Contratto di lavoro a termine: quale futuro all'insegna di una deregulation "selvaggia"?
G. Rossi
(Approfondimento 16/1/2009)
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Contratti a termine e situazione italiana. - 3. La Direttiva Comunitaria n. 1999/70. - 4. Decreto Legislativo n. 368/2001: una scelta "criticabile"?
1. Introduzione
Come è noto, il decreto legislativo n. 368 del 2001 ha introdotto una disciplina di lavoro a termine che ha innovato in maniera rilevante quella previgente, contenuta principalmente nella L. 230/1962, di cui si è prevista contestualmente l'abrogazione. Successivamente, incisivi interventi di modifica sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, sono stati attuati dalla L. 247/2007, che nel recepire l'Accordo sul Welfare del 23 luglio 2007, ha novellato in vari punti la disciplina in materia recata dal D.Lgs. n. 368/2001. Tra gli interventi peggiorativi per i lavoratori introdotti dal governo di centro destra con la L. 6 agosto 2008 n. 133, di conversione del DL 112/2008 in materia lavoristica, le modifiche delle norme sul contratto di lavoro a tempo determinato, rappresentano un importante tassello, poiché l'obiettivo di questo governo è "deregolamentare" il lavoro, muovendosi su quattro direttrici:1.: stravolgere le misure della L. 247/2007 sulle tipologie di impiego;2.: intervenire sull' orario di lavoro, sugli appalti e sul sistema solidaristico della tutela della malattia;3.: stravolgere gli strumenti di registrazione e di controllo dei rapporti di lavoro in maniera tale da impedire i controlli ispettivi;4.: "segmentare" gli interessi salariali dei lavoratori con le misure relative alla detassazione degli straordinari e dei premi di produzione.Le modifiche di questa strategia governativa mirano così a frantumare ed a dividere il mondo del lavoro sia pubblico che privato, attraverso la cancellazione dei risultati finora raggiunti dal movimento sindacale con l' Accordo sul Welfare, in versione riveduta e corretta, di norme che fanno "arretrare" i diritti e le tutele dei lavoratori (1).
2. Contratti a termine e situazione italiana
Allo stato dell'arte, il ruolo del contratto di lavoro a tempo determinato non è ancora del tutto chiaro: in letteratura vi è un certo accordo che fa leva sul fatto che questa tipologia contrattuale equivalga ad una tipologia dei costi di assunzione/licenziamento e che proprio per questo motivo il loro impatto sulla disoccupazione rimanga incerto, aumentando cioè la disoccupazione a breve periodo, a fronte di una possibile riduzione di una disoccupazione a lungo periodo (2). La quota di assunzioni di lavoro a termine nel nostro Paese, sul totale degli occupatisi aggira intorno ad una percentuale del 7,5%, con condizioni restrittive e con un solo possibile rinnovo, con una lunghezza cumulativa al massimo di 15 mesi (3).Nonostante il livello di regolazione del mercato del lavoro italiano sia cresciuto e mutato nel corso degli ultimi anni - ed in particolare, nel corso degli anni Novanta -, la sua natura non sarebbe stata compromessa dalla deregolamentazione parziale e mirata del mercato del lavoro. La flessibilizzazione delle condizioni di impiego dei nuovi entrati, si sostiene, non avrebbe affatto abolito il divario insider/outsiders, ma casomai, lo avrebbe appesantito, segmentando la forza lavoro tra "garantiti" e "non garantiti", aggiungendo così un ulteriore fattore di segmenatazione ai già non pochi fattori di segmentazione all'interno del mercato italiano del lavoro. Ciononostante, l'aspettativa nei confronti dei contratti di lavoro a termine, così come di tutte le nuove forme contrattuali "atipiche" ed "a garanzie limitate", è che essi possano non solo flessibilizzare gli accessi al mercato del lavoro dei giovani in cerca di primo impiego, ma soprattutto, velocizzarli, riducendo sensibilmente i tempi di attesa e, dunque, la disoccupazione da inserimento.
3. La Direttiva Comunitaria n. 1999/70
Se è fondata l'impressione che, almeno nel nostro Paese, la Direttiva 1999/70 CE sia stata poco più che uno spunto per procedere a livello nazionale ad una ridefinizione complessiva della materia, deve ora essere valutato con particolare attenzione il profilo del presunto contrasto del d. lgs. n. 368 del 2001 con i contenuti della direttiva e, segnatamente, la questione relativa alla prospettata violazione da parte del legislatore italiano della clausola di non regresso di cui all'art. 8, paragrafo 3 dell' accordo quadro del 18 marzo 1999. E' doveroso spendere poche parole, soffermandoci sul primo profilo (quello, cioè, della violazione diretta della direttiva comunitaria). Alle osservazioni di quanti hanno sostenuto la violazione del principio che vuole il lavoro a termine alla stregua di una eccezione rispetto al lavoro a tempo indeterminato (4), è stato infatti già replicato che tale principio non solo non è esplicitamente menzionato nella parte più direttamente precettiva dell' accordo, ma che non è neppure dato rinvenire alcuna disposizione volta a darne specifica attuazione. Tanto è vero che sia dalla lettera sia dalla ratio dell' accordo non è dato desumere, neppure indirettamente, alcun limite di tipo oggettivo - né tantomeno soggettivo - alla stipulazione del primo contratto a termine (5). Indubbiamente più delicato è senz' altro il secondo profilo (quello cioè relativo alla presunta violazione della clausola di non regresso contenuta nell' accordo-quadro). Secondo un accreditato orientamento, infatti, attraverso l'inserzione di detta clausola le parti sociali a livello comunitario avrebbero voluto "impedire che ordinamenti nazionale informati, come il nostro, a norma di tutela più rigide di quelle comunitarie, possano trarre spunto da queste ultime per deregolamentare l'istituto" (6). Sulla scorta di questa premessa, l'attenzione degli osservatori, si è subito incentrata sulla reale portata innovativa del d.lgs. n. 368, nel suo complesso, rispetto alla disciplina previgente al fine di valutare l'eventuale abbassamento dei livelli di tutela garantiti dall' ordinamento a favore del lavoratore temporaneo. Si è in particolare sostenuto, in questa prospettiva, che eliminando il requisito, sinora imprescindibile, rappresentato dalla sussistenza di una causale legata ad un' occasione temporanea di lavoro, individuata dalla legge e/o dai contratti collettivi, si sarebbe dato luogo ad un grave arretramento rispetto ai livelli di tutela preesistenti, e questo anche laddove venissero accolte quelle letture restrittive della lettera del d.lgs. n. 368, volte nella sostanza a riconfermare la subalternatività della fattispecie del lavoro a tempo determinato. Sa bene, chi scrive, che a sostegno della tesi della legittimità del decreto legislativo summenzionato, un peso decisivo deve essere allora assegnato alla particolare tecnica di recezione della direttiva comunitaria.
4. Decreto Legislativo n. 368/2001: una scelta "criticabile"?Il decreto legislativo n. 368, nelle sue molteplici previsioni, pone svariati problemi applicativi ed in questa sede è opportuno fermarsi, seppur bervemente, sui più importanti di essi, che hanno generato- e generano tuttora- le questioni più spinose, al solo scopo di poter cogliere il significato essenziale della novella e di poter stabilire se la stessa ha rispettato o meno l'equilibrio preesistente tra le esigenze di flessibilità delle imprese e le esigenze di stabilità dei lavoratori e la clausola di salvaguardia presente nell' accordo europeo. Il primo problema applicativo riguarda il significato della clausola generale, che ha dato adito a numerosissime pronunce giurisprudenziali sia di merito che di legittimità. Bisogna, a questo proposito, vedere cosa significa esattamente la clausola generale delle "ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo" (7). In proposito si è rilevato che i giudici saranno sicuramente propensi a far rientrare nella clausola generale le ipotesi un tempo previste dalla legislazione e dalla contrattazione collettiva. Bene. Ciò è esatto. Ma non porta ancora, tuttavia, alla risoluzione del problema. Si è anche sostenuto che vi è stato un "ritorno alle origini", e cioè alla clausola generale della "specialità del rapporto" di cui all'art. 2097 c. c., implicante una generica prescrizione di ragionevolezza. E' chiaro che quando si richiede, per la legittimità dell' assunzione a tempo determinato, che sin dalla stipula del contratto si debba sapere e prevedere che la scadenza del termine coinciderà appieno con il venir meno dell'oggettiva possibilità di utilizzare ulteriormente le prestazioni di lavoro, si finisce per esigere il carattere delimitato nel tempo delle ragioni per le quali si procede all'assunzione a termine. Un secondo problema applicativo riguarda le (eventuali) conseguenze da trarsi in caso di stipula di un contratto a termine al di fuori delle condizioni stabilite dall'art. 1, co. 1, o oltre i limiti quantitativi. Sul punto si registra una diversità di opinioni, tuttavia una pars auctorevolis doctrinae (8) mediante la propria corrente di pensiero, approfonodisce il punto e chiarisce che l'argomento decisivo per la soluzione a tale problema è un argomento con ragionamento a fortiori: se, infatti, in base al decreto n. 368 deve considerarsi a tempo indeterminato il contratto a termine la cui durata si protragga al di là di quella concordata dalle parti e brevemente allungata dal legislatore, per forza di cose la stessa conseguenza deve essere applicata al caso in cui il termine non poteva alla radice essere apposto. In concluisione, il decreto oggetto della presente analisi, consente assunzioni a termine non ancorate ad occasioni sole e temporanee di lavoro e senza limiti quantitativi in ipotesi che sembrano ragionevolmente non eccessive numericamente e comunque giustificate da un punto di vista delle esigenze sociali e di impresa.Una ulteriore precisazione. L' assunzione a termine non sarà, come prima, possibile solo in casi eccezionali, poichè si sente l'esigenza di richiamare l' attenzione su una ulteriore novità. Fate attenzione al fatto che, tutti i rapporti di lavoro che a far data del 1 aprile 2009, durano da più di tre anni (anche se i 3 anni sono la somma di distinti rapporti a termine aventi una durata inferiore), gli stessi saranno automaticamente da intendersi a tempo indeterminato.
A questo punto è naturale interrogarsi sulla vera natura del contratto di lavoro a termine, sulla reale portata del Decreto n. 368 e doveroso chiedersi quali saranno le sorti del suo futuro... (*)
Dott.ssa Gianna Rossi
_______(1) Le norme rivisitate in peius in materia lavoristica si combinano con gli altri provvedimenti sulla scuola di cui al DL 137, sull' università, sulla ricerca, sulla sanità, sul pubblico impiego, e sulla sicurezza che nel loro complesso prefigurano una ben precisa idea di società fondata sull'esclusione e sulla privatizzazione dei servizi pubblici.(2) Tale tesi è stata coniata dal chiarissimo giuslavorista Prof. Marco Biagi.(3) Facendo una comparazione con altri Paesi, al primo posto si colloca la Spagna, con una percentuale dei contratti a termine pari al 33% degli occupati, con 5 possibili rinnovi e con una lunghezza cumulativa pari a 36 mesi; seguono poi la Finlandia e la Danimarca e il Portogallo.(4) Sostenitori di tale tesi sono gli Autori: V. ANGIOLINI;U. CARABELLI;L. MENGHINI;M. ROCCELLA.(5) L' accordo si limita, infatti, a definire il lavoratore a tempo determinato come "una persona con un contratto o con un rapporto di lavoro (....) il cui termine è determinato da condizioni oggettive".Ma questo non significa affatto che debbano esistere ragioni oggettive per l'apposizione del termine; ciò che invece deve risultare da elementi oggettivi, è, più semplicemente, il termine finale del contratto, che deve essere chiaramente desumibile dal raggiungimento di una certa data, dal completamento di un compito specifico ovvero dal verificarsi di uno specifico evento.Per l'approfondimento di tale tematica, si consigliano le seguenti chiarissime trattazioni:- M. BIAGI (a cura di), Il nuovo lavoro a termine. Commentario al d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, Milano, 2002;- A. PRETEROTI, Il nuovo contratto a termine, pt.: I^, II^, in www.accademiagiovaniprofessionisti.it; Contratto di lavoro a termine, in Diritto e processo del lavoro, di ( a cura) G. SANTORO PASSARELLI, Ipsoa, 2006;- A. VALLEBONA - C. PISANI, Il nuovo lavoro a termine, Padova, 2004.(6) Cfr., tra tanti: L. GALANTINO, Diritto comunitario del lavoro, Bari, 2003, 224;M. BIAGI, L' accordo-quadro a livello comunitario sul lavoro a termine, in GL, 1999, n. 20, 17ss.;S. MARETTI, L'accordo europeo sul lavoro a tempo determinato, in LG, 1999, 1015 ss.. (7) Utili a questo scopo saranno all'arguto lettore le trattazioni in materia di A. PRETEROTI, op. cit..(8) Tesi autorevolmente sostenuta dai seguenti Autori: M. BIAGI; U. SCARPELLI; G. SANTORO PASSARELLI; F. POCAR; P. ICHINO; A. VALLEBONA; L. MENGHINI; C. PISANI; M. D' ANTONA; T. TREU; F. CARINCI.L' Autore A. PRETEROTI si associa a tale tesi, condividendola pienamente.Contra: S. CENTOFANTI; M. FERRARO; I. PIZZOFERRATO.(*)
Il presente lavoro è interamente dedicato al Mio grande Maestro: l' Avv. Antonio Preteroti, che continua con classe e maestrìa a trasmettermi l' amore e la passione per lo studio del Diritto del Lavoro.