mercoledì 28 gennaio 2009

Il C.T.D.


Contratti a termine: proroghe eccezionali (Cass. civ., Sez. lavoro, n. 29258/2008)
G. Di Rago

La proroga del contratto a termine deve intendersi come circostanza di carattere eccezionale e, di conseguenza, i motivi che, a mente art. 2 della legge n. 230/62, giustificano la continuazione del rapporto di lavoro a termine anche oltre la scadenza contrattuale, devono consistere in fatti diversi da quelli che hanno giustificato l'originaria apposizione del termine e devono rivestire i caratteri della contingenza e dell'imprevedibilità, da valutarsi sulla base della diligenza media osservabile dall'imprenditore. Con la sentenza n. 29258, pubblicata lo scorso 12 dicembre 2008 e leggibile integralmente di seguito, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha quindi nuovamente chiarito i presupposti che rendono legittima la proroga del contratto a termine.
La fattispecieNel caso in questione il dipendente di una piccola impresa aveva presentato ricorso al Tribunale del lavoro sostenendo di avere lavorato alle dipendenze della stessa in qualità di operaio con mansioni di manutentore e addetto alla produzione per poco più di due anni e, successivamente a tale rapporto, di essere stato per un breve periodo alle dipendenze di un'altra azienda, salvo aver ripreso a lavorare per la medesima società alcuni mesi dopo con mansioni identiche a quelle svolte in precedenza. Il ricorrente aveva quindi dedotto che il termine apposto sin dall'inizio al proprio contratto di lavoro era da considerarsi illegittimo, con conseguente trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a indeterminato. Pur essendosi costituita in giudizio la società resistente, che aveva impugnato integralmente il ricorso avversario chiedendone il rigetto, il Tribunale adito aveva dichiarato la nullità della pattuizione del termine apposto al contratto di lavoro e l'avvenuta costituzione fra le parti di un rapporto a tempo indeterminato, con condanna dell'azienda al pagamento dell'ordinaria retribuzione fino all'effettiva riammissione in servizio del dipendente, oltre alle spese di lite. Confermata quasi integralmente la sentenza in appello, alla società resistente non era restato altro che impugnare la decisione di secondo grado presso la Suprema Corte.
La decisione dei giudici di legittimità
Anche la Sezione lavoro della Cassazione ha però respinto le argomentazioni addotte dalla società resistente a sostegno della legittimità del termine apposto al contratto di lavoro. In particolare, il datore di lavoro aveva sottolineato come la proroga della scadenza negoziale fosse stata giustificata da fatti sopravvenuti e imprevedibili, per di più risultanti dall'istruttoria condotta in primo grado. Il dipendente, infatti, secondo quanto riferito dalla società resistente, aveva dovuto essere nuovamente impiegato presso l'azienda per garantire il funzionamento di alcune macchine alle quali lo stesso era stato addetto fin dall'inizio e che avrebbero dovuto essere vendute prima della scadenza del suo contratto di lavoro, salvo poi rimanere di proprietà del datore di lavoro a causa della mancata conclusione dell'accordo con la società terza.A questo proposito la Suprema Corte ha opportunamente chiarito che le speciali circostanze che, in base a quanto previsto dall'art. 2 della legge n. 230/62, sono idonee a legittimare la proroga del contratto di lavoro a tempo determinato, devono essere necessariamente diverse da quelle che hanno giustificato l'originaria apposizione del termine e devono rivestire i caratteri della contingenza e dell'imprevedibilità. Con riferimento a quest'ultimo requisito i giudici di legittimità hanno anche ricordato come debba ritenersi prevedibile qualsiasi situazione di cui l'imprenditore possa, anche in via di mera probabilità, rappresentarsi l'ulteriore decorso causale secondo l'id quod plerumque accidit.Quanto al profilo risarcitorio, la Cassazione ha chiarito che in casi del genere, contrariamente a quanto eccepito dalla società resistente, non può essere fatta applicazione di quanto previsto dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori circa la reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente licenziato. Infatti, in caso di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, a prescindere dalle dimensioni dell'azienda, occorre fare applicazione del principio indicato più volte dalla Suprema Corte e secondo il quale il diritto del lavoratore a essere riammesso in servizio non configura una richiesta di reintegrazione per illegittimo licenziamento ma di adempimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in considerazione della nullità della clausola contrattuale.La Suprema Corte ha quindi operato una serie di interessanti considerazioni in merito all'impugnazione delle sentenze per vizio di motivazione, sottolineando come detto vizio non possa diventare un mezzo per aggirare il divieto per il giudice di legittimità di sindacare la valutazione delle risultanze probatorie operata dai giudici di merito. A questo proposito la Sezione lavoro della Cassazione ha evidenziato come qualora venga dedotta l'incongruità o l'illogicità della motivazione della sentenza impugnata il ricorrente abbia il preciso obbligo di indicare le parti dell'istruttoria che non sarebbero state valutate o sarebbero state insufficientemente valutate dall'organo giudicante, mediante integrale trascrizione delle medesime nel ricorso, poiché solo tale specificazione consente al giudice di legittimità, al quale è precluso l'esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisività delle risultanze stesse.
Avv. Gianfranco Di Rago
www.studiolegaledirago.it

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