lunedì 29 giugno 2009

Omessa "visura": il Notaio è responsabile



SENTENZA N. 11569 DEL 19 MAGGIO 2009



RESPONSABILITA' DEL NOTAIO PER OMESSO ACCERTAMENTO DELLA QUALITA' DI FALLITO DI UNA DELLE PARTI DELL'ATTO

Con la sentenza n. 11569 del 2009 la Corte si è occupata della vicenda di un notaio che, chiamato a stipulare un contratto di mutuo ipotecario finalizzato all’acquisto di un immobile, aveva omesso di rilevare che il mutuatario era stato dichiarato fallito da ben sette anni. In conseguenza di ciò, la quota di sua spettanza dell’immobile concesso in garanzia al mutuante era stata venduta all’incanto nel corso della procedura fallimentare. Il mutuante di conseguenza ha convenuto in giudizio il notaio rogante, allegando che, ove questi l’avesse informato della qualità di fallito del mutuatario, avrebbe evitato di erogare il mutuo e di perdere il relativo credito. La Corte di cassazione ha ritenuto fondata tale domanda, sul presupposto che il principale effetto del fallimento è la limitazione della capacità del fallito di disporre dei propri beni: dunque una “incapacità” ex lege che il notaio, al quale la legge impone di verificare la capacità delle parti, è tenuto ad accertare, a meno che non dimostri che nemmeno con l’uso della diligenza professionale da lui esigibile avrebbe potuto sapere dell’esistenza della sentenza dichiarativa di fallimento.

Testo Completo:
Sentenza n. 11569 del 19 maggio 2009
(Sezione Terza Civile, Presidente S. Senese, Relatore G. Federico)

Omessa "visura": il Notaio è responsabile



SENTENZA N. 11569 DEL 19 MAGGIO 2009



RESPONSABILITA' DEL NOTAIO PER OMESSO ACCERTAMENTO DELLA QUALITA' DI FALLITO DI UNA DELLE PARTI DELL'ATTO

Con la sentenza n. 11569 del 2009 la Corte si è occupata della vicenda di un notaio che, chiamato a stipulare un contratto di mutuo ipotecario finalizzato all’acquisto di un immobile, aveva omesso di rilevare che il mutuatario era stato dichiarato fallito da ben sette anni. In conseguenza di ciò, la quota di sua spettanza dell’immobile concesso in garanzia al mutuante era stata venduta all’incanto nel corso della procedura fallimentare. Il mutuante di conseguenza ha convenuto in giudizio il notaio rogante, allegando che, ove questi l’avesse informato della qualità di fallito del mutuatario, avrebbe evitato di erogare il mutuo e di perdere il relativo credito. La Corte di cassazione ha ritenuto fondata tale domanda, sul presupposto che il principale effetto del fallimento è la limitazione della capacità del fallito di disporre dei propri beni: dunque una “incapacità” ex lege che il notaio, al quale la legge impone di verificare la capacità delle parti, è tenuto ad accertare, a meno che non dimostri che nemmeno con l’uso della diligenza professionale da lui esigibile avrebbe potuto sapere dell’esistenza della sentenza dichiarativa di fallimento.

Testo Completo:
Sentenza n. 11569 del 19 maggio 2009
(Sezione Terza Civile, Presidente S. Senese, Relatore G. Federico)

passaggio con semaforo giallo o rosso: indeterminatezza dell'addebito

Cassazione sez II civile n. 9888 del 27 aprile 2009


Contravvenzioni,circolazione stradale,semaforo,rosso,giallo,auto
"Occorre, infatti, considerare che il rilievo, del tutto fondato, dell'indeterminatezza dell'addebito appare assorbente rispetto al ogni altra questione. Infatti, nel caso in questione la contestazione era stata effettuata con riferimento all'avvenuto superamento dell'incrocio regolato da semaforo con la luce rossa o con quella gialla, essendo evidente che si tratta di due fattispecie del tutto diverse e potendo il passaggio con luce gialla, ai sensi dell'articolo 41 C.d.S., comma 10, risultare non sempre vietato.
...
Si e' di fronte quindi a due ipotesi di contestazione del tutto diverse, ancorche' accomunate dallo stesso trattamento sanzionatorio di cui all'articolo 146 C.d.S., comma 3."


FATTO E DIRITTO
Il Comune di Castellammare di Stabia impugna la sentenza del Giudice di Pace di Castellammare di Stabia n. 2922 del 2005, che accoglieva l'opposizione proposta dall'odierno intimato, PI.Fe. , avverso il verbale redatto dalla Polizia municipale di quel Comune n. (OMESSO), relativa alla contestata violazione dell'articolo 146 C.d.S. (prosecuzione della marcia nonostante la segnalazione semaforica emettesse luce rossa o gialla).
Il Giudice di Pace accoglieva il ricorso, rilevando che il verbale conteneva una contestazione contraddittoria, poiche' veniva contestato il transito con luce gialla o rossa.
L'odierno ricorrente articola quattro motivi di ricorso con i quali deduce la violazione e falsa applicazione della Legge n. 689 del 1981, articolo 1 e articoli 41 e 46 C.d.S., nonche' la violazione e falsa applicazione della Legge n. 689 del 1981, articolo 23, articoli 2699, 2700 e 2697 c.c., la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e infine la violazione e falsa applicazione degli articoli 45 e 201 C.d.S. e dell'articolo 192 reg. att. C.d.S..
Parte intimata non ha svolto attivita' difensiva in questa sede.
Attivatasi procedura ex articolo 375 c.p.c., il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale conclude con richiesta di rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.
Il ricorso e' infondato va respinto.
Occorre, infatti, considerare che il rilievo, del tutto fondato, dell'indeterminatezza dell'addebito appare assorbente rispetto al ogni altra questione. Infatti, nel caso in questione la contestazione era stata effettuata con riferimento all'avvenuto superamento dell'incrocio regolato da semaforo con la luce rossa o con quella gialla, essendo evidente che si tratta di due fattispecie del tutto diverse e potendo il passaggio con luce gialla, ai sensi dell'articolo 41 C.d.S., comma 10, risultare non sempre vietato.
Occorre, altresi', osservare che il passaggio avvenuto ai sensi di quest'ultima disposizione costituisce eccezione alla regola imponente negli altri casi l'arresto anche con luce gialla, ma la contestazione risultava comunque generica in quanto formulante due ipotesi alternative, delle quali l'una escludeva l'altra.
Si e' di fronte quindi a due ipotesi di contestazione del tutto diverse, ancorche' accomunate dallo stesso trattamento sanzionatorio di cui all'articolo 146 C.d.S., comma 3.
Di conseguenza il primo motivo di ricorso e' da ritenersi manifestamente infondato, mentre i rimanenti risultano inammissibili per difetto di concreta rilevanza. Infatti, occorre rilevare che la "ratio decidendi" sopra esaminata e di per se' sola sufficiente a sorreggere la decisione di accoglimento dell'opposizione.
Il ricorso e' manifestamente infondato e va respinto. Nulla per le spese.

P.Q.M.

LA CORTE
rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

passaggio con semaforo giallo o rosso: indeterminatezza dell'addebito

Cassazione sez II civile n. 9888 del 27 aprile 2009


Contravvenzioni,circolazione stradale,semaforo,rosso,giallo,auto
"Occorre, infatti, considerare che il rilievo, del tutto fondato, dell'indeterminatezza dell'addebito appare assorbente rispetto al ogni altra questione. Infatti, nel caso in questione la contestazione era stata effettuata con riferimento all'avvenuto superamento dell'incrocio regolato da semaforo con la luce rossa o con quella gialla, essendo evidente che si tratta di due fattispecie del tutto diverse e potendo il passaggio con luce gialla, ai sensi dell'articolo 41 C.d.S., comma 10, risultare non sempre vietato.
...
Si e' di fronte quindi a due ipotesi di contestazione del tutto diverse, ancorche' accomunate dallo stesso trattamento sanzionatorio di cui all'articolo 146 C.d.S., comma 3."


FATTO E DIRITTO
Il Comune di Castellammare di Stabia impugna la sentenza del Giudice di Pace di Castellammare di Stabia n. 2922 del 2005, che accoglieva l'opposizione proposta dall'odierno intimato, PI.Fe. , avverso il verbale redatto dalla Polizia municipale di quel Comune n. (OMESSO), relativa alla contestata violazione dell'articolo 146 C.d.S. (prosecuzione della marcia nonostante la segnalazione semaforica emettesse luce rossa o gialla).
Il Giudice di Pace accoglieva il ricorso, rilevando che il verbale conteneva una contestazione contraddittoria, poiche' veniva contestato il transito con luce gialla o rossa.
L'odierno ricorrente articola quattro motivi di ricorso con i quali deduce la violazione e falsa applicazione della Legge n. 689 del 1981, articolo 1 e articoli 41 e 46 C.d.S., nonche' la violazione e falsa applicazione della Legge n. 689 del 1981, articolo 23, articoli 2699, 2700 e 2697 c.c., la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e infine la violazione e falsa applicazione degli articoli 45 e 201 C.d.S. e dell'articolo 192 reg. att. C.d.S..
Parte intimata non ha svolto attivita' difensiva in questa sede.
Attivatasi procedura ex articolo 375 c.p.c., il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale conclude con richiesta di rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.
Il ricorso e' infondato va respinto.
Occorre, infatti, considerare che il rilievo, del tutto fondato, dell'indeterminatezza dell'addebito appare assorbente rispetto al ogni altra questione. Infatti, nel caso in questione la contestazione era stata effettuata con riferimento all'avvenuto superamento dell'incrocio regolato da semaforo con la luce rossa o con quella gialla, essendo evidente che si tratta di due fattispecie del tutto diverse e potendo il passaggio con luce gialla, ai sensi dell'articolo 41 C.d.S., comma 10, risultare non sempre vietato.
Occorre, altresi', osservare che il passaggio avvenuto ai sensi di quest'ultima disposizione costituisce eccezione alla regola imponente negli altri casi l'arresto anche con luce gialla, ma la contestazione risultava comunque generica in quanto formulante due ipotesi alternative, delle quali l'una escludeva l'altra.
Si e' di fronte quindi a due ipotesi di contestazione del tutto diverse, ancorche' accomunate dallo stesso trattamento sanzionatorio di cui all'articolo 146 C.d.S., comma 3.
Di conseguenza il primo motivo di ricorso e' da ritenersi manifestamente infondato, mentre i rimanenti risultano inammissibili per difetto di concreta rilevanza. Infatti, occorre rilevare che la "ratio decidendi" sopra esaminata e di per se' sola sufficiente a sorreggere la decisione di accoglimento dell'opposizione.
Il ricorso e' manifestamente infondato e va respinto. Nulla per le spese.

P.Q.M.

LA CORTE
rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Soccombenza ed overruling


Spese di giudizio, compensazione, soccombenza, giurisprudenza successiva, tributario

"sussistono giusti motivi, in considerazione della circostanza che la giurisprudenza richiamata si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso introduttivo, per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio."

Ritenuto in fatto
che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, è stato riconosciuto a Gian Paolo T., consulente fiscale, il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998/2001;
che il contribuente non si è costituito.

Considerato in diritto
che il ricorso - con i cui due motivi si censura la sentenza impugnata per violazione della normativa istitutiva dell’IRAP sotto il profilo del presupposto impositivo e per vizio di motivazione - è manifestamente fondato, in quanto la ratio decidendi della sentenza impugnata (che ha negato la sussistenza di struttura organizzativa pur avendo accertato che il contribuente esercitava la professione “con l’ausilio di un solo collaboratore”) non è conforme al consolidato principio della giurisprudenza di questa Corte, in base al quale, a norma del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, primo periodo, e 3, comma 1, lett. c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all’art. 49, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 è escluso dall’applicazione dell’IRAP solo qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata; il requisito della “autonoma organizzazione”, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (ex plurimis, cfr. Cass. nn. 3673, 3676, 3678, 3680 e 5011 del 2007);
che, in conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente;
che sussistono giusti motivi, in considerazione della circostanza che la giurisprudenza richiamata si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso introduttivo, per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.
Compensa le spese dell’intero giudizio.

Soccombenza ed overruling


Spese di giudizio, compensazione, soccombenza, giurisprudenza successiva, tributario

"sussistono giusti motivi, in considerazione della circostanza che la giurisprudenza richiamata si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso introduttivo, per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio."

Ritenuto in fatto
che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, è stato riconosciuto a Gian Paolo T., consulente fiscale, il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998/2001;
che il contribuente non si è costituito.

Considerato in diritto
che il ricorso - con i cui due motivi si censura la sentenza impugnata per violazione della normativa istitutiva dell’IRAP sotto il profilo del presupposto impositivo e per vizio di motivazione - è manifestamente fondato, in quanto la ratio decidendi della sentenza impugnata (che ha negato la sussistenza di struttura organizzativa pur avendo accertato che il contribuente esercitava la professione “con l’ausilio di un solo collaboratore”) non è conforme al consolidato principio della giurisprudenza di questa Corte, in base al quale, a norma del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, primo periodo, e 3, comma 1, lett. c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all’art. 49, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 è escluso dall’applicazione dell’IRAP solo qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata; il requisito della “autonoma organizzazione”, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (ex plurimis, cfr. Cass. nn. 3673, 3676, 3678, 3680 e 5011 del 2007);
che, in conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente;
che sussistono giusti motivi, in considerazione della circostanza che la giurisprudenza richiamata si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso introduttivo, per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.
Compensa le spese dell’intero giudizio.

sabato 6 giugno 2009

Privacy e Condominio

Avvisi condominiali, scadenza del contratto di locazione, vietata la diffusione dei dati personali
Garante Privacy - Newsletter n. 319 del 12 febbraio 2009
Nelle bacheche del palazzo o in altri luoghi aperti al pubblico non si possono apporre avvisi contenenti dati personali che rendano identificabile, anche indirettamente, un condomino.Lo ha ribadito il Garante, nell'accogliere la segnalazione di un affittuario il quale lamentava una indebita diffusione di dati personali dovuta all'affissione di un avviso nella bacheca condominiale, in cui si dava notizia della prossima scadenza del suo contratto di locazione e della contestuale intimazione a lasciare l'immobile. Oltre al fatto che fossero stati diffusi nome, cognome e altri dati in grado di identificarlo l'interessato contestava anche il metodo utilizzato per dare la comunicazione agli altri condomini.A suo avviso, infatti, lo stesso risultato si sarebbe potuto raggiungere con modalità alternative, ad esempio con comunicazioni individuali lasciate nelle cassette per la posta. Dopo un primo intervento del Garante che aveva invitato il condominio ad adeguarsi alle prescrizioni già impartite in materia, in base alle quali si possono affiggere in spazi pubblici condominiali solo avvisi di carattere generale, finalizzati alla comunicazione di eventi di interesse comune, l'amministratore aveva risposto di aver sostituito il primo avviso con un secondo, di tenore analogo, ma privo di dati personali.Non soddisfatto il segnalante, faceva comunque notare che il nuovo avviso posto in bacheca conteneva ancora indicazioni (piano in cui si trova l'immobile, l'interno) in grado di identificarlo, seppur indirettamente. L'Autorità ha dato ragione al locatario dell'appartamento e ha vietato, con un provvedimento di cui è stato relatore Mauro Paissan, la diffusione bacheca o in altro luogo visibile a chiunque - dei dati personali riferiti, anche indirettamente, al segnalante.

Privacy e Condominio

Avvisi condominiali, scadenza del contratto di locazione, vietata la diffusione dei dati personali
Garante Privacy - Newsletter n. 319 del 12 febbraio 2009
Nelle bacheche del palazzo o in altri luoghi aperti al pubblico non si possono apporre avvisi contenenti dati personali che rendano identificabile, anche indirettamente, un condomino.Lo ha ribadito il Garante, nell'accogliere la segnalazione di un affittuario il quale lamentava una indebita diffusione di dati personali dovuta all'affissione di un avviso nella bacheca condominiale, in cui si dava notizia della prossima scadenza del suo contratto di locazione e della contestuale intimazione a lasciare l'immobile. Oltre al fatto che fossero stati diffusi nome, cognome e altri dati in grado di identificarlo l'interessato contestava anche il metodo utilizzato per dare la comunicazione agli altri condomini.A suo avviso, infatti, lo stesso risultato si sarebbe potuto raggiungere con modalità alternative, ad esempio con comunicazioni individuali lasciate nelle cassette per la posta. Dopo un primo intervento del Garante che aveva invitato il condominio ad adeguarsi alle prescrizioni già impartite in materia, in base alle quali si possono affiggere in spazi pubblici condominiali solo avvisi di carattere generale, finalizzati alla comunicazione di eventi di interesse comune, l'amministratore aveva risposto di aver sostituito il primo avviso con un secondo, di tenore analogo, ma privo di dati personali.Non soddisfatto il segnalante, faceva comunque notare che il nuovo avviso posto in bacheca conteneva ancora indicazioni (piano in cui si trova l'immobile, l'interno) in grado di identificarlo, seppur indirettamente. L'Autorità ha dato ragione al locatario dell'appartamento e ha vietato, con un provvedimento di cui è stato relatore Mauro Paissan, la diffusione bacheca o in altro luogo visibile a chiunque - dei dati personali riferiti, anche indirettamente, al segnalante.

DURC e quant'altro: un breve memento perchè "repetita iuvant"

Obbligatoria la comunicazione per chi affida lavori a imprese edili

La normativa in materia di lavoro, approvata con decreto legislativo 276 del 2003, prevede che nel settore dell’edilizia privata il committente dei lavori deve richiedere all’impresa esecutrice il certificato di iscrizione alla Camera di commercio, la dichiarazione sull’organico medio annuo e sul tipo di contrattoapplicato alla manodopera e, infine, il certificato di regolarità contributiva (DURC) rilasciato da INAIL, INPS o Casse edili.Tutta la documentazione di cui sopra deve essere trasmessa al comune, indicando l’impresa esecutrice dei lavori. La mancanza del DURC comporta la sospensione della efficacia delle autorizzazioni comunali anche nel caso in cui nella esecuzione dei lavori subentri una nuova impresa a quelle inizialmente in attività.

DURC e quant'altro: un breve memento perchè "repetita iuvant"

Obbligatoria la comunicazione per chi affida lavori a imprese edili

La normativa in materia di lavoro, approvata con decreto legislativo 276 del 2003, prevede che nel settore dell’edilizia privata il committente dei lavori deve richiedere all’impresa esecutrice il certificato di iscrizione alla Camera di commercio, la dichiarazione sull’organico medio annuo e sul tipo di contrattoapplicato alla manodopera e, infine, il certificato di regolarità contributiva (DURC) rilasciato da INAIL, INPS o Casse edili.Tutta la documentazione di cui sopra deve essere trasmessa al comune, indicando l’impresa esecutrice dei lavori. La mancanza del DURC comporta la sospensione della efficacia delle autorizzazioni comunali anche nel caso in cui nella esecuzione dei lavori subentri una nuova impresa a quelle inizialmente in attività.

Esenzione I.C.I. anche con due unità immobiliari

L’aliquota Ici agevolata per l’abitazione principale si applica anche con due unità immobiliari
Cass. civ., sez. V, 29 ottobre 2008, n. 25902
Ai fini dell'applicabilità dell'imposta comunale sugli immobili, La Suprema Corte, attraverso la sentenza in esame ha disposto che, il contemporaneo utilizzo di più di un'unità catastale come abitazione principale non costituisce ostacolo all'applicazione, per tutte le unità coinvolte, dell'aliquota prevista per l'abitazione principale.Pertanto l’aliquota Ici agevolata per l’abitazione principale si applica anche con due unità immobiliari, distintamente accatastate, purché per entrambe vi sia l’utilizzo come dimora abituale da parte del contribuente.Per i giudici la definizione di abitazione principale ( rigettando la risoluzione 6/2002 del Dipartimento per le politiche fiscali) non richiede l’unicità del fabbricato, quanto la sussistenza della specifica destinazione d’uso agevolata.Unico limite all'agevolazione è costituito dal fatto che il complesso immobiliare non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, assumendo rilievo, a tal fine, non il numero delle unità catastali ma (la prova del) l'effettiva utilizzazione ad abitazione principale dell'immobile complessivamente considerato. Di conseguenza, tale principio dovrebbe valere anche agli effetti dell’esenzione Ici prevista per l’abitazione principale dal periodo di imposta 2008 dal D.L. n.93/08.

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...