lunedì 11 gennaio 2010

Dipendente e Operazioni in Conflitto di interesse: c'è l'obbligo di avvisare il datore di lavoro

Dipendente, compimento di operazioni pregiudizievoli per l'azienda, risarcimento al datore







Cassazione civile , sez. lavoro, ordinanza 09.11.2009 n° 23726







Il dipendente che, nell’ambito delle sue mansioni, abbia compiuto operazioni dannose per l’azienda, deve risarcire il datore di lavoro, in quanto è responsabile contrattualmente per violazione dei doveri di diligenza e fedeltà connessi al rapporto di lavoro. Lo stesso, peraltro, non può invocare a sua discolpa l’inadeguatezza di controlli aziendali interni sull’operato dei propri dipendenti. Il concorso di colpa del datore di lavoro, infatti, ricorre esclusivamente nel caso in cui lo stesso era a conoscenza del fatto potenzialmente pregiudizievole.





(*) Riferimenti normativi: art. 1227 c.c..













(Fonte: Altalex Massimario 43/2009. Cfr. nota di Giuseppe Carella)





































SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE













SEZIONE LAVORO













Ordinanza 16 ottobre - 9 novembre 2009, n. 23726













(Presidente Battimiello - Relatore D’Agostino)













Fatto e diritto













La Corte di Appello di Venezia - nella causa promossa da M. V. contro la Cassa Rurale e Artigiana di Treviso con opposizione a decreto ingiuntivo, nonché nella causa alla prima riunita promossa dalla Cassa Rurale contro il V. per ulteriori pretese risarcitorie - con sentenza n. 115 del 5.7.2008, in parziale accoglimento dell'appello proposto dal V. contro la sentenza del Tribunale di Treviso, ha ridotto ad euro 256800,00, oltre accessori, il risarcimento del danno dovuto dall'appellante alla banca per illecite operazioni finanziarie compiute nella sua qualità di responsabile del servizio estero.













Avverso detta sentenza il V. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, con i quali ha dedotto: 1) violazione degli arti. 112, 115 e 653 c.p.c.; 2) violazione degli artt. 2697 e 2104 c.c. e 115 c.p.c. e vizi di motivazione per errata valutazione delle prove in ordine alla sussistenza dell'inadempimento contrattuale ed alla responsabilità contrattuale del ricorrente; 3) violazione degli artt. 115 c.p.c. e 1227 e 2697 c.c. per errata applicazione dei principi dell'onere della prova nonché per vizi di motivazione per errata valutazione delle prove in ordine al concorso di colpa della Cassa ed alla imputabilità al V. dei pretesi danni subiti dalla banca; 4) violazione degli artt. 115 e 91 c.p.c. in ordine al regolamento delle spese del giudizio di appello.













La Banca intimata ha resistito con controricorso.













Osserva la Corte che i motivi 1) e 4) sono privi della formulazione dei quesiti di diritto, richiesti a pena di inammissibilità dall'art. 366 bis c.p.c., applicabile a tutti i ricorsi avverso sentenze depositate dopo il 2 marzo 2006, come disposto dall'art. 27 comma 2 del d.lgs. n. 40/2006. Il citato art. 366 bis è stato abrogato dall'art. 47 del d.lgs. n. 69/2009, ma senza effetto retroattivo, motivo per cui è rimasto in vigore per i ricorsi per cassazione presentati avverso sentenze pubblicate prima del 4 luglio 2009 (art. 58 d.lgs. 69/2009). Detti motivi sono pertanto inammissibili.













Il motivo n. 3 è manifestamente infondato. Nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nella intestazione del motivo di ricorso ma privo di qualsiasi sviluppo nel corso dell'impugnazione, le censure si risolvono nel rilevare un vizio di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione da parte del giudice di merito del materiale probatorio acquisito.













Il giudice di appello ha fondato la sua decisione, oltre che sul valore confessorio del riconoscimento di debito del V. posto a base della richiesta di decreto ingiuntivo, anche sulle testimonianze raccolte e sulle risultanze delle consulenze tecniche d'ufficio disposte nei due gradi di merito. Sulla base del materiale probatorio la responsabilità contrattuale del dipendente, per violazione delle norme, sia generali che contrattuali, che regolano il rapporto di lavoro subordinato, è stata ravvisata nel fatto che il V., nell'effettuare le operazioni finanziarie sui cambi con notevole pregiudizio della Cassa, ha agito da solo, senza avvisare i superiori ed approfittando del cumulo nella sua persona, per il periodo di effettuazione delle operazioni pregiudizievoli, della figura di controllato e di controllore, svolgendo contemporaneamente le due funzioni di “ispettorato” e di “ufficio estero”.













Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, non essendo consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal giudice di merito (cfr. tra le tante Cass. n. 18214/2006, n. 3436/2006, n. 8718/2005).













Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal giudice di appello sono congruamente motivate e l'iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione. Per contro, le censure mosse dal ricorrente si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal giudice di merito in senso contrario alle aspettative del medesimo ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.













Il terzo motivo è parimenti infondato. La Corte di Appello ha chiarito che la responsabilità del V. non può essere esclusa o ridotta ex art. 1227 c.c. in base alle asserite carenze organizzative e del sistema dei controlli in vigore presso la Cassa, perché il concorso di colpa presupporrebbe la conoscenza del fatto potenzialmente pregiudizievole da parte del danneggiato, e quindi la comunicazione ai superiori delle operazioni a rischio poste in essere dal dipendente, comunicazioni che il V. ha omesso di effettuare nonostante la duplicità delle sue mansioni sopra evidenziata. Le affermazioni del giudice di appello sono pienamente condivisibili in punto di diritto, in quanto la mancata predisposizione da parte della Cassa di adeguati sistemi di controllo interno sull'operato dei propri dipendenti non esclude né riduce il dovere di questi ultimi di agire con diligenza e fedeltà nell'interesse del datore di lavoro, sicché i danni patrimoniali cagionati al datore per effetto di comportamenti in contrasto con i predetti doveri sono riconducibili esclusivamente al comportamento colpevole del dipendente e non possono essere imputati, neppure in parte, a colpevoli omissioni di controllo da parte del datore di lavoro.













In definitiva il ricorso deve essere respinto con conseguente condanna del ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo.













P.Q.M.













La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 30,00 per esborsi ed in euro seimila per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.







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