mercoledì 11 novembre 2009

News dalla C.E.D.U.: Occorre riflettere e meditare ......... :-(

Crocifisso nelle scuole: la Corte Europea dei diritti dell'uomo condanna l'Italia







Corte Europea Diritti dell'Uomo , sentenza 03.11.2009





L’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche comporta la violazione del dovere dello Stato di rispettare la neutralità nell'esercizio del servizio pubblico, in particolare nel campo dell'istruzione, violando il diritto dei genitori di educare i loro figli secondo le loro convinzioni e il diritto di scolari di credere o non credere.













Con queste conclusioni la Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, all’unanimità dei giudici componenti, nella decisione n. 30814/06, del 3 novembre 2009, ha condannato lo Stato Italiano per la violazione dell’art. 2, del protocollo n. 1, rivisto nel combinato disposto con l’art. 9, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.













La vicenda ha visto protagonista una mamma che ha intrapreso una lunga battaglia contro l’esposizione del crocefisso nell’aula scolastica frequentata dai propri figli.













L’interessata, impugnando la decisione della scuola di lasciare i crocifissi nelle aule, ha sostenuto, nei diversi gradi di giudizio, la violazione del principio di laicità, ma è sempre stata soccombente. La questione era giunta anche all’attenzione della Corte Costituzionale, sollevata dal TAR del Veneto, la quale, senza entrare nel merito si è dichiarata incompetente in quanto l’oggetto dell’impugnazione riguardava un regolamento scolastico, quindi, non avente la forza di legge e, pertanto, sottratto al giudizio della stessa Corte.













Ultima strada rimasta alla mamma è stata proprio il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell'uomo che ha deciso con la sentenza in argomento.













Il Governo italiano nel corso del giudizio si è difeso sostenendo che certamente la croce è un simbolo religioso ma ha anche altri significati, primo tra tutti quello etico, che comprende una serie di principi che possono essere condivisi al di fuori della fede cristiana, quale la non-violenza, la pari dignità di tutti gli esseri umani, la giustizia, l'importanza della libertà di scelta, la separazione della politica dalla religione, l'amore del prossimo e il perdono dei nemici.













Pertanto, ad avviso dello Stato Italiano, il messaggio di cui la croce era portatrice sarebbe un messaggio umanista, che può essere letto indipendentemente dalla sua dimensione religiosa, costituita da un insieme di principi e di valori che rappresentano la base delle nostre democrazie.













L’esposizione di un simbolo religioso nei luoghi pubblici, per il Governo, rientrerebbe nel margine di discrezionalità lasciato agli Stati in materia così complessa e delicata, strettamente legati alla cultura e alla storia.













La Corte ha, tuttavia, respinto queste argomentazioni.













Invero, i giudici europei, nel richiamare i principi giurisprudenziali in merito, hanno affermato che nelle funzioni che lo Stato assume nel campo dell'educazione e dell'insegnamento si deve tener conto del diritto dei genitori di rispettare le loro convinzioni religiose e filosofiche, occasione in cui la scuola non dovrebbe essere la scena di proselitismo o di predicazione, ma piuttosto un luogo di incontro di diverse religioni e convinzioni filosofiche, dove gli studenti possono conoscere i loro pensieri e le tradizioni.













Tali premesse, secondo la Corte, sono quelle che garantiscono il pieno rispetto del dovere di neutralità e imparzialità dello Stato, e, dunque sono incompatibili con qualsiasi potere discrezionale sulla legittimità delle credenze religiose.













La Corte, comunque non nega le affermazioni del Governo Italiano secondo cui la croce avrebbe altri valori, diversi da quello prettamente religioso, tuttavia, proprio quest’ultimo ha una particolare natura e il suo impatto sugli studenti sin dalla giovane età, soprattutto se bambini, può essere condizionante, costituendo una pressione su coloro che eventualmente non praticano tale religione o che aderiscono a un'altra religione.













In definitiva, la Corte ritiene che la presenza dei crocifissi nelle aule – che ha una pluralità di significati, tra cui rappresentare dei simboli in specifici contesti sociali e storici – è tuttavia predominante come simbolo religioso, che può anche essere incoraggiante per alcuni studenti credenti, ma diventare emotivamente inquietante per gli studenti di altre religioni o per coloro che non professano alcuna religione.













Per tali motivazione la Corte di Strasburgo ha accolto il ricorso della mamma interessata, contestando al Governo Italiano la violazione dell’art. 2, del protocollo n.1, rivisto nel combinato disposto con l’art. 9, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e condannandolo al pagamento di un danno patrimoniale nella misura di euro 5000 da versare alla ricorrente entro tre mesi dalla presente decisione.













(Altalex, 4 novembre 2009. Nota di Gesuele Bellini)

































crocifisso

scuola

diritti umani

Gesuele Bellini

































DEUXIÈME SECTION





























































AFFAIRE LAUTSI c. ITALIE





















(Requête no 30814/06)





























































































ARRÊT





































STRASBOURG





















3 novembre 2009





























Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l'article













44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.





















En l'affaire Lautsi c. Italie,













La Cour européenne des droits de l'homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :













Françoise Tulkens, présidente,













Ireneu Cabral Barreto,













Vladimiro Zagrebelsky,













Danutė Jočienė,













Dragoljub Popović,













András Sajó,













Işıl Karakaş, juges,













et de Sally Dollé, greffière de section, Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 13 octobre 2009, Rend l'arrêt que voici, adopté à cette date :













PROCÉDURE













1. A l'origine de l'affaire se trouve une requête (no 30814/06) dirigée contre la République italienne et dont une ressortissante de cet Etat, Mme Soile Lautsi (« la requérante »), a saisi la Cour le 27 juillet 2006 en vertu de l'article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l'homme et des libertés fondamentales (« la Convention »). Elle agit en son nom ainsi qu'au nom de ses deux enfants, Dataico et Sami Albertin.













2. La requérante est représentée par Me N. Paoletti, avocat à Rome. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Spatafora et par son coagent adjoint, M. N. Lettieri.













3. La requérante alléguait que l'exposition de la croix dans les salles de classe de l'école publique fréquentée par ses enfants était une ingérence incompatible avec la liberté de conviction et de religion ainsi qu'avec le droit à une éducation et un enseignement conformes à ses convictions religieuses et philosophiques.













4. Le 1er juillet 2008, la Cour a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Se prévalant des dispositions de l'article 29 § 3 de la Convention, elle a décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l'affaire.













5. Tant la requérante que le Gouvernement ont déposé des observations écrites sur le fond de l'affaire (article 59 § 1 du règlement).













EN FAIT













I. LES CIRCONSTANCES DE L'ESPÈCE













6. La requérante réside à Abano Terme et a deux enfants, Dataico et Sami Albertin. Ces derniers, âgés respectivement de onze et treize ans, fréquentèrent en 2001-2002 l'école publique « Istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre », à Abano Terme.













7. Les salles de classe avaient toutes un crucifix, ce que la requérante estimait contraire au principe de laïcité selon lequel elle souhaitait éduquer ses enfants. Elle souleva cette question au cours d'une réunion organisée le 22 avril 2002 par l'école et fit valoir que, selon la Cour de cassation (arrêt no 4273 du 1er mars 2000), la présence d'un crucifix dans les salles de vote préparées pour les élections politiques avait déjà été jugée contraire au principe de laïcité de l'Etat.













8. Le 27 mai 2002, la direction de l'école décida de laisser les crucifix dans les salles de cours.













9. Le 23 juillet 2002, la requérante attaqua cette décision devant le tribunal administratif de la région de Vénétie. S'appuyant sur les articles 3 et 19 de la Constitution italienne et sur l'article 9 de la Convention, elle alléguait la violation du principe de laïcité. En outre, elle dénonçait la violation du principe d'impartialité de l'administration publique (article 97 de la Constitution). Ainsi, elle demandait au tribunal de saisir la Cour constitutionnelle de la question de constitutionnalité.













10. Le 3 octobre 2007, le ministère de l'Instruction publique adopta la directive no 2666 qui recommandait aux directeurs d'écoles d'exposer le crucifix. Il se constitua partie dans la procédure, et soutint que la situation critiquée se fondait sur l'article 118 du décret royal no 965 du 30 avril 1924 et l'article 119 du décret royal no 1297 du 26 avril 1928 (dispositions antérieures à la Constitution et aux accords entre l'Italie et le Saint-Siège).













11. Le 14 janvier 2004, le tribunal administratif de Vénétie estima, compte tenu du principe de laïcité (articles 2, 3, 7, 8, 9, 19 et 20 de la













Constitution) que la question de constitutionnalité n'était pas manifestement mal fondée et dès lors saisit la Cour constitutionnelle. En outre, vu la liberté d'enseignement et l'obligation d'aller à l'école, la présence du crucifix était imposée aux élèves, aux parents d'élèves et aux professeurs et favorisait la religion chrétienne au détriment d'autres religions. La requérante se constitua partie dans la procédure devant la Cour constitutionnelle. Le Gouvernement soutint que la présence du crucifix dans les salles de classe était un « fait naturel », au motif qu'il n'était pas seulement un symbole religieux mais aussi le « drapeau de l'Eglise catholique », qui était la seule Eglise nommée dans la Constitution (article 7). Il fallait donc considérer que le crucifix était un symbole de l'Etat italien.













12. Par une ordonnance du 15 décembre 2004 no 389, la Cour constitutionnelle s'estima incompétente étant donné que les dispositions litigieuses n'étaient pas incluses dans une loi mais dans des règlements, qui n'avaient pas force de loi (paragraphe 26 ci-dessous).













13. La procédure devant le tribunal administratif reprit. Par un jugement du 17 mars 2005 no 1110, le tribunal administratif rejeta le recours de la requérante. Il estimait que le crucifix était à la fois le symbole de l'histoire et de la culture italiennes, et par conséquent de l'identité italienne, et le symbole des principes d'égalité, de liberté et de tolérance ainsi que de la laïcité de l'Etat.













14. La requérante introduisit un recours devant le Conseil d'Etat.













15. Par un arrêt du 13 février 2006, le Conseil d'Etat rejeta le recours, au motif que la croix était devenue une des valeurs laïques de la Constitution italienne et représentait les valeurs de la vie civile.













II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS 16. L'obligation d'exposer le crucifix dans les salles de classe remonte à une époque antérieure à l'unité de l'Italie. En effet, aux termes de l'article 140 du décret royal no 4336 du 15 septembre 1860 du Royaume de Piémont-Sardaigne, « chaque école devra[it] sans faute être pourvue













(...) d'un crucifix ».













17. En 1861, année de naissance de l'Etat italien, le Statut du Royaume de Piémont-Sardaigne de 1848 devint le Statut italien. Il énonçait que « la religion catholique apostolique et romaine [était] la seule religion de l'Etat. Les autres cultes existants [étaient] tolérés en conformité avec la loi ».













18. La prise de Rome par l'armée italienne, le 20 septembre 1870, à la suite de laquelle Rome fut annexée et proclamée capitale du nouveau Royaume d'Italie, provoqua une crise des relations entre l'Etat et l'Eglise catholique. Par la loi no 214 du 13 mai 1871, l'Etat italien réglementa unilatéralement les relations avec l'Eglise et accorda au Pape un certain nombre de privilèges pour le déroulement régulier de l'activité religieuse.













19. Lors de l'avènement du fascisme, l'Etat adopta une série de circulaires visant à faire respecter l'obligation d'exposer le crucifix dans les salles de classe.













La circulaire du ministère de l'Instruction publique no 68 du 22 novembre













1922 disait ceci : « Ces dernières années, dans beaucoup d'écoles primaires du Royaume l'image du Christ et le portrait du Roi ont été enlevés. Cela constitue une violation manifeste et non tolérable d'une disposition réglementaire et surtout une atteinte à la religion dominante de l'Etat ainsi qu'à l'unité de la Nation. Nous intimons alors à toutes les administrations municipales du Royaume l'ordre de rétablir dans les écoles qui en sont dépourvues les deux symboles sacrés de la foi et du sentiment national. » La circulaire du ministère de l'Instruction publique no 2134-1867 du 26 mai













1926 affirmait : « Le symbole de notre religion, sacré pour la foi ainsi que pour le sentiment national, exhorte et inspire la jeunesse studieuse, qui dans les universités et autres établissements d'enseignement supérieur aiguise son esprit et son intelligence en vue des hautes charges auxquelles elle est destinée. » 20. L'article 118 du décret royal no 965 du 30 avril 1924 (Règlement intérieur des établissements scolaires secondaires du Royaume) est ainsi libellé : « Chaque établissement scolaire doit avoir le drapeau national, chaque salle de classe l'image du crucifix et le portrait du roi ».













L'article 119 du décret royal no 1297 du 26 avril 1928 (approbation du règlement général des services d'enseignement primaire) compte le crucifix parmi les « équipements et matériels nécessaires aux salles de classe des écoles ».













Les juridictions nationales ont considéré que ces deux dispositions étaient toujours en vigueur et applicables au cas d'espèce.













21. Les Pactes du Latran, signés le 11 février 1929, marquèrent la « Conciliation » de l'Etat italien et de l'Eglise catholique. Le catholicisme fut confirmé comme la religion officielle de l'Etat italien. L'article 1 du Traité était ainsi libellé : « L'Italie reconnaît et réaffirme le principe consacré par l'article 1 du Statut Albertin du Royaume du 4 mars 1848, selon lequel la religion catholique, apostolique et romaine est la seule religion de l'Etat. » 22. En 1948, l'Etat italien adopta sa Constitution républicaine.













L'article 7 de celle-ci reconnaît explicitement que l'Etat et l'Eglise catholique sont, chacun dans son ordre, indépendants et souverains. Les rapports entre l'Etat et l'Eglise catholique sont réglementés par les Pactes du Latran et les modifications de ceux-ci acceptées par les deux parties n'exigent pas de procédure de révision constitutionnelle.













L'article 8 énonce que les confessions religieuses autres que la catholique « ont le droit de s'organiser selon leurs propres statuts, en tant qu'elles ne s'opposent pas à l'ordre juridique italien ». Les rapports entre l'Etat et ces autres confessions « sont fixés par la loi sur la base d'ententes avec leurs représentants respectifs ».













23. La religion catholique a changé de statut à la suite de la ratification, par la loi no 121 du 25 mars 1985, de la première disposition du protocole additionnel au nouveau Concordat avec le Vatican du 18 février 1984, modifiant les Pactes du Latran de 1929. Selon cette disposition, le principe, proclamé à l'origine par les Pactes du Latran, de la religion catholique comme la seule religion de l'Etat italien est considéré comme n'étant plus en vigueur.













24. La Cour constitutionnelle italienne dans son arrêt no 508 du 20 novembre 2000 a ainsi résumé sa jurisprudence en affirmant que des principes fondamentaux d'égalité de tous les citoyens sans distinction de religion (article 3 de la Constitution) et d'égale liberté de toutes les religions devant la loi (article 8) découle en fait que l'attitude de l'Etat doit être marquée par l'équidistance et l'impartialité, sans attacher d'importance au nombre d'adhérents d'une religion ou d'une autre (voir arrêts no 925/88 ; 440/95 ; 329/97) ou à l'ampleur des réactions sociales à la violation des droits de l'une ou de l'autre (voir arrêt no 329/97). L'égale protection de la conscience de chaque personne qui adhère à une religion est indépendante de la religion choisie (voir arrêt no 440/95), ce qui n'est pas en contradiction avec la possibilité d'une différente régulation des rapports entre l'Etat et les différentes religions au sens des articles 7 et 8 de la Constitution. Une telle position d'équidistance et d'impartialité est le reflet du principe de laïcité que la Cour constitutionnelle a tiré des normes de la Constitution et qui a nature de « principe suprême » (voir arrêt no 203/89 ; 259/90 ; 195/93 ; 329/97), qui caractérise l'Etat dans le sens du pluralisme. Les croyances, cultures et traditions différentes doivent vivre ensemble dans l'égalité et la liberté (voir arrêt no 440/95).













25. Dans son arrêt no 203 de 1989, la Cour constitutionnelle a examiné la question du caractère non obligatoire de l'enseignement de la religion catholique dans les écoles publiques. A cette occasion, elle a affirmé que la Constitution contenait le principe de laïcité (articles 2, 3, 7, 8, 9,













19 et 20) et que le caractère confessionnel de l'Etat avait explicitement été abandonné en 1985, en vertu du Protocole additionnel aux nouveaux Accords avec le Saint-Siège.













26. La Cour constitutionnelle, appelée à se prononcer sur l'obligation d'exposer le crucifix dans les écoles publiques, a rendu l'ordonnance du 15 décembre 2004 no 389 (paragraphe 12 ci-dessus). Sans statuer sur le fond, elle a déclaré manifestement irrecevable la question soulevée car elle avait pour objet des dispositions réglementaires, dépourvues de force de loi, qui par conséquent échappaient à sa juridiction.













EN DROIT













I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L'ARTICLE 2 DU PROTOCOLE No 1 EXAMINÉ CONJOINTEMENT AVEC L'ARTICLE 9 DE LA CONVENTION 27. La requérante allègue en son nom et au nom de ses enfants que l'exposition de la croix dans l'école publique fréquentée par ceux-ci a constitué une ingérence incompatible avec son droit de leur assurer une éducation et un enseignement conformes à ses convictions religieuses et philosophiques au sens de l'article 2 du Protocole no 1, disposition qui est libellée comme suit :













« Nul ne peut se voir refuser le droit à l'instruction. L'Etat, dans l'exercice des fonctions qu'il assumera dans le domaine de l'éducation et de l'enseignement, respectera le droit des parents d'assurer cette éducation et cet enseignement conformément à leurs convictions religieuses et philosophiques. » Par ailleurs, la requérante allègue que l'exposition de la croix a méconnu également sa liberté de conviction et de religion protégée par l'article 9 de la Convention, qui énonce :













« 1. Toute personne a droit à la liberté de pensée, de conscience et de religion ; ce droit implique la liberté de changer de religion ou de conviction, ainsi que la liberté de manifester sa religion ou sa conviction individuellement ou collectivement, en public ou en privé, par le culte, l'enseignement, les pratiques et l'accomplissement des rites.













2. La liberté de manifester sa religion ou ses convictions ne peut faire l'objet d'autres restrictions que celles qui, prévues par la loi, constituent des mesures nécessaires, dans une société démocratique, à la sécurité publique, à la protection de l'ordre, de la santé ou de la morale publiques, ou à la protection des droits et libertés d'autrui. » 28. Le Gouvernement conteste cette thèse.













A. Sur la recevabilité













29. La Cour constate que les griefs formulés par la requérante ne sont pas manifestement mal fondés au sens de l'article 35 § 3 de la Convention.













Elle relève par ailleurs qu'ils ne se heurtent à aucun autre motif d'irrecevabilité. Il convient donc de les déclarer recevables.













B. Sur le fond













1. Arguments des parties













a) La requérante













30. La requérante a fourni l'historique des dispositions pertinentes. Elle observe que l'exposition du crucifix se fonde, selon les juridictions nationales, sur des dispositions de 1924 et 1928 qui sont considérées comme étant toujours en vigueur, bien qu'antérieures à la Constitution italienne ainsi qu'aux accords de 1984 avec le Saint-Siège et au protocole additionnel à ceux-ci. Or, les dispositions litigieuses ont échappé au contrôle de constitutionnalité, car la Cour constitutionnelle n'aurait pu se prononcer sur leur compatibilité avec les principes fondamentaux de l'ordre juridique italien en raison de leur nature réglementaire.













Les dispositions en cause sont l'héritage d'une conception confessionnelle de l'Etat qui se heurte aujourd'hui au devoir de laïcité de celui-ci et méconnaît les droits protégés par la Convention. Il existe une « question religieuse » en Italie, car, en faisant obligation d'exposer le crucifix dans les salles de classe, l'Etat accorde à la religion catholique une position privilégiée qui se traduirait par une ingérence étatique dans le droit à la liberté de pensée, de conscience et de religion de la requérante et de ses enfants et dans le droit de la requérante d'éduquer ses enfants conformément à ses convictions morales et religieuses, ainsi que par une forme de discrimination à l'égard des non-catholiques.













31. Selon la requérante, le crucifix a en réalité, surtout et avant tout, une connotation religieuse. Le fait que la croix ait d'autres « clés de lecture » n'entraîne pas la perte de sa principale connotation, qui est religieuse.













Privilégier une religion par l'exposition d'un symbole donne le sentiment aux élèves des écoles publiques – et notamment aux enfants de la requérante – que l'Etat adhère à une croyance religieuse déterminée.













Alors que, dans un Etat de droit, nul ne devrait percevoir l'Etat comme étant plus proche d'une confession religieuse que d'une autre, et surtout pas les personnes qui sont plus vulnérables en raison de leur jeune âge.













32. Pour la requérante, cette situation a entre autres pour répercussions une pression indiscutable sur les mineurs et donne le sentiment que l'Etat est loin de ceux qui ne se reconnaissent pas dans cette confession. La notion de laïcité signifie que l'Etat doit être neutre et faire preuve d'équidistance vis-à-vis des religions, car il ne devrait pas être perçu comme étant plus proche de certains citoyens que d'autres.













L'Etat devrait garantir à tous les citoyens la liberté de conscience, en commençant par une instruction publique apte à forger l'autonomie et la liberté de pensée de la personne, dans le respect des droits garantis par la Convention.













33. Quant au point de savoir si un enseignant serait libre d'exposer d'autres symboles religieux dans une salle de classe, la réponse serait négative, vu l'absence de dispositions le permettant.













b) Le Gouvernement













34. Le Gouvernement observe d'emblée que la question soulevée par la présente requête sort du cadre proprement juridique pour empiéter sur le terrain de la philosophie. Il s'agit en effet de déterminer si la présence d'un symbole qui a une origine et une signification religieuses est en soi une circonstance de nature à influer sur les libertés individuelles d'une manière incompatible avec la Convention.













35. Si la croix est certainement un symbole religieux, elle revêt d'autres significations. Elle aurait également une signification éthique, compréhensible et appréciable indépendamment de l'adhésion à la tradition religieuse ou historique car elle évoque des principes pouvant être partagés en dehors de la foi chrétienne (non-violence, égale dignité de tous les être humains, justice et partage, primauté de l'individu sur le groupe et importance de sa liberté de choix, séparation du politique du religieux, amour du prochain allant jusqu'au pardon des ennemis). Certes, les valeurs qui fondent aujourd'hui les sociétés démocratiques ont aussi leur origine immédiate dans la pensée d'auteurs non croyants, voire opposés au christianisme. Cependant, la pensée de ces auteurs serait nourrie de philosophie chrétienne, ne serait-ce qu'en raison de leur éducation et du milieu culturel dans lequel ils ont été formés et ils vivent. En conclusion, les valeurs démocratiques d'aujourd'hui plongeraient leurs racines dans un passé plus lointain, celui du message évangélique. Le message de la croix serait donc un message humaniste, pouvant être lu de manière indépendante de sa dimension religieuse, constitué d'un ensemble de principes et de valeurs formant la base de nos démocraties.













La croix renvoyant à ce message, elle serait parfaitement compatible avec la laïcité et accessible à des non-chrétiens et des non-croyants, qui pourraient l'accepter dans la mesure où elle évoquerait l'origine lointaine de ces principes et de ces valeurs. En conclusion, le symbole de la croix pouvant être perçu comme dépourvu de signification religieuse, son exposition dans un lieu public ne constituerait pas en soi une atteinte aux droits et libertés garantis par la Convention.













36. Selon le Gouvernement, cette conclusion serait confortée par l'analyse de la jurisprudence de la Cour qui exige une ingérence beaucoup plus active que la simple exposition d'un symbole pour constater une atteinte aux droits et libertés. Ainsi, c'est une ingérence active qui a entraîné la violation de l'article 2 du Protocole no 1 dans l'affaire Folgerø (Folgerø et autres c. Norvège, [GC], no 15472/02, CEDH 2007-VIII).













En l'espèce, ce n'est pas la liberté d'adhérer ou non à une religion qui est en jeu, car en Italie cette liberté est pleinement garantie. Il ne s'agit pas non plus de la liberté de pratiquer une religion ou de n'en pratiquer aucune ; le crucifix est en effet exposé dans les salles de classe mais il n'est nullement demandé aux enseignants ou aux élèves de lui adresser le moindre signe de salut, de révérence ou de simple reconnaissance, et encore moins de réciter des prières en classe. En fait, il ne leur est même pas demandé de prêter une quelconque attention au crucifix.













Enfin, la liberté d'éduquer les enfants conformément aux convictions des parents n'est pas en cause : l'enseignement en Italie est totalement laïc et pluraliste, les programmes scolaires ne contiennent aucune allusion à une religion particulière et l'instruction religieuse est facultative.













37. Se référant à l'arrêt Kjeldsen, Busk Madsen et Pedersen, (7 décembre 1976, série A no 23), où la Cour n'a pas constaté de violation, le Gouvernement soutient que, quelle qu'en soit la force évocatrice, une image n'est pas comparable à l'impact d'un comportement actif, quotidien et prolongé dans le temps tel que l'enseignement. En outre, il serait possible de faire éduquer ses enfants à l'école privée ou à la maison par des précepteurs.













38. Les autorités nationales jouissent d'une grande marge d'appréciation pour des questions aussi complexes et délicates, étroitement liées à la culture et à l'histoire. L'exposition d'un symbole religieux dans des lieux publics n'excéderait pas la marge d'appréciation laissée aux Etats.













39. Cela serait d'autant plus vrai qu'en Europe il existe une variété d'attitudes en la matière. A titre d'exemple, en Grèce toutes les cérémonies civiles et militaires prévoient la présence et la participation active d'un ministre du culte orthodoxe ; en outre, le Vendredi Saint, le deuil national serait proclamé et tous les bureaux et commerces seraient fermés, tout comme en Alsace.













40. Selon le Gouvernement, l'exposition de la croix ne met pas en cause la laïcité de l'Etat, principe qui est inscrit dans la Constitution et dans les accords avec le Saint-Siège. Elle ne serait pas non plus le signe d'une préférence pour une religion, puisqu'elle rappellerait une tradition culturelle et des valeurs humanistes partagées par d'autres personnes que les chrétiens. En conclusion, l'exposition de la croix ne méconnaîtrait pas le devoir d'impartialité et de neutralité de l'Etat.













41. Au demeurant, il n'y a pas de consensus européen sur la manière d'interpréter concrètement la notion de laïcité, si bien que les Etats auraient une plus ample marge d'appréciation en la matière. Plus précisément, s'il existe un consensus européen sur le principe de la laïcité de l'Etat, il n'y en aurait pas sur ses implications concrètes et sur sa mise en œuvre. Le Gouvernement demande à la Cour de faire preuve de prudence et retenue et de s'abstenir par conséquent de donner un contenu précis allant jusqu'à interdire la simple exposition de symboles. Sinon, elle donnerait un contenu matériel prédéterminé au principe de laïcité, ce qui irait à l'encontre de la légitime diversité des approches nationales et conduirait à des conséquences imprévisibles.













42. Le Gouvernement ne soutient pas qu'il soit nécessaire, opportun ou souhaitable de maintenir le crucifix dans les salles de classe, mais le choix de l'y maintenir ou non relèverait du politique et répondrait donc à des critères d'opportunité, et non pas de légalité. Dans l'évolution historique du droit interne esquissée par l'intéressée, que le Gouvernement ne conteste pas, il faudrait comprendre que la République italienne, bien que laïque, a décidé librement de garder le crucifix dans les salles de classe pour différents motifs, dont la nécessité de trouver un compromis avec les partis d'inspiration chrétienne représentant une part essentielle de la population et le sentiment religieux de celle-ci.













43. Quant à savoir si un enseignant serait libre d'exposer d'autres symboles religieux dans une salle de classe, aucune disposition ne l'interdirait.













44. En conclusion, le Gouvernement demande à la Cour de rejeter la requête.













c) Le tiers intervenant













45. Le Greek Helsinki Monitor (« le GHM ») conteste les thèses du Gouvernement défendeur.













La croix, et plus encore le crucifix, ne peuvent qu'être perçus comme des symboles religieux. Le GHM conteste aussi l'affirmation selon laquelle il faut voir dans la croix autre chose que le symbole religieux et que la croix est porteuse de valeurs humanistes ; il estime que pareille position est offensante pour l'Eglise. En outre, le Gouvernement italien n'aurait pas même indiqué un seul non-chrétien qui serait d'accord avec cette théorie. Enfin, d'autres religions ne verraient dans la croix qu'un symbole religieux.













46. Si l'on suit l'argument du Gouvernement selon lequel l'exposition du crucifix ne demande ni salut, ni attention, il y aurait lieu de se demander alors pourquoi le crucifix est exposé. L'exposition d'un tel symbole pourrait être perçue comme la vénération institutionnelle de celui-ci.













A cet égard, le GHM observe que, selon les principes directeurs de Tolède sur l'enseignement relatif aux religions et convictions dans les écoles publiques (Conseil d'experts sur la liberté de religion et de conviction de l'organisation pour la Sécurité et la Coopération en Europe (« OSCE »)), la présence d'un tel symbole dans une école publique peut constituer une forme d'enseignement implicite d'une religion, par exemple en donnant l'impression que cette religion particulière est favorisée par rapport à d'autres. Si la Cour, dans l'affaire Folgerø, a affirmé que la participation à des activités religieuses peut avoir une influence sur des enfants, alors, selon le GHM, l'exposition de symboles religieux peut elle aussi en avoir une. Il faut également penser à des situations où les enfants ou leurs parents pourraient avoir peur de représailles s'ils décidaient de protester.













3. Appréciation de la Cour













d) Principes généraux













47. En ce qui concerne l'interprétation de l'article 2 du Protocole no 1, dans l'exercice des fonctions que l'Etat assume dans le domaine de l'éducation et de l'enseignement, la Cour a dégagé dans sa jurisprudence les principes rappelés ci-dessous qui sont pertinents dans la présente affaire (voir, en particulier, Kjeldsen, Busk Madsen et Pedersen c.













Danemark, arrêt du 7 décembre 1976, série A no 23, pp. 24-28, §§ 50-54, Campbell et Cosans c. Royaume-Uni, arrêt du 25 février 1982, série A no 48, pp. 16-18, §§ 36-37, Valsamis c. Grèce, arrêt du 18 décembre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996 VI, pp. 2323-2324, §§ 25-28, et Folgerø et autres c. Norvège [GC], 15472/02, CEDH 2007-VIII, § 84).













(a) Il faut lire les deux phrases de l'article 2 du Protocole no 1 à la lumière non seulement l'une de l'autre, mais aussi, notamment, des articles 8, 9 et 10 de la Convention.













(b) C'est sur le droit fondamental à l'instruction que se greffe le droit des parents au respect de leurs convictions religieuses et philosophiques et la première phrase ne distingue, pas plus que la seconde, entre l'enseignement public et l'enseignement privé. La seconde phrase de l'article 2 du Protocole no 1 vise à sauvegarder la possibilité d'un pluralisme éducatif, essentiel à la préservation de la « société démocratique » telle que la conçoit la Convention. En raison de la puissance de l'Etat moderne, c'est surtout par l'enseignement public que doit se réaliser cet objectif.













(c) Le respect des convictions des parents doit être possible dans le cadre d'une éducation capable d'assurer un environnement scolaire ouvert et favorisant l'inclusion plutôt que l'exclusion, indépendamment de l'origine sociale des élèves, des croyances religieuses ou de l'origine ethnique.













L'école ne devrait pas être le théâtre d'activités missionnaires ou de prêche ; elle devrait être un lieu de rencontre de différentes religions et convictions philosophiques, où les élèves peuvent acquérir des connaissances sur leurs pensées et traditions respectives.













(d) La seconde phrase de l'article 2 du Protocole no 1 implique que l'Etat, en s'acquittant des fonctions assumées par lui en matière d'éducation et d'enseignement, veille à ce que les informations ou connaissances figurant dans les programmes soient diffusées de manière objective, critique et pluraliste. Elle lui interdit de poursuivre un but d'endoctrinement qui puisse être considéré comme ne respectant pas les convictions religieuses et philosophiques des parents. Là se place la limite à ne pas dépasser.













(e) Le respect des convictions religieuses des parents et des croyances des enfants implique le droit de croire en une religion ou de ne croire en aucune religion. La liberté de croire et la liberté de ne pas croire (la liberté négative) sont toutes les deux protégées par l'article 9 de la Convention (voir, sous l'angle de l'article 11, Young, James et Webster c.













Royaume-Uni, 13 août 1981, §§ 52-57, série A no 44).













Le devoir de neutralité et d'impartialité de l'Etat est incompatible avec un quelconque pouvoir d'appréciation de la part de celui-ci quant à la légitimité des convictions religieuses ou des modalités d'expression de celles-ci. Dans le contexte de l'enseignement, la neutralité devrait garantir le pluralisme (Folgero, précité, § 84).













b) Application de ces principes













48. Pour la Cour, ces considérations conduisent à l'obligation pour l'Etat de s'abstenir d'imposer, même indirectement, des croyances, dans les lieux où les personnes sont dépendantes de lui ou encore dans les endroits où elles sont particulièrement vulnérables. La scolarisation des enfants représente un secteur particulièrement sensible car, dans ce cas, le pouvoir contraignant de l'Etat est imposé à des esprits qui manquent encore (selon le niveau de maturité de l'enfant) de la capacité critique permettant de prendre distance par rapport au message découlant d'un choix préférentiel manifesté par l'Etat en matière religieuse.













49. En appliquant les principes ci-dessus à la présente affaire, la Cour doit examiner la question de savoir si l'Etat défendeur, en imposant l'exposition du crucifix dans les salles de classe, a veillé dans l'exercice de ses fonctions d'éducation et d'enseignement à ce que les connaissances soient diffusées de manière objective, critique et pluraliste et a respecté les convictions religieuses et philosophiques des parents, conformément à l'article 2 du Protocole no 1.













50. Pour examiner cette question, la Cour prendra notamment en compte la nature du symbole religieux et son impact sur des élèves d'un jeune âge, en particulier les enfants de la requérante. En effet, dans les pays où la grande majorité de la population adhère à une religion précise, la manifestation des rites et des symboles de cette religion, sans restriction de lieu et de forme, peut constituer une pression sur les élèves qui ne pratiquent pas ladite religion ou sur ceux qui adhèrent à une autre religion (Karaduman c. Turquie, décision de la Commission du 3 mai 1993).













51. Le Gouvernement (paragraphes 34-44 ci-dessus) justifie l'obligation (ou le fait) d'exposer le crucifix en se rapportant au message moral positif de la foi chrétienne, qui transcende les valeurs constitutionnelles laïques, au rôle de la religion dans l'histoire italienne ainsi qu'à l'enracinement de celle-ci dans la tradition du pays. Il attribue au crucifix une signification neutre et laïque en référence à l'histoire et à la tradition italiennes, intimement liées au christianisme. Le Gouvernement soutient que le crucifix est un symbole religieux mais qu'il peut également représenter d'autres valeurs (voir tribunal administratif de Vénétie, no 1110 du 17 mars 2005, § 16, paragraphe 13 ci-dessus).













De l'avis de la Cour, le symbole du crucifix a une pluralité de significations parmi lesquelles la signification religieuse est prédominante.













52. La Cour considère que la présence du crucifix dans les salles de classe va au-delà de l'usage de symboles dans des contextes historiques spécifiques. Elle a d'ailleurs estimé que le caractère traditionnel, dans le sens social et historique, d'un texte utilisé par les parlementaires pour prêter serment ne privait pas le serment de sa nature religieuse (Buscarini et autres c. Saint-Marin [GC], no 24645/94, CEDH 1999 I).













53. La requérante allègue que le symbole heurte ses convictions et viole le droit de ses enfants de ne pas professer la religion catholique. Ses convictions atteignent un degré de sérieux et de cohérence suffisant pour que la présence obligatoire du crucifix puisse être raisonnablement comprise par elle comme étant en conflit avec celles-ci. L'intéressée voit dans l'exposition du crucifix le signe que l'Etat se range du côté de la religion catholique. Telle est la signification officiellement retenue dans l'Eglise catholique, qui attribue au crucifix un message fondamental.













Dès lors, l'appréhension de la requérante n'est pas arbitraire.













54. Les convictions de Mme Lautsi concernent aussi l'impact de l'exposition du crucifix sur ses enfants (paragraphe 32 ci-dessus), âgés à l'époque de onze et treize ans. La Cour reconnaît que, comme il est exposé, il est impossible de ne pas remarquer le crucifix dans les salles de classe. Dans le contexte de l'éducation publique, il est nécessairement perçu comme partie intégrante du milieu scolaire et peut dès lors être considéré comme un « signe extérieur fort » (Dahlab c. Suisse (déc.), no 42393/98, CEDH 2001 V).













55. La présence du crucifix peut aisément être interprétée par des élèves de tous âges comme un signe religieux et ils se sentiront éduqués dans un environnement scolaire marqué par une religion donnée.













Ce qui peut être encourageant pour certains élèves religieux, peut être perturbant émotionnellement pour des élèves d'autres religions ou ceux qui ne professent aucune religion. Ce risque est particulièrement présent chez les élèves appartenant à des minorités religieuses. La liberté négative n'est pas limitée à l'absence de services religieux ou d'enseignement religieux. Elle s'étend aux pratiques et aux symboles exprimant, en particulier ou en général, une croyance, une religion ou l'athéisme. Ce droit négatif mérite une protection particulière si c'est l'Etat qui exprime une croyance et si la personne est placée dans une situation dont elle ne peut se dégager ou seulement en consentant des efforts et un sacrifice disproportionnés.













56. L'exposition d'un ou plusieurs symboles religieux ne peut se justifier ni par la demande d'autres parents qui souhaitent une éducation religieuse conforme à leurs convictions, ni, comme le Gouvernement le soutient, par la nécessité d'un compromis nécessaire avec les partis politiques d'inspiration chrétienne. Le respect des convictions de parents en matière d'éducation doit prendre en compte le respect des convictions des autres parents. L'Etat est tenu à la neutralité confessionnelle dans le cadre de l'éducation publique obligatoire où la présence aux cours est requise sans considération de religion et qui doit chercher à inculquer aux élèves une pensée critique.













La Cour ne voit pas comment l'exposition, dans des salles de classe des écoles publiques, d'un symbole qu'il est raisonnable d'associer au catholicisme (la religion majoritaire en Italie) pourrait servir le pluralisme éducatif qui est essentiel à la préservation d'une « société démocratique » telle que la conçoit la Convention, pluralisme qui a été reconnu par la Cour constitutionnelle en droit interne (voir paragraphe 24).













57. La Cour estime que l'exposition obligatoire d'un symbole d'une confession donnée dans l'exercice de la fonction publique relativement à des situations spécifiques relevant du contrôle gouvernemental, en particulier dans les salles de classe, restreint le droit des parents d'éduquer leurs enfants selon leurs convictions ainsi que le droit des enfants scolarisés de croire ou de ne pas croire. La Cour considère que cette mesure emporte violation de ces droits car les restrictions sont incompatibles avec le devoir incombant à l'Etat de respecter la neutralité dans l'exercice de la fonction publique, en particulier dans le domaine de l'éducation.













58. Partant, il y a eu violation de l'article 2 du Protocole no 1 conjointement avec l'article 9 de la Convention.













II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L'ARTICLE 14 DE LA CONVENTION 59. La requérante soutient que l'ingérence qu'elle a dénoncée sous l'angle de l'article 9 de la Convention et de l'article 2 du Protocole no 1 méconnaît également le principe de non-discrimination, consacré par l'article 14 de la Convention.













60. Le Gouvernement combat cette thèse.













61. La Cour constate que ce grief n'est pas manifestement mal fondé au sens de l'article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs qu'il ne se heurte à aucun autre motif d'irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.













62. Toutefois, eu égard aux circonstances de la présente affaire et au raisonnement qui l'a conduite à constater une violation de l'article 2 du Protocole no 1 combiné avec l'article 9 de la Convention (paragraphe 58 ci-dessus), la Cour estime qu'il n'y a pas lieu d'examiner l'affaire de surcroît sous l'angle de l'article 14, pris isolément ou combiné avec les dispositions ci-dessus.













III. SUR L'APPLICATION DE L'ARTICLE 41 DE LA CONVENTION 63. Aux termes de l'article 41 de la Convention, « Si la Cour déclare qu'il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d'effacer qu'imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s'il y a lieu, une satisfaction équitable. » A. Dommage 64. La requérante sollicite le versement d'une somme d'au moins 10 000 EUR pour préjudice moral.













65. Le Gouvernement estime qu'un constat de violation serait suffisant.













Subsidiairement, il considère que la somme réclamée est excessive et non étayée et en demande le rejet ou la réduction en équité.













66. Etant donné que le Gouvernement n'a pas déclaré être prêt à revoir les dispositions régissant la présence du crucifix dans les salles de classe, la Cour estime qu'à la différence de ce qui fut le cas dans l'affaire Folgerø et autres (arrêt précité, § 109), le constat de violation ne saurait suffire en l'espèce. En conséquence, statuant en équité, elle accorde 5 000 EUR au titre du préjudice moral.













B. Frais et dépens













67. La requérante demande 5 000 EUR pour les frais et dépens engagés dans la procédure à Strasbourg.













68. Le Gouvernement observe que la requérante n'a pas étayé sa demande, et suggère le rejet de celle-ci.













69. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En l'espèce, la requérante n'a produit aucune pièce justificative à l'appui de sa demande de remboursement. La Cour décide par conséquent de rejeter celle-ci.













C. Intérêts moratoires













70. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d'intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.













PAR CES MOTIFS, LA COUR À L'UNANIMITÉ,













1. Déclare la requête recevable ;





















2. Dit qu'il y a eu violation de l'article 2 du Protocole no 1 examiné conjointement avec l'article 9 de la Convention ;





















3. Dit qu'il n'y a pas lieu d'examiner le grief tiré de l'article 14 pris isolément ou combiné avec l'article 9 de la Convention et l'article 2 du Protocole no 1 ;





















4. Dit













a) que l'Etat défendeur doit verser à la requérante, dans les trois mois à compter du jour où l'arrêt sera devenu définitif conformément à l'article 44 § 2 de la Convention, 5 000 EUR (cinq mille euros), pour dommage moral, plus tout montant pouvant être dû à titre d'impôt ;













b) qu'à compter de l'expiration dudit délai et jusqu'au versement, ce montant sera à majorer d'un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;





















5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.













Fait en français, puis communiqué par écrit le 3 novembre 2009, en application de l'article 77 §§ 2 et 3 du règlement.













Sally Dollé Françoise Tulkens













Greffière Présidente

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