martedì 13 luglio 2010

Stalking: profili di incostituzionalità sub art. 25 Cost. (sufficiente determinatrezza della fattispecie penale)

Notiziario OUA


Stalking, ossia molestia assillante:la fattispecie penale è sufficientemente determinata?
di Maurizio de Tilla - Presidente dell'OUA


Il decreto legge n. 11 del 2009, convertito nella legge 23 aprile 2009 n. 38, ha introdotto nel nostro ordinamento, con notevole ritardo rispetto agli altri ordinamenti europei, una «nuova» fattispecie di reato denominata «stalking», finalizzata a far venire meno la pericolosa condotta «persecutoria» nei confronti soprattutto delle donne. La nuova norma, l’articolo 612 bis del Codice penale, prevede che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a quattro anni».


Ci si è posto il problema della costituzionalità della nuova normativa. Si è rilevato che il citato decreto legge potrebbe essere in contrasto con il principio di sufficiente determinatezza della fattispecie penale, implicitamente contenuto nell’articolo 25 della Costituzione. Innanzitutto alcune precisazioni. Il bene giuridico tutelato dal legislatore si ravvisa nella libertà morale, ovvero nella libertà di autodeterminazione dell’individuo. Tra i vari eventi che la condotta tipica può causare vi è l’alterazione delle proprie abitudini di vita, che può essere vista come una particolare ipotesi di violenza privata. L’illecito in esame è contraddistinto dalla sussistenza di tre elementi costitutivi: la condotta tipica del reo; la reiterazione di tale condotta; l’insorgere di un particolare stato d’animo nella vittima.


La condotta del reo deve essere connotata dal dolo generico, cioè dalla volontà e consapevolezza di porre in essere le condotte persecutorie cagionando alla vittima uno degli eventi lesivi previsti dalla norma stessa. Infatti il dolo dell’agente è contraddistinto dalla rappresentazione specifica che, in seguito alla reiterazione seriale delle azioni delittuose predette, si verificherà nella vittima uno degli accadimenti dannosi considerati. L’illecito in esame è punito, salva l’applicazione di aggravanti, con la reclusione da sei mesi a quattro anni.


Sono previste alcune aggravanti speciali: se il fatto è commesso da persona già condannata per lo specifico delitto la pena è aumentata fino a due terzi; se è commesso nei confronti di un minore o se ricorre una delle condizioni previste dall’articolo 339 del Codice penale, fino alla metà e si procede d’ufficio; in generale, il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di persona diversamente abile, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.


La persona che si ritiene offesa da una condotta simile, sino a quando non presenta formale querela, può avanzare richiesta di ammonimento nei confronti del molestatore. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore che, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, se ritiene fondata l’istanza ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Se il soggetto ammonito continua a molestare la sua vittima, si procede d’ufficio contro di lui e la pena è aggravata di almeno un terzo. Quando sussistono specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di reiterazione di tale reato, l’autorità di pubblica sicurezza, su autorizzazione del pubblico ministero che procede, diffida formalmente l’indagato dal compiere ulteriori atti persecutori.


L’introduzione del reato di «stalking» porta ad analizzare i rapporti con i reati che con esso possono concorrere. L’attenzione va innanzitutto al reato di minaccia di cui all’articolo 612 del Codice penale, che deve considerarsi assorbito in quello di atti persecutori, venendo a configurare una delle condotte incriminate. In relazione a quello di violenza privata di cui all’articolo 610, il concorso va risolto in base al criterio di specialità, posto che l’alterazione delle abitudini di vita può considerarsi una peculiare ipotesi di violenza privata.


Discorso più complesso si può fare con riferimento alla contravvenzione di cui all’articolo 660 del Codice penale in quanto, esclusa la configurabilità del reato complesso, le molestie individuate nell’articolo 612 bis costituiscono il genus rispetto a quelle del 660, per l’integrazione del quale sono richiesti ulteriori requisiti che vengono a restringerne l’ambito applicativo. Deve tuttavia precisarsi che, affinché sia integrato il «delitto di atti persecutori», è necessaria una reiterazione delle condotte tale da produrre effetti perduranti nel tempo.


Questo porta a ritenere che le incriminazioni di minaccia, molestia e violenza privata continueranno a sussistere quali ipotesi autonome nel caso di singolo episodio oppure di più episodi che non diano luogo ad effetti che si protraggono nel tempo, essendo proprio il carattere della serialità l’elemento fondamentale del reato di stalking.


Relativamente al problema della costituzionalità della nuova normativa sul punto della sua sufficiente determinatezza, si è risposto affermando che, per soddisfare tale requisito, si deve specificare che la normativa in esame intende riferirsi a forme patologiche caratterizzate dallo stress e specificamente riconoscibili proprio come conseguenza del tipo di comportamenti incriminati, forme che, sebbene non compiutamente codificate, trovano riscontro nella letteratura medica.


Sul piano dell’individuazione del soggetto autore dello stalking si è osservato che lo «stalker» o «molestatore assillante» è colui che mette in atto quell’insieme di condotte che possono essere sintetizzate, a titolo d’esempio, nel seguire la vittima nei suoi movimenti per controllarla, o meglio «appostarsi» alla sua vita. Può essere un conoscente, un collega, un estraneo, un ex-partner. In genere gli stalker agiscono, in quest’ultimo contesto, per recuperare il rapporto precedente o per vendicarsi per essere stati lasciati.


Alcuni hanno semplicemente l’intento di stabilire una relazione sentimentale perché mostrano gravi difficoltà nell’instaurare un rapporto affettivo significativo. Altri, invece, possono soffrire di disturbi mentali che li inducono a credere con convinzione nell’esistenza di una relazione, che in realtà non c’è, o comunque nella possibilità di stabilirne una. Altri ancora molestano persone conosciute superficialmente o addirittura sconosciuti allo scopo di vendicarsi per qualche torto reale o presunto.


Il confine fra corteggiamento e stalking all’inizio può essere impercettibile, ma diventa significativo quando limita la «libertà morale» della vittima ponendola in una condizione di allerta per la paura di un pericolo imminente. Il comportamento persecutorio non si realizza solo nell’alveo delle relazioni affettive e sentimentali, ma può riscontrarsi anche in altri contesti relazionali come gli ambiti lavorativi e quelli scolastici.


Sotto il profilo psicologico sono stati individuati nella prassi alcuni tipi di persecutori. Il «risentito» rappresenta una tipologia di stalker presente in letteratura. Si tratta di solito di un ex-partner che desidera vendicarsi per la rottura della relazione sentimentale causata, a suo avviso, da motivi ingiusti. Forte di questo risentimento, si sente spinto a ledere sia l’immagine della persona - per esempio pubblicando sul web foto o immagini osé oppure stampando volantini con frasi oscene per farli girare nell’ambiente di lavoro della vittima -, sia la persona stessa aspettandola fuori casa per farle delle scenate, sia danneggiando cose di proprietà, rigando per esempio la macchina o forandone le gomme.


Motivato dalla ricerca di una relazione e di attenzioni che possono riguardare l’amicizia o l’amore è, invece, il «bisognoso d’affetto». Questo tipo di stalker agisce soprattutto nell’ambito di rapporti professionali particolarmente stretti come quello tra il paziente e lo psicoterapeuta. In questi casi i molestatori fraintendono l’empatia e l’offerta di aiuto co-me segno di un interesse sentimentale. Spesso il rifiuto dell’altro viene negato e reinterpretato sviluppando la convinzione che egli abbia bisogno di superare qualche difficoltà psicologica o concreta e che prima o poi riconoscerà l’inevitabilità del rapporto amoroso proposto.


Più impulsivo ma meno resistente nel tempo è il «corteggiatore incompetente», che manifesta una condotta basata su una scarsa abilità relazionale e si traduce in comportamenti opprimenti ed esplicitamente invadenti. Gli stalker di questo gruppo presentano una condotta persecutoria di solito di breve durata, desiderano corteggiare ma non sanno farlo e finiscono per adottare atteggiamenti che possono risultare fastidiosi.


Nella categoria degli ex-partner rientra anche il «respinto», che manifesta comportamenti persecutori in reazione a un rifiuto. Questo tipo di stalker è ambivalente perché oscilla tra due desideri contrapposti: da una parte desidera ristabilire la relazione, mentre dall’altra vuole solo vendicarsi per l’abbandono subito.


Infine il «predatore» è uno stalker che ambisce avere rapporti sessuali con una vittima che può essere pedinata, inseguita e spaventata. La paura, infatti, eccita questo tipo di molestatore che prova un senso di potere nel pianificare la caccia alla «preda». Questo genere di stalking può colpire anche bambini e può essere posto in essere anche da persone con disturbi psicopatologici di tipo sessuale come pedofili o feticisti.


Data: 09/07/2010


Fonte: SPECCHIO ECONOMICO










Stalking: profili di incostituzionalità sub art. 25 Cost. (sufficiente determinatrezza della fattispecie penale)

Notiziario OUA

Stalking, ossia molestia assillante:la fattispecie penale è sufficientemente determinata?
di Maurizio de Tilla - Presidente dell'OUA

Il decreto legge n. 11 del 2009, convertito nella legge 23 aprile 2009 n. 38, ha introdotto nel nostro ordinamento, con notevole ritardo rispetto agli altri ordinamenti europei, una «nuova» fattispecie di reato denominata «stalking», finalizzata a far venire meno la pericolosa condotta «persecutoria» nei confronti soprattutto delle donne. La nuova norma, l’articolo 612 bis del Codice penale, prevede che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a quattro anni».

Ci si è posto il problema della costituzionalità della nuova normativa. Si è rilevato che il citato decreto legge potrebbe essere in contrasto con il principio di sufficiente determinatezza della fattispecie penale, implicitamente contenuto nell’articolo 25 della Costituzione. Innanzitutto alcune precisazioni. Il bene giuridico tutelato dal legislatore si ravvisa nella libertà morale, ovvero nella libertà di autodeterminazione dell’individuo. Tra i vari eventi che la condotta tipica può causare vi è l’alterazione delle proprie abitudini di vita, che può essere vista come una particolare ipotesi di violenza privata. L’illecito in esame è contraddistinto dalla sussistenza di tre elementi costitutivi: la condotta tipica del reo; la reiterazione di tale condotta; l’insorgere di un particolare stato d’animo nella vittima.

La condotta del reo deve essere connotata dal dolo generico, cioè dalla volontà e consapevolezza di porre in essere le condotte persecutorie cagionando alla vittima uno degli eventi lesivi previsti dalla norma stessa. Infatti il dolo dell’agente è contraddistinto dalla rappresentazione specifica che, in seguito alla reiterazione seriale delle azioni delittuose predette, si verificherà nella vittima uno degli accadimenti dannosi considerati. L’illecito in esame è punito, salva l’applicazione di aggravanti, con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Sono previste alcune aggravanti speciali: se il fatto è commesso da persona già condannata per lo specifico delitto la pena è aumentata fino a due terzi; se è commesso nei confronti di un minore o se ricorre una delle condizioni previste dall’articolo 339 del Codice penale, fino alla metà e si procede d’ufficio; in generale, il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di persona diversamente abile, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

La persona che si ritiene offesa da una condotta simile, sino a quando non presenta formale querela, può avanzare richiesta di ammonimento nei confronti del molestatore. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore che, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, se ritiene fondata l’istanza ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Se il soggetto ammonito continua a molestare la sua vittima, si procede d’ufficio contro di lui e la pena è aggravata di almeno un terzo. Quando sussistono specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di reiterazione di tale reato, l’autorità di pubblica sicurezza, su autorizzazione del pubblico ministero che procede, diffida formalmente l’indagato dal compiere ulteriori atti persecutori.

L’introduzione del reato di «stalking» porta ad analizzare i rapporti con i reati che con esso possono concorrere. L’attenzione va innanzitutto al reato di minaccia di cui all’articolo 612 del Codice penale, che deve considerarsi assorbito in quello di atti persecutori, venendo a configurare una delle condotte incriminate. In relazione a quello di violenza privata di cui all’articolo 610, il concorso va risolto in base al criterio di specialità, posto che l’alterazione delle abitudini di vita può considerarsi una peculiare ipotesi di violenza privata.

Discorso più complesso si può fare con riferimento alla contravvenzione di cui all’articolo 660 del Codice penale in quanto, esclusa la configurabilità del reato complesso, le molestie individuate nell’articolo 612 bis costituiscono il genus rispetto a quelle del 660, per l’integrazione del quale sono richiesti ulteriori requisiti che vengono a restringerne l’ambito applicativo. Deve tuttavia precisarsi che, affinché sia integrato il «delitto di atti persecutori», è necessaria una reiterazione delle condotte tale da produrre effetti perduranti nel tempo.

Questo porta a ritenere che le incriminazioni di minaccia, molestia e violenza privata continueranno a sussistere quali ipotesi autonome nel caso di singolo episodio oppure di più episodi che non diano luogo ad effetti che si protraggono nel tempo, essendo proprio il carattere della serialità l’elemento fondamentale del reato di stalking.

Relativamente al problema della costituzionalità della nuova normativa sul punto della sua sufficiente determinatezza, si è risposto affermando che, per soddisfare tale requisito, si deve specificare che la normativa in esame intende riferirsi a forme patologiche caratterizzate dallo stress e specificamente riconoscibili proprio come conseguenza del tipo di comportamenti incriminati, forme che, sebbene non compiutamente codificate, trovano riscontro nella letteratura medica.

Sul piano dell’individuazione del soggetto autore dello stalking si è osservato che lo «stalker» o «molestatore assillante» è colui che mette in atto quell’insieme di condotte che possono essere sintetizzate, a titolo d’esempio, nel seguire la vittima nei suoi movimenti per controllarla, o meglio «appostarsi» alla sua vita. Può essere un conoscente, un collega, un estraneo, un ex-partner. In genere gli stalker agiscono, in quest’ultimo contesto, per recuperare il rapporto precedente o per vendicarsi per essere stati lasciati.

Alcuni hanno semplicemente l’intento di stabilire una relazione sentimentale perché mostrano gravi difficoltà nell’instaurare un rapporto affettivo significativo. Altri, invece, possono soffrire di disturbi mentali che li inducono a credere con convinzione nell’esistenza di una relazione, che in realtà non c’è, o comunque nella possibilità di stabilirne una. Altri ancora molestano persone conosciute superficialmente o addirittura sconosciuti allo scopo di vendicarsi per qualche torto reale o presunto.

Il confine fra corteggiamento e stalking all’inizio può essere impercettibile, ma diventa significativo quando limita la «libertà morale» della vittima ponendola in una condizione di allerta per la paura di un pericolo imminente. Il comportamento persecutorio non si realizza solo nell’alveo delle relazioni affettive e sentimentali, ma può riscontrarsi anche in altri contesti relazionali come gli ambiti lavorativi e quelli scolastici.

Sotto il profilo psicologico sono stati individuati nella prassi alcuni tipi di persecutori. Il «risentito» rappresenta una tipologia di stalker presente in letteratura. Si tratta di solito di un ex-partner che desidera vendicarsi per la rottura della relazione sentimentale causata, a suo avviso, da motivi ingiusti. Forte di questo risentimento, si sente spinto a ledere sia l’immagine della persona - per esempio pubblicando sul web foto o immagini osé oppure stampando volantini con frasi oscene per farli girare nell’ambiente di lavoro della vittima -, sia la persona stessa aspettandola fuori casa per farle delle scenate, sia danneggiando cose di proprietà, rigando per esempio la macchina o forandone le gomme.

Motivato dalla ricerca di una relazione e di attenzioni che possono riguardare l’amicizia o l’amore è, invece, il «bisognoso d’affetto». Questo tipo di stalker agisce soprattutto nell’ambito di rapporti professionali particolarmente stretti come quello tra il paziente e lo psicoterapeuta. In questi casi i molestatori fraintendono l’empatia e l’offerta di aiuto co-me segno di un interesse sentimentale. Spesso il rifiuto dell’altro viene negato e reinterpretato sviluppando la convinzione che egli abbia bisogno di superare qualche difficoltà psicologica o concreta e che prima o poi riconoscerà l’inevitabilità del rapporto amoroso proposto.

Più impulsivo ma meno resistente nel tempo è il «corteggiatore incompetente», che manifesta una condotta basata su una scarsa abilità relazionale e si traduce in comportamenti opprimenti ed esplicitamente invadenti. Gli stalker di questo gruppo presentano una condotta persecutoria di solito di breve durata, desiderano corteggiare ma non sanno farlo e finiscono per adottare atteggiamenti che possono risultare fastidiosi.

Nella categoria degli ex-partner rientra anche il «respinto», che manifesta comportamenti persecutori in reazione a un rifiuto. Questo tipo di stalker è ambivalente perché oscilla tra due desideri contrapposti: da una parte desidera ristabilire la relazione, mentre dall’altra vuole solo vendicarsi per l’abbandono subito.

Infine il «predatore» è uno stalker che ambisce avere rapporti sessuali con una vittima che può essere pedinata, inseguita e spaventata. La paura, infatti, eccita questo tipo di molestatore che prova un senso di potere nel pianificare la caccia alla «preda». Questo genere di stalking può colpire anche bambini e può essere posto in essere anche da persone con disturbi psicopatologici di tipo sessuale come pedofili o feticisti.

Data: 09/07/2010

Fonte: SPECCHIO ECONOMICO





martedì 6 luglio 2010

Danno per ritardata riconsegna del bagaglio al passeggero aereo

Giudice di Pace: danno per consegna ritardata del bagaglio al passeggero aereo



 
In un caso di consegna del bagaglio del passeggero di vettore aereo dopo tre giorni, il Giudice di Pace ha applicato la recente pronuncia della Corte di Giustizia (6 maggio 2010) secondo cui "Il termine «danno» contenuto all’art. 22, n. 2, della convenzione per l’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale conclusa a Montreal il 28 maggio 1999, che fissa la limitazione della responsabilità del vettore aereo per il danno derivante in particolare dalla perdita di bagagli, deve essere interpretato nel senso che include tanto il danno materiale quanto il danno morale".

In materia di competenza giurisdizionale il Giudice ha richiamato la Convenzione di Montreal e il nostro Codice del consumo. "L’art. 33 (competenza giurisdizionale) di detta Convenzione stabilisce che: l’azione per il risarcimento del danno è promossa, a scelta dell’attore, nel territorio di uno degli Stati Parti (criterio per la giurisdizione), o davanti al Tribunale (criterio per la competenza) del domicilio del vettore o della sede principale della sua attività o del luogo in cui esso possiede un’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto, o davanti al Tribunale del luogo di destinazione (criterio per la competenza). E’ ius receptum che, all’interno dell’ordinamento giudiziario dello Stato investito di giurisdizione, ex art. 33 Convenzione di Montreal, la distribuzione della competenza tra diversi ordini del potere giudiziario, o ratione materiae e valoris all’interno dello stesso ordine, è rimessa alla legge di tale Paese. ... per la competenza territoriale, la regola legislativa è contenuta nel codice del consumo (D.L.vo 6/9/05 n.206), secondo cui si presume la vessatorietà della clausola che stabilisce come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore. Detta regola viene interpretata dalla giurisprudenza nel senso che, nelle controversie tra consumatore e professionista, si è stabilita la competenza territoriale esclusiva ed inderogabile (se non con apposita trattativa individuale) del giudice del luogo del consumatore, a prescindere dell’avvenuta designazione di una determinata sede giudiziaria nel documento negoziale e dall’operatività dei criteri ordinariamente previsti".

Nel merito il Giudice ha rilevato che "Per quanto concerne il risarcimento dei danni, l’art. 22, comma 2, della Convenzione di Montreal limita la responsabilità del vettore alla somma di 1000 diritti speciali di prelievo per passeggero, equivalente a circa € 1.134,00. Questo Giudice, ritiene che detta somma sia più che congrua rispetto all’effettivo danno subito dall’istante la quale, con la sola prova testimoniale non ha provato né la somma pagata per l’acquisto dei vestiari prima della partenza, né la somma pagata per l’acquisto dei vestiari dopo lo smarrimento del bagaglio. Ella avrebbero dovuto provare la spesa sostenuta con le ricevute di acquisto, da dove si poteva evincere la quantità e la qualità dei capi di vestiario e degli effetti personali acquistati."


(Giudice di Pace di Pozzuoli - Avv. Italo Bruno, Sentenza 23 giugno 2010: Danno da consegna ritardata di bagaglio)


Danno per ritardata riconsegna del bagaglio al passeggero aereo

Giudice di Pace: danno per consegna ritardata del bagaglio al passeggero aereo

 
In un caso di consegna del bagaglio del passeggero di vettore aereo dopo tre giorni, il Giudice di Pace ha applicato la recente pronuncia della Corte di Giustizia (6 maggio 2010) secondo cui "Il termine «danno» contenuto all’art. 22, n. 2, della convenzione per l’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale conclusa a Montreal il 28 maggio 1999, che fissa la limitazione della responsabilità del vettore aereo per il danno derivante in particolare dalla perdita di bagagli, deve essere interpretato nel senso che include tanto il danno materiale quanto il danno morale".
In materia di competenza giurisdizionale il Giudice ha richiamato la Convenzione di Montreal e il nostro Codice del consumo. "L’art. 33 (competenza giurisdizionale) di detta Convenzione stabilisce che: l’azione per il risarcimento del danno è promossa, a scelta dell’attore, nel territorio di uno degli Stati Parti (criterio per la giurisdizione), o davanti al Tribunale (criterio per la competenza) del domicilio del vettore o della sede principale della sua attività o del luogo in cui esso possiede un’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto, o davanti al Tribunale del luogo di destinazione (criterio per la competenza). E’ ius receptum che, all’interno dell’ordinamento giudiziario dello Stato investito di giurisdizione, ex art. 33 Convenzione di Montreal, la distribuzione della competenza tra diversi ordini del potere giudiziario, o ratione materiae e valoris all’interno dello stesso ordine, è rimessa alla legge di tale Paese. ... per la competenza territoriale, la regola legislativa è contenuta nel codice del consumo (D.L.vo 6/9/05 n.206), secondo cui si presume la vessatorietà della clausola che stabilisce come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore. Detta regola viene interpretata dalla giurisprudenza nel senso che, nelle controversie tra consumatore e professionista, si è stabilita la competenza territoriale esclusiva ed inderogabile (se non con apposita trattativa individuale) del giudice del luogo del consumatore, a prescindere dell’avvenuta designazione di una determinata sede giudiziaria nel documento negoziale e dall’operatività dei criteri ordinariamente previsti".
Nel merito il Giudice ha rilevato che "Per quanto concerne il risarcimento dei danni, l’art. 22, comma 2, della Convenzione di Montreal limita la responsabilità del vettore alla somma di 1000 diritti speciali di prelievo per passeggero, equivalente a circa € 1.134,00. Questo Giudice, ritiene che detta somma sia più che congrua rispetto all’effettivo danno subito dall’istante la quale, con la sola prova testimoniale non ha provato né la somma pagata per l’acquisto dei vestiari prima della partenza, né la somma pagata per l’acquisto dei vestiari dopo lo smarrimento del bagaglio. Ella avrebbero dovuto provare la spesa sostenuta con le ricevute di acquisto, da dove si poteva evincere la quantità e la qualità dei capi di vestiario e degli effetti personali acquistati."

(Giudice di Pace di Pozzuoli - Avv. Italo Bruno, Sentenza 23 giugno 2010: Danno da consegna ritardata di bagaglio)

Ordinanze. quando è competente il Sindaco???

L'ordinanza di rimozione rifiuti compete al Sindaco


TAR Lombardia-Milano, sez. VI, sentenza 09.06.2010 n° 1764 (Aurelio Schiavone)


In ordine alla competenza ad emanare l’ordinanza di rimozione rifiuti ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006 (TUA) si sono sviluppati, in giurisprudenza, due orientamenti.

Da un lato, un orientamento minoritario ritiene che il previgente art. 14, comma 3, d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (cd. decreto Ronchi) sebbene affidasse già al Sindaco il potere di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati, tuttavia - in virtù del principio sulla separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali di cui all’art. 107 del T. U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali - la norma va ora letta alla luce del nuovo principio per il quale spetta ai dirigenti tutta l’attività di gestione, tra cui è ricompresa quella sulla rimozione dei rifiuti abbandonati. La soluzione non cambia neppure dopo l’adozione del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il cui articolo 192, comma 3, ultima parte, riproduce, con identica formulazione, la disposizione di cui al citato art. 14, comma 3, ultimo periodo[1].

Tuttavia, secondo un altro più condivisibile e seducente indirizzo giurisprudenziale, largamente condiviso e recepito dalla pronuncia in esame, la competenza ad emanare le ordinanze di rimozione rifiuti spetta a Sindaco per espressa disposizione dell’art. 192, comma 3, TUA.

Invero, pur essendo l’ordinanza di rimozione rifiuti ex art.192 cit. astrattamente suscettibile di poter rientrare nella sfera di competenza del responsabile dell’area tecnica, ai sensi dell’art. 107, comma 5, TUEL, a mente del quale l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, essa viene attribuita al Sindaco dall’insuperabile dato testuale sancito dal citato art. 192, comma 3, secondo periodo, in coerente applicazione del canone ermeneutico lex posterior specialis derogat anteriori generali, nonché ai sensi dello stesso art. 107, comma 4, TUEL, il quale consente che “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’art. 1, comma 4°, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”[2].

Altrimenti detto, l’art. 192, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (TUA) - che è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL) - attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2 e, in base agli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio della specialità e criterio cronologico), prevale sul disposto dell'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000[3].





(Altalex, 22 giugno 2010. Nota di Aurelio Schiavone)


_______________

[1] Così, T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. II, 4 novembre 2009, n. 1598, in Giurisprudenza di merito, fasc. n. 1 del 2010. Si veda, altresì, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 9 giugno 2009, n. 3159, in www.ambientediritto.it, secondo cui: “Ai sensi dell’art. 107 comma 5 T.U.E.L. 18 agosto 2000, n. 267, rientra nella competenza del dirigente, e non del Sindaco, l’adozione dell’ordinanza di rimozione di rifiuti rivolta al proprietario di un’area sulla quale gli stessi sono stati abbandonati”. Nello stesso senso, T.A.R. Basilicata, 23 maggio 2007, n. 457, in http://www.giustizia-amministrativa.it/.


[2] Cfr., a tal proposito, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 20 ottobre 2009, n. 1118, in www.giustizia-amministrativa.it e in corso di pubblicazione su Giurisprudenza di merito con nota di A. Mezzotero.

[3] Cfr., oltre alla pronuncia in rassegna, Cons. St., Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061, in www.lexitalia.it. Nello stesso senso, T.A.R. Veneto, Sez. III, 24 novembre 2009, n. 2968, in www.ambientediritto.it, secondo cui: “L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 è norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000”; Id., 20 ottobre 2009, n. 2623, ivi; Id., 29 settembre 2009, n. 2454, ivi; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 2 settembre 2009, n. 4598, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Veneto, sez. III, 14 gennaio 2009, n. 40, ivi.

Aurelio Schiavone




T.A.R.

Lombardia - Milano

Sezione VI

Sentenza 9 giugno 2010, n. 1764


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente


SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 2076 del 1999, proposto da:
Avila S.a.s., rappresentata e difesa dagli avv. Benedetto Dalla Libera, Luigi Sangiorgio, con domicilio eletto presso l’avv. Benedetto Dalla Libera in Milano, via Losanna,29;
contro
Comune di Lomagna non costituito in giudizio;
per l'annullamento


dell’ordinanza nr. 10 del 2.3.99 del Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Lomagna che ordina di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi con smaltimento delle macerie secondo la normativa in tema di rifiuti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2010 il dott. Ugo De Carlo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
Fatto e Diritto
Con ricorso regolarmente notificato e depositato la società ha impugnato l’atto indicato in epigrafe.
Il ricorso si articola su quattro motivi.
Il primo lamenta l’incompetenza del funzionario in quanto l’ordinanza in questione doveva essere emanata dal Sindaco o da un assessore delegato.


Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 7 e 8 L. 241\90 poiché non era stato comunicato alla ricorrente l’avvio del procedimento.
Il terzo motivo contesta l’eccesso di potere per travisamento dei fatti in quanto lo scarico del materiale è avvenuto ad opera della s.r.l. Marcos che ha sede nel medesimo luogo della Avila tramite una terza ditta.


Il quarto motivo eccepisce lo stesso vizio per il fatto che il materiale esistente nella scarpata è ivi presente da lungo tempo e non è possibile stabilire chi sia il responsabile dell’abbandono di rifiuti.


Il Comune di Lomagna non si costituiva in giudizio.


Il ricorso è fondato.


E’ assorbente il primo motivo che eccepisce l’incompetenza del funzionario alla emanazione dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti.
L’art. 14 D.lgs 22\97 attualmente riprodotto senza modifiche nell’art. 192 Codice dell’Ambiente affida il compito di emanare tali ordinanza ripristinatorie al Sindaco e trattandosi di norma speciale rispetto all’art. 107 D.lgs 267\00 che deroga alla ordinaria competenza dei funzionari per i provvedimenti di ordinaria amministrazione.
L'art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 poi è norma speciale sopravvenuta rispetto all`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V, 25.8.2008, n. 4061).


Il provvedimento va, pertanto, annullato per incompetenza rimanendo assorbiti gli altri profili di illegittimità che dovranno essere valutati dall’organo competente, e cioè il Sindaco, nel momento in cui dovrà riesercitare il potere.


Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso epigrafato, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Comune di Lomagna alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 2.000 oltre C.P.A. ed I.V.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Adriano Leo, Presidente


Ugo De Carlo, Referendario, Estensore


Alberto Di Mario, Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 09/06/2010.






Ordinanze. quando è competente il Sindaco???

L'ordinanza di rimozione rifiuti compete al Sindaco

TAR Lombardia-Milano, sez. VI, sentenza 09.06.2010 n° 1764 (Aurelio Schiavone)

In ordine alla competenza ad emanare l’ordinanza di rimozione rifiuti ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006 (TUA) si sono sviluppati, in giurisprudenza, due orientamenti.
Da un lato, un orientamento minoritario ritiene che il previgente art. 14, comma 3, d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (cd. decreto Ronchi) sebbene affidasse già al Sindaco il potere di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati, tuttavia - in virtù del principio sulla separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali di cui all’art. 107 del T. U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali - la norma va ora letta alla luce del nuovo principio per il quale spetta ai dirigenti tutta l’attività di gestione, tra cui è ricompresa quella sulla rimozione dei rifiuti abbandonati. La soluzione non cambia neppure dopo l’adozione del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il cui articolo 192, comma 3, ultima parte, riproduce, con identica formulazione, la disposizione di cui al citato art. 14, comma 3, ultimo periodo[1].
Tuttavia, secondo un altro più condivisibile e seducente indirizzo giurisprudenziale, largamente condiviso e recepito dalla pronuncia in esame, la competenza ad emanare le ordinanze di rimozione rifiuti spetta a Sindaco per espressa disposizione dell’art. 192, comma 3, TUA.
Invero, pur essendo l’ordinanza di rimozione rifiuti ex art.192 cit. astrattamente suscettibile di poter rientrare nella sfera di competenza del responsabile dell’area tecnica, ai sensi dell’art. 107, comma 5, TUEL, a mente del quale l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, essa viene attribuita al Sindaco dall’insuperabile dato testuale sancito dal citato art. 192, comma 3, secondo periodo, in coerente applicazione del canone ermeneutico lex posterior specialis derogat anteriori generali, nonché ai sensi dello stesso art. 107, comma 4, TUEL, il quale consente che “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’art. 1, comma 4°, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”[2].
Altrimenti detto, l’art. 192, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (TUA) - che è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL) - attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2 e, in base agli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio della specialità e criterio cronologico), prevale sul disposto dell'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000[3].


(Altalex, 22 giugno 2010. Nota di Aurelio Schiavone)

_______________
[1] Così, T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. II, 4 novembre 2009, n. 1598, in Giurisprudenza di merito, fasc. n. 1 del 2010. Si veda, altresì, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 9 giugno 2009, n. 3159, in www.ambientediritto.it, secondo cui: “Ai sensi dell’art. 107 comma 5 T.U.E.L. 18 agosto 2000, n. 267, rientra nella competenza del dirigente, e non del Sindaco, l’adozione dell’ordinanza di rimozione di rifiuti rivolta al proprietario di un’area sulla quale gli stessi sono stati abbandonati”. Nello stesso senso, T.A.R. Basilicata, 23 maggio 2007, n. 457, in http://www.giustizia-amministrativa.it/.

[2] Cfr., a tal proposito, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 20 ottobre 2009, n. 1118, in www.giustizia-amministrativa.it e in corso di pubblicazione su Giurisprudenza di merito con nota di A. Mezzotero.
[3] Cfr., oltre alla pronuncia in rassegna, Cons. St., Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061, in www.lexitalia.it. Nello stesso senso, T.A.R. Veneto, Sez. III, 24 novembre 2009, n. 2968, in www.ambientediritto.it, secondo cui: “L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 è norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000”; Id., 20 ottobre 2009, n. 2623, ivi; Id., 29 settembre 2009, n. 2454, ivi; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 2 settembre 2009, n. 4598, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Veneto, sez. III, 14 gennaio 2009, n. 40, ivi.
Aurelio Schiavone


T.A.R.
Lombardia - Milano
Sezione VI
Sentenza 9 giugno 2010, n. 1764

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 2076 del 1999, proposto da:
Avila S.a.s., rappresentata e difesa dagli avv. Benedetto Dalla Libera, Luigi Sangiorgio, con domicilio eletto presso l’avv. Benedetto Dalla Libera in Milano, via Losanna,29;
contro
Comune di Lomagna non costituito in giudizio;
per l'annullamento

dell’ordinanza nr. 10 del 2.3.99 del Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Lomagna che ordina di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi con smaltimento delle macerie secondo la normativa in tema di rifiuti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2010 il dott. Ugo De Carlo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
Fatto e Diritto
Con ricorso regolarmente notificato e depositato la società ha impugnato l’atto indicato in epigrafe.
Il ricorso si articola su quattro motivi.
Il primo lamenta l’incompetenza del funzionario in quanto l’ordinanza in questione doveva essere emanata dal Sindaco o da un assessore delegato.

Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 7 e 8 L. 241\90 poiché non era stato comunicato alla ricorrente l’avvio del procedimento.
Il terzo motivo contesta l’eccesso di potere per travisamento dei fatti in quanto lo scarico del materiale è avvenuto ad opera della s.r.l. Marcos che ha sede nel medesimo luogo della Avila tramite una terza ditta.

Il quarto motivo eccepisce lo stesso vizio per il fatto che il materiale esistente nella scarpata è ivi presente da lungo tempo e non è possibile stabilire chi sia il responsabile dell’abbandono di rifiuti.

Il Comune di Lomagna non si costituiva in giudizio.

Il ricorso è fondato.

E’ assorbente il primo motivo che eccepisce l’incompetenza del funzionario alla emanazione dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti.
L’art. 14 D.lgs 22\97 attualmente riprodotto senza modifiche nell’art. 192 Codice dell’Ambiente affida il compito di emanare tali ordinanza ripristinatorie al Sindaco e trattandosi di norma speciale rispetto all’art. 107 D.lgs 267\00 che deroga alla ordinaria competenza dei funzionari per i provvedimenti di ordinaria amministrazione.
L'art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 poi è norma speciale sopravvenuta rispetto all`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V, 25.8.2008, n. 4061).

Il provvedimento va, pertanto, annullato per incompetenza rimanendo assorbiti gli altri profili di illegittimità che dovranno essere valutati dall’organo competente, e cioè il Sindaco, nel momento in cui dovrà riesercitare il potere.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso epigrafato, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Comune di Lomagna alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 2.000 oltre C.P.A. ed I.V.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Adriano Leo, Presidente

Ugo De Carlo, Referendario, Estensore

Alberto Di Mario, Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 09/06/2010.



mercoledì 30 giugno 2010

per comprare in condominio far chiarezza su tutte le spese

Capita spesso che, comprando un appartamento in condominio, ci si trovi involontariamente coinvolti in un contenzioso giudiziario di  cui neppure si aveva avuto preventiva notizia.
Quando si acquista si sta normalemtne attenti alle  SPESE CONDOMINIALI PREGRESSE, così che, ancor prima di andare dal notaio per il rogito, ci si premura di chiedere all'amministratore il rilascio di ampia dichiarazione attestante l'avvenuto pagramento di ogni sospeso da parte del venditore. Sebbene nel rogito venga espressamente dichiarato che le spese condominiali graveranno sull'acquirente a far tempo dalla sottoscrizione dell'atto di compravendita, verso il condominio permane la responsabilità SOLIDALE TRA VECCHIO E NUOVO PROPRIETARIO per tutte le spese inerenti alla getione in corso al momento dell'acquisto e quella precedente: così dispone, infatti, l'art. 63 disp. att. cod. civ.. L'accertarsi, dunque, dell'inesistenza di debiti pregressi rappresenta per chi acquista un'unità immobiliare in uno stabile condominiale un pimario incombente che, se non ottemperato, può riservare spiacevoli sorprese.
E' bene sottolineare che l'AMMINISTRATORE PUO' INDIFFERENTEMENTE AGIRE NEI CONFRONTI IA DEL VECCHIO CHE DEL NUOVO PROPRIETARIO per il recupero delle spese riguardanti il periodo temporale predetto. Il che significa che l'acquirente può essere chiamato dall'amministratore a pagare spese riguardanti un periodo in cui egli neppure era proprietario, purchè riferentesi alla gestione in corso al momento dell'acquisto oppure a quella immediatamente prima. Egli si sostituisce al venditore nel pagamento di quanto maturato anche prima del suo acquisto, restando però fermo il suo diritto di rivalsa nei confronti del venditore per il recupero di tutte le somme che egli sia stato costretto a versare al condominio.
 Non sempre però si presta la dovuta attenzione alle cause giudiziarie che, al momento della compravendita, magari vedono coinvolto il condominio verso terzi estranei oppure nei confronti dei singoli partecipanti alla collettività condominiale.
Il principio generale è che il CONDOMINO E' TWENUTO AL VERSAMENTO DELLE SPESE PER LA CONSERVAZIONE E PER LA MANUTENZIONE DELLE PARTI COMUNI  per il semplice fatto di essere proprietario di una unità immobiliare sita nel complesso condominiale.
Anche le SPESE LEGALI RIGUARDANTI LE CAUSE DEL CONDOMINIO COSTITUISCONO UN DEBITO PER QUOTE CONDOMINIALI e rientrano quindi nella categoria di obbligazioni che devono essere adempiute da colui che risulta essere proprietario al momento in cui la spesa viene sostenuta, vale a dire, nel caso di alienazion di una unità immobiliare, dal nuovo condomino che l 'ha acquistata: questi difatti, quale successore particolare del diritto oggetto del giudizio, deve soggiacere agli effetti prodotti dalla sentenza resa tra le parti originarie.
Una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un'unitòà immobiliare, non può essere chiesto ed emesso nei confronti dell'alienante, in capo al quale è cessatala qualità di condomino, un decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che l'obbligo di pagamento di questi ultimi sorge dal rapporto di natura reale che lega l'obbligoato alla proprietà dell'immobile. Venuto meno tale rapporto, l'obbligo del venditore per il pagamento di oneri condominiali deliberati dall'assemblea anche solo un giorn o dopo la vendita dell'immobile (Cass. n. 23686/2009).
Occorre però fare una netta DISTINZIONE TRA LE SPESE DOVUTE ALLA CONTROPARTE  a seguito della soccombenza del condominio in giudizio e QUELLE invece  DA VERSARE ALL'AVVOCATO CHE LO HA DIFESO.
 Quanto alle prime, l'acquirente può vedersi chiamato a far fronte alla richiesta di pagamento da parte dell'amministratore. Quanto alle seconde, la richiesta di pagamento può essere fatta al nuovo condomino solo nel caso in cui la delibera di dar corso o di resistere alla lite sia stata assunta entro l'anno contabile ni cui è avventuo l'acquisto o in quello immediatamente precedente, dovendosi applicare in tal caso il principio generale dettato dalla legge già indicato. Poichè infatti, l'obbligo di corrispondere il compenso al proprio difensore sorge con il conferimento a costui del mandato, l'acquirente dell'unità immobiliare sita in condominio è responsabile ni solido con il proprio venditore solo per le spese legali inerenti i giudizi introdotti a partire dall'anno contabile subito precedente il suo acquisto.
Maggiori problemi sorgono nel caso in cui all'acquirente sia richeisto di versare le SPESE RIGUARDANTI OPERE DI CARATTERE STRAORDINARIO  eseguite sull'immobile successivamente all'acquisto, ma autorizzate con delibera assembleare assunta anteriormente all'atto di compravendita. E' ormai consolidato il principio secondo cui l'obbligo del condomino di versare le spese di conservazione delle parti comuni deriva dalla concreta attuazione dei lavori e non già dalla preventiva approvazione della relativa  spesa e della ripartizione della stessa.
La decisione dell'assemblea ha infatti la funzione di rendere liquido il debito di ciascun partecipante e di quantificarne in concreto l'importo attraverso la successiva delibera di ripartizione della spesa.
Ne consegue che nel caso di vendita di un'unità immobiliare sita in un condominio,  TENUTO ALLA SPESA E' COLUI CHE RIVESTE LA QUALITA' DI CONDOMINO AL MOMENTO IN CUI VIENE ATTUATO L'INTERVENTO CONSERVATIVO in precedenza deliberato, anche perchè dall'esecuzione dei lavori deriva un incremento di valore delle parti comuni e, di conseguenza, anche delle singole unità immobiliari.
Si può quindi pacificamente affermare che la clausola inseita nell'atto di compravendita con cui il venitore si assume ogni onere in ordine a spese pregresse o a interventi deliberati prima della cessione del bene ha efficacia esclusivamente tra le parti contraenti e non è opponibile a lcondominio. Nulla impedisce all'amministratore di rivolgersi comunque all'acquirente per il pagamento di tali spese, salvo sempre il diritto di quest'ultimo di spiegare specifica azione di rivalsa nei confronti del proprio venditore per vedersi restituito ciò che abbia eventualmente pagato per tali titoli.


2. LA COMUNICAZIONE ALL'AMMINISTRATORE
L'amministratore deve conoscere chi sono i proprietari delle unità immobiliari che fanno parte del condominio da lui gestito. E' un dato che egli deve necessariamente avere per potere svolgere l'incarico conferitogli dall'assemblea e che anche tutti gli altri condomini hanno diritto, peraltro, di conoscere in quanto contitolari dello stesso diritto di comproprietà sulle parti comuni.
 Spesso accade che, in occasione della compravendita di un immobile, nessuna delle parti coinvoltre si premuri di comunicare tempestivamente l'intervenuta variazione nella titolarità del bene venduto. Il che crea non pochi problemi nella gestione, andando ad interferire  simile negligenza sulla regolare convocazione delle assemblee, sulla corretta ripartizione delle spese e, non da ultimo, sull'esatta individuazione di coloro che sono tenuti al pagamento delle spese condominiali. L'ONERE DI INFORMAZIONE DELL'AVVENUTO CAMBIAMENTO DI PROPRIETA' SPETTA ALL'ACQUIRENTE,  al punto che verso la collettività condominiale non può pretendere di essere considerato condomino sono a quando non abbia almeno comunicato all'amministratore l'avvenuto passaggio in capo a lui della proprietà del bene. A ciò consegue che,  IN ASSENZA DI TALE COMUNICAZIONE, L'AMMINISTRATORE NON HA L'OBBLIGO DI CONVOCARE IN ASSEMBLEA IL NUOVO ACQUIRENTE  e nè costui ha il diritto di impugnare le delibere assunte lamentando di non essere stato chiamato a partecipare alla riunione.
Nè può pretendersi dall'amministratore un continuo controllo degli atti di acquisto dei singoli condomini, non essendo egli tenuto a svolgere onerose e complesse indagini presso gli uffici pubblici per individuare coloro che effettivamente rivestono la qualità di condomino.


3. IL PRINCIPIO DELL'APPARENZA
Attenzione, però, perchè anche in difetto di formale comunicazione circa il cambiamento della proprietà l'amministratore che agisce in giudizio nei confronti del condomino moroso per il recupero delle spese da lui dovute deve eccezionalmente operare con l'estrema diligenza impostagli dalla legge nell'esecuzione del mandato. Nel condominio non può infatti trovare applicazione il principio generale secondo cui colui che si presenta e agisce come titolare di un diritto senza esserlo rispondecomunque delle obbligazioni conseguenti a tale sua presunta qualità. Ciò significa che LE QUOTE CONDOMINIALI DEVONO ESSERE RICHIESTE SOLO AL VERO CONDOMINO e non a chi, quale appunto potrebbe essere il venditore dell'immobile, continua a presentarsi come tale, partecipando alle assemblee esprimendo il proprio voto.


4. IL REGOLAMENTO
 L?obbligo di comunicazione del trasferimento della proprietà può anche essere inserito nel regolamento di  condominio, trattandosi di un vincolo finalizzato a rendere più spedita e corretta la gestione condominiale senza ledere alcun diritto dei condomini.  LA RELATIVA CLAUSOLA HA NATURA REGOLAMENTARE  e assume piena efficacia anche qualora sia stata deliberata dalla sola maggioranza dei condomini, a maggior ragione se contenuta in un regolamento di natura contrattuale e, come tale, accettato da tutti i condomini.


 5. NESSUNA PRESCRIZIONE PER LE SPESE CONDOMINIALI
LE SPESE VALIDAMENTE APPROVATE DALL'ASSEMBLEA NON SONO SOGGETTE A TERMINI DI PRESCRIZIONE  e il condomino è sempre tenuto a versarle in modo da consentire all'amministratore di continuare a gestire i beni comuni e a erogare i servizi in favore della collettività condominiale, indipendentemente dal ritardo con cui gliene viene fatta richiesta.
Se da un lato è pacifico che qualsiasi termine di prescrizione decorre dalla data in cui il credito diventa certo ed esigibile - e quindi, per il condominio, dal momento in cui l'assemblea approva in sede consuntiva la spesa ed il suo riparto - altrettanto vero è che il condomino moroso non può esimersi dal pagamento solo per il fatto che l'amministratore non lo abbia invitato a effettuare i versamenti di quanto da lui dovuto entro il termine di prescrizione del credito. La pretesa creditoria fatta valere dall'amministratore trova infatti ragione e fondamento nel mandato che viene a costui affidato per la gestione del condominio, nonchè nel dovere di ogni singolo condomino di fornire all'amministratore  mandatario la necessaria provvista per adempiere tutti quegli obblighi che la legge gl iimpone di svolgere nell'interesse comune, tra cui quello di pagae i fornitori del condominio, nonchè gli eventuali dipenenti. Gli impegni che l'amministratore assume in nime e per conto del condominio sono pur sempre riferibili ai singoli condomini, i quali, d'altro canto, sono tenuti al pagamento delle spese condominiali indipendentemente dalle deliberazioni assembleari e per il semplice fatto di essere comproprietari dei beni e degli impianti comuni. Applicare la prescrizione anche agli oneri condominiali vorrebbe dire impedire all'amministratore, decorso un certo tempo, di procurarsi dal condomino la necessaria provvista per eseguire il mandato che gli è stato conferito dall'assemblea dei condomini.
L'INTEMPESTIVA CORRESPONSIONE DELLA QUOTA CONDOMINIALE PUO'  semmai  COMPLICARE IL NORMALE SVOLGIMENTO DELLA GESTIONE CONDOMINIALE, obbligando l'amministratore a ritardare i pagamenti ai fornitori. Giammai può però liberare il condomino dal dovere di corrisponderla, nè tanto meno dal vincolo di solidarietà che con gli altri condomini egli assume nei confronti del terzo creditore del condominio. Questi infatti, che sia l'impresa addetta alle pulizie delle parti comuni piuttosto che quella che fornisce il combustibile per il riscaldamento, ha ili peno diritto di procedere giudizialmente verso ogni singolo condomino per ottenere il pagamento di quanto dovutigli dala condominio, nei limiti della prescrizione - decennale o quinquennale o ancora minore - prevista dalla legge a seconda del credito fatto valere, senza correre il rischio di vedersi eccepito, da parte del condomino,l'intervenuta minore prescrizione (semmai quinquennale) nel rapporto interno tra questi ed il condomino solo per il fatto che l'amministratore non gli ha tempestivamente richiesto il versamento di quanto da lui dovuto.

per comprare in condominio far chiarezza su tutte le spese

Capita spesso che, comprando un appartamento in condominio, ci si trovi involontariamente coinvolti in un contenzioso giudiziario di  cui neppure si aveva avuto preventiva notizia.
Quando si acquista si sta normalemtne attenti alle  SPESE CONDOMINIALI PREGRESSE, così che, ancor prima di andare dal notaio per il rogito, ci si premura di chiedere all'amministratore il rilascio di ampia dichiarazione attestante l'avvenuto pagramento di ogni sospeso da parte del venditore. Sebbene nel rogito venga espressamente dichiarato che le spese condominiali graveranno sull'acquirente a far tempo dalla sottoscrizione dell'atto di compravendita, verso il condominio permane la responsabilità SOLIDALE TRA VECCHIO E NUOVO PROPRIETARIO per tutte le spese inerenti alla getione in corso al momento dell'acquisto e quella precedente: così dispone, infatti, l'art. 63 disp. att. cod. civ.. L'accertarsi, dunque, dell'inesistenza di debiti pregressi rappresenta per chi acquista un'unità immobiliare in uno stabile condominiale un pimario incombente che, se non ottemperato, può riservare spiacevoli sorprese.
E' bene sottolineare che l'AMMINISTRATORE PUO' INDIFFERENTEMENTE AGIRE NEI CONFRONTI IA DEL VECCHIO CHE DEL NUOVO PROPRIETARIO per il recupero delle spese riguardanti il periodo temporale predetto. Il che significa che l'acquirente può essere chiamato dall'amministratore a pagare spese riguardanti un periodo in cui egli neppure era proprietario, purchè riferentesi alla gestione in corso al momento dell'acquisto oppure a quella immediatamente prima. Egli si sostituisce al venditore nel pagamento di quanto maturato anche prima del suo acquisto, restando però fermo il suo diritto di rivalsa nei confronti del venditore per il recupero di tutte le somme che egli sia stato costretto a versare al condominio.
 Non sempre però si presta la dovuta attenzione alle cause giudiziarie che, al momento della compravendita, magari vedono coinvolto il condominio verso terzi estranei oppure nei confronti dei singoli partecipanti alla collettività condominiale.
Il principio generale è che il CONDOMINO E' TWENUTO AL VERSAMENTO DELLE SPESE PER LA CONSERVAZIONE E PER LA MANUTENZIONE DELLE PARTI COMUNI  per il semplice fatto di essere proprietario di una unità immobiliare sita nel complesso condominiale.
Anche le SPESE LEGALI RIGUARDANTI LE CAUSE DEL CONDOMINIO COSTITUISCONO UN DEBITO PER QUOTE CONDOMINIALI e rientrano quindi nella categoria di obbligazioni che devono essere adempiute da colui che risulta essere proprietario al momento in cui la spesa viene sostenuta, vale a dire, nel caso di alienazion di una unità immobiliare, dal nuovo condomino che l 'ha acquistata: questi difatti, quale successore particolare del diritto oggetto del giudizio, deve soggiacere agli effetti prodotti dalla sentenza resa tra le parti originarie.
Una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un'unitòà immobiliare, non può essere chiesto ed emesso nei confronti dell'alienante, in capo al quale è cessatala qualità di condomino, un decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che l'obbligo di pagamento di questi ultimi sorge dal rapporto di natura reale che lega l'obbligoato alla proprietà dell'immobile. Venuto meno tale rapporto, l'obbligo del venditore per il pagamento di oneri condominiali deliberati dall'assemblea anche solo un giorn o dopo la vendita dell'immobile (Cass. n. 23686/2009).
Occorre però fare una netta DISTINZIONE TRA LE SPESE DOVUTE ALLA CONTROPARTE  a seguito della soccombenza del condominio in giudizio e QUELLE invece  DA VERSARE ALL'AVVOCATO CHE LO HA DIFESO.
 Quanto alle prime, l'acquirente può vedersi chiamato a far fronte alla richiesta di pagamento da parte dell'amministratore. Quanto alle seconde, la richiesta di pagamento può essere fatta al nuovo condomino solo nel caso in cui la delibera di dar corso o di resistere alla lite sia stata assunta entro l'anno contabile ni cui è avventuo l'acquisto o in quello immediatamente precedente, dovendosi applicare in tal caso il principio generale dettato dalla legge già indicato. Poichè infatti, l'obbligo di corrispondere il compenso al proprio difensore sorge con il conferimento a costui del mandato, l'acquirente dell'unità immobiliare sita in condominio è responsabile ni solido con il proprio venditore solo per le spese legali inerenti i giudizi introdotti a partire dall'anno contabile subito precedente il suo acquisto.
Maggiori problemi sorgono nel caso in cui all'acquirente sia richeisto di versare le SPESE RIGUARDANTI OPERE DI CARATTERE STRAORDINARIO  eseguite sull'immobile successivamente all'acquisto, ma autorizzate con delibera assembleare assunta anteriormente all'atto di compravendita. E' ormai consolidato il principio secondo cui l'obbligo del condomino di versare le spese di conservazione delle parti comuni deriva dalla concreta attuazione dei lavori e non già dalla preventiva approvazione della relativa  spesa e della ripartizione della stessa.
La decisione dell'assemblea ha infatti la funzione di rendere liquido il debito di ciascun partecipante e di quantificarne in concreto l'importo attraverso la successiva delibera di ripartizione della spesa.
Ne consegue che nel caso di vendita di un'unità immobiliare sita in un condominio,  TENUTO ALLA SPESA E' COLUI CHE RIVESTE LA QUALITA' DI CONDOMINO AL MOMENTO IN CUI VIENE ATTUATO L'INTERVENTO CONSERVATIVO in precedenza deliberato, anche perchè dall'esecuzione dei lavori deriva un incremento di valore delle parti comuni e, di conseguenza, anche delle singole unità immobiliari.
Si può quindi pacificamente affermare che la clausola inseita nell'atto di compravendita con cui il venitore si assume ogni onere in ordine a spese pregresse o a interventi deliberati prima della cessione del bene ha efficacia esclusivamente tra le parti contraenti e non è opponibile a lcondominio. Nulla impedisce all'amministratore di rivolgersi comunque all'acquirente per il pagamento di tali spese, salvo sempre il diritto di quest'ultimo di spiegare specifica azione di rivalsa nei confronti del proprio venditore per vedersi restituito ciò che abbia eventualmente pagato per tali titoli.

2. LA COMUNICAZIONE ALL'AMMINISTRATORE
L'amministratore deve conoscere chi sono i proprietari delle unità immobiliari che fanno parte del condominio da lui gestito. E' un dato che egli deve necessariamente avere per potere svolgere l'incarico conferitogli dall'assemblea e che anche tutti gli altri condomini hanno diritto, peraltro, di conoscere in quanto contitolari dello stesso diritto di comproprietà sulle parti comuni.
 Spesso accade che, in occasione della compravendita di un immobile, nessuna delle parti coinvoltre si premuri di comunicare tempestivamente l'intervenuta variazione nella titolarità del bene venduto. Il che crea non pochi problemi nella gestione, andando ad interferire  simile negligenza sulla regolare convocazione delle assemblee, sulla corretta ripartizione delle spese e, non da ultimo, sull'esatta individuazione di coloro che sono tenuti al pagamento delle spese condominiali. L'ONERE DI INFORMAZIONE DELL'AVVENUTO CAMBIAMENTO DI PROPRIETA' SPETTA ALL'ACQUIRENTE,  al punto che verso la collettività condominiale non può pretendere di essere considerato condomino sono a quando non abbia almeno comunicato all'amministratore l'avvenuto passaggio in capo a lui della proprietà del bene. A ciò consegue che,  IN ASSENZA DI TALE COMUNICAZIONE, L'AMMINISTRATORE NON HA L'OBBLIGO DI CONVOCARE IN ASSEMBLEA IL NUOVO ACQUIRENTE  e nè costui ha il diritto di impugnare le delibere assunte lamentando di non essere stato chiamato a partecipare alla riunione.
Nè può pretendersi dall'amministratore un continuo controllo degli atti di acquisto dei singoli condomini, non essendo egli tenuto a svolgere onerose e complesse indagini presso gli uffici pubblici per individuare coloro che effettivamente rivestono la qualità di condomino.

3. IL PRINCIPIO DELL'APPARENZA
Attenzione, però, perchè anche in difetto di formale comunicazione circa il cambiamento della proprietà l'amministratore che agisce in giudizio nei confronti del condomino moroso per il recupero delle spese da lui dovute deve eccezionalmente operare con l'estrema diligenza impostagli dalla legge nell'esecuzione del mandato. Nel condominio non può infatti trovare applicazione il principio generale secondo cui colui che si presenta e agisce come titolare di un diritto senza esserlo rispondecomunque delle obbligazioni conseguenti a tale sua presunta qualità. Ciò significa che LE QUOTE CONDOMINIALI DEVONO ESSERE RICHIESTE SOLO AL VERO CONDOMINO e non a chi, quale appunto potrebbe essere il venditore dell'immobile, continua a presentarsi come tale, partecipando alle assemblee esprimendo il proprio voto.

4. IL REGOLAMENTO
 L?obbligo di comunicazione del trasferimento della proprietà può anche essere inserito nel regolamento di  condominio, trattandosi di un vincolo finalizzato a rendere più spedita e corretta la gestione condominiale senza ledere alcun diritto dei condomini.  LA RELATIVA CLAUSOLA HA NATURA REGOLAMENTARE  e assume piena efficacia anche qualora sia stata deliberata dalla sola maggioranza dei condomini, a maggior ragione se contenuta in un regolamento di natura contrattuale e, come tale, accettato da tutti i condomini.

 5. NESSUNA PRESCRIZIONE PER LE SPESE CONDOMINIALI
LE SPESE VALIDAMENTE APPROVATE DALL'ASSEMBLEA NON SONO SOGGETTE A TERMINI DI PRESCRIZIONE  e il condomino è sempre tenuto a versarle in modo da consentire all'amministratore di continuare a gestire i beni comuni e a erogare i servizi in favore della collettività condominiale, indipendentemente dal ritardo con cui gliene viene fatta richiesta.
Se da un lato è pacifico che qualsiasi termine di prescrizione decorre dalla data in cui il credito diventa certo ed esigibile - e quindi, per il condominio, dal momento in cui l'assemblea approva in sede consuntiva la spesa ed il suo riparto - altrettanto vero è che il condomino moroso non può esimersi dal pagamento solo per il fatto che l'amministratore non lo abbia invitato a effettuare i versamenti di quanto da lui dovuto entro il termine di prescrizione del credito. La pretesa creditoria fatta valere dall'amministratore trova infatti ragione e fondamento nel mandato che viene a costui affidato per la gestione del condominio, nonchè nel dovere di ogni singolo condomino di fornire all'amministratore  mandatario la necessaria provvista per adempiere tutti quegli obblighi che la legge gl iimpone di svolgere nell'interesse comune, tra cui quello di pagae i fornitori del condominio, nonchè gli eventuali dipenenti. Gli impegni che l'amministratore assume in nime e per conto del condominio sono pur sempre riferibili ai singoli condomini, i quali, d'altro canto, sono tenuti al pagamento delle spese condominiali indipendentemente dalle deliberazioni assembleari e per il semplice fatto di essere comproprietari dei beni e degli impianti comuni. Applicare la prescrizione anche agli oneri condominiali vorrebbe dire impedire all'amministratore, decorso un certo tempo, di procurarsi dal condomino la necessaria provvista per eseguire il mandato che gli è stato conferito dall'assemblea dei condomini.
L'INTEMPESTIVA CORRESPONSIONE DELLA QUOTA CONDOMINIALE PUO'  semmai  COMPLICARE IL NORMALE SVOLGIMENTO DELLA GESTIONE CONDOMINIALE, obbligando l'amministratore a ritardare i pagamenti ai fornitori. Giammai può però liberare il condomino dal dovere di corrisponderla, nè tanto meno dal vincolo di solidarietà che con gli altri condomini egli assume nei confronti del terzo creditore del condominio. Questi infatti, che sia l'impresa addetta alle pulizie delle parti comuni piuttosto che quella che fornisce il combustibile per il riscaldamento, ha ili peno diritto di procedere giudizialmente verso ogni singolo condomino per ottenere il pagamento di quanto dovutigli dala condominio, nei limiti della prescrizione - decennale o quinquennale o ancora minore - prevista dalla legge a seconda del credito fatto valere, senza correre il rischio di vedersi eccepito, da parte del condomino,l'intervenuta minore prescrizione (semmai quinquennale) nel rapporto interno tra questi ed il condomino solo per il fatto che l'amministratore non gli ha tempestivamente richiesto il versamento di quanto da lui dovuto.

martedì 15 giugno 2010

Diritto alla pensione, anzianità contributiva e lavoratori part-time

Corte di Giustizia UE: calcolo anzianità contributiva in caso di part time verticale


Secondo la Corte di Giustizia la disciplina comunitaria deve essere interpretata, con riferimento alle pensioni, nel senso che osta a una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive.

La questione riguarda da vicino l'Italia in quanto le domande di pronuncia pregiudiziale formulate alla Corte di Giustizia, relative all’interpretazione della direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, sono state proposte nell’ambito di una serie di controversie nelle quali l’INPS si contrappone a diversi ricorrenti, in merito alla determinazione dell’anzianità maturata ai fini del calcolo del diritto alla pensione.

In sostanza la Corte di Giustizia ha rilevato che "il principio del pro rata temporis non è applicabile alla determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione, in quanto questa dipende esclusivamente dall’anzianità contributiva maturata dal lavoratore. Questa anzianità corrisponde, infatti, alla durata effettiva del rapporto di lavoro e non alla quantità di lavoro fornita nel corso della relazione stessa. Il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno implica quindi che l’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati".

Ciò in contrasto con quanto sostenuto dall'Italia e dall'INPS, sulla legittimità del sistema in essere a norma del quale: "Per un lavoratore a tempo pieno, il periodo di tempo preso in considerazione per il calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione coincide con quello del rapporto di lavoro. Per contro, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, l’anzianità non viene conteggiata sulla stessa base, poiché essa è calcolata sulla sola durata dei periodi effettivamente lavorati tenuto conto della riduzione degli orari di lavoro. In questo modo, un lavoratore a tempo pieno beneficia, per un periodo d’impiego di dodici mesi consecutivi, di un anno di anzianità ai fini della determinazione della data in cui può rivendicare il diritto alla pensione. Per contro, ad un lavoratore in una situazione comparabile che abbia optato, secondo la formula del tempo parziale di tipo verticale ciclico, per una riduzione del 25% del suo orario di lavoro, sarà accreditata, per lo stesso periodo, un’anzianità pari al 75% soltanto di quella del suo collega che lavora a tempo pieno, e questo per il solo motivo che egli lavora a tempo parziale. Ne consegue che, sebbene i loro contratti di lavoro abbiano una durata effettiva equivalente, il lavoratore a tempo parziale matura l’anzianità contributiva utile ai fini della pensione con un ritmo più lento del lavoratore a tempo pieno. Si tratta quindi di una differenza di trattamento basata sul solo motivo del lavoro a tempo parziale".


(Corte di Giustizia CE, Sentenza 10 giugno
2010: Direttiva 97/81/CE – Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale – Parità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno – Calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione – Esclusione dei periodi non lavorati – Discriminazione)

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...