi si siano attivati, detta legittimazione suppletiva non sussiste e la sua carenza può essere rilevata d'ufficio";













"Quando in un processo con pluralità di parti in primo grado la causa sia stata rimessa al collegio ai sensi dell'art. 187, per la decisione di questioni che avrebbero potuto definire il giudizio e il giudizio sia stato poi definito nei confronti solo di una o di alcune parti, anche se non di tutte, deve provvedersi sulle spese giudiziali in relazione alle parti per le quali il giudizio è stato definito".













(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 24 dicembre 2009, n.27346).













- Diritto tributario:





AGENZIA ENTRATE:





SÌ ALL'UTILIZZO DELLE RITENUTE SUBITE PER COMPENSARE DEBITI PROPRI DELL'ASSOCIAZIONE













L'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica, 22 dicembre 1986, n. 917, disciplina l'imputazione dei redditi prodotti in forma associata dalle società di persone, dalle associazioni senza personalità giuridica per l'esercizio in forma associata di arti e professioni, dalle società di fatto, da quelle di armamento e dalle imprese familiari. Principio comune a tutte le ipotesi elencate è che i redditi prodotti dall'ente collettivo sono imputati a ciascun socio o associato, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili.













Chiarendo il regime applicabile, l'Agenzia ha affermato che "i soci o associati alle società ed associazioni di cui all'articolo 5 del T.U.I.R. possano acconsentire in maniera espressa a che le ritenute che residuano, una volta operato lo scomputo dal loro debito IRPEF, siano utilizzate dalla società o associazione, sicché il credito ad esse relativo, inevitabilmente maturato dalla società o associazione per assenza di imposta a debito, possa essere dalle stesse utilizzato in compensazione per i pagamenti di altre imposte e contributi attraverso il modello F24".













In sostanza, "l'eventuale utilizzo in compensazione da parte della società o associazione del credito relativo alla ritenute dalla stessa subite richiede, dunque, il preventivo assenso dei soci o associati da manifestare, anche in via generalizzata, in apposito atto avente data certa (ad esempio tramite scrittura privata autenticata) o nello stesso atto costitutivo. L'assenso dei soci può essere riferito al credito derivante dalle ritenute residue relative ad un singolo periodo d'imposta - con necessità, in tale circostanza, di rinnovo annuale dell'atto - ovvero a quello derivante da tutte le ritenute residue senza limiti di tempo, fino a revoca espressa".













(Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa, Circolare 23 dicembre 2009, n.56/E: società di persone, associazioni senza personalità giuridica per l'esercizio in forma associata di arti e professioni e soggetti assimilati ex articolo 5 del TUIR, possibilità di utilizzare le ritenute subite per compensare debiti propri dell'associazione o della società).













- Diritto tributario, diritto dei contratti e delle obbligazioni:





AGENZIA ENTRATE:





DISCIPLINA IVA DEL LUOGO DI PRESTAZIONE DEI SERVIZI













L'Agenzia delle Entrate chiarisce la portata delle novità sul luogo delle prestazioni di servizi, applicabili dal 1° gennaio 2010 a seguito delle modifiche introdotte dalla Direttiva n. 2008/8/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008. L'Agenzia ha ricordato che il Consiglio dei Ministri in data 12 novembre 2009 ha proceduto all'esame preliminare del Decreto Legislativo concernente la "Attuazione delle direttive 2008/8/CE, 2008/9/CE e 2008/117/CE che modificano la direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi, il rimborso dell'imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi stabiliti in altro Stato membro, nonché il sistema comune dell'IVA per combattere la frode fiscale connessa alle operazioni intracomunitarie". Posto che alcune delle disposizioni contenute nella Direttiva Servizi risultano sufficientemente dettagliate e tali da consentirne la diretta applicazione almeno per ciò che riguarda le regole generali, nelle more dell'adozione del formale provvedimento di recepimento delle norme comunitarie nell'ordinamento interno, si forniscono di seguito istruzioni operative di massima, sulla base delle norme contenute nella direttiva che appaiono oggettivamente suscettibili di immediata applicazione. Ciò allo scopo di evitare che si verifichino fenomeni di doppia tassazione o di detassazione in contrasto con i dettami dell'IVA e con un coerente funzionamento del mercato interno, che potrebbero emergere qualora dal 1° gennaio 2010 in Italia si continuassero ad applicare le previgenti norme.













In generale, "a decorrere dal 1° gennaio 2010 le prestazioni di servizi cosiddette generiche, per le quali, cioè, non sono previste specifiche deroghe ai criteri di territorialità, rese a soggetti passivi (comunemente detti rapporti Business to Business o B2B) si considerano territorialmente rilevanti nel territorio dello Stato se rese a soggetti passivi stabiliti in Italia (c.d. criterio del luogo del committente previsto dall'articolo 44 della Direttiva IVA). ... Di contro, i servizi generici prestati a persone che non sono soggetti passivi o prestati a soggetti passivi per il proprio uso personale o per quello dei propri dipendenti (comunemente detti rapporti Business to Consumer o B2C), continuano ad essere assoggettati ad imposizione nel territorio dello Stato se forniti da soggetti passivi stabiliti in Italia (c.d. criterio del luogo del prestatore previsto dall'articolo 45 della Direttiva IVA)".













(Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa, Circolare 31 dicembre 2009, n.58/E: Disciplina IVA del luogo di prestazione dei servizi - Direttiva n. 2008/8/CE del Consiglio del 12 febbraio 2008).













- Diritto della previdenza:





CASSA FORENSE:





CONTRIBUTO INTEGRATIVO AL 4%













Con la pubblicazione della Comunicazione si è concluso l'iter per l'entrata in vigore della delibera adottata dal Comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense in data 19 settembre 2008, concernente Progetto di riforma della previdenza forense.













In particolare, dal 1° gennaio 2010 entra in vigore l'aliquota del contributo integrativo in misura del 4% (anziché del 2%) su tutte le fatture di natura professionale emesse, a decorrere dal 1° gennaio 2010, da avvocati iscritti agli Albi o da praticanti già iscritti alla Cassa.













(Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, Comunicato concernente l'approvazione della delibera adottata in data 19 settembre 2008 dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense. (09A15601) - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 31 dicembre 2009, n. 303).



























EDITTO DI RE ROTARI





I. Se qualcuno avrà premeditato l'assassinio del re o si sarà accordato in tal senso, sia condannato alla pena di morte e le sue sostanze vengano confiscate.













II. Se qualcuno avrà tramato insieme al re la morte di un altro, o se l'avrà ucciso per ordine dello stesso re, non sia considerato colpevole, né lui stesso né i suoi eredi siano sottoposti in nessun momento a rappresaglie o richieste di risarcimento da parte degli eredi dell'offeso; infatti, dato che siamo convinti che il cuore del re è in mano di Dio, non è possibile che un uomo possa assolvere colui che il re ha ordinato di uccidere.













III. Se qualcuno avrà tentato di fuggire fuori dal regno, incorra nella pena di morte e i suoi averi siano confiscati.













IIII. Se qualcuno avrà invitato o introdotto un nemico nel paese sia condannato a morte e i suoi beni vengano confiscati.













V. Se qualcuno avrà nascosto delle spie all'interno del paese o le avrà sostentate, sia condannato a morte, ovvero paghi al re un'ammenda di novecento soldi.













VI. Se qualcuno, durante una campagna militare, avrà fomentato la rivolta tra i soldati contro il duca o contro colui al quale il re avrà affidato il comando militare, ovvero se avrà fomentato la ribellione in un reparto dell'esercito sia condannato a morte.





[Gianluigi Barni, I longobardi in Italia, De Agostini, 1974]













Focus





- Diritto penale, procedura penale, diritto costituzionale:





CASSAZIONE PENALE:





DETENZIONE DI PROGRAMMI IN SUPPORTI NON CONTRASSEGNATI DALLA SIAE













L'articolo 171 bis della Legge diritto d'autore primo comma primo periodo prevede due distinte ipotesi di reato a) il fatto di chi abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore; b) il fatto di chi, per trarne profitto, importa, distribuisce, vende, detiene, a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla SIAE.













Secondo la Cassazione occorre valutare "se l'utilizzo dei programmi in questione nell'ambito della attività uno studio di un libero professionista possa farsi rientrare nella nozione di attività di impresa", posto che "il giudice di primo grado ha ritenuto che l'attività libero professionale non può essere equiparata ad un utilizzo personale, perché consiste in una attività economica diretta alla prestazione di servizi ed alla produzione di redditi, sicché va qualificata come attività di impresa, sia pure individuale e non gestita in forma societaria".













La Cassazione ritiene che "il reato previsto dall'art. 171 bis, primo comma, primo periodo, seconda ipotesi, legge 22 aprile 1941, n. 633 (illecita detenzione, a scopo commerciale o Imprenditoriale, di programmi per elaboratore privi di contrassegno Siae) laddove richiede che detenzione avvenga «a scopo commerciale o imprenditoriale» non si riferisce anche alla detenzione ed utilizzazione nell'ambito di una attività libero professionale, alla quale pertanto non si applica la norma in esame".













Secondo la Cassazione, infatti, "è erroneo equiparare l'utilizzo in una attività libero professionale ad una attività imprenditoriale solo perché il primo utilizzo non potrebbe essere equiparato a quello meramente privato. Questo assunto si fonda su un presupposto che non corrisponde assolutamente alla realtà, ossia che il legislatore abbia stabilito che esistono solo tre categorie di utilizzi: quello commerciale, quello imprenditoriale e quello meramente privato, con la conseguenza che tutti gli utilizzi che non siano meramente privati debbano necessariamente essere fatti rientrare in una delle altre due categorie. La realtà invece è - come risulta dalla lettera e dalla ratio della disposizione - che il legislatore, tra tutti gli innumerevoli utilizzi possibili, ne ha individuati due (commerciale ed imprenditoriale) che ha ritenuto meritevoli di sanzione penale. A tutti gli altri utilizzi che non rientrano in una di queste due categorie, ovviamente, la sanzione penale non sarà applicabile.













Non può poi ritenersi che alla soluzione del giudice di primo grado possa pervenirsi sulla base di una interpretazione estensiva. Ed infatti, per quanto possa dilatarsi il significato della parola «imprenditoriale» in essa non potrà mai rientrare anche l'attività di un libero professionista che non sia esercitata nell' ambito di una attività organizzata nella forma di impresa. Si è invece in presenza di una vera e propria applicazione analogica della norma dettata per la fattispecie dell'utilizzo a scopo imprenditoriale alla diversa fattispecie dell'utilizzo a scopo libero professionale. Non si è esteso il significato di una norma preesistente, bensì si è creata una nuova norma, che prima non esisteva. In altre parole, si è ipotizzato che nella normativa esiste una lacuna per l'attività libero professionale e si è quindi ritenuta applicabile la norma prevista per la diversa fattispecie l'attività imprenditoriale, sul presupposto che fra le due fattispecie esisterebbe una identità di ratio che appunto giustificherebbe il ricorso all'analogia.













Sennonché, nella specie non esistono (e comunque non è dimostrato che esistono) nemmeno i presupposti logici dell'applicazione analogica, per la quale non è sufficiente una mera somiglianza, ma occorre una somiglianza rilevante, ossia che le due fattispecie siano somiglianti in quell'elemento che costituisce la ragione sufficiente della previsione normativa (cioè la ratio legis). Nel caso in esame l'elemento in comune, quello somigliante, è stato individuato nel fatto che sia l'utilizzo imprenditoriale sia quello libero professionale sono diversi dall'utilizzo meramente privato. Si tratta però di una somiglianza non rilevante, perché la ragione sufficiente per cui allo scopo commerciale ed a quello imprenditoriale sono state riconnesse certe conseguenze penali non risiede certamente nel fatto che in entrambi i casi si tratta di attività non meramente privata. Manca quindi l'identità di ratio sicché non è possibile nemmeno in astratto una applicazione analogica. L'applicazione analogica peraltro non sarebbe possibile in nessun caso, in quanto vietata dall'art. 14 delle preleggi (e dall'art. 25, comma 2, Cost.) perché porterebbe alla applicazione in malam partem di una nonna penale ad un caso non espressamente previsto dalla legge.













Nemmeno potrebbe pensarsi che il legislatore, nella sola disposizione in esame, abbia inteso confondere l'attività imprenditoriale e quella libero professionale, che per il resto sono state dallo stesso legislatore tenute distinte e disciplinate in modo diverso (cfr. artt. 2084 ss. cod. civ. per l'attività dell'imprenditore; art. 2222 cod. civ. per l'attività propria del lavoro autonomo; ed in particolare artt. 2229 ss. cod. civ. per le professioni intellettuali). In realtà, per «imprenditoriale» può intendersi anche l'esercizio di una attività di produzione di meri servizi, sempre però in quanto sia esercitata industrialmente. E' quindi certo che vi è una netta contrapposizione tra l'attività imprenditoriale industriale, disciplinata appunto dagli artt. 2188 ss. cod. civ., e l'attività libero professionale intellettuale, regolata invece dagli artt. 2229 ss. cod. civ. Tale contrapposizione non viene meno neppure quando l'attività professionale intellettuale viene esercitata con l'aiuto di ausiliari o in forma collaborativa associata.













Nella specie si tratta della attività di geometra, che ha appunto natura libero professionale e non imprenditoriale, in quanto rientra tra le professioni che l'art. 2229, comma 1, cod. civ. tipizza come intellettuali ad ogni effetto, è disciplinata come tale da una apposita legge (r.d. n. 271/1929) ed è richiesta l'iscrizione in un apposito albo per poterla esercitare lecitamente.













Poiché quindi la detenzione ed utilizzazione dei programmi in questione non è stata fatta nell'ambito di una attività imprenditoriale/ma dell'attività di un libero professionista, la sentenza impugnata dovrebbe, già per questa ragione, essere annullata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.













Sennonché deve rilevarsi che sussiste un'altra ragione per un pieno proscioglimento nel merito. L'art. 171 bis, comma 1, legge 22 aprile 1941, n. 633 come già rilevato, punisce, da un lato, la abusiva duplicazione, per trame profitto, di programmi per elaboratore (prima ipotesi di reato) e, dall'altro lato, l'importazione, distribuzione, vendita, detenzione a scopo commerciale e imprenditoriale, concessione in locazione non già di programmi abusivamente duplicati ma esclusivamente di programmi contenuti in supporti non contrassegna dalla SIAE. In questo caso il legislatore, per i programmi per elaboratore, ha volutamente utilizzato un criterio diverso da quello scelto per le opere musicali o audiovisive dal successivo art. 171 ter, primo comma, il quale punisce, da un lato, l'abusiva duplicazione e riproduzione (lett. a) e b» e, dall'altro Iato, sia la detenzione per la vendita di opere abusivamente duplicate o riprodotte (lett. c) sia la detenzione per la vendita di opere prive del contrassegno Siae (lett. d). Dunque, l'art. 171 ter, da una parte, ha ad oggetto, oltre alle opere su supporti privi del contrassegno Siae anche quelle abusivamente riprodotte, ma, dall'altra parte, punisce soltanto la detenzione per la vendita (o la trasmissione per radio o per televisione o l'ascolto in pubblico). L'art. 171 bis, da parte sua, punisce non solo la detenzione per la vendita o a scopo di commercializzazione, ma anche quella a scopo imprenditoriale, ma ha però ad oggetto soltanto i programmi su supporti privi di contrassegno Siae e non anche quelli abusivamente riprodotti.













Deve ritenersi che questa diversità di disciplina corrisponda ad una precisa finalità del legislatore, che ha voluto calibrare le diverse conseguenze giuridiche della pluralità dei comportamenti ipotizzabili in materia. E come si è in precedenza ricordato, nell'interpretare le diverse disposizioni della legge 22 aprile 1941, n. 633, questa Corte si è sempre ispirata alla necessità di osservare i principi di tassatività e determinatezza delle fattispecie penali ribadendo che in materia penale, nella quale vige il divieto di applicazione analogica, il giudice non può rimediare ad ipotetiche sviste legislative dilatando la fattispecie penale al di là del suo contenuto tassativo.













Di conseguenza, alla luce dei richiamati principi costituzionali, deve ritenersi che la seconda ipotesi di reato di cui all'art. 171 bis, primo comma, cit., abbia ad oggetto esclusivamente i programmi per elaboratore contenuti su supporti privi del contrassegno Siae e non anche i programmi abusivamente riprodotti. Del resto, non potrebbe sicuramente pervenirsi ad una eventuale applicazione della nonna penale ai programmi abusivamente duplicati attraverso una interpretazione estensiva della disposizione, essendo evidente che il significato dell' espressione «programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società degli autori ed editori (SIAE») non può essere dilatato fino a fargli comprendere anche i programmi abusivamente duplicati. Anche in questo caso, quindi, non si estenderebbe il significato di una norma preesistente, ma si creerebbe una nuova norma che prima non esisteva. Si opererebbe quindi una applicazione analogica della norma dettata per il caso tiei supporti privi di contrassegno Siae al diverso caso dei programmi abusivamente duplicati. Qui probabilmente sussisterebbero i presupposti logici per l'analogia, dal momento che i due casi sono simili proprio per l'elemento che è stato la ragione sufficiente per la previsione normativa (identità di rafia). L'analogia tuttavia è vietata perché riguarderebbe una norma penale.













Il reato di illecita importazione, distribuzione, vendita, detenzione, concessione in locazione di programmi per elaboratore di cui alla seconda ipotesi dell'art. 171 bis, dunque, ha ad oggetto unicamente i programmi contenuti su supporti privi del contrassegno Siae, ossia, in sostanza, punisce la violazione dell' obbligo di apporre tale contrassegno sui supporti nel caso di detenzione degli stessi a fine commerciale o imprenditoriale (o di importazione, distribuzione, vendita, concessione in locazione).













(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 22 dicembre 2009, n.49385).





























Publio Cornelio Tacito





(55-117)













ANNALI





Libro Terzo













XXXIII. In tale occasione, Severo Cecina propose che nessun magistrato, incaricato di reggere una provincia, potesse farsi accompagnare dalla moglie: ciò dopo aver a più riprese affermato d'essere in armonia con la propria sposa, che gli aveva dato sei figli, e d'aver già applicato nella sua casa ciò che proponeva per tutti, poiché sua moglie era sempre rimasta in Italia pur avendo egli trascorso quarant'anni di servizio nelle diverse province. Non senza ragione si era un tempo decretato che non si conducessero donne fra gli alleati o fra genti straniere. La compagnia femminile è per sua natura capace di intralciare le opere di pace col lusso, i doveri della guerra con la paura, e di assimilare un esercito romano in marcia a un'avanzata di barbari. Non solo il sesso femminile è debole ed impari alle fatiche ma, ove gli sia data libertà, è anche crudele, intrigante, assetato di potere. Le donne, procedendo fra i soldati, sanno tenere ai loro ordini i centurioni: non era passato molto tempo da che una donna aveva presieduto alle esercitazioni delle coorti, alle manovre delle legioni*; considerassero i senatori quante volte, nei processi di malversazione, le responsabilità maggiori fossero da addossare alle mogli. A esse si legavano subito i peggiori elementi della provincia, esse intraprendevano e concludevano affari; doppie le scorte d'onore, doppi i pretori; e tanto piu sfrontato e senza freno era l'imperio delle donne che, vincolate un tempo dalle leggi Oppie** e da altri decreti, avendo infrante ora tali barriere, dirigevano le case, il foro e anche gli eserciti.





* Si allude a Plancina, moglie di Pisone.





** Istituita nel 215 a.C., la Legge Oppia aveva lo scopo di moderare l'esibizione del lusso femminile.













[Traduzione di Annamaria Rindi, Milano, Edizioni per il Club del Libro, 1965, pp.119-120].







































Caio Svetonio Tranquillo





(70-126)













VITE DEI CESARI





Domiziano













VIII. Amministrò scrupolosamente ed attivamente la giustizia, spesso anche nel Foro, in via straordinaria, davanti al suo seggio. Annullò le sentenze dei centumviri viziate da interessi politici. Ammonì spesso i giudici delle cause d'indennizzo a non accontentarsi di argomentazioni cavillose. Inflisse nota d'infamia ai giudici venali ed ai loro consiglieri.













Fece accusare di concussione dai tribuni della plebe un edile disonesto e richiese al senato giudici contro di lui. Tanta cura mise inoltre nel punire i magistrati urbani e i governatori delle province, che non se ne ebbero mai né di più moderati né di più giusti. E sì che più tardi ne vedemmo moltissimi incriminati per misfatti di ogni genere.













3 Assuntosi inoltre il compito di moralizzare i costumi, tolse ai cittadini la libertà di assistere promiscuamente agli spettacoli teatrali dagli scranni dei cavalieri; ritirò dalla circolazione scritti infamanti e pubblicamente divulgati in cui si colpivano uomini e donne insigni, e tacciò gli autori d'ignominia. Espulse dal senato un ex questore preso dalla passione della recitazione e della danza. Proibi alle donne disonorate l'uso della lettiga e il diritto di ricevere legati ed eredità. Cancellò dall'albo dei giudici un cavaliere romano che aveva nuovamente sposato la moglie, già ripudiata sotto accusa di adulterio. Condannò, secondo la legge Scantinia *, alcuni cittadini di entrambi gli ordini.













4 Punì severamente e in vari modi l'immoralità delle vergini vestali, di cui anche il padre e il fratello non si erano occupati, prima con la condanna a morte, poi secondo l'antica procedura **. Alle sorelle Ocellate ed a Varronilla diede infatti la facoltà di scegliere liberamente il genere di morte, condannando alla relegazione i loro seduttori; ma ordinò di seppellire viva Cornelia, la maggiore delle vestali, già un tempo assolta e poi, dopo un lungo intervallo, nuovamente accusata e dichiarata colpevole, e di fustigarne a morte i seduttori in comizio, ad eccezione di un ex pretore cui concesse l'esilio, poiché la causa appariva dubbia ed incerti gli interrogatori; l'uomo aveva infatti confessato solo sotto tortura.





















* Lex Scantinia de nefanda Venere, contro la sodomia (N.d.C.).





** Le vestali colpevoli venivano per antica legge sepolte vive (N.d.C.).













[Traduzione di Annamaria Rindi, Milano, Edizioni per il Club del Libro, 1962, pp.473-4].



















































Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...