mercoledì 2 dicembre 2009

Tettoie lignee: Quando il permesso di costruire non serve ....

Illegittima l'ordinanza di demolizione di una tettoia lignea di modeste dimensioni







TAR Abruzzo-Pescara, sez. I, sentenza 29.10.2009 n° 645 (Alessandro Del Dotto)





Una tettoia in legno di medie dimensioni (nella specie di mt. 7,5 x 4,70) costruita a servizio del fabbricato sulla cui parete esterna si appoggia, tenuto conto delle sue dimensioni e di questa sua specifica funzione e collocazione, non può considerarsi né opera di "ristrutturazione edilizia" ai sensi della lett. d) dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, né di "nuova costruzione" ai sensi dei punto e.1 ed e.6. dello stesso art. 3, atteso che nel provvedimento impugnato non si menzionano vincoli ambientali o paesaggistici o specifiche e contrarie disposizioni delle n.t.a. del p.r.g..





















Una tettoia di modeste dimensioni e in legno non può essere ricondotta nell’ambito degli interventi che l’art. 10, I comma, del d.P.R. n. 380/2001 sottopone a preventivo permesso di costruire, ma, più correttamente, a quelli sottoposti a preventiva denuncia di inizio attività ai sensi del successivo art. 22, I comma, non essendo ravvisabile, di contro, alcuna delle ipotesi che il precedente art.6 considera attività edilizia libera. Pertanto, la sanzione applicabile è quella pecuniaria prevista dall’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 e non la demolizione prevista dall’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001.





















Con questa condivisibile motivazione, il T.A.R. abruzzese ha deciso che non era legittimo il provvedimento demolitorio emesso dal Comune per la distruzione di una tettoia in legno “di modeste dimensioni”, a fronte della costruzione sine titulo della quale l’ente locale avrebbe solo potuto apporre sanzioni.





















Si osservi, tuttavia, che lo stesso Giudice lascia intendere che, invero, avrebbero potuto esservi motivazioni diverse per la demolizione del manufatto, ad esempio “atteso che nel provvedimento impugnato non si menzionano vincoli ambientali o paesaggistici o specifiche e contrarie disposizioni delle n.t.a. del p.r.g.”.













(Altalex, 23 novembre 2009. Nota di Alessandro Del Dotto)

















T.A.R.



Abruzzo - Pescara



Sezione I













Sentenza 29 ottobre 2009, n. 645













(Pres. Eliantonio, Est. Ranalli)





























REPUBBLICA ITALIANA













IN NOME DEL POPOLO ITALIANO













Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo













sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)













ha pronunciato la presente













SENTENZA













sul ricorso n. 643 del 2004 proposto da D. N., rappresentato e difeso Biase Di Candido e dall’avv. Roberto Tartaglia, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Pescara, Via Gramsci n.3;













contro













il COMUNE di SAN SALVO, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Walter Putaturo, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Pescra, Via Marco Polo n.106;













nei confronti di













Ufficio Tecnico del Comune di San Salvo, in persona del responsabile pro-tempore, non costituito in giudizio;













per l'annullamento













- del provvedimento 26.8.2004 con cui il Responsabile del Servizio urbanistica ha ordinato al ricorrente la demolizione di una tettoia in legno;













- di ogni altro atto presupposto, conseguente e connesso.













Visto il ricorso con i relativi allegati, notificato il 13.11.2004 e depositato il 13.12.2004; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;













Vista l’ordinanza 13 gennaio 2005 n. 13 con cui questo Tribunale ha accolto la domanda cautelare proposta ai sensi dell’art. 21 della legge n.1034/1971;













Visti gli atti tutti della causa;













Relatore, alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2009, il Cons. Luigi Ranalli ed uditi i difensori delle parti, come da relativo verbale;













Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:













FATTO E DIRITTO













I- A seguito di quanto accertato dalla Polizia municipale il 4.8.2004, il Responsabile del Servizio urbanistica del Comune di San Salvo, richiamato l’art. 33 del d.P.R. n.380/2001, con atto del 27.8.2004 n.17867, notificato il 6.9.2004, ha ordinato D. N., proprietario, la demolizione della tettoia in legno (m 7,5 x 4,70) realizzata senza permesso di costruire con un lato sul muro di cinta a delimitazione della proprietà e per l’altro lato sulla parete esterna del fabbricato in via Galilei n.15.













Il provvedimento è stato impugnato dall’interessato con il ricorso in esame, deducendosi la violazione dell’art. 10 del d.P.R. n.380/2001, in quanto si tratta di pertinenza con volume inferiore al 20% dell’edificio cui accede, non soggetta a permesso di costruire ma, eventualmente, a denuncia di inizio attività.













La difesa del Comune di San Salvo con l’atto di costituzione in giudizio ha chiesto che il ricorso sia respinto in quanto infondato, avendo la tettoia modificato la sagoma dell’edificio e trasformato il muro di cinta in un corpo aggiunto.













II- Tanto premesso, il Collegio considera fondato il dedotto ed unico motivo di gravame.













La tettoia è chiaramente a servizio del fabbricato sulla cui parete esterna si appoggia e tenuto conto delle sue dimensioni e di questa sua specifica funzione e collocazione, non può considerarsi né opera di "ristrutturazione edilizia" ai sensi della lett. d) dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, né di "nuova costruzione" ai sensi dei punto e.1 ed e.6. dello stesso art. 3, atteso che nel provvedimento impugnato non si menzionano vincoli ambientali o paesaggistici o specifiche e contrarie disposizioni delle n.t.a. del p.r.g..













La tettoia non può, quindi, essere ricondotta nell’ambito degli interventi che l’art. 10, I comma, del d.P.R. n.380/2001 sottopone a preventivo permesso di costruire, ma, più correttamente, a quelli sottoposti a preventiva denuncia di inizio attività ai sensi del successivo art. 22, I comma, non essendo ravvisabile, di contro, alcuna delle ipotesi che il precedente art.6 considera attività edilizia libera.













La sanzione applicabile era, quindi, quella pecuniaria prevista dall’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 e non la demolizione prevista dal precedente art. 33.













Il ricorso va, dunque, accolto.













Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nell’importo in dispositivo fissato, tenuto conto della fase cautelare.













P.Q.M.













Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, accoglie il ricorso in epigrafe indicato e, per l’effetto, annulla l’ordine di demolizione adottato il 27.8.2004 n.17867 dal Responsabile del Servizio urbanistica del Comune di San Salvo.













Condanna il Comune di San Salvo al pagamento della somma di Euro 3.000,00 (tremila/00) a favore del ricorrente D. N., per spese di giudizio.













Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.













Così deciso in Pescara, nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2009, con l’intervento di:













Michele Eliantonio, Presidente FF













Dino Nazzaro, Consigliere













Luigi Ranalli, Consigliere, Estensore













DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 29/10/2009.

Tettoie lignee: Quando il permesso di costruire non serve ....

Illegittima l'ordinanza di demolizione di una tettoia lignea di modeste dimensioni



TAR Abruzzo-Pescara, sez. I, sentenza 29.10.2009 n° 645 (Alessandro Del Dotto)


Una tettoia in legno di medie dimensioni (nella specie di mt. 7,5 x 4,70) costruita a servizio del fabbricato sulla cui parete esterna si appoggia, tenuto conto delle sue dimensioni e di questa sua specifica funzione e collocazione, non può considerarsi né opera di "ristrutturazione edilizia" ai sensi della lett. d) dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, né di "nuova costruzione" ai sensi dei punto e.1 ed e.6. dello stesso art. 3, atteso che nel provvedimento impugnato non si menzionano vincoli ambientali o paesaggistici o specifiche e contrarie disposizioni delle n.t.a. del p.r.g..










Una tettoia di modeste dimensioni e in legno non può essere ricondotta nell’ambito degli interventi che l’art. 10, I comma, del d.P.R. n. 380/2001 sottopone a preventivo permesso di costruire, ma, più correttamente, a quelli sottoposti a preventiva denuncia di inizio attività ai sensi del successivo art. 22, I comma, non essendo ravvisabile, di contro, alcuna delle ipotesi che il precedente art.6 considera attività edilizia libera. Pertanto, la sanzione applicabile è quella pecuniaria prevista dall’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 e non la demolizione prevista dall’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001.










Con questa condivisibile motivazione, il T.A.R. abruzzese ha deciso che non era legittimo il provvedimento demolitorio emesso dal Comune per la distruzione di una tettoia in legno “di modeste dimensioni”, a fronte della costruzione sine titulo della quale l’ente locale avrebbe solo potuto apporre sanzioni.










Si osservi, tuttavia, che lo stesso Giudice lascia intendere che, invero, avrebbero potuto esservi motivazioni diverse per la demolizione del manufatto, ad esempio “atteso che nel provvedimento impugnato non si menzionano vincoli ambientali o paesaggistici o specifiche e contrarie disposizioni delle n.t.a. del p.r.g.”.






(Altalex, 23 novembre 2009. Nota di Alessandro Del Dotto)








T.A.R.

Abruzzo - Pescara

Sezione I






Sentenza 29 ottobre 2009, n. 645






(Pres. Eliantonio, Est. Ranalli)














REPUBBLICA ITALIANA






IN NOME DEL POPOLO ITALIANO






Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo






sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)






ha pronunciato la presente






SENTENZA






sul ricorso n. 643 del 2004 proposto da D. N., rappresentato e difeso Biase Di Candido e dall’avv. Roberto Tartaglia, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Pescara, Via Gramsci n.3;






contro






il COMUNE di SAN SALVO, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Walter Putaturo, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Pescra, Via Marco Polo n.106;






nei confronti di






Ufficio Tecnico del Comune di San Salvo, in persona del responsabile pro-tempore, non costituito in giudizio;






per l'annullamento






- del provvedimento 26.8.2004 con cui il Responsabile del Servizio urbanistica ha ordinato al ricorrente la demolizione di una tettoia in legno;






- di ogni altro atto presupposto, conseguente e connesso.






Visto il ricorso con i relativi allegati, notificato il 13.11.2004 e depositato il 13.12.2004; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;






Vista l’ordinanza 13 gennaio 2005 n. 13 con cui questo Tribunale ha accolto la domanda cautelare proposta ai sensi dell’art. 21 della legge n.1034/1971;






Visti gli atti tutti della causa;






Relatore, alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2009, il Cons. Luigi Ranalli ed uditi i difensori delle parti, come da relativo verbale;






Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:






FATTO E DIRITTO






I- A seguito di quanto accertato dalla Polizia municipale il 4.8.2004, il Responsabile del Servizio urbanistica del Comune di San Salvo, richiamato l’art. 33 del d.P.R. n.380/2001, con atto del 27.8.2004 n.17867, notificato il 6.9.2004, ha ordinato D. N., proprietario, la demolizione della tettoia in legno (m 7,5 x 4,70) realizzata senza permesso di costruire con un lato sul muro di cinta a delimitazione della proprietà e per l’altro lato sulla parete esterna del fabbricato in via Galilei n.15.






Il provvedimento è stato impugnato dall’interessato con il ricorso in esame, deducendosi la violazione dell’art. 10 del d.P.R. n.380/2001, in quanto si tratta di pertinenza con volume inferiore al 20% dell’edificio cui accede, non soggetta a permesso di costruire ma, eventualmente, a denuncia di inizio attività.






La difesa del Comune di San Salvo con l’atto di costituzione in giudizio ha chiesto che il ricorso sia respinto in quanto infondato, avendo la tettoia modificato la sagoma dell’edificio e trasformato il muro di cinta in un corpo aggiunto.






II- Tanto premesso, il Collegio considera fondato il dedotto ed unico motivo di gravame.






La tettoia è chiaramente a servizio del fabbricato sulla cui parete esterna si appoggia e tenuto conto delle sue dimensioni e di questa sua specifica funzione e collocazione, non può considerarsi né opera di "ristrutturazione edilizia" ai sensi della lett. d) dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, né di "nuova costruzione" ai sensi dei punto e.1 ed e.6. dello stesso art. 3, atteso che nel provvedimento impugnato non si menzionano vincoli ambientali o paesaggistici o specifiche e contrarie disposizioni delle n.t.a. del p.r.g..






La tettoia non può, quindi, essere ricondotta nell’ambito degli interventi che l’art. 10, I comma, del d.P.R. n.380/2001 sottopone a preventivo permesso di costruire, ma, più correttamente, a quelli sottoposti a preventiva denuncia di inizio attività ai sensi del successivo art. 22, I comma, non essendo ravvisabile, di contro, alcuna delle ipotesi che il precedente art.6 considera attività edilizia libera.






La sanzione applicabile era, quindi, quella pecuniaria prevista dall’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 e non la demolizione prevista dal precedente art. 33.






Il ricorso va, dunque, accolto.






Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nell’importo in dispositivo fissato, tenuto conto della fase cautelare.






P.Q.M.






Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, accoglie il ricorso in epigrafe indicato e, per l’effetto, annulla l’ordine di demolizione adottato il 27.8.2004 n.17867 dal Responsabile del Servizio urbanistica del Comune di San Salvo.






Condanna il Comune di San Salvo al pagamento della somma di Euro 3.000,00 (tremila/00) a favore del ricorrente D. N., per spese di giudizio.






Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.






Così deciso in Pescara, nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2009, con l’intervento di:






Michele Eliantonio, Presidente FF






Dino Nazzaro, Consigliere






Luigi Ranalli, Consigliere, Estensore






DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 29/10/2009.

Alcune precisazioni sulla quantificazione del danno da irragionevole durata del processo

Equa riparazione, quantificazione del danno non patrimoniale, criteri, precisazioni







Cassazione civile , sez. I, sentenza 14.10.2009 n° 21840













La quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo. Tuttavia, tale cifra deve valere in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non deve essere inferiore a euro 1000 per quelli successivi, in quanto l'irragionevole durata eccedente quest’ultimo periodo determina uevidente aggravamento del danno. (1-2)













(*) Riferimenti normativi: Legge n. 89/2001.





1) In tema di ansia come danno non patrimoniale derivante da irragionevole durata del processo, si veda Corte d'Appello Potenza, sez. lavoro, decreto 10.03.2009.





(2) Si veda il focus di L. Viola: Equa riparazione da irragionevole durata del processo: le novità giurisprudenziali.













(Fonte: Altalex Massimario 41/2009. Cfr. nota di Giuseppe Mommo)











SEZIONE I CIVILE













Sentenza 14 ottobre 2009, n. 21840









Svolgimento del processo













I.V. adiva la Corte d'appello di Napoli, allo scopo di ottenere l'equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al T.a.r. per la Campania, avente ad oggetto la corresponsione di contributi per l'assistenza prestata ad un proprio familiare, proposto nel luglio 1997, deciso con sentenza del 16.3.01, appellata innanzi al Consiglio di Stato.













La Corte d'appello, con decreto del 24.1.2006, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre (in relazione alla domanda concernente il giudizio di primo grado), liquidava per il danno non patrimoniale, per il tempo eccedente detto termine (mesi otto), Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo, quindi, complessivi Euro 334,00, oltre interessi legali dalla data del decreto, condannando la Presidenza del Consiglio dei ministri a pagare le spese del giudizio.













Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso, I. V., affidato a dieci motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.













Motivi della decisione













1.- La ricorrente, con i motivi da 1 a 6 e 10^, denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 6 1 CEDU, della L. n. 89 del 2001 e degli artt. 112 e 132 c.p.c., nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5); dopo avere richiamato una serie di sentenze della Corte di Strasburgo e di questa Corte, sulla premessa dell'efficacia vincolante per il giudice nazionale sia della CEDU, sia della giurisprudenza della Corte EDU, pone le seguenti questioni (riassunte nel primo motivo, ma sostanzialmente reiterate negli altri mezzi, anche in difformità rispetto alla sintesi datane nella rubrica degli stessi):













la liquidazione dell'equa riparazione andrebbe effettuata avendo riguardo all'intera durata del giudizio; il giudice nazionale non potrebbe discostarsi dal parametro stabilito dal giudice europeo (Euro 1.500,00 per anno); nelle cause concernenti controversie di lavoro e/o previdenziali dovrebbe essere riconosciuto un bonus di Euro 2.000,00 e, se il giudice nazionale ciò non fa, incorrerebbe in omessa pronuncia e vizio di motivazione (motivi 2-4 e 6), mentre il ritardo nel deposito dell'istanza di prelievo potrebbe rilevare esclusivamente ai fini della quantificazione del risarcimento (motivo 5); in relazione a detti profili la motivazione del decreto sarebbe viziata (motivo 10).













1.1.- Con i motivi da 7 a 9, è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 6 CEDU e dell'art. 1 del protocollo addizionale, degli artt. 91 e 92 c.p.c., delle tariffe professionali ed omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.), nonchè difetto di motivazione nella parte in cui il decreto avrebbe quantificato in misura insufficiente le spese del giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, art. 132 c.p.c.), discostandosi dai criteri della Corte EDU e dalle liquidazioni operate da questa Corte, non applicando le voci della tariffa prevista per i giudizi contenziosi e riducendo senza motivazione gli importi asseritamente dovuti.













2.- Il ricorso proposto dall'avv. M.A.L., in proprio, quale antistatario, e inammissibile, perchè proposto da soggetto non legittimato.













Secondo l'orientamento di questa Corte, al quale va data continuità, la qualità di procuratore della parte nei cui confronti è stata pronunziata la sentenza impugnata non abilita il suo titolare alla proposizione dell'impugnazione in proprio, neanche quando si controverta unicamente sul punto delle spese processuali, salvo che lo stesso procuratore non ne sia dichiarato antistatario ed i motivi delle proposte censure attengano alla concessione della distrazione (Cass., n. 20321 del 2005; n. 4973 del 1993; n. 7597 del 1990).













Pertanto, resta preclusa al difensore distrattario l'impugnazione in proprio, con riferimento alla pronuncia sulle spese, quando essa attenga alla loro adeguatezza, ovvero all'an, poichè in questa ipotesi l'unica legittimata a sollevare doglianze in merito è la parte rappresentata, quale soggetto comunque obbligato, nel rapporto con il professionista, a soddisfarlo delle sue pretese (Cass. n. 16717 del 2008, n. 11566 del 2008). Il difensore che ha chiesto la distrazione diviene, infatti, parte del giudizio solo nel caso in cui sorga controversia sul provvedimento che ha disposto la distrazione o se il giudice a quo abbia omesso di provvedere sull'istanza (Cass., n. 20121 del 2005; n. 13290 del 2003; n. 12204 del 2003).













In relazione a detto ricorso non deve essere resa pronuncia sulle spese, in quanto la Presidenza del Consiglio dei ministri non ha svolto attività difensiva in riferimento al medesimo.













3.- Preliminarmente, va ribadito che alla pronuncia di accoglimento parziale per manifesta fondatezza, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, non ostano le conclusioni del F.G., poichè che la decisione del ricorso presenta aspetti d'evidenza compatibili con l'immediata decisione, sia pure in senso difforme a dette conclusioni (Cass. n. 5704 del 2008; n. 23842 e n. 13748 del 2007).













I motivi sintetizzati nel p. 1, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente fondati entro i termini e nei limiti di seguito precisati.













Alle questioni poste con detti mezzi va data soluzione ribadendo i seguenti principi, più volti affermati da questa Corte:













il giudice italiano deve interpretare la L. n. 89 del 2001 in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della L. n. 89 del 2001; qualora ciò non sia possibile ed egli dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto all'art. 117 Cost., comma 1, restando escluso che possa procedere alla "non applicazione" della prima (Corte cost. n. 348 e n. 349 del 2007; in riferimento alla legge in esame Cass. S.U. n. 1338 del 2004);













la precettività, per il giudice nazionale, della giurisprudenza della Corte EDU non concerne il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo per l'equa riparazione, essendo per il primo vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è rilevante soltanto il periodo eccedente il termine ragionevole, in virtù di una modalità di calcolo che non incide sulla complessiva attitudine di detta legge ad assicurare l'obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata de processo (per tutte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 1566 e n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007);













i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea, che ha fissato un parametro tendenziale di Euro 1.000,00/Euro 1.500,00 per anno, non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali:













l'entità della "posta in gioco", apprezzata in comparazione con la situazione economico-patrimoniale della parte, che questa ha l'onere di allegare e dedurre; il "numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento"; il comportamento della parte istante, sicchè rileva anche il ritardo c/o la mancata presentazione della cd. istanza di prelievo, la quale non incide sul termine di durata ragionevole, ma bene può essere assunto come sintomo di uno attenuato interesse per la controversia; per tutte, Cass. n. 4572 e n. 3515 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, a quelle da ultimo richiamate, aggiungi Cass. n. 6039 del 2009; n. 6898 del 2008);













in virtù della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano, elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale (costituiti appunto, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell'istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l'esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, la quantificazione, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservalo in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di L. 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l'irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno;













le norme disciplinatrici della fattispecie non permettono di riconoscere una ulteriore somma arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell'oggetto e della natura della controversia, poichè il giudice europeo ha affermato che una somma più elevata rispetto al suindicato parametro va riconosciuta, qualora la controversia rivesta una certa importanza, facendo un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali, senza che ciò implichi alcun automatismo, significando soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008); quindi, il giudice del merito può attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, restando escluso uno specifico obbligo di motivazione e/o di pronuncia sul punto, da ritenersi quest'ultima implicita nella liquidazione del danno, con la conseguenza che, se il giudice non si pronuncia sul cd. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (così, tra le altre, Cass. n. 7073, n. 6039 e n. 3515 del 2009; n. 18012 e n. 6898 del 2008).













In applicazione di detti principi, le censure in esame sono manifestamente fondate nella parte in cui il decreto ha liquidato l'equa riparazione nella misura di Euro 500,00 per anno di ritardo, in considerazione del non rilevante valore economico della causa.













Infatti, si tratta di circostanza certo valutabile e che, tuttavia, legittimava una riduzione del parametro minimo della Corte EDU che, secondo l'orientamento di questa Corte, per essere ragionevole non poteva scendere al di sotto di Euro 750,00 per anno di ritardo.













In relazione alle censure accolte, il decreto deve essere cassato con conseguente assorbimento dei motivi concernenti le spese, dovendo comunque esserne effettuata la riliquidazione - e la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.













Pertanto, in applicazione dello standard minimo CEDU - che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius -, individuato nella somma di Euro 750,00 per ciascun anno di ritardo il parametro di indennizzo del danno non patrimoniale (la motivazione della Corte d'appello sullo scarso interesse per il giudizio non è stata adeguatamente censurata e permette di applicare detto parametro), va riconosciuta all'istante la complessiva somma di Euro 500,00, in relazione agli anni eccedenti il triennio (mesi otto, come incensurabilmente accertato dal giudice del merito), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.













Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza - distratte in favore del difensore, per dichiarazione di anticipo - quanto al giudizio di merito e per la metà quanto alla presente fase, dichiarando compensata la residua parte, sussistendo giusti motivi, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso.













P.Q.M.













La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dall'avv. M. A.L., in proprio, quale antistatario; accoglie i primi sei motivi ed il decimo motivo del ricorso, per quanto di ragione, nei termini precisati in motivazione - assorbiti i restanti motivi, concernenti la liquidazione delle spese del giudizio -, cassa il decreto impugnalo e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere alla ricorrente la complessiva somma di Euro 500,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo ed oltre alle spese processuali - per la metà, quanto alla presente fase, compensandosi la restante parte - distratte in favore dell'avv. M.A.L. e liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 905,00 (di cui Euro 385,00 per diritti ed Euro 420,00 per onorari) e, quanto al giudizio di legittimità - per la metà, dichiarando compensata la residua parte - in Euro 450,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.





Dispone che la Cancelleria provveda alle comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.







Così deciso in Roma, il 30 settembre 2009.







Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2009.

Alcune precisazioni sulla quantificazione del danno da irragionevole durata del processo

Equa riparazione, quantificazione del danno non patrimoniale, criteri, precisazioni



Cassazione civile , sez. I, sentenza 14.10.2009 n° 21840






La quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo. Tuttavia, tale cifra deve valere in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non deve essere inferiore a euro 1000 per quelli successivi, in quanto l'irragionevole durata eccedente quest’ultimo periodo determina uevidente aggravamento del danno. (1-2)






(*) Riferimenti normativi: Legge n. 89/2001.


1) In tema di ansia come danno non patrimoniale derivante da irragionevole durata del processo, si veda Corte d'Appello Potenza, sez. lavoro, decreto 10.03.2009.


(2) Si veda il focus di L. Viola: Equa riparazione da irragionevole durata del processo: le novità giurisprudenziali.






(Fonte: Altalex Massimario 41/2009. Cfr. nota di Giuseppe Mommo)





SEZIONE I CIVILE






Sentenza 14 ottobre 2009, n. 21840




Svolgimento del processo






I.V. adiva la Corte d'appello di Napoli, allo scopo di ottenere l'equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al T.a.r. per la Campania, avente ad oggetto la corresponsione di contributi per l'assistenza prestata ad un proprio familiare, proposto nel luglio 1997, deciso con sentenza del 16.3.01, appellata innanzi al Consiglio di Stato.






La Corte d'appello, con decreto del 24.1.2006, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre (in relazione alla domanda concernente il giudizio di primo grado), liquidava per il danno non patrimoniale, per il tempo eccedente detto termine (mesi otto), Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo, quindi, complessivi Euro 334,00, oltre interessi legali dalla data del decreto, condannando la Presidenza del Consiglio dei ministri a pagare le spese del giudizio.






Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso, I. V., affidato a dieci motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.






Motivi della decisione






1.- La ricorrente, con i motivi da 1 a 6 e 10^, denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 6 1 CEDU, della L. n. 89 del 2001 e degli artt. 112 e 132 c.p.c., nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5); dopo avere richiamato una serie di sentenze della Corte di Strasburgo e di questa Corte, sulla premessa dell'efficacia vincolante per il giudice nazionale sia della CEDU, sia della giurisprudenza della Corte EDU, pone le seguenti questioni (riassunte nel primo motivo, ma sostanzialmente reiterate negli altri mezzi, anche in difformità rispetto alla sintesi datane nella rubrica degli stessi):






la liquidazione dell'equa riparazione andrebbe effettuata avendo riguardo all'intera durata del giudizio; il giudice nazionale non potrebbe discostarsi dal parametro stabilito dal giudice europeo (Euro 1.500,00 per anno); nelle cause concernenti controversie di lavoro e/o previdenziali dovrebbe essere riconosciuto un bonus di Euro 2.000,00 e, se il giudice nazionale ciò non fa, incorrerebbe in omessa pronuncia e vizio di motivazione (motivi 2-4 e 6), mentre il ritardo nel deposito dell'istanza di prelievo potrebbe rilevare esclusivamente ai fini della quantificazione del risarcimento (motivo 5); in relazione a detti profili la motivazione del decreto sarebbe viziata (motivo 10).






1.1.- Con i motivi da 7 a 9, è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 6 CEDU e dell'art. 1 del protocollo addizionale, degli artt. 91 e 92 c.p.c., delle tariffe professionali ed omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.), nonchè difetto di motivazione nella parte in cui il decreto avrebbe quantificato in misura insufficiente le spese del giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, art. 132 c.p.c.), discostandosi dai criteri della Corte EDU e dalle liquidazioni operate da questa Corte, non applicando le voci della tariffa prevista per i giudizi contenziosi e riducendo senza motivazione gli importi asseritamente dovuti.






2.- Il ricorso proposto dall'avv. M.A.L., in proprio, quale antistatario, e inammissibile, perchè proposto da soggetto non legittimato.






Secondo l'orientamento di questa Corte, al quale va data continuità, la qualità di procuratore della parte nei cui confronti è stata pronunziata la sentenza impugnata non abilita il suo titolare alla proposizione dell'impugnazione in proprio, neanche quando si controverta unicamente sul punto delle spese processuali, salvo che lo stesso procuratore non ne sia dichiarato antistatario ed i motivi delle proposte censure attengano alla concessione della distrazione (Cass., n. 20321 del 2005; n. 4973 del 1993; n. 7597 del 1990).






Pertanto, resta preclusa al difensore distrattario l'impugnazione in proprio, con riferimento alla pronuncia sulle spese, quando essa attenga alla loro adeguatezza, ovvero all'an, poichè in questa ipotesi l'unica legittimata a sollevare doglianze in merito è la parte rappresentata, quale soggetto comunque obbligato, nel rapporto con il professionista, a soddisfarlo delle sue pretese (Cass. n. 16717 del 2008, n. 11566 del 2008). Il difensore che ha chiesto la distrazione diviene, infatti, parte del giudizio solo nel caso in cui sorga controversia sul provvedimento che ha disposto la distrazione o se il giudice a quo abbia omesso di provvedere sull'istanza (Cass., n. 20121 del 2005; n. 13290 del 2003; n. 12204 del 2003).






In relazione a detto ricorso non deve essere resa pronuncia sulle spese, in quanto la Presidenza del Consiglio dei ministri non ha svolto attività difensiva in riferimento al medesimo.






3.- Preliminarmente, va ribadito che alla pronuncia di accoglimento parziale per manifesta fondatezza, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, non ostano le conclusioni del F.G., poichè che la decisione del ricorso presenta aspetti d'evidenza compatibili con l'immediata decisione, sia pure in senso difforme a dette conclusioni (Cass. n. 5704 del 2008; n. 23842 e n. 13748 del 2007).






I motivi sintetizzati nel p. 1, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente fondati entro i termini e nei limiti di seguito precisati.






Alle questioni poste con detti mezzi va data soluzione ribadendo i seguenti principi, più volti affermati da questa Corte:






il giudice italiano deve interpretare la L. n. 89 del 2001 in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della L. n. 89 del 2001; qualora ciò non sia possibile ed egli dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto all'art. 117 Cost., comma 1, restando escluso che possa procedere alla "non applicazione" della prima (Corte cost. n. 348 e n. 349 del 2007; in riferimento alla legge in esame Cass. S.U. n. 1338 del 2004);






la precettività, per il giudice nazionale, della giurisprudenza della Corte EDU non concerne il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo per l'equa riparazione, essendo per il primo vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è rilevante soltanto il periodo eccedente il termine ragionevole, in virtù di una modalità di calcolo che non incide sulla complessiva attitudine di detta legge ad assicurare l'obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata de processo (per tutte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 1566 e n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007);






i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea, che ha fissato un parametro tendenziale di Euro 1.000,00/Euro 1.500,00 per anno, non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali:






l'entità della "posta in gioco", apprezzata in comparazione con la situazione economico-patrimoniale della parte, che questa ha l'onere di allegare e dedurre; il "numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento"; il comportamento della parte istante, sicchè rileva anche il ritardo c/o la mancata presentazione della cd. istanza di prelievo, la quale non incide sul termine di durata ragionevole, ma bene può essere assunto come sintomo di uno attenuato interesse per la controversia; per tutte, Cass. n. 4572 e n. 3515 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, a quelle da ultimo richiamate, aggiungi Cass. n. 6039 del 2009; n. 6898 del 2008);






in virtù della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano, elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale (costituiti appunto, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell'istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l'esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, la quantificazione, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservalo in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di L. 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l'irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno;






le norme disciplinatrici della fattispecie non permettono di riconoscere una ulteriore somma arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell'oggetto e della natura della controversia, poichè il giudice europeo ha affermato che una somma più elevata rispetto al suindicato parametro va riconosciuta, qualora la controversia rivesta una certa importanza, facendo un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali, senza che ciò implichi alcun automatismo, significando soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008); quindi, il giudice del merito può attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, restando escluso uno specifico obbligo di motivazione e/o di pronuncia sul punto, da ritenersi quest'ultima implicita nella liquidazione del danno, con la conseguenza che, se il giudice non si pronuncia sul cd. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (così, tra le altre, Cass. n. 7073, n. 6039 e n. 3515 del 2009; n. 18012 e n. 6898 del 2008).






In applicazione di detti principi, le censure in esame sono manifestamente fondate nella parte in cui il decreto ha liquidato l'equa riparazione nella misura di Euro 500,00 per anno di ritardo, in considerazione del non rilevante valore economico della causa.






Infatti, si tratta di circostanza certo valutabile e che, tuttavia, legittimava una riduzione del parametro minimo della Corte EDU che, secondo l'orientamento di questa Corte, per essere ragionevole non poteva scendere al di sotto di Euro 750,00 per anno di ritardo.






In relazione alle censure accolte, il decreto deve essere cassato con conseguente assorbimento dei motivi concernenti le spese, dovendo comunque esserne effettuata la riliquidazione - e la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.






Pertanto, in applicazione dello standard minimo CEDU - che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius -, individuato nella somma di Euro 750,00 per ciascun anno di ritardo il parametro di indennizzo del danno non patrimoniale (la motivazione della Corte d'appello sullo scarso interesse per il giudizio non è stata adeguatamente censurata e permette di applicare detto parametro), va riconosciuta all'istante la complessiva somma di Euro 500,00, in relazione agli anni eccedenti il triennio (mesi otto, come incensurabilmente accertato dal giudice del merito), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.






Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza - distratte in favore del difensore, per dichiarazione di anticipo - quanto al giudizio di merito e per la metà quanto alla presente fase, dichiarando compensata la residua parte, sussistendo giusti motivi, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso.






P.Q.M.






La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dall'avv. M. A.L., in proprio, quale antistatario; accoglie i primi sei motivi ed il decimo motivo del ricorso, per quanto di ragione, nei termini precisati in motivazione - assorbiti i restanti motivi, concernenti la liquidazione delle spese del giudizio -, cassa il decreto impugnalo e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere alla ricorrente la complessiva somma di Euro 500,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo ed oltre alle spese processuali - per la metà, quanto alla presente fase, compensandosi la restante parte - distratte in favore dell'avv. M.A.L. e liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 905,00 (di cui Euro 385,00 per diritti ed Euro 420,00 per onorari) e, quanto al giudizio di legittimità - per la metà, dichiarando compensata la residua parte - in Euro 450,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.


Dispone che la Cancelleria provveda alle comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.



Così deciso in Roma, il 30 settembre 2009.



Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2009.

domenica 29 novembre 2009

Le annotazioni contabili effettuate dal portiere non sono utilizzabili ai fini della ricostruzione delle spese sostenute dal condominio



(26/11/2009)

Corte d'Appello Napoli Sezione II Civile, Sentenza del 1 settembre 2009, n. 2593





La quantificazione delle spese sostenute dal condominio può essere effettuata unicamente sulla base della documentazione fiscalmente idonea e cioè recante data certa, nonché l'identificazione dei soggetti che effettuano e ricevono le prestazioni e l'identificazione precisa della spesa; gli scritti e le annotazioni provenienti da terze persone, anche se legate al condominio da un rapporto di lavoro, come accade per i portieri, non solo non sono utilizzabili a tale medesimo fine, ma non hanno alcun valore probatorio circa l'esistenza di entrate o uscite imputabili al condominio.









Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...