giovedì 15 gennaio 2015

UTILITA': COME CONTESTARE LE BOLLETTE DI LUCE E GAS (in www.giuffré.it) NEW



Come contestare le bollette di luce e gas




di Paola Vitaletti
Il processo di liberalizzazione del servizio di fornitura per gli utenti privati del gas metano, prima, e dell’energia poi, avviato in attuazione delle direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2003/55/CE e n. 2003/54/CE, in linea generale ha prodotto una serie di vantaggi. La questione se ciò si sia anche tradotto in concreti benefici a favore dei consumatori però è ancora aperta. Ancora alto il grido di allarme delle associazioni dei consumatori che lamentano in moltissimi casi addirittura l’aumento dei costi a carico degli utenti, alle prese con offerte non agevoli da valutare.

Attualmente le citate direttive sono state abrogate dal D.Lgs. 01/06/2011 n. 93 (di attuazione delle Direttive 2009/72/CE e 2009/72/CE inerenti norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, del gas naturale e la procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale id gas e di energia elettrica) il cui art. 22 disciplina gli obblighi relativi al servizio pubblico e la tutela dei c.d. clienti vulnerabili.

Certamente ancora lunga è la strada da percorrere nel senso della semplificazione della gestione del rapporto contrattuale con i fornitori, della trasparenza nei sistemi di calcolo dei consumi, delle tariffe e dell’elaborazione delle fatture, spesso di difficile lettura, che complicano la verifica della correttezza dei dati ivi riportati.

Parimenti può non risultare agevole districarsi tra le diverse procedure per contestare le fatture senza rivolgersi all’autorità giudiziaria. Nel concreto infatti il percorso da intraprendere in tal caso è tutt’altro che in discesa. Spesso l’esiguità degli importi erroneamente computati nelle fatture al cospetto della complessità del procedimento di contestazione, scoraggia l’utente sul quale torna a gravare l’onere di essere parte debole contrattualmente. Diversi sono comunque gli strumenti normativi ed informativi a
disposizione dei consumatori, cui questi possono accedere per acquisire maggiore consapevolezza nella scelta del fornitore di luce e gas che meglio risponde alle esigenze dell’utente. Un utile strumento per comprendere come "interpretare" le voci di spesa e servizi riportati nelle fatture, per esempio, è rappresentato dal Glossario pubblicato sul sito dell’Autorità per l’energia, per il gas ed il sistema idrico (http://www.autorita.energia.it/it/glossario/indice-termini.htm). Sul sito dell’Autorità dell’energia e del gas è anche pubblicata la Carta Verde dei consumatori di energia, redatta dalla Commissione Europea, dove sono elencati in modo semplice e chiaro i principali diritti fondamentali dei consumatori, che ha lo scopo di "tutelare attivamente gli interessi dei consumatori perché possano sfruttare appieno i vantaggi dell’apertura dei mercati energetici".

Cerchiamo dunque di fare luce sul percorso da seguire per far valere i propri diritti, senza aggravio di costi o a costi contenuti, nonostante le carenze del sistema rilevate dalla stessa Autorità dell’energia del gas e del sistema idrico ed a cui la stessa Autorità sta cercando di ovviare (cfr. documento di consultazione del 30/10/14 n. 528/2014/A, ove nel determinare le linee strategiche dell’Autorità per il periodo 2015-2018 determina gli obiettivi in tema di riorganizzazione e sviluppo degli strumenti di assistenza ai clienti finali, di accountability, trasparenza ed efficienza dell’azione volta al miglioramento delle procedure di reclamo (1)), tenuto conto delle nuove disposizioni a tutela dei consumatori introdotte dal D.Lgs. 21/02/2014 n. 21, di attuazione della Direttiva 2011/83/UE (G.U. 11/03/2014 n. 58). Modifiche che hanno determinato un aggiornamento del Codice del Consumo (in particolare artt. 45-67), rafforzato le tutele dei consumatori nella fase precontrattuale imponendo maggiori informazioni alle imprese, principalmente, nel caso dei contratti a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali; esteso il diritto di ripensamento entro 14 giorni e non più 10 e, in mancanza di informativa sul ripensamento, la facoltà di recedere



fino a 12 mesi dalla conclusione del contratto o consegna del bene; divieto di aumento dei costi in caso di pagamento con bancomat o carte di credito.
I soggetti cui è affidato il controllo del sistema, ancora "in bilico" tra libero mercato e mercato regolato: Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico - Acquirente Unico S.p.A.
L'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico è un organismo indipendente, istituito nel 1995 (Legge n. 481/1995), cui sono state attribuite competenze anche in materia di servizi idrici nel 2011 (DL. N. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011), che ha il compito di "garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza" nei settori dell'energia elettrica e del gas, nonché assicurare "la fruibilità e la diffusione [dei servizi] in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori, ...". L'Autorità svolge inoltre una funzione consultiva nei confronti di Parlamento e Governo ai quali può formulare segnalazioni e proposte; presenta una Relazione Annuale sullo stato dei servizi e sull'attività svolta (cfr. http://www.autorita.energia.it/it/che_cosa/presentazione.htm). Altri compiti svolti, di diretto interesse per i consumatori, sono: assicurare la pubblicità e la trasparenza delle condizioni di servizio; aggiornare trimestralmente le condizioni economiche di riferimento per i clienti che non hanno scelto il mercato libero.

Acquirente Unico S.p.A. è una società pubblica (2) che opera in base delle direttive del Ministero dello Sviluppo Economico e delle delibere dell'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas. Svolge per legge una serie di attività correlate alle azioni a difesa dei consumatori, tra le quali: acquistare dell’elettricità per le famiglie e le piccole-medie imprese rimaste nell’ambito del mercato tutelato (c.d. Sistema Unico di Acquisto); favorire il processo di

liberalizzazione del mercato elettrico e del gas; gestire lo Sportello del Consumatore di Energia per conto dell'Authority.



Le norme a tutela dei "clienti vulnerabili" alle prese con la scelta del fornitore di energia elettrica e gas naturale e la non agevole gestione del rapporto
Sono considerati "clienti vulnerabili (art. 22 D.Lgs. 93/2011): i clienti domestici, le utenze relative ad attività di servizio pubblico (ospedali, case di cura e di riposo, carceri, scuole, e altre strutture pubbliche e private che svolgono un'attività riconosciuta di assistenza), nonché i clienti civili e non civili con consumo non superiore a 50.000 metri cubi annui.

In favore di tale categoria di consumatori la legge impone una serie di obblighi a carico dell’Autorità per l’energia e il gas. L’art. 22, co. 4, D.Lgs. 93/2011, stabilisce inoltre che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas provveda affinché:

a) il cliente che intende cambiare fornitore, nel rispetto delle condizioni contrattuali, possa ottenere il cambiamento entro tre settimane assicurando comunque che l'inizio della fornitura coincida con il primo giorno del mese;

b) i clienti ricevano i dati di consumo, obbligando le società di distribuzione a rendere disponibili i dati di consumo dei clienti alle società di vendita, garantendo la qualità e la tempestività dell'informazione fornita;

c) qualora un cliente finale connesso alla rete di distribuzione si trovi senza un fornitore di gas naturale e non sussistano i requisiti per l'attivazione del fornitore di ultima istanza, l'impresa di distribuzione territorialmente competente intervenga come previsto dalla legge, garantendogli una adeguata remunerazione dell'attività svolta e la copertura dei costi sostenuti.

L'Autorità per l'energia elettrica e il gas, avvalendosi della società Acquirente unico SpA (art. 27, co. 2, L. 23/07/2009 n. 99), gestisce inoltre gli Sportelli Unici che hanno il

compito di mettere a disposizione dei clienti tutte le informazioni concernenti i loro diritti, la normativa in vigore e le modalità di risoluzione delle controversie di cui dispongono.
Gli strumenti per contestare le "bollette che non tornano" senza ricorrere al giudice.
Tra i diritti tutelati dalla Carta europea dei consumatori di energia vi è quello di poter contare su sistemi semplici e poco costosi in caso di controversia, il cui valore nella generalità dei casi è di importo contenuto. A prescindere dall’oggetto specifico della contestazione, la procedura da seguire da parte dei consumatori di elettricità e gas per uso domestico può così sintetizzarsi:
1) primo passo la contestazione al fornitore: il consumatore che ritiene errata la fattura deve in primo luogo presentare un reclamo al proprio fornitore, indicando l’errore che ha rilevato ovvero l’anomalia rispetto alla quale chiede spiegazioni. Ciò è possibile via e-mail ovvero on line, agli appositi indirizzi o form disponibili sui siti internet del fornitore. In alternativa, si può richiedere telefonicamente l’apertura di una procedura di reclamo mediante l’apposito numero verde messo a disposizione dei fornitori per i propri clienti; laddove tale reclamo rimanesse inevaso meglio inviarne uno scritto o comunque tracciabile. In molti casi il fornitore riporta nella fattura l’indirizzo di casella postale cui poter inviare la contestazione a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno.



In ogni caso, se non si riceve alcuna risposta da parte del fornitore oppure si ritiene che la risposta fornita è insoddisfacente, il consumatore ha due strade: la via giudiziaria ricorrendo al Giudice di Pace competente in base alla residenza del consumatore (se il valore della contestazione non è superiore ad € 5.000,00); oppure attivare uno degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie (noti con l’acronimo, dalla definizione inglese, ADR-Alternative Dispute Resolution), che per tali tipologie di

controversie è volontaria (dunque non è condizione di procedibilità per l’azione giudiziaria).
2) Gli strumenti di composizione della controversia, alternativi a quello giudiziario, che è possibile attivare in caso di contestazioni inerenti rapporti di fornitura o vendita di energia o gas sono:

a) servizio conciliazione clienti energia dell’Autorità: è un servizio gratuito, che può essere attivato, personalmente o tramite un delegato, non prima di cinquanta giorni dall’invio del reclamo al fornitore/venditore di luce o gas ma non oltre sei mesi dalla data in cui si riceve la risposta al reclamo, o entro un anno se non si riceve alcuna risposta. Possono ricorre a tale servizio:

per il settore elettrico: tutti i clienti domestici e clienti non domestici se connessi in bassa tensione (BT) aventi meno di 50 dipendenti e fatturato annuo o totale di bilancio non superiore a 10 milioni di euro;

per il settore gas: tutti i clienti domestici; il condominio uso domestico con consumi non superiori a 200.000 metri cubi annui; i clienti non domestici con consumi non superiori a 50.000 metri cubi annui.



Non è possibile presentare domanda di conciliazione quando, per la stessa controversia, si è già fatto ricorso all'autorità giudiziaria, oppure sia stata avviata o svolta un’altra procedura di risoluzione alternativa della controversia, oppure un’altra procedura di conciliazione clienti energia dell’Autorità. La domanda di avvio si presenta compilando l’apposito form (modello) presente sul sito dell’Autorità e si svolge completamente on line. Gli incontri tra le parti ed il conciliatore avvengono in chat-room o in video-conferenza; se ciò non è possibile attraverso l'utilizzo del telefono (c.d. call conference, da fisso o cellulare). La procedura prevede il coinvolgimento del cliente con il venditore e/o il distributore di energia ed il conciliatore in veste di facilitatore dell'accordo. Il conciliatore, esperto in materia di mediazione e conoscitore del funzionamento del settore, non decide

la controversia, non interviene per giudicare ma per aiutare le parti a raggiungere un accordo per risolvere la problematica portata in conciliazione. Se le parti lo richiedono concordemente, il conciliatore può anche formulare una proposta di soluzione che le parti sono libere di accettare o rifiutare. Se le parti trovano una soluzione per la controversia, sottoscrivono un verbale di accordo che ha valore di transazione (contratto di transazione). Se l’accordo non si raggiunge la procedura si chiude e viene archiviata. Il consumatore, fatta salva l’eventuale prescrizione, può ancora ricorrere all’autorità giudiziaria. La procedura deve concludersi in 90 giorni.
b) procedura di conciliazione paritetica: diverse aziende del settore su invito dell’Autorità dell’energia e del gas hanno aderito a protocolli di intesa stilati con diverse associazioni dei consumatori per mettere a disposizione dei propri clienti procedure di conciliazioni paritetiche volte ad attuare "un tentativo di fare incontrare le parti per aiutarle a trovare una soluzione basata sul consenso" (in conformità alle Raccomandazioni della Comunità Europea, in particolare n. 2001/310/CE). In tal caso, lo svolgimento della procedura è indicato nell’apposito Regolamento che ciascuna azienda deve portare a conoscenza dell’utenza. Il Regolamento deve ispirarsi ai principi di semplicità di accesso e di svolgimento, riservatezza dei dati e delle questioni trattate, gratuità, riconoscimento di idoneo indennizzo per i disservizi oggetto della controversia. Possono farvi ricorso i medesimi soggetti abilitati ad avviare il "servizio di conciliazione clienti energia dell’Autorità". Si caratterizza per essere una procedura gestita dalla stessa azienda contro cui si agisce, la quale organizza l’Ufficio di conciliazione che se ne occupa. In luogo del conciliatore unico, in tali casi, vi sono almeno due soggetti che svolgono tale funzione (Commissione di conciliazione) da scegliere nell’ambito dei soggetti abilitati iscritti nell’elenco all’uopo predisposto dall’Ufficio di conciliazione dell’azienda, di cui uno è indicato dalla stessa azienda e l’altro dall’Associazione che assiste l’utente che ha avviato la procedura. L’Associazione dei consumatori è indicata dal cliente, tra quelle firmatarie



del Protocollo, o individuata dall’azienda se l’utente non ha espresso una preferenza. La procedura, anche in tal caso può essere avviata trascorsi 40 giorni dall’invio del reclamo all’azienda fornitrice o venditrice e questa non ha risposto, ovvero la risposta non è considerata soddisfacente. Gli incontri di conciliazione avvengono di persona su convocazione della segreteria di mediazione (importante verificare la sede dell’Ufficio di conciliazione e degli incontri, spesso diversi dal luogo di residenza dell’utente che si avvale di tale strumento). Il ruolo della Commissione di conciliazione è sempre quella di agevolare l’accordo, dunque la sottoscrizione del verbale di conciliazione (che ha valore il valore di transazione). Se non si raggiunge l’accordo la procedura si archivia, senza pregiudizi per il cliente di rivolgersi al giudice. I regolamenti di regola prevedono che la procedura si chiuda, in genere, nel termine di 60/90 giorni circa dall’avvio della procedura.
c) procedura di mediazione civile (3) (regolata dal D.Lgs. 28/2010 come modificato dal c.d. decreto del fare, D.L. 69/2013 e relativa legge di conversione n. 98/2013 (4)). Si tratta sempre di un procedimento volto a favorire l’accordo amichevole per risolvere la controversia mediante la figura del conciliatore, che in tal caso però è un terzo imparziale. Si avvia presentando la richiesta ad uno degli Organismi di mediazione (pubblici o privati) da scegliere tra quelli iscritti nell’apposito registro tenuto presso il Ministero della Giustizia, che abbia sedi autorizzate a svolgere la mediazione nel luogo di residenza del consumatore (c.d. foro del consumatore, coincidente al criterio di determinazione del giudice territorialmente competente in caso di controversie che coinvolgono i consumatori). Le controversie aventi ad oggetto le contestazioni di fatture relative ai consumi di energia elettrica e gas non rientrano tra le mediazioni obbligatorie per legge (vale a dire quelle che sono condizione di procedibilità del contenzioso giudiziario). Non sono gratuite ed i costi da sostenere (posti a carico di chi richiede la



mediazione e di chi è convocato in mediazione) si determinano in ragione dei seguenti elementi:

- spese di avvio, stabilite in misura fissa ed unitaria, (€48,80 comprensivi di IVA) dovute alla presentazione della domanda di mediazione ed a prescindere dalla prosecuzione della procedura;

- compenso per l’attività del mediatore, predeterminato e conoscibile anticipatamente, in base al valore della controversia (es. importo della fattura che si contesta). Il compenso è dovuto se, dopo il primo incontro finalizzato a verificare la disponibilità delle parti a tentare di mediare la lite, si accede alla fase di mediazione vera e propria (uno o più incontri successivi), anche se non si raggiunge l’accordo. I Costi ed i regolamenti di procedura osservati dai diversi Organismi di mediazione sono pubblicati sui siti internet degli Organismi stessi (in genere non sono dissimili tra loro, dovendo rispondere a criteri imposti ex lege);

- compenso del legale da cui la parte si fa assistere durante la mediazione (concordati con il professionista dal consumatore). Per le mediazioni non obbligatorie (come quelle scaturenti dai contratti di fornitura o vendita di energia elettrica e gas) l’assistenza del legale non è obbligatoria. Si tenga conto che: l’accordo firmato anche da tutti gli avvocati che assistono le parti coinvolte costituisce titolo esecutivo. Se una delle parti non è assistita dal legale l’accordo deve essere omologato con decreto del Presidente del Tribunale (per controllo regolarità formale). E’ possibile farsi assistere dal legale nella sola fase finale della procedura. In ogni caso, rispetto alle altre ipotesi di soluzioni conciliative esaminate (gestita da Acquirente Unico SpA per conto dell’Autorità e la conciliazione paritetica), il verbale di mediazione positiva anche in tal caso ha una diversa e maggiore valenza. Quanto alla durata, il procedimento di mediazione deve avere una durata non superiore a tre mesi ed il primo incontro di mediazione deve essere fissato non oltre trenta giorni dal deposito della domanda.

Note:
(1) http://www.autorita.energia.it/allegati/docs/14/528-14.pdf

(2) Acquirente Unico S.p.A. Società pubblica interamente partecipata da Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.a. (società costituita ai sensi dell’articolo 3, co. 4, D.Lgs. 79/1999 n. 79 di attuazione Dir. 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, e dell’articolo 1, co. 1, lett. a, b e c e 3, D.P.C.M. 11 maggio 2004; http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/99079dl.htm)

(3) http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_7_11.wp

(4) Si veda anche la Circolare 27 novembre 2013 - Entrata in vigore dell’art. 84 del d.l. 69/2013 come convertito dalla l. 98/2013 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, che modifica il d.lgs. 28/2010. Primi chiarimenti, emanata dal Dipartimento per gli affari di giustizia Ufficio III Reparto mediazione, a firma del Direttore Generale della Giustizia civile, reperibile alla pagina web: http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_8_1.wp?facetNode_1=4_10&previsiousPage=mg_1_8&contentId=SDC971358




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lunedì 12 gennaio 2015

NEWS DALLA SUPREMA CORTE: COMODATO ED ESIGENZE FAMILIARI

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, sentenza 21 novembre 2014, n. 24838 - Presidente
Finocchiaro – Rel. Lanzillo
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 7 settembre 2009 V.A.M. ha chiesto al Tribunale di Roma di dichiarare
risolto il contratto di comodato avente ad oggetto un appartamento in Roma, di sua proprietà, che
nel 1996 aveva lasciato in uso al figlio, G.D. , che lo abitava con i genitori, allorché si è trasferita
con il marito in (omissis) .
Ha dedotto di avere necessità di abitare personalmente l'immobile, essendo rimasta vedova e non in
condizione di vivere sola in località isolata, ove trovasi la casa in (omissis) , ma di non averne
potuto ottenere la restituzione dal figlio e dalla nuora, T.M.L. , che hanno adibito l'appartamento ad
abitazione coniugale.
I convenuti hanno resistito alla domanda.
Il G. ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva poiché è sopraggiunto provvedimento
del giudice di separazione fra i coniugi, con assegnazione alla moglie della casa coniugale e della
custodia dei figli.
La T. ha eccepito trattarsi di comodato destinato ad un determinato uso (abitazione coniugale), non
soggetto a scioglimento prima della cessazione dell'uso medesimo, non sussistendone le condizioni.
Il Tribunale ha accolto la domanda attrice e ha ordinato il rilascio dell'appartamento.
Proposto appello dalla T. , a cui ha resistito l'appellata ed ha aderito il G. , con sentenza 12 giugno -
4 luglio 2012 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la
domanda di scioglimento del contratto e di restituzione dell'immobile, con la motivazione che il
comodato era stato concesso perché la casa venisse adibita a residenza della famiglia e che le
ragioni addotte dalla V. non giustificano la domanda di restituzione ai sensi dell'art. 1809 cod. civ..
Con atto notificato il 24 gennaio 2013 la V. propone due motivi di ricorso per cassazione, illustrati
da memoria.
Resiste la T. con controricorso.
Il G. non ha depositato difese.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo, denunciando violazione degli art. 1803 e 1809 cod. civ., omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione, la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia
arbitrariamente ed in mancanza di ogni elemento di prova — ed anzi, in contrasto con le risultanze
probatorie - ritenuto che il comodato sia stato concesso per adibire la casa ad abitazione della
famiglia. Assume essersi invece trattato di un comodato in precario, concesso nel 1996 al solo G.D.
, all'epoca celibe.
Solo nel 1998, dopo il matrimonio con la T. , il comodatario aveva di sua iniziativa adibito
l'immobile a residenza coniugale.
Rileva la ricorrente che la Corte di appello ha dato atto che il rapporto è iniziato nel 1996, due anni
prima che il G. contraesse matrimonio, quando ancora non sussistevano esigenze familiari e che, a
fronte di ciò, sarebbe stato onere dei comodatari dimostrare che l'uso era stato concesso in
previsione del matrimonio: dimostrazione che nella specie è mancata.
2.- Con il secondo motivo denuncia ancora violazione degli art. 1803, 1804, 1809 e 2733 cod. civ.,
115, 116 e 228 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, nella
parte in cui la Corte di appello ha escluso la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento del
rapporto, ai sensi dell'art. 1809 2 comma cod. civ., pur nella denegata ipotesi in cui lo si ritenga a
tempo determinato.
3.- Debbono essere preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla
resistente.
Il ricorso è stato tempestivamente proposto con atto notificato il 24 gennaio 2013, entro i sei mesi
dal deposito della sentenza impugnata, dovendosi applicare anche alle cause in tema di locazione e
comodato la sospensione feriale dei termini processuali. La circostanza che le regole processuali
della locazione coincidano (peraltro non del tutto) con quelle che regolano il rito del lavoro non ha
nulla a che fare con le disposizioni sulla sospensione feriale dei termini, sospensione dalla quale
sono esonerate solo le controversie espressamente elencate dall'art. 92 dell'Ordinamento giudiziario
30 gennaio 1941, richiamato dall'art. 3 legge 7 ottobre 1969 n. 742, fra le quali non rientrano quelle
in tema di locazione e comodato.
Neppure è applicabile alla controversia in oggetto, quanto alle denunce di vizio di motivazione, il
nuovo testo dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., introdotto con d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in
legge 7 agosto 2012 n. 134, norma applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno
successivo a quello dell'entrata in vigore della legge di conversione del decreto (art. 54 d.l. cit.),
cioè alle sentenze depositate dal giorno 11 settembre 2012 in avanti, mentre la sentenza impugnata
in questa sede è stata pubblicata il 4 luglio 2012.
5.- Nel merito i due motivi, che vanno congiuntamente esaminati perché connessi, sono fondati.
La motivazione della sentenza impugnata è manifestamente contraddittoria, quindi inidonea a
giustificare la decisione, nella parte in cui ha accertato che la concessione in uso dell'immobile ha
avuto inizio nel 1996 e che il matrimonio del comodatario è stato contratto solo nel dicembre del
1998 (cfr. sentenza, pag. 3 e 5), e ciò nonostante ha ritenuto che il comodato sia stato concesso per
"adibire l'immobile a residenza coniugale", in mancanza di ogni supporto probatorio anche solo
presuntivo a conferma di una tale circostanza: anche in considerazione del fatto che l'uso
dell'abitazione da parte del G. , all'epoca celibe e convivente con i genitori, ha avuto inizio in via di
mero fatto e senza alcuna formalizzazione, a seguito del trasferimento altrove dei genitori stessi.
Il principio per cui il comodatario ha il diritto alla prosecuzione del rapporto per tutto il tempo per
cui si protraggano le esigenze familiari (Cass. civ. S.U. 21 luglio 2004 n. 13603 e successive) si
riferisce ai casi in cui sia certo ed inequivocabile che il rapporto abbia avuto origine in vista di una
tale destinazione: ma nessuna prova del genere è stata menzionata dalla sentenza di appello.
Si ricorda che, con il contratto di comodato, il proprietario concede gratuitamente a terzi il diritto di
uso del bene proprio e che, soprattutto quando si tratti di un immobile, la sussistenza di un'effettiva
volontà di assoggettare il bene a vincoli e a destinazioni d'uso particolarmente gravosi - qual è
quello di cui qui si tratta - non può essere presunta, ma deve essere positivamente accertata.
Nel dubbio, va adottata la soluzione più favorevole alla cessazione del vincolo, considerato anche il
sospetto ed il disfavore con cui l'ordinamento considera i trasferimenti gratuiti di beni e di diritti sui
beni.
Deve essere invece interpretata ed applicata con larghezza la norma che autorizza il comodante a
chiedere la restituzione del bene concesso gratuitamente in uso: soprattutto, si ripete, quando si tratti
di bene immobile e quando vengano prospettate esigenze abitative personali: per di più facenti capo
ad una persona anziana, sola e bisognosa di cure; per di più a fronte di un'utilizzazione gratuita già
protrattasi per anni.
Insufficiente ed illogica è anche la motivazione con cui la Corte di appello ha ritenuto irrilevanti le
esigenze personali della comodante, perché non imprevedibili in quanto legate al progredire dell'età.
Prevedibile è il progredire dell'età. Non le condizioni di salute in cui ci si arriva; non il fatto di
restare vedova; non il fatto di venirsi a trovare in condizioni fisiche tali da non poter vivere sola in
luogo isolato: in una parola, non il peculiare stato di bisogno che nella specie è stato addotto al fine
di giustificare lo scioglimento anticipato del rapporto, ai sensi dell'art. 1809, 2 comma, cod. civ..
6.- La sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio della causa alla Corte di appello di
Roma, in diversa composizione, affinché decida la controversia con congrua e logica motivazione.
7.- La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte
di appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di
cassazione.

NEWS DALLA SUPREMA CORTE: COMODATO ED ESIGENZE FAMILIARI

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, sentenza 21 novembre 2014, n. 24838 - Presidente
Finocchiaro – Rel. Lanzillo
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 7 settembre 2009 V.A.M. ha chiesto al Tribunale di Roma di dichiarare
risolto il contratto di comodato avente ad oggetto un appartamento in Roma, di sua proprietà, che
nel 1996 aveva lasciato in uso al figlio, G.D. , che lo abitava con i genitori, allorché si è trasferita
con il marito in (omissis) .
Ha dedotto di avere necessità di abitare personalmente l'immobile, essendo rimasta vedova e non in
condizione di vivere sola in località isolata, ove trovasi la casa in (omissis) , ma di non averne
potuto ottenere la restituzione dal figlio e dalla nuora, T.M.L. , che hanno adibito l'appartamento ad
abitazione coniugale.
I convenuti hanno resistito alla domanda.
Il G. ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva poiché è sopraggiunto provvedimento
del giudice di separazione fra i coniugi, con assegnazione alla moglie della casa coniugale e della
custodia dei figli.
La T. ha eccepito trattarsi di comodato destinato ad un determinato uso (abitazione coniugale), non
soggetto a scioglimento prima della cessazione dell'uso medesimo, non sussistendone le condizioni.
Il Tribunale ha accolto la domanda attrice e ha ordinato il rilascio dell'appartamento.
Proposto appello dalla T. , a cui ha resistito l'appellata ed ha aderito il G. , con sentenza 12 giugno -
4 luglio 2012 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la
domanda di scioglimento del contratto e di restituzione dell'immobile, con la motivazione che il
comodato era stato concesso perché la casa venisse adibita a residenza della famiglia e che le
ragioni addotte dalla V. non giustificano la domanda di restituzione ai sensi dell'art. 1809 cod. civ..
Con atto notificato il 24 gennaio 2013 la V. propone due motivi di ricorso per cassazione, illustrati
da memoria.
Resiste la T. con controricorso.
Il G. non ha depositato difese.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo, denunciando violazione degli art. 1803 e 1809 cod. civ., omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione, la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia
arbitrariamente ed in mancanza di ogni elemento di prova — ed anzi, in contrasto con le risultanze
probatorie - ritenuto che il comodato sia stato concesso per adibire la casa ad abitazione della
famiglia. Assume essersi invece trattato di un comodato in precario, concesso nel 1996 al solo G.D.
, all'epoca celibe.
Solo nel 1998, dopo il matrimonio con la T. , il comodatario aveva di sua iniziativa adibito
l'immobile a residenza coniugale.
Rileva la ricorrente che la Corte di appello ha dato atto che il rapporto è iniziato nel 1996, due anni
prima che il G. contraesse matrimonio, quando ancora non sussistevano esigenze familiari e che, a
fronte di ciò, sarebbe stato onere dei comodatari dimostrare che l'uso era stato concesso in
previsione del matrimonio: dimostrazione che nella specie è mancata.
2.- Con il secondo motivo denuncia ancora violazione degli art. 1803, 1804, 1809 e 2733 cod. civ.,
115, 116 e 228 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, nella
parte in cui la Corte di appello ha escluso la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento del
rapporto, ai sensi dell'art. 1809 2 comma cod. civ., pur nella denegata ipotesi in cui lo si ritenga a
tempo determinato.
3.- Debbono essere preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla
resistente.
Il ricorso è stato tempestivamente proposto con atto notificato il 24 gennaio 2013, entro i sei mesi
dal deposito della sentenza impugnata, dovendosi applicare anche alle cause in tema di locazione e
comodato la sospensione feriale dei termini processuali. La circostanza che le regole processuali
della locazione coincidano (peraltro non del tutto) con quelle che regolano il rito del lavoro non ha
nulla a che fare con le disposizioni sulla sospensione feriale dei termini, sospensione dalla quale
sono esonerate solo le controversie espressamente elencate dall'art. 92 dell'Ordinamento giudiziario
30 gennaio 1941, richiamato dall'art. 3 legge 7 ottobre 1969 n. 742, fra le quali non rientrano quelle
in tema di locazione e comodato.
Neppure è applicabile alla controversia in oggetto, quanto alle denunce di vizio di motivazione, il
nuovo testo dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., introdotto con d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in
legge 7 agosto 2012 n. 134, norma applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno
successivo a quello dell'entrata in vigore della legge di conversione del decreto (art. 54 d.l. cit.),
cioè alle sentenze depositate dal giorno 11 settembre 2012 in avanti, mentre la sentenza impugnata
in questa sede è stata pubblicata il 4 luglio 2012.
5.- Nel merito i due motivi, che vanno congiuntamente esaminati perché connessi, sono fondati.
La motivazione della sentenza impugnata è manifestamente contraddittoria, quindi inidonea a
giustificare la decisione, nella parte in cui ha accertato che la concessione in uso dell'immobile ha
avuto inizio nel 1996 e che il matrimonio del comodatario è stato contratto solo nel dicembre del
1998 (cfr. sentenza, pag. 3 e 5), e ciò nonostante ha ritenuto che il comodato sia stato concesso per
"adibire l'immobile a residenza coniugale", in mancanza di ogni supporto probatorio anche solo
presuntivo a conferma di una tale circostanza: anche in considerazione del fatto che l'uso
dell'abitazione da parte del G. , all'epoca celibe e convivente con i genitori, ha avuto inizio in via di
mero fatto e senza alcuna formalizzazione, a seguito del trasferimento altrove dei genitori stessi.
Il principio per cui il comodatario ha il diritto alla prosecuzione del rapporto per tutto il tempo per
cui si protraggano le esigenze familiari (Cass. civ. S.U. 21 luglio 2004 n. 13603 e successive) si
riferisce ai casi in cui sia certo ed inequivocabile che il rapporto abbia avuto origine in vista di una
tale destinazione: ma nessuna prova del genere è stata menzionata dalla sentenza di appello.
Si ricorda che, con il contratto di comodato, il proprietario concede gratuitamente a terzi il diritto di
uso del bene proprio e che, soprattutto quando si tratti di un immobile, la sussistenza di un'effettiva
volontà di assoggettare il bene a vincoli e a destinazioni d'uso particolarmente gravosi - qual è
quello di cui qui si tratta - non può essere presunta, ma deve essere positivamente accertata.
Nel dubbio, va adottata la soluzione più favorevole alla cessazione del vincolo, considerato anche il
sospetto ed il disfavore con cui l'ordinamento considera i trasferimenti gratuiti di beni e di diritti sui
beni.
Deve essere invece interpretata ed applicata con larghezza la norma che autorizza il comodante a
chiedere la restituzione del bene concesso gratuitamente in uso: soprattutto, si ripete, quando si tratti
di bene immobile e quando vengano prospettate esigenze abitative personali: per di più facenti capo
ad una persona anziana, sola e bisognosa di cure; per di più a fronte di un'utilizzazione gratuita già
protrattasi per anni.
Insufficiente ed illogica è anche la motivazione con cui la Corte di appello ha ritenuto irrilevanti le
esigenze personali della comodante, perché non imprevedibili in quanto legate al progredire dell'età.
Prevedibile è il progredire dell'età. Non le condizioni di salute in cui ci si arriva; non il fatto di
restare vedova; non il fatto di venirsi a trovare in condizioni fisiche tali da non poter vivere sola in
luogo isolato: in una parola, non il peculiare stato di bisogno che nella specie è stato addotto al fine
di giustificare lo scioglimento anticipato del rapporto, ai sensi dell'art. 1809, 2 comma, cod. civ..
6.- La sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio della causa alla Corte di appello di
Roma, in diversa composizione, affinché decida la controversia con congrua e logica motivazione.
7.- La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte
di appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di
cassazione.

venerdì 9 gennaio 2015

Danni da smottamento: è configurabile la responsabilità da omessa custodia?











































Danni da smottamento: è configurabile la responsabilità da omessa
custodia?




Con sentenza n. 24513 del 18 novembre 2014, la
seconda sezione della S.C. si sofferma, in particolare, sulla natura giuridica
della responsabilità di tipo extracontrattuale prevista dall'art. 2051 c.c.
(riconducibile all'omessa vigilanza delle cose tenute in custodia), correlandola
alla peculiare fattispecie concreta dei danni causati da movimenti franosi ad
immobili ubicati in una zona in declivio e sottoposti ad altri.




Cassazione civile Sentenza, Sez. II, 18/11/2014,
n. 24513





Il caso e la soluzioneI proprietari di un
complesso condominiale, sottoposto ad altro immobile nell’ambito di una zona
collinare e, quindi, ubicato in declivio, convenivano in giudizio – con azione
nunciatoria – la titolare della proprietà soprastante per l’ottenimento della
sua condanna all’esecuzione delle opere idonee ad impedire i movimenti franosi
verso il basso ed al risarcimento dei danni ad essi ricollegabili.

All’esito
del giudizio di merito (anticipato da una tutela in via urgente), la domanda
veniva accolta in primo grado con sentenza poi confermata a conclusione del
giudizio di appello.

L’ente soccombente proponeva ricorso per cassazione,
che, tuttavia, veniva rigettato, sulla scorta dell’adeguatezza della motivazione
e della conformità a diritto della sentenza impugnata.     

Impatti
pratico-operativi


La sentenza selezionata è degna di rilievo perché
affronta la tematica della responsabilità da custodia con riferimento ai danni
conseguenti a smottamenti nei rapporti tra immobili costruiti in una zona
pendente.

In via generale occorre ricordare che la responsabilità per i danni
cagionati da una cosa in custodia ex art. 2051 c.c. si fonda non su un
comportamento od un'attività del custode, ma su una relazione intercorrente tra
questi e la cosa dannosa e, poiché il limite della responsabilità risiede
nell'intervento di un fattore, il caso fortuito, che attiene non ad un
comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno, si deve
ritenere che, in tema di ripartizione dell'onere della prova, all'attore compete
provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo,
mentre il convenuto, per liberarsi, dovrà provare l'esistenza di un fattore,
estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e,
cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o dello
stesso danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi,
dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità.

Nella sentenza in commento si è,
altresì, sottolineato che l'attività di vigilanza e di prevenzione di eventi
dannosi costituisce il contenuto di un vero e proprio obbligo che il citato art.
2051 c.c. pone a carico di chi ha la disponibilità di una cosa ed a favore dei
consociati, anche con particolare riferimento ai proprietari di immobili
sottostanti ubicati in una zona in declivio, salvo la prova del caso
fortuito.

Pertanto, nella fattispecie concretamente esaminata, essendo
rimasta esclusa tale prova, è stata confermata la sentenza di appello con la
quale era stata adeguatamente accertata la totale assenza di attività
manutentive da parte dell’ente proprietario dell’immobile soprastante, senza
che, oltretutto, potesse riconoscersi alcun concorso causale alla circostanza
che l’immobile degli attori fosse stato realizzato in parziale difformità
rispetto al progetto originariamente approvato, poiché la relativa porzione –
asseritamente illegittima – era risultata insistente su una fascia di terreno
che non aveva subìto dissesti per effetto della realizzazione dell’inerente
costruzione.



Aldo Carrato

Tratto da Il Quotidiano
Giuridico Wolters Kluwer






















Danni da smottamento: è configurabile la responsabilità da omessa custodia?





Danni da smottamento: è configurabile la responsabilità da omessa custodia?
Con sentenza n. 24513 del 18 novembre 2014, la seconda sezione della S.C. si sofferma, in particolare, sulla natura giuridica della responsabilità di tipo extracontrattuale prevista dall'art. 2051 c.c. (riconducibile all'omessa vigilanza delle cose tenute in custodia), correlandola alla peculiare fattispecie concreta dei danni causati da movimenti franosi ad immobili ubicati in una zona in declivio e sottoposti ad altri.
Cassazione civile Sentenza, Sez. II, 18/11/2014, n. 24513
Il caso e la soluzioneI proprietari di un complesso condominiale, sottoposto ad altro immobile nell’ambito di una zona collinare e, quindi, ubicato in declivio, convenivano in giudizio – con azione nunciatoria – la titolare della proprietà soprastante per l’ottenimento della sua condanna all’esecuzione delle opere idonee ad impedire i movimenti franosi verso il basso ed al risarcimento dei danni ad essi ricollegabili.
All’esito del giudizio di merito (anticipato da una tutela in via urgente), la domanda veniva accolta in primo grado con sentenza poi confermata a conclusione del giudizio di appello.
L’ente soccombente proponeva ricorso per cassazione, che, tuttavia, veniva rigettato, sulla scorta dell’adeguatezza della motivazione e della conformità a diritto della sentenza impugnata.     
Impatti pratico-operativi
La sentenza selezionata è degna di rilievo perché affronta la tematica della responsabilità da custodia con riferimento ai danni conseguenti a smottamenti nei rapporti tra immobili costruiti in una zona pendente.
In via generale occorre ricordare che la responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia ex art. 2051 c.c. si fonda non su un comportamento od un'attività del custode, ma su una relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa e, poiché il limite della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore, il caso fortuito, che attiene non ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno, si deve ritenere che, in tema di ripartizione dell'onere della prova, all'attore compete provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, dovrà provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità.
Nella sentenza in commento si è, altresì, sottolineato che l'attività di vigilanza e di prevenzione di eventi dannosi costituisce il contenuto di un vero e proprio obbligo che il citato art. 2051 c.c. pone a carico di chi ha la disponibilità di una cosa ed a favore dei consociati, anche con particolare riferimento ai proprietari di immobili sottostanti ubicati in una zona in declivio, salvo la prova del caso fortuito.
Pertanto, nella fattispecie concretamente esaminata, essendo rimasta esclusa tale prova, è stata confermata la sentenza di appello con la quale era stata adeguatamente accertata la totale assenza di attività manutentive da parte dell’ente proprietario dell’immobile soprastante, senza che, oltretutto, potesse riconoscersi alcun concorso causale alla circostanza che l’immobile degli attori fosse stato realizzato in parziale difformità rispetto al progetto originariamente approvato, poiché la relativa porzione – asseritamente illegittima – era risultata insistente su una fascia di terreno che non aveva subìto dissesti per effetto della realizzazione dell’inerente costruzione.

Aldo Carrato
Tratto da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer


martedì 7 settembre 2010

DANNI DA FAUNA SELVATICA, PAGA LA REGIONE



La fauna selvatica appartiene al patrimonio dello Stato, ma se causa danni la responsabilità è delle Regioni.



La Cassazione (Sentenza 7 aprile 2008, n. 8953) è intervenuta in materia di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici ed in particolare sul caso di un danno patito da un motociclista su una strada statale, invasa da animali selvatici. Per la Suprema Corte, alla Regione sono demandati poteri di gestione, tutela e controllo di tutte le specie della fauna selvatica, trattandosi di una materia devoluta alla competenza regionale e provinciale.

Nel percorrere una strada statale del cuneese, a bordo del proprio veicolo, un motociclista s'era scontrato con due caprioli che gli avevano tagliato la strada, così rovinando al suolo. Il risarcimento non tocca in questo caso al Ministero delle Finanze, bensì alla Regione che ha violato il Codice Civile ( Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno - Risarcimento per fatto illecito Art. 2040)

Infatti, il Collegio, pur partendo dal'assunto che la fauna selvatica appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato, rileva che la legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante le "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio", demanda alle Regioni a statuto ordinario l'emanazione di norme relative alla gestione e alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica e affida alle medesime i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna.


DANNI DA FAUNA SELVATICA, PAGA LA REGIONE

La fauna selvatica appartiene al patrimonio dello Stato, ma se causa danni la responsabilità è delle Regioni.

La Cassazione (Sentenza 7 aprile 2008, n. 8953) è intervenuta in materia di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici ed in particolare sul caso di un danno patito da un motociclista su una strada statale, invasa da animali selvatici. Per la Suprema Corte, alla Regione sono demandati poteri di gestione, tutela e controllo di tutte le specie della fauna selvatica, trattandosi di una materia devoluta alla competenza regionale e provinciale.
Nel percorrere una strada statale del cuneese, a bordo del proprio veicolo, un motociclista s'era scontrato con due caprioli che gli avevano tagliato la strada, così rovinando al suolo. Il risarcimento non tocca in questo caso al Ministero delle Finanze, bensì alla Regione che ha violato il Codice Civile ( Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno - Risarcimento per fatto illecito Art. 2040)
Infatti, il Collegio, pur partendo dal'assunto che la fauna selvatica appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato, rileva che la legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante le "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio", demanda alle Regioni a statuto ordinario l'emanazione di norme relative alla gestione e alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica e affida alle medesime i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna.

venerdì 3 settembre 2010

Le modifiche al codice della strada

Codice della strada, una circolare spiega le novità in vigore dal 30 luglio


Circolare Ministero Interno 30.07.2010


La Polizia di Stato fornisce indicazioni operative sulle prime norme già in vigore della legge n. 120/2010 (le altre sono dicventate operative il 13 agosto 2010).
 
Per agevolare gli operatori di Polizia, il Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno ha diramato una circolare con le prime disposizioni operative relative alle norme già in vigore, di cui la circolare stessa fornisce schede riepilogative con il testo coordinato dell'articolo di legge, le novità introdotte e la loro spiegazione.

Sono operative dal 30 luglio alcune delle norme che modificano il Codice della strada introdotte recentemente dalla legge 29 luglio 2010, n. 120 ('Disposizioni in materia di sicurezza stradale'), che è entrata in vigore il 13 agosto 2010.

Si tratta, in sintesi, delle disposizioni che più incidono, attraverso l'inasprimento delle sanzioni, sui livelli di sicurezza stradale e sul fronte di prevenzione degli incidenti: sono quelle sulla guida sotto l'influenza di alcool o in stato di alterazione per uso di sostanze stupefacenti, sulla revoca della patente, sulla circolazione dei ciclomotori, sull'uso delle cinture di sicurezza, sull'utilizzo di lenti o altri apparecchi durante la guida (modifiche agli articoli 97, 126-bis, 172, 173, 186, 186-bis, 187, 219,e 219-bis del Codice della strada).

Tra le novità di maggiore impatto già in vigore, c'è la tolleranza zero sull'assunzione di alcool da parte di neopatentati (con patente da meno di 3 anni), minori di 21 anni e persone che svolgono a livello professionale attività di trasporto di persone o cose. Inoltre, non potrà più ottenere la patente chi per due volte ha causato un incidente con una lesione colposa. Il 50% delle entrate delle sanzioni per eccesso di velocità dovranno essere utilizzate per la manutenzione delle strade.




da Altalex, 24 agosto 2010. Nota di Cesira Cruciani.






MINISTERO DELL'INTERNO, CIRCOLARE 30 luglio 2010
DIPARTIMENTO DELLA PUBBLICA SICUREZZA

DIREZIONE CENTRALE PER LA POLIZIA STRADALE, FERROVIARIA, DELLE COMUNICAZIONI E Dipartimento Pubblica Sicurezza PER I REPARTI SPECIALI DELLA POLIZIA DI STATO




OGGETTO: Legge 29 luglio 2010, n. 120 recante "Disposizioni in materia di sicurezza stradale". Modifiche agli articoli 97, 172, 173, 186, 186-bis, 187, 219 e 219-bis del Codice della Strada, in vigore dal 30 luglio 2010. Prime disposizioni operative.


A ...omissis...


Sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 29.7.2010 -Suppl. Ordinario n.171, è stata pubblicata la legge 29.7.2010, n.120, recante "Disposizioni in materia di sicurezza stradale."






La nuova normativa, che ha lo scopo di introdurre misure volte a migliorare la sicurezza della circolazione stradale, sia attraverso l'aggravamento delle sanzioni per violazioni delle norme del codice, sia mediante disposizioni volte alla prevenzione ed all'incremento della messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e viarie, nonché della segnaletica stradale, prevede significative modifiche a numerose disposizioni del Codice della Strada e di alcune norme correlate.
Salvo quelle per cui è stato previsto che l'entrata in vigore sia differita nel tempo, anche in ragione della necessità di emanazione di specifiche norme attuative, le disposizioni della legge in argomento entreranno in vigore, dal prossimo 13 agosto 2010.
Tuttavia, per alcune di esse (1), in ragione della particolare rilevanza per il miglioramento dei livelli di sicurezza stradale che sono destinate ad apportare, è stata prevista l'entrata in vigore a decorrere dal gIOrno successivo a quello della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Pertanto, per fornire con tempestività agli operatori di polizia una visione complessiva degli interventi normativi, in vigore dal 30 luglio 2010, sono state predisposte e allegate alla presente circolare schede riepilogative delle principali novità corredate, per facilità di consultazione, del testo degli articoli del codice della strada in oggetto indicati, coordinato con le modifiche intervenute (all. 1).
Si fa riserva di fornire, con successiva circolare, le necessarie istruzioni per le altre norme del codice della strada e delle leggi correlate, oggetto di interventi di modifica con la legge 120/20 l O, che entreranno in vigore dal 13 agosto p.v..


1. Interventi relativi alla guida di ciclomotori


Le disposizioni degli articoli 14 e 28 della L. 120/20 l O prevedono un generale inasprimento del trattamento sanzionatorio per i conducenti dei quadricicli leggeri (c.d. minicar) e degli altri ciclomotori che tengono condotte di guida scorrette.
In particolare, l'art. 14 della L. 120/2010, intervenendo sull'articolo 97 C.d.S., ha aumentato le sanzioni pecuniarie per chi fabbrica, produce, pone in commercio o vende ciclomotori che sviluppino una velocità superiore a quella attualmente prevista e per chi circola con un ciclomotore alterato ovvero munito di una targa i cui dati non siano chiaramente visibili.

L'art. 28 della L.120/2010, modificando l'articolo 172 C.d.S., ha esteso al conducente e al passeggero di quadricicli leggeri dotati di carrozzeria chiusa (c.d. minicar) l'obbligo di allacciare la cintura di sicurezza. La disposizione si applica solo ai soggetti a bordo di tali veicoli, dotati sin dall' origine di cinture di sicurezza secondo le prescrizioni di cui alla direttiva 2002/24/CE del 18 marzo 2002.

L'art. 29 della L.1201201 O, che interviene sull'articolo 173 C.d.S., ha stabilito che i conducenti di ciclomotori per i quali, al momento del rilascio del certificato di idoneità alla guida per ciclomotori, siano previsti adattamenti o protesi, debbano fame uso durante la guida, estendendo ad essi le sanzioni già previste per i conducenti di veicoli con simili prescrizioni iscritte sulla patente di guida.
 
2. INTERVENTI IN MATERIA DI GUIDA IN STATO DI EBBREZZA ALCOLICA
 
L'articolo 33 della L. 120/2010 ha apportato significative modifiche all' articolo 186 C.d. S. (guida in stato di ebbrezza alcolica) ed ha introdotto una nuova fattispecie che punisce chi guida dopo aver assunto bevande alcoliche (art. 186-bis C.d.S) da parte di alcune categorie di conducenti più esposte a rischio d'incidente.
 
2.1. Guida dopo aver assunto bevande alcoliche da parte di alcune categorie di conducenti (art. 186-bis C.d.S)


Il nuovo articolo 186-bis, comma 1, C.d.S. ha affermato il principio secondo cui ad alcune categorie di conducenti è vietato guidare dopo aver assunto bevande alcoliche:


a) giovani di età inferiore a 21 anni, anche se alla guida di veicoli che non richiedono la patente di guida;


b) neopatentati nei primi tre anni dal conseguimento della patente B;


c) conducenti che esercitino di professione l'attività di trasporto di persone o cose su strada in servizio di piazza, taxi ovvero di noleggio con conducente;


d) tutti coloro che si trovino alla guida di veicoli con massa superiore a 3,5 tonnellate, di autobus e di altri autoveicoli destinati al trasporto di persone il cui numero di posti a sedere, escluso quello del conducente, è superiore a otto, nonché di autoarticolati e di autosnodati;


e) conducenti di autoveicoli, comprese le autovetture, che effettuino il traino di un rimorchio (esclusi i carrelli appendice di cui all'articolo 56, comma 4, C.d. S.), quando la massa complessiva del complesso veicolare così formato superi il peso di kg 3.500. La previsione normativa è estesa, perciò, anche ai conducenti che effettuino il traino di caravan o di rimorchi T.A.T.S. di cui all'articolo 56, comma 2, lettere e) ed f), C.d.S. quando la massa del complesso veicolare superi tale limite.


Il controllo del tasso alcolemico può essere effettuato, nei riguardi dei conducenti sopra citati, secondo le procedure e con gli strumenti indicati dall'articolo 186, commi 3, 4 e 5, C.d.S..

Nelle more della fornitura di strumenti precursori in grado di rilevare tassi alcolemici inferiori a 0,5 glI, i controlli etilometrici nei riguardi dei conducenti che appartengono alle categorie di cui all'art. 186-bis, comma 1, C.d.S. saranno effettuati utilizzando gli etilometri in dotazione. Sarà necessario, però, che al termine della prima prova, che rileva e quantifica la presenza di alcol nell'aria espirata, si proceda a successive due prove con il medesimo strumento, secondo le prescrizioni già oggi in vigore per l'impiego dell'etilometro a fini di raccolta della prova.

La conduzione di un veicolo, da parte di uno dei soggetti sopraindindicati, dopo aver ingerito bevande alcoliche in quantità tale da determinare un tasso alcolemico compreso tra 0,0 e 0,5 glI, costituisce illecito amministrativo e comporta l'applicazione della sanzione pecuniaria da Euro 155,00 a Euro 624,00 (art.l86-bis, c.2, C.d.S.). La stessa viene raddoppiata, qualora il conducente abbia provocato un incidente stradale. È ammesso il pagamento in misura ridotta, ai sensi dell'art. 202 C.d.S.; non è prevista l'applicazione di sanzioni amministrative accessorie ed è prevista la decurtazione di 5 punti dalla patente.

Il veicolo condotto da uno dei soggetti sopraindindicati, poiché riscontrati con tasso alcolemico inferiore a 0,5 glI, non viene sottratto alla disponibilità del conducente.

2.2. Rifiuto di sottoporsi agli accertamenti per i conducenti di cui all'articolo 186-bis C.d.S.
 
Quando uno dei soggetti richiamati dall'art. 186-bis C.d.S. rifiuti di effettuare le prove o gli accertamenti sulla persona di cui all' art. 186, commi 3, 4 o 5, C.d.S., è punito con le sanzioni penali di cui all'art. 186, comma 2, letto c), C.d.S. (ammenda da Euro 1.500 a Euro 6.000, arresto da sei mesi ad un anno), aumentate da un terzo alla metà, nonché con la sospensione amministrativa accessoria della patente di guida da sei mesi a due anni e la confisca del veicolo. Diversamente da quanto previsto per tutti gli altri conducenti che rifiutino l'accertamento alcolimetrico (art. 186, c.7, C.d.S.), qualora la confisca non possa essere applicata perché il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata.

Anche per tale illecito, come previsto per il reato di cui all'art. 186, c.7, C.d.S, il Prefetto, con l'ordinanza con cui applica la sospensione provvisoria della patente ai sensi dell'art.223 C.d.S., dispone l'obbligo per il conducente di sottoporsi a visita medica ai sensi dell'articolo 119, cA, C.d.S. che deve avvenire nel tennine di sessanta giorni, secondo le prescrizioni del comma 8 dell'art. 186 C.d.S.

Il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti previsti per i casi di cui all'art.186-bis C.d.S. non detennina la decurtazione di punti dalla patente di guida.
 
2.3. Divieto di conseguire la patente per i conducenti minorenni



Ai conducenti minori di anni diciotto, trovati alla guida di un veicolo dopo aver assunto bevande alcoliche, fenna restando la loro irresponsabilità per gli illeciti amministrativi correlati alla violazione degli artt. 186-bis ed 186 comma 1, lett. a), C.d.S., dei quali rispondono il genitore o il tutore secondo le regole generali dell'articolo 2 della L. 689/1981, è stata prevista l'applicazione di una misura interdittiva del rilascio della patente di guida.

Infatti, l'accertamento dell'assunzione di alcolici comporta, per questi conducenti, un ritardo nel conseguimento della patente di categoria B: il conducente non potrà conseguire la patente prima del compimento del diciannovesimo anno di età, qualora sia stato accertato un tasso alcolemico superiore a 0,0 (zero) e non superiore a 0,5 g/l; il termine si sposta al compimento del ventunesimo anno di età, qualora sia stato accertato un tasso alcolemico superiore a 0,5 g/l.

Per consentire la concreta applicazione, di tale misura l'accertamento definitivo degli illeciti amministrativi o dei reati di cui agli artt.186 e 186bis C.d.S. deve essere segnalato al competente Ufficio del Dipartimento dei Trasporti Terrestri per l'adozione dei provvedimenti conseguenti. La procedura e le modalità di trasmissione di tale segnalazione saranno oggetto di disposizioni operative concordate con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
 
2.4. Novità in tema di guida in stato di ebbrezza (art. 186 C.d. S.)


Con la modifica apportata alla letto a) del comma 2 dell'art. 186 C.d.S., viene depenalizzata la condotta di chi guida con tasso alcolemico superiore a 0,5 glI e non oltre 0,8 glI, prevedendo la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 500 a Euro 2.000, della quale è ammesso il pagamento in misura ridotta ai sensi dell'art.202 C.d.S.
La sanzione amministrativa è aumentata di un terzo se l'illecito è commesso da uno dei soggetti indicati dall'art. 186-bis C.d.S..
All'accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi e la decurtazione di lO punti dalla patente.
Sono state, inoltre, inasprite le sanzioni previste per chi guida un veicolo con tasso alcolemico superiore a 0,8 glI. In particolare:


• è aumentato (da tre a sei mesi) il minimo editale della pena, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l;


• è raddoppiato il periodo di fermo amminIstrativo del veicolo, se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale;


• è disposta la revoca della patente di guida quando sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 glI ed il conducente abbia provocato un incidente stradale;


• per i conducenti di cui all'art. 186-bis C.d.S. che hanno provocato incidenti stradali, le pene previste dall'art. 186, comma 2, lett. b) e c) sono aumentate da un terzo alla metà;


• nei confronti dei conducenti di veicoli commerciali di cui alla letto d) dell'art. 186-bis, c.2, C.d.S., è sempre disposta la revoca della patente di guida quando sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l.
 
2.5. Confisca del veicolo in caso di guida in stato di ebbrezza con tasso aIcolemico oltre 1,5 g/l o in caso di rifiuto di accertamenti.



Conformemente alle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.196 del 26.5.20 l 0, la confisca del veicolo prevista per i casi di guida in stato di ebbrezza con tasso alcoolico oltre 1,5 g/l, di cui all'art.186, comma 2, letto c), C.d.S., nonché per il rifiuto di effettuare accertamenti di cui all'art. 186, comma 7, e art. 186-bis, comma 6, C.d.S. non è più qualificata come misura di sicurezza patrimoniale.

Tale circostanza, unitamente all'espresso rinvio alle nuove disposizioni dell'art.224-ter C.d. S., introdotto dall'articolo 44 della L. 120/2010 conseguente alla nuova formulazione dell'art. 186, comma 2, letto c), C.d.S., induce a ritenere che la confisca di cui si parla abbia assunto la natura di sanzione amministrativa accessoria degli illeciti penali sopraindicati.

Di conseguenza, nei casi soprarichiamati, ai fini del sequestro del veicolo, trovano applicazione le procedure di cui all'art.213 C.d.S, in quanto compatibili. Tuttavia, per espressa previsione dell'ultimo periodo del comma l dell'art. 224-ter C.d.S, diversamente da quanto previsto dalle disposizioni dell'art. 213 C.d.S, che consentono l'affidamento della custodia del veicolo sequestrato al trasgressore, gli operatori di polizia che accertano gli illeciti in argomento dovranno sempre provvedere ad affidarlo ad uno dei soggetti di cui all'art. 214-bis C.d.S. (custodi-acquirenti), ovvero, in mancanza, ad uno dei soggetti autorizzati dal Prefetto ad effettuare la custodia amministrativa ai sensi del D.P.R. 571/1982.

Dopo la condanna per i reati sopraindicati, secondo le disposizioni dell'art. 224-ter C.d.S., il veicolo sequestrato è oggetto di confisca con provvedimento del Prefetto.
 
2.6 Applicazione del fermo amministrativo in caso di guida in stato di ebbrezza.



L'art.186, comma 2 bis, C.d.S. prevede che sia disposto il fermo amministrativo del veicolo condotto dal conducente in stato di ebbrezza alcolica che abbia provocato un incidente stradale.

Per effetto delle nuove disposizioni del citato art. 224-ter C.d.S, è stato previsto al momento dell'accertamento dell'illecito possa provvedere all'applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo del veicolo. A tal fine, l'art. 224-ter, stabilisce che l'operatore di polizia stradale provveda a disporre il fermo provvisorio del veicolo per 30 giorni mentre il restante periodo di fermo sarà disposto dal giudice con la sentenza di condanna.

Il fermo amministrativo provvisorio è disposto secondo le procedure dell'art. 214 C.d.S, in quanto compatibili. Tuttavia, anche in questo caso, diversamente da quanto previsto dalle disposizioni dell'art. 214 C.d.S, non potrà essere disposto l'affidamento della custodia del veicolo al trasgressore ma gli operatori di polizia che accertano l'illecito in argomento dovranno sempre provvedere ad affidarlo ad uno dei soggetti di cui all'art. 214-bis C.d.S. (custodi-acquirenti), ovvero, in mancanza, ad uno dei soggetti autorizzati dal Prefetto ad effettuare la custodia amministrativa ai sensi del D.P.R. 571/1982.



3. INTERVENTI IN MATERIA DI GUIDA IN STATO DI ALTERAZIONE PER USO DI STUPEFACENTI
 
Anche in materia di guida in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto stupefacenti, si registrano numerose novità.

In particolare:

• è aumentato (da tre a sei mesi) il minimo editale della pena prevista per chi guida in stato di alterazione dopo aver assunto stupefacenti;


• è disposta la revoca della patente di guida quando il conducente in stato di alterazione abbia provocato un incidente stradale;


• per i conducenti di cui all'art. 186-bis C.d.S. le pene previste dall'art.187 C.d.S. sono aumentate da un terzo alla metà;


• nei confronti dei conducenti di veicoli commerciali di cui alla letto d) dell'art. 186-bis C.d.S., è sempre disposta la revoca della patente di guida.


3.1 Accertamento dello stato di alterazione dopo aver assunto stupefacenti

Significative novità in materia di accertamenti analitici sono state introdotte con la nuova previsione dell'art. 187, comma 2 bis, C.d.S. per rilevare chi guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti.

La nuova norma ha infatti previsto che, qualora le prove non invasive forniscano esito positivo, ovvero quando si abbia altrimenti ragionevole motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi sotto l'effetto conseguente all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, i conducenti, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l'integrità fisica, possono essere sottoposti ad accertamenti clinico-tossico logici e strumentali ovvero analitici su campioni di mucosa del cavo orale ovvero su campioni di fluido del cavo orale prelevati a cura di personale sanitario nominato ausiliario di polizia giudiziaria degli organi di polizia stradale procedenti.

La nuova disposizione sarà operativa solo dopo l'emanazione di un Decreto interministeriale che determini le caratteristiche degli apparecchi per l'analisi dei campioni prelevati, nonché le modalità di effettuazione delle stesse.

Per effetto della completa riformulazione del comma 3 dell'art. 187 C.d.S, qualora non sia possibile effettuare il prelievo a cura del personale sanitario ausiliario, ovvero qualora il conducente rifiuti di sottoporsi a tale prelievo, gli agenti accompagnano il conducente presso strutture sanitarie fisse o mobili afferenti ai suddetti organi di polizia stradale ovvero presso le strutture sanitarie pubbliche o presso quelle accreditate o comunque a tali fini equiparate, per il prelievo di campioni di liquidi biologici ai fini dell' effettuazione degli esami necessari ad accertare la presenza di sostanze stupefacenti o psicotrope.

La nuova previsione, perciò, che ha escluso la necessità di una visita medica correlata al prelievo di liquidi biologici, prevista dalla precedente formulazione della norma, lascia intendere che lo stato di alterazione dopo l'assunzione di sostanze stupefacenti possa essere provato anche solo sulla base dei positivi riscontri analitici di laboratorio sui campioni prelevati.
 
3.2 Confisca del veicolo in caso di guida in stato di alterazione o in caso di rifiuto di accertamenti.
 
Come accade per gli illeciti puniti dall'art. 186 C.d.S. richiamati al punto 2.3. della presente circolare, anche in caso di guida in stato di alterazione dopo aver assunto stupefacenti, ovvero in caso di rifiuto dei relativi accertamenti, la confisca del veicolo appartenente al conducente, che ha commesso gli illeciti indicati, ha assunto la natura di sanzione amministrativa accessoria. Per il relativo sequestro, perciò, trovano applicazione le disposizioni dell'art. 224-ter C.d.S., secondo le modalità di cui al richiamato punto 2.3 della presente.


4. APPLICAZIONE DELL'ART. 219-BIS C.D.S. AI CONDUCENTI DI VEICOLI CHE NON RICHIEDONO LA PATENTE.


L'articolo 43 della L. 120/2010, modificando l'art. 219-bis C.d.S, ha soppresso la previsione contenuta nella precedente formulazione della stessa norma, secondo la quale le misure della sospensione, della revoca o del ritiro della patente nonché la decurtazione di punti, potevano essere applicate al conducente titolare di patente anche quando la violazione da cui le misure discendevano era stata commessa alla guida di un veicolo che non richiede la patente di guida.
Le Prefetture - Uffici Territoriali del Governo sono pregate di voler estendere il contenuto della presente ai Corpi o Servizi di Polizia Municipale e Provinciale.


per IL CAPO DELLA POLIZIA DIRETTORE GENERALE DELLA PUBBLICA SICUREZZA

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...omissis...

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(1) Si tratta delle modifiche che riguardano gli articoli 97, 126-bis (limitatamente alla decurtazione dei punti per artt. 186, 186-bis e 187), 172, 173, 186, 187, 219 e 219-bis C.d.S. Interessato dall'immediata entrata in vigore è, altresì, la nuova disposizione dell'art. 186-bis C.d.S. (guida in stato di ebbrezza per alcune categorie di conducenti).






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