lunedì 20 ottobre 2008

IL Papà on-line


Separazione e divorzio – affidamento dei figli – affidamento congiunto – esclusione – diritto di visita – modifiche – modalità [art. 155 c.c., L. n. 54/2006]

In tema di affidamento dei figli, il trasferimento del genitore affidatario in altra località giustifica un cambiamento delle disposizione in tema di visita, resosi più gravoso.
Le vidiochiamate, anche se non sostituiscono i rapporti personali tra genitore e figlio, possono costituire una delle modalità di estrinsecazione del diritto di visita.
(Fonte: Altalex Massimario 35/2008. Cfr. nota di Paola Marino)

Tribunale di Nicosia
Decreto 15 – 22 aprile 2008
(Presidente Dagnino; Estensore Sepe)

Con ricorso depositato il 1/8/2007, (A) premetteva che:
- in data 10.12.2004 il Tribunale di Nicosia omologava la separazione personale dei coniugi (B) e (A);
- con successivo decreto ex art. 710 c.p.c., il Tribunale modificava le condizioni di separazione, confermando l’affidamento esclusivo dei minori (C) e (D) alla madre e stabilendo penalizzanti modalità di esercizio, per il ricorrente, del diritto di visita;
- rispetto a tale situazione, sopravveniva il mutamento della residenza da parte della (B), trasferitasi con i minori nel Comune di (…), al preordinato fine di eludere il provvedimento giudiziale relativo al diritto di visita della prole, ingiustificatamente sradicata dal proprio contesto ambientale;
- a fronte di tale mutamento di fatto, diveniva, pertanto, inattuabile l’esercizio del diritto di visita dei minori da parte del (A), così come disposto dal Tribunale.
Tanto premesso, il ricorrente chiedeva, a modifica dei patti stabiliti in sede di separazione consensuale omologata da questo Tribunale e successivamente modificate con decreto del 9/1/2007, di disporre, nell’ordine:
1) la revoca dell’affidamento esclusivo dei minori, (D) e (C), alla madre;
2) l’affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori, ex art. 155 c.c.;
3) il riconoscimento in favore di esso ricorrente del diritto di :
- visitare ed incontrare i minori nel luogo in cui gli stessi si trovano nello svolgimento della loro vita di relazione, fermo il limite del diritto alla privacy della (B) nella propria abitazione;
- visitare i minori per tre volte al mese, dalle ore 17,00 del sabato alle ore 22,00 della domenica, specificando che, una volta, gli stessi dovranno essere prelevati dal (A) a (…) e, due volte, dovranno essere accompagnati a (…) dalla madre;
- tenere con sé i figli per un periodo continuativo di quaranta giorni, anche frazionabile, durante le vacanze scolastiche estive, secondo un calendario concordato con il coniuge;
- tenere con sé i minori durante le festività natalizie, ad anni alterni, dal 23 al 30 dicembre o dal 31 dicembre al 7 gennaio;
- tenere con sé i minori durante le festività pasquali, ad anni alterni, dal giovedì santo al giorno di Pasqua o dalle ore 18,00 della domenica di Pasqua alle ore 22,00 del martedì successivo;
- tenere con sé i minori nel giorno del loro compleanno (2 agosto e 7 novembre) ad anni alterni dalle ore 8,30 del mattino alle ore 21,00 della sera e nei giorni 19/3/2007(festa del papà) e (…) (compleanno del ricorrente);
- presenziare ad ogni attività dei minori e “tenere contatti diurni” con gli stessi;
- tenere contatti telefonici con i figli minori senza limitazioni, sia tramite l’utenza fissa che mobile;
- prevedere “il diritto di visita on line sul web” del ricorrente.
Il ricorrente chiedeva, in via istruttoria, l’audizione dei minori e l’escussione, quali persone informate sui fatti, della dott.ssa (…), della sig.ra (…), del Presidente del (…) di (…), Ing. (…). Chiedeva, infine, la condanna della controparte alle spese del giudizio.
Disposta la comparizione delle parti per l’udienza del 14/8/2007, si costituiva (B), la quale, in via preliminare, deduceva che:
- al procedimento doveva ritenersi applicabile l’art. 3 L. n. 742/1969 sulla sospensione feriale dei termini, non essendo lo stesso incluso tra le materie che, a norma dell’art. 92 R.D. n. 12/1941, possono essere trattate durante il periodo feriale;
- la domanda era inammissibile per litispendenza, poiché avverso il decreto depositato il 9/1/2007 il (A), in data 7/6/2007, aveva proposto reclamo innanzi alla Corte di appello di Caltanissetta ex art. 739 c.p.c., chiedendo le identiche statuizioni richieste in quella sede.
Nel merito, la resistente argomentava l’infondatezza del proposto ricorso, trattandosi di domande in parte già affrontate dal Tribunale (punti I e II del ricorso) e, in parte, di questioni infondate (punto III).
Invero, la (B) osserva che la scelta del luogo di residenza dei minori spettava unicamente al genitore affidatario, il quale era legittimato anche a trasferirla in luogo diverso da quello di residenza dell’altro genitore, anche all’estero (v. convenzione dell’Aja del 25/10/1980) senza che l’altro genitore possa dolersi della sostanziale vanificazione del proprio diritto di visita.
Chiariva che, nel caso di specie, la scelta del trasferimento in (…) era stata dettata da motivi di salute della resistente e che, comunque, si trattava di una decisione transitoria.
All’udienza del 14/8/2007, depositata documentazione, sull’accordo delle parti veniva disposto un rinvio del procedimento all’udienza del 18/9/2007.
All’udienza del 18/9/2007, il Tribunale si riservava e, con ordinanza depositata il 4/10/2007, si disponeva procedersi a consulenza tecnica psichiatrica sulle persone del (A) e della (B), al fine di evidenziare i rapporti di ciascuno di essi con i figli minori (C) e (D), disponendo, altresì, l’audizione di questi ultimi da parte del c.t.u. con le modalità più appropriate per evitare agli stessi ogni conseguenza traumatica, rinviando all’udienza del 16/10/2007 per il conferimento dell’incarico peritale.
All’udienza del 16/10/2007 veniva conferito l’incarico al dott. (…), psichiatra infantile, ed il procedimento veniva rinviato alla successiva udienza del 15/1/2008.
All’udienza del 15/1/2008, l’avv. (…) chiedeva un breve rinvio per l’esame della relazione peritale, depositata in pari data. Il Tribunale rinviava, pertanto, all’udienza del 22/1/2008.
All’udienza del 22/1/2008 il ricorrente rinunciava a tutti i mezzi istruttori articolati, insistendo in ricorso e, udite le conclusioni della parte opponente, il Tribunale si riservava di decidere.
Con ordinanza fuori udienza il Collegio, ritenuta la necessità di ottenere chiarimenti dal nominato c.t.u. rimetteva il procedimento sul ruolo istruttorio per l’udienza del 4/3/2008.
All’udienza del 4/3/2008, si procedeva all’audizione del consulente tecnico d’ufficio, il quale forniva al Tribunale i richiesti chiarimenti in merito alla relazione peritale depositata.
Il procedimento veniva quindi rinviato all’udienza del 18/3/2008 per consentire alle parti l’eventuale deposito di memorie difensive.
All’udienza del 18/3/2008, l’avv. (…) per il ricorrente chiedeva l’accoglimento del ricorso. L’avv. (…) per la resistente, depositate ulteriori note critiche rispetto all’operato del C.t.u., chiedeva il rinnovo della consulenza; nel merito concludeva per il rigetto del ricorso; in via subordinata chiedeva il richiamo del c.t.u. a chiarimenti.
Il P.M. chiedeva l’accoglimento del ricorso.
Il Tribunale, udite le conclusioni delle parti, riservava la decisione.
___________
In via preliminare deve essere respinta l’eccezione processuale proposta dalla resistente circa l’inapplicabilità al presente procedimento dell’art. 3 L. 742/1969 sulla sospensione feriale dei termini processuali. Invero alla prima udienza del 14/8/2007 il Tribunale dichiarava l’urgenza di provvedere in relazione alla necessità di decidere in merito ai rapporti tra genitori e figli, trattandosi di diritti della personalità pregiudicabili da un rinvio in periodo post-feriale.
Analogamente va rigettata l’ulteriore eccezione, formulata dalla (B), di inammissibilità del ricorso per litispendenza per essere pendente il reclamo, peraltro già deciso, innanzi alla Corte di appello di Caltanissetta avverso il precedente decreto emesso da questo Tribunale in data 5/1/2007. Invero la sussistenza di fatti sopravvenuti, quale il dedotto mutamento della residenza della resistente, rende ammissibile la proposizione da parte del coniuge di un autonomo giudizio al fine di ottenere la modifica dell’affidamento della prole e del diritto di visita, ancorché pendente il reclamo avverso un precedente decreto intervenuto tra le parti, non sussistendo identità tra il petitum e la causa pretendi dei diversi procedimenti.
Nel merito, vanno anzitutto richiamate le riflessioni in diritto già svolte dal Collegio nel corpo del decreto in data 5/1/2007, a proposito dei diritti che il codice civile stabilisce in favore dei figli minori in caso di separazione personale dei coniugi.
Invero l’art. 155 cod. civ., come modificato dalla L. n. 54/2006, evidenzia il diritto dei figli minori, in caso di separazione, a mantenere un rapporto significativo e continuativo con ciascuno dei genitori e con i parenti dei rispettivi rami genitoriali.
La norma, avendo di mira l’indicata esigenza di assicurare che i figli possano beneficiare di rapporti costanti con entrambi i genitori, impone al Tribunale di valutare, nell’adozione dei provvedimenti relativi alla prole, esclusivamente l’interesse morale e materiale di essa, valutando, in via prioritaria, la “possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori”.
Qualora ciò non sia possibile, è facoltà del Tribunale di stabilire l’affidamento esclusivo ad uno dei genitori “determinando i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli”.
Infine, la legge vuole che non siano trascurati gli accordi intervenuti tra i genitori, “sempre che non si tratti di convenzioni in qualsiasi modo contrarie all’interesse dei figli”.
Orbene, come chiarito nella parte relativa allo svolgimento del processo, il Tribunale si è già occupato della vicenda dei coniugi (A) – (B) nell’ambito del proc. civ. 123/06 R.G..
In questa sede, il Collegio, sulla base della consulenza tecnica redatta dall’esperta psicologa dott.ssa (…), ha ritenuto di disporre l’affidamento esclusivo dei figli minori della coppia, (C) e (D), alla madre, a motivo delle scarse capacità di autocontrollo del (A), esposto in condizioni di stress alla probabilità di trascendere in condotte aggressive nei confronti dei propri familiari, così ledendo non solo la serenità familiare ma la stessa possibilità di mantenere un rapporto sano ed equilibrato con i figli minori. Giova, ancora, premettere, che il reclamo avverso il decreto in data 5/1/2007, conclusivo del suddetto procedimento, è stato rigettato con ordinanza del 3/1/2008 dalla Corte di appello di Caltanissetta, sicché le relative disposizioni sono ancora integralmente valide ed efficaci.
Ciò premesso, va anche chiarito che in seguito all’odierno ulteriore ricorso del (A), il Tribunale ha ritenuto di rinnovare la consulenza tecnica, anche in considerazione del tempo trascorso rispetto allo svolgimento della precedente perizia, affidando il giudizio ad un neuro-psichiatra infantile dott. (…), coadiuvato da una collaboratrice specialista in psicologia, dott.ssa (…).
Durante il corso del giudizio anche altri esperti, nella veste di c.t.p., hanno avuto modo di occuparsi dell’esame dal punto di vista medico, psichiatrico e psicologico della persona di (A) con esiti, tuttavia, non concordanti tra loro.
Converrà, dunque, esaminare attentamente le risultanze di tali indagini muovendo proprio dall’analisi della consulenza tecnica redatta dal dott. (…), il quale ha potuto effettuare colloqui con entrambi i coniugi ed esaminare il comportamento di questi con i figli, nonché di evidenziare quali sono, ad oggi, i rapporti esistenti tra i figli minori della coppia e ciascuno dei genitori.
Con riferimento al (A), il consulente ha fornito un quadro certamente diverso da quello elaborato dalla dott.ssa (…), descrivendo una persona dal carattere abbastanza regolare, controllato, rispettoso e desideroso di non perdere il rapporto con i figli. A questo riguardo, inoltre, il C.t.u. ha affermato che i rapporti del ricorrente con i figli sono “ottimi” in quanto caratterizzati da buoni legami ed adeguati scambi relazionali.
Egli, mediante l’ausilio di una collaboratrice psicologa, dott.ssa (…), ha sottoposto il periziando ad esami di tipo psicodiagnostico da cui è emerso un profilo, tuttavia, non rassicurante: il consulente infatti ha affermato che, nel (A), la “tendenza all’azione è leggermente prevalente rispetto alla riflessione ed alla valutazione delle conseguenze relative ai propri comportamenti, vi è comunque una buona capacità di coping sociale ma con una tendenza ad assumere atteggiamenti di dominanza”, con ciò ammettendo l’esistenza di profili di criticità nella gestione di situazioni caratterizzate da tensione con la moglie.
In particolare, la dott.ssa (…) ha fornito indicazioni precise in tal senso mediante la sottoposizione del (A) a valutazioni psicodiagnostiche.
Al soggetto è stato somministrato il “Temathic Apperception Test” (T.A.T.) dal quale è emerso il profilo di un soggetto intento ad offrire di sé un’immagine positiva e scevra da pensieri di natura aggressiva o difensiva, con una certa difficoltà, però, sia ad utilizzare la libera immaginazione fantastica sia a fare riferimento, nella descrizione delle tavole, a stati d’animo e sentimenti propri.
Anche all’esito del test “Minnesota Multiphasic Personalità Inventory – 2 (MMPI – 2), pure somministrato al ricorrente, la Psicologa ha ritenuto che l’alto contenuto di risposte di tipo conformistico rivelano la sua tendenza alla voluta ma irrealistica esibizione di un’immagine favorevole di sé.
Ancora il test ha indicato, nel (A), un’accentuata propensione all’azione piuttosto che alla valutazione delle conseguenze delle proprie condotte nonché la possibilità di assumere atteggiamenti di dominanza; ha ipotizzato una capacità di adattamento sociale; ha valutato la possibilità di atteggiamenti imprevedibili e non adeguati al contesto.
Nella parte relativa al profilo del (A), il dott. (…) ha quindi concluso riferendo che lo stesso potrebbe, se sostenuto, elaborare la separazione, i suoi dolori e le recriminazioni.
Per quanto riguarda l’esame condotto sulla persona della (B), il consulente, dopo avere raccolto i pensieri ed i timori della donna circa il rapporto con il marito, a suo dire violento ed autoritario, e con il padre di lei, ha descritto una personalità che, a livello inconscio, incontra “forti difficoltà nel rapportarsi con un maschile che cerca di imporsi e stimolando la comparsa di nuclei reattivi (…). Ciò anche grazie alla presenza di nuclei ansiosi, di insicurezza e di inadeguatezza che possono attivare una profonda paura interiore, stimolando, in un meccanismo a catena, atteggiamenti difensivi caratterizzati da suscettibilità e sospettosità”.
Quindi il c.t.u. ha esaminato i figli minori della coppia , (D) e (C). In ordine a (D) l’esperto ha evidenziato che, pur avendo il bambino narrato dei litigi avuti in passato con il padre e degli “interventi rudi” di costui, lo stesso ha manifestato il desiderio di trascorrere un maggior periodo di tempo con il proprio genitore. Per quanto concerne il piccolo (C), è emersa la sofferenza del bambino derivante dalla cattiva relazione dei genitori e dai loro litigi.
Nelle proprie conclusioni il C.t.u., affermando che i minori ritengono di avere bisogno in eguale misura di entrambi i genitori, in assenza di conflittualità, ha indicato l’utilità di un affidamento degli ex coniugi ad un “servizio di mediazione mediante l’ausilio di esperti, i quali potrebbero anche monitorare i comportamenti, riducendo i rischi di agiti e attenuando i timori espressi dalla signora (B)”.
Con riferimento alla persona del (A), la consulenza redatta dal dott. (…) è stata oggetto di approfondimento critico da parte del consulente di parte della resistente, dott. (…), in particolare in ordine alla incompleta risposta al quesito posto dal Collegio circa la possibile induzione del minore (D) nella stesura di una missiva indirizzata al Tribunale per i minorenni (nella quale il bambino domandava all’autorità giudiziaria di modificare in senso migliorativo il regime delle visite da parte del padre).
In relazione ai suddetti spunti critici il C.t.u. ha fornito al Tribunale i necessari chiarimenti sia in merito all’omessa comparazione tra lo scritto di cui sopra ed il breve elaborato somministrato dallo stesso perito al minore onde saggiare la genuinità della sua lettera, sia in merito al mancato confronto delle risultanze dei due test di Rorschach, sia per quanto concerne le differenti risposte date dai test MMPI somministrati dalla dott.ssa (…) e dalla dott.ssa (…) (cfr. verbale di udienza del 4/3/2008).
In particolare, il c.t.u. ha escluso che il minore sia stato condizionato da alcuno nella stesura della richiesta al Tribunale per i minorenni ed ha riferito che tra i due elaborati scritti non sussistono differenze troppo profonde nella struttura del pensiero, ma solo una diversa distribuzione di errori e cancellature, presenti nel primo documento e non già nel secondo.
In termini generali, inoltre, il C.t.u. ha in ogni caso ribadito di avere riscontrato dei miglioramenti complessivi nella situazione del (A), da intendersi peraltro come “attenuazione delle problematiche descritte nella prima relazione” derivanti, secondo il suo giudizio, dalla presa di coscienza dell’uomo di non potere ricomporre l’unità familiare.
Si tratta di una conclusione condivisibile e fondata su corrette valutazioni scientifiche.
Orbene, traendo le conclusioni da quanto sinora emerso non è dubitabile che la situazione psicologica del (A) sia in atto gradualmente protesa verso un tendenziale miglioramento, in considerazione sia del trascorrere del tempo che della progressiva presa di coscienza della fine della relazione con la moglie e, quindi, dello scemare delle ragioni dei contrasti del passato. Tuttavia, tale tendenziale percorso non può, come peraltro ritenuto anche dal C.t.u., considerarsi affatto concluso, permanendo, seppure in forma attenuata, quelle identiche problematiche di aggressività già descritte, nella loro gravità, dalla dott.ssa (…).
Così esposti i fatti, ritiene il Tribunale di dovere rigettare la richiesta del (A) di affidamento condiviso dei figli minori poiché è probabile che il permanere di una tendenza all’aggressività, non scomparsa, unitamente alla propensione ad assumere atteggiamenti dominanti nei confronti della moglie possa determinare ulteriori danni ai minori, il cui sano ed equilibrato sviluppo necessita, per contro, di ridurre al massimo i rischi di per sé collegati alla disgregazione del nucleo familiare.
In tale contesto, quindi, avuto riguardo esclusivamente all’interesse morale dei piccoli (D) e (C), (B) appare certamente il genitore maggiormente idoneo, per carattere, temperamento, capacità di attenzione e di relazione affettiva, ad offrire ai minori (D) e (C) un buon modello educativo tale da garantire loro una crescita sana ed un equilibrato sviluppo della personalità.
D’altro canto, il Tribunale deve prendere atto che la donna ha modificato unilateralmente la propria residenza portando con sé i figli da (…) a (…) e rendendo, quindi, inattuabile l’esercizio del diritto di visita dei figli da parte del padre così come disciplinato con il decreto del 9/1/2007, oltre che, in ogni caso, più gravoso per quest’ultimo e per gli stessi minori a motivo della notevole distanza tra le due località.
A prescindere dalle ragioni che hanno indotto la donna ad un tale trasferimento, appare in ogni caso opportuno estendere, in forza della riscontrata migliore situazione dei rapporti padre/figli, il regime delle visite in modo da consentire che i due bambini, quantunque affidati in via esclusiva alla madre, possano beneficiare di un rapporto significativo col padre, che potranno frequentare in modo regolare e per periodi di tempo congrui. Ancora, si deve notare che, durante il corso del presente giudizio, sull’accordo delle parti è stato adottato, sia pure in via provvisoria, un diverso regime del diritto di visita dei figli da parte del ricorrente che non ha prodotto risultati negativi, regime che, a norma dell’art. 155 ult. co. c.c., può essere ulteriormente valorizzato con le opportune modifiche ed integrazioni in quanto rispondente alle esigenze dei minori.
Cosicché, tenuto conto anche della necessità di evitare eccessivi spostamenti ai due minori, che risulterebbero pregiudizievoli, il Collegio ritiene di stabilire quanto segue: (A) potrà esercitare il diritto di visita dei propri figli, tenendoli con sé, a settimane alterne, dalle ore 16,30 del sabato alle ore 20,30 della domenica, con obbligo alternato, a carico di entrambi i genitori, di prelevare e riaccompagnare i figli da (…) a (…) e viceversa.
Un terzo fine settimana al mese il ricorrente avrà la facoltà di visitare i figli direttamente in…, dalle ore 16,30 alle ore 21,30 del sabato e dalle ore 9,30 alle ore 19,00 della domenica.
Durante le vacanze natalizie, il (A) potrà tenere con sé i figli per cinque giorni consecutivi: un anno il diritto di visita del ricorrente si estenderà dal 24 al 28 dicembre ed un anno dal 30 dicembre al 3 gennaio.
Nel periodo pasquale, il (A) avrà l’affidamento dei minori un anno nei giorni di venerdì, sabato e domenica ed un anno nel giorno di lunedì.
Durante le vacanze estive il (A) avrà l’affidamento dei minori per venti giorni complessivi e per una settimana consecutiva.
Il (A) potrà, infine, inoltre tenere con sé i minori nei giorni del loro compleanno (2 agosto e 7 novembre) ad anni alterni dalle ore 8,30 del mattino alle ore 20,30 della sera compatibilmente con gli impegni di studio degli stessi e nei giorni 19/3/2007 (festa del papà) e 11 agosto (compleanno del ricorrente).
Quanto alle comunicazioni telefoniche, il Collegio ritiene opportuno, in considerazione dell’età dei minori, limitare le telefonate da parte del padre ad una sola occasione giornaliera, in orario pomeridiano o serale, di durata non superiore a quindici minuti, da effettuare comunque entro le ore 21,00.
Infine, circa la richiesta di visitare i figli mediante collegamento in video-ripresa su internet, il Tribunale rileva che nulla osta ad una simile forma di comunicazione, purché il ricorrente metta a disposizione dei minori, a sue spese, i relativi costi di gestione del collegamento. Tale forma di comunicazione, che non è comunque idonea a sostituire la relazione fisica tra i soggetti, potrà essere adottata per una durata massima di venti minuti due volte la settimana.
Vanno confermate, infine, le disposizioni economiche dettate con il decreto in data 9.1.2007, ivi compreso l’obbligo di mantenimento dei figli a carico del (A).
La natura della causa induce a compensare integralmente tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

a) rigetta la domanda di affidamento condiviso proposta dal ricorrente;
b) modifica il regime del diritto di visita dei figli minori di (A) secondo quanto previsto nella parte motiva.

IL Papà on-line


Separazione e divorzio – affidamento dei figli – affidamento congiunto – esclusione – diritto di visita – modifiche – modalità [art. 155 c.c., L. n. 54/2006]

In tema di affidamento dei figli, il trasferimento del genitore affidatario in altra località giustifica un cambiamento delle disposizione in tema di visita, resosi più gravoso.
Le vidiochiamate, anche se non sostituiscono i rapporti personali tra genitore e figlio, possono costituire una delle modalità di estrinsecazione del diritto di visita.
(Fonte: Altalex Massimario 35/2008. Cfr. nota di Paola Marino)

Tribunale di Nicosia
Decreto 15 – 22 aprile 2008
(Presidente Dagnino; Estensore Sepe)

Con ricorso depositato il 1/8/2007, (A) premetteva che:
- in data 10.12.2004 il Tribunale di Nicosia omologava la separazione personale dei coniugi (B) e (A);
- con successivo decreto ex art. 710 c.p.c., il Tribunale modificava le condizioni di separazione, confermando l’affidamento esclusivo dei minori (C) e (D) alla madre e stabilendo penalizzanti modalità di esercizio, per il ricorrente, del diritto di visita;
- rispetto a tale situazione, sopravveniva il mutamento della residenza da parte della (B), trasferitasi con i minori nel Comune di (…), al preordinato fine di eludere il provvedimento giudiziale relativo al diritto di visita della prole, ingiustificatamente sradicata dal proprio contesto ambientale;
- a fronte di tale mutamento di fatto, diveniva, pertanto, inattuabile l’esercizio del diritto di visita dei minori da parte del (A), così come disposto dal Tribunale.
Tanto premesso, il ricorrente chiedeva, a modifica dei patti stabiliti in sede di separazione consensuale omologata da questo Tribunale e successivamente modificate con decreto del 9/1/2007, di disporre, nell’ordine:
1) la revoca dell’affidamento esclusivo dei minori, (D) e (C), alla madre;
2) l’affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori, ex art. 155 c.c.;
3) il riconoscimento in favore di esso ricorrente del diritto di :
- visitare ed incontrare i minori nel luogo in cui gli stessi si trovano nello svolgimento della loro vita di relazione, fermo il limite del diritto alla privacy della (B) nella propria abitazione;
- visitare i minori per tre volte al mese, dalle ore 17,00 del sabato alle ore 22,00 della domenica, specificando che, una volta, gli stessi dovranno essere prelevati dal (A) a (…) e, due volte, dovranno essere accompagnati a (…) dalla madre;
- tenere con sé i figli per un periodo continuativo di quaranta giorni, anche frazionabile, durante le vacanze scolastiche estive, secondo un calendario concordato con il coniuge;
- tenere con sé i minori durante le festività natalizie, ad anni alterni, dal 23 al 30 dicembre o dal 31 dicembre al 7 gennaio;
- tenere con sé i minori durante le festività pasquali, ad anni alterni, dal giovedì santo al giorno di Pasqua o dalle ore 18,00 della domenica di Pasqua alle ore 22,00 del martedì successivo;
- tenere con sé i minori nel giorno del loro compleanno (2 agosto e 7 novembre) ad anni alterni dalle ore 8,30 del mattino alle ore 21,00 della sera e nei giorni 19/3/2007(festa del papà) e (…) (compleanno del ricorrente);
- presenziare ad ogni attività dei minori e “tenere contatti diurni” con gli stessi;
- tenere contatti telefonici con i figli minori senza limitazioni, sia tramite l’utenza fissa che mobile;
- prevedere “il diritto di visita on line sul web” del ricorrente.
Il ricorrente chiedeva, in via istruttoria, l’audizione dei minori e l’escussione, quali persone informate sui fatti, della dott.ssa (…), della sig.ra (…), del Presidente del (…) di (…), Ing. (…). Chiedeva, infine, la condanna della controparte alle spese del giudizio.
Disposta la comparizione delle parti per l’udienza del 14/8/2007, si costituiva (B), la quale, in via preliminare, deduceva che:
- al procedimento doveva ritenersi applicabile l’art. 3 L. n. 742/1969 sulla sospensione feriale dei termini, non essendo lo stesso incluso tra le materie che, a norma dell’art. 92 R.D. n. 12/1941, possono essere trattate durante il periodo feriale;
- la domanda era inammissibile per litispendenza, poiché avverso il decreto depositato il 9/1/2007 il (A), in data 7/6/2007, aveva proposto reclamo innanzi alla Corte di appello di Caltanissetta ex art. 739 c.p.c., chiedendo le identiche statuizioni richieste in quella sede.
Nel merito, la resistente argomentava l’infondatezza del proposto ricorso, trattandosi di domande in parte già affrontate dal Tribunale (punti I e II del ricorso) e, in parte, di questioni infondate (punto III).
Invero, la (B) osserva che la scelta del luogo di residenza dei minori spettava unicamente al genitore affidatario, il quale era legittimato anche a trasferirla in luogo diverso da quello di residenza dell’altro genitore, anche all’estero (v. convenzione dell’Aja del 25/10/1980) senza che l’altro genitore possa dolersi della sostanziale vanificazione del proprio diritto di visita.
Chiariva che, nel caso di specie, la scelta del trasferimento in (…) era stata dettata da motivi di salute della resistente e che, comunque, si trattava di una decisione transitoria.
All’udienza del 14/8/2007, depositata documentazione, sull’accordo delle parti veniva disposto un rinvio del procedimento all’udienza del 18/9/2007.
All’udienza del 18/9/2007, il Tribunale si riservava e, con ordinanza depositata il 4/10/2007, si disponeva procedersi a consulenza tecnica psichiatrica sulle persone del (A) e della (B), al fine di evidenziare i rapporti di ciascuno di essi con i figli minori (C) e (D), disponendo, altresì, l’audizione di questi ultimi da parte del c.t.u. con le modalità più appropriate per evitare agli stessi ogni conseguenza traumatica, rinviando all’udienza del 16/10/2007 per il conferimento dell’incarico peritale.
All’udienza del 16/10/2007 veniva conferito l’incarico al dott. (…), psichiatra infantile, ed il procedimento veniva rinviato alla successiva udienza del 15/1/2008.
All’udienza del 15/1/2008, l’avv. (…) chiedeva un breve rinvio per l’esame della relazione peritale, depositata in pari data. Il Tribunale rinviava, pertanto, all’udienza del 22/1/2008.
All’udienza del 22/1/2008 il ricorrente rinunciava a tutti i mezzi istruttori articolati, insistendo in ricorso e, udite le conclusioni della parte opponente, il Tribunale si riservava di decidere.
Con ordinanza fuori udienza il Collegio, ritenuta la necessità di ottenere chiarimenti dal nominato c.t.u. rimetteva il procedimento sul ruolo istruttorio per l’udienza del 4/3/2008.
All’udienza del 4/3/2008, si procedeva all’audizione del consulente tecnico d’ufficio, il quale forniva al Tribunale i richiesti chiarimenti in merito alla relazione peritale depositata.
Il procedimento veniva quindi rinviato all’udienza del 18/3/2008 per consentire alle parti l’eventuale deposito di memorie difensive.
All’udienza del 18/3/2008, l’avv. (…) per il ricorrente chiedeva l’accoglimento del ricorso. L’avv. (…) per la resistente, depositate ulteriori note critiche rispetto all’operato del C.t.u., chiedeva il rinnovo della consulenza; nel merito concludeva per il rigetto del ricorso; in via subordinata chiedeva il richiamo del c.t.u. a chiarimenti.
Il P.M. chiedeva l’accoglimento del ricorso.
Il Tribunale, udite le conclusioni delle parti, riservava la decisione.
___________
In via preliminare deve essere respinta l’eccezione processuale proposta dalla resistente circa l’inapplicabilità al presente procedimento dell’art. 3 L. 742/1969 sulla sospensione feriale dei termini processuali. Invero alla prima udienza del 14/8/2007 il Tribunale dichiarava l’urgenza di provvedere in relazione alla necessità di decidere in merito ai rapporti tra genitori e figli, trattandosi di diritti della personalità pregiudicabili da un rinvio in periodo post-feriale.
Analogamente va rigettata l’ulteriore eccezione, formulata dalla (B), di inammissibilità del ricorso per litispendenza per essere pendente il reclamo, peraltro già deciso, innanzi alla Corte di appello di Caltanissetta avverso il precedente decreto emesso da questo Tribunale in data 5/1/2007. Invero la sussistenza di fatti sopravvenuti, quale il dedotto mutamento della residenza della resistente, rende ammissibile la proposizione da parte del coniuge di un autonomo giudizio al fine di ottenere la modifica dell’affidamento della prole e del diritto di visita, ancorché pendente il reclamo avverso un precedente decreto intervenuto tra le parti, non sussistendo identità tra il petitum e la causa pretendi dei diversi procedimenti.
Nel merito, vanno anzitutto richiamate le riflessioni in diritto già svolte dal Collegio nel corpo del decreto in data 5/1/2007, a proposito dei diritti che il codice civile stabilisce in favore dei figli minori in caso di separazione personale dei coniugi.
Invero l’art. 155 cod. civ., come modificato dalla L. n. 54/2006, evidenzia il diritto dei figli minori, in caso di separazione, a mantenere un rapporto significativo e continuativo con ciascuno dei genitori e con i parenti dei rispettivi rami genitoriali.
La norma, avendo di mira l’indicata esigenza di assicurare che i figli possano beneficiare di rapporti costanti con entrambi i genitori, impone al Tribunale di valutare, nell’adozione dei provvedimenti relativi alla prole, esclusivamente l’interesse morale e materiale di essa, valutando, in via prioritaria, la “possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori”.
Qualora ciò non sia possibile, è facoltà del Tribunale di stabilire l’affidamento esclusivo ad uno dei genitori “determinando i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli”.
Infine, la legge vuole che non siano trascurati gli accordi intervenuti tra i genitori, “sempre che non si tratti di convenzioni in qualsiasi modo contrarie all’interesse dei figli”.
Orbene, come chiarito nella parte relativa allo svolgimento del processo, il Tribunale si è già occupato della vicenda dei coniugi (A) – (B) nell’ambito del proc. civ. 123/06 R.G..
In questa sede, il Collegio, sulla base della consulenza tecnica redatta dall’esperta psicologa dott.ssa (…), ha ritenuto di disporre l’affidamento esclusivo dei figli minori della coppia, (C) e (D), alla madre, a motivo delle scarse capacità di autocontrollo del (A), esposto in condizioni di stress alla probabilità di trascendere in condotte aggressive nei confronti dei propri familiari, così ledendo non solo la serenità familiare ma la stessa possibilità di mantenere un rapporto sano ed equilibrato con i figli minori. Giova, ancora, premettere, che il reclamo avverso il decreto in data 5/1/2007, conclusivo del suddetto procedimento, è stato rigettato con ordinanza del 3/1/2008 dalla Corte di appello di Caltanissetta, sicché le relative disposizioni sono ancora integralmente valide ed efficaci.
Ciò premesso, va anche chiarito che in seguito all’odierno ulteriore ricorso del (A), il Tribunale ha ritenuto di rinnovare la consulenza tecnica, anche in considerazione del tempo trascorso rispetto allo svolgimento della precedente perizia, affidando il giudizio ad un neuro-psichiatra infantile dott. (…), coadiuvato da una collaboratrice specialista in psicologia, dott.ssa (…).
Durante il corso del giudizio anche altri esperti, nella veste di c.t.p., hanno avuto modo di occuparsi dell’esame dal punto di vista medico, psichiatrico e psicologico della persona di (A) con esiti, tuttavia, non concordanti tra loro.
Converrà, dunque, esaminare attentamente le risultanze di tali indagini muovendo proprio dall’analisi della consulenza tecnica redatta dal dott. (…), il quale ha potuto effettuare colloqui con entrambi i coniugi ed esaminare il comportamento di questi con i figli, nonché di evidenziare quali sono, ad oggi, i rapporti esistenti tra i figli minori della coppia e ciascuno dei genitori.
Con riferimento al (A), il consulente ha fornito un quadro certamente diverso da quello elaborato dalla dott.ssa (…), descrivendo una persona dal carattere abbastanza regolare, controllato, rispettoso e desideroso di non perdere il rapporto con i figli. A questo riguardo, inoltre, il C.t.u. ha affermato che i rapporti del ricorrente con i figli sono “ottimi” in quanto caratterizzati da buoni legami ed adeguati scambi relazionali.
Egli, mediante l’ausilio di una collaboratrice psicologa, dott.ssa (…), ha sottoposto il periziando ad esami di tipo psicodiagnostico da cui è emerso un profilo, tuttavia, non rassicurante: il consulente infatti ha affermato che, nel (A), la “tendenza all’azione è leggermente prevalente rispetto alla riflessione ed alla valutazione delle conseguenze relative ai propri comportamenti, vi è comunque una buona capacità di coping sociale ma con una tendenza ad assumere atteggiamenti di dominanza”, con ciò ammettendo l’esistenza di profili di criticità nella gestione di situazioni caratterizzate da tensione con la moglie.
In particolare, la dott.ssa (…) ha fornito indicazioni precise in tal senso mediante la sottoposizione del (A) a valutazioni psicodiagnostiche.
Al soggetto è stato somministrato il “Temathic Apperception Test” (T.A.T.) dal quale è emerso il profilo di un soggetto intento ad offrire di sé un’immagine positiva e scevra da pensieri di natura aggressiva o difensiva, con una certa difficoltà, però, sia ad utilizzare la libera immaginazione fantastica sia a fare riferimento, nella descrizione delle tavole, a stati d’animo e sentimenti propri.
Anche all’esito del test “Minnesota Multiphasic Personalità Inventory – 2 (MMPI – 2), pure somministrato al ricorrente, la Psicologa ha ritenuto che l’alto contenuto di risposte di tipo conformistico rivelano la sua tendenza alla voluta ma irrealistica esibizione di un’immagine favorevole di sé.
Ancora il test ha indicato, nel (A), un’accentuata propensione all’azione piuttosto che alla valutazione delle conseguenze delle proprie condotte nonché la possibilità di assumere atteggiamenti di dominanza; ha ipotizzato una capacità di adattamento sociale; ha valutato la possibilità di atteggiamenti imprevedibili e non adeguati al contesto.
Nella parte relativa al profilo del (A), il dott. (…) ha quindi concluso riferendo che lo stesso potrebbe, se sostenuto, elaborare la separazione, i suoi dolori e le recriminazioni.
Per quanto riguarda l’esame condotto sulla persona della (B), il consulente, dopo avere raccolto i pensieri ed i timori della donna circa il rapporto con il marito, a suo dire violento ed autoritario, e con il padre di lei, ha descritto una personalità che, a livello inconscio, incontra “forti difficoltà nel rapportarsi con un maschile che cerca di imporsi e stimolando la comparsa di nuclei reattivi (…). Ciò anche grazie alla presenza di nuclei ansiosi, di insicurezza e di inadeguatezza che possono attivare una profonda paura interiore, stimolando, in un meccanismo a catena, atteggiamenti difensivi caratterizzati da suscettibilità e sospettosità”.
Quindi il c.t.u. ha esaminato i figli minori della coppia , (D) e (C). In ordine a (D) l’esperto ha evidenziato che, pur avendo il bambino narrato dei litigi avuti in passato con il padre e degli “interventi rudi” di costui, lo stesso ha manifestato il desiderio di trascorrere un maggior periodo di tempo con il proprio genitore. Per quanto concerne il piccolo (C), è emersa la sofferenza del bambino derivante dalla cattiva relazione dei genitori e dai loro litigi.
Nelle proprie conclusioni il C.t.u., affermando che i minori ritengono di avere bisogno in eguale misura di entrambi i genitori, in assenza di conflittualità, ha indicato l’utilità di un affidamento degli ex coniugi ad un “servizio di mediazione mediante l’ausilio di esperti, i quali potrebbero anche monitorare i comportamenti, riducendo i rischi di agiti e attenuando i timori espressi dalla signora (B)”.
Con riferimento alla persona del (A), la consulenza redatta dal dott. (…) è stata oggetto di approfondimento critico da parte del consulente di parte della resistente, dott. (…), in particolare in ordine alla incompleta risposta al quesito posto dal Collegio circa la possibile induzione del minore (D) nella stesura di una missiva indirizzata al Tribunale per i minorenni (nella quale il bambino domandava all’autorità giudiziaria di modificare in senso migliorativo il regime delle visite da parte del padre).
In relazione ai suddetti spunti critici il C.t.u. ha fornito al Tribunale i necessari chiarimenti sia in merito all’omessa comparazione tra lo scritto di cui sopra ed il breve elaborato somministrato dallo stesso perito al minore onde saggiare la genuinità della sua lettera, sia in merito al mancato confronto delle risultanze dei due test di Rorschach, sia per quanto concerne le differenti risposte date dai test MMPI somministrati dalla dott.ssa (…) e dalla dott.ssa (…) (cfr. verbale di udienza del 4/3/2008).
In particolare, il c.t.u. ha escluso che il minore sia stato condizionato da alcuno nella stesura della richiesta al Tribunale per i minorenni ed ha riferito che tra i due elaborati scritti non sussistono differenze troppo profonde nella struttura del pensiero, ma solo una diversa distribuzione di errori e cancellature, presenti nel primo documento e non già nel secondo.
In termini generali, inoltre, il C.t.u. ha in ogni caso ribadito di avere riscontrato dei miglioramenti complessivi nella situazione del (A), da intendersi peraltro come “attenuazione delle problematiche descritte nella prima relazione” derivanti, secondo il suo giudizio, dalla presa di coscienza dell’uomo di non potere ricomporre l’unità familiare.
Si tratta di una conclusione condivisibile e fondata su corrette valutazioni scientifiche.
Orbene, traendo le conclusioni da quanto sinora emerso non è dubitabile che la situazione psicologica del (A) sia in atto gradualmente protesa verso un tendenziale miglioramento, in considerazione sia del trascorrere del tempo che della progressiva presa di coscienza della fine della relazione con la moglie e, quindi, dello scemare delle ragioni dei contrasti del passato. Tuttavia, tale tendenziale percorso non può, come peraltro ritenuto anche dal C.t.u., considerarsi affatto concluso, permanendo, seppure in forma attenuata, quelle identiche problematiche di aggressività già descritte, nella loro gravità, dalla dott.ssa (…).
Così esposti i fatti, ritiene il Tribunale di dovere rigettare la richiesta del (A) di affidamento condiviso dei figli minori poiché è probabile che il permanere di una tendenza all’aggressività, non scomparsa, unitamente alla propensione ad assumere atteggiamenti dominanti nei confronti della moglie possa determinare ulteriori danni ai minori, il cui sano ed equilibrato sviluppo necessita, per contro, di ridurre al massimo i rischi di per sé collegati alla disgregazione del nucleo familiare.
In tale contesto, quindi, avuto riguardo esclusivamente all’interesse morale dei piccoli (D) e (C), (B) appare certamente il genitore maggiormente idoneo, per carattere, temperamento, capacità di attenzione e di relazione affettiva, ad offrire ai minori (D) e (C) un buon modello educativo tale da garantire loro una crescita sana ed un equilibrato sviluppo della personalità.
D’altro canto, il Tribunale deve prendere atto che la donna ha modificato unilateralmente la propria residenza portando con sé i figli da (…) a (…) e rendendo, quindi, inattuabile l’esercizio del diritto di visita dei figli da parte del padre così come disciplinato con il decreto del 9/1/2007, oltre che, in ogni caso, più gravoso per quest’ultimo e per gli stessi minori a motivo della notevole distanza tra le due località.
A prescindere dalle ragioni che hanno indotto la donna ad un tale trasferimento, appare in ogni caso opportuno estendere, in forza della riscontrata migliore situazione dei rapporti padre/figli, il regime delle visite in modo da consentire che i due bambini, quantunque affidati in via esclusiva alla madre, possano beneficiare di un rapporto significativo col padre, che potranno frequentare in modo regolare e per periodi di tempo congrui. Ancora, si deve notare che, durante il corso del presente giudizio, sull’accordo delle parti è stato adottato, sia pure in via provvisoria, un diverso regime del diritto di visita dei figli da parte del ricorrente che non ha prodotto risultati negativi, regime che, a norma dell’art. 155 ult. co. c.c., può essere ulteriormente valorizzato con le opportune modifiche ed integrazioni in quanto rispondente alle esigenze dei minori.
Cosicché, tenuto conto anche della necessità di evitare eccessivi spostamenti ai due minori, che risulterebbero pregiudizievoli, il Collegio ritiene di stabilire quanto segue: (A) potrà esercitare il diritto di visita dei propri figli, tenendoli con sé, a settimane alterne, dalle ore 16,30 del sabato alle ore 20,30 della domenica, con obbligo alternato, a carico di entrambi i genitori, di prelevare e riaccompagnare i figli da (…) a (…) e viceversa.
Un terzo fine settimana al mese il ricorrente avrà la facoltà di visitare i figli direttamente in…, dalle ore 16,30 alle ore 21,30 del sabato e dalle ore 9,30 alle ore 19,00 della domenica.
Durante le vacanze natalizie, il (A) potrà tenere con sé i figli per cinque giorni consecutivi: un anno il diritto di visita del ricorrente si estenderà dal 24 al 28 dicembre ed un anno dal 30 dicembre al 3 gennaio.
Nel periodo pasquale, il (A) avrà l’affidamento dei minori un anno nei giorni di venerdì, sabato e domenica ed un anno nel giorno di lunedì.
Durante le vacanze estive il (A) avrà l’affidamento dei minori per venti giorni complessivi e per una settimana consecutiva.
Il (A) potrà, infine, inoltre tenere con sé i minori nei giorni del loro compleanno (2 agosto e 7 novembre) ad anni alterni dalle ore 8,30 del mattino alle ore 20,30 della sera compatibilmente con gli impegni di studio degli stessi e nei giorni 19/3/2007 (festa del papà) e 11 agosto (compleanno del ricorrente).
Quanto alle comunicazioni telefoniche, il Collegio ritiene opportuno, in considerazione dell’età dei minori, limitare le telefonate da parte del padre ad una sola occasione giornaliera, in orario pomeridiano o serale, di durata non superiore a quindici minuti, da effettuare comunque entro le ore 21,00.
Infine, circa la richiesta di visitare i figli mediante collegamento in video-ripresa su internet, il Tribunale rileva che nulla osta ad una simile forma di comunicazione, purché il ricorrente metta a disposizione dei minori, a sue spese, i relativi costi di gestione del collegamento. Tale forma di comunicazione, che non è comunque idonea a sostituire la relazione fisica tra i soggetti, potrà essere adottata per una durata massima di venti minuti due volte la settimana.
Vanno confermate, infine, le disposizioni economiche dettate con il decreto in data 9.1.2007, ivi compreso l’obbligo di mantenimento dei figli a carico del (A).
La natura della causa induce a compensare integralmente tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

a) rigetta la domanda di affidamento condiviso proposta dal ricorrente;
b) modifica il regime del diritto di visita dei figli minori di (A) secondo quanto previsto nella parte motiva.

mercoledì 15 ottobre 2008

09.10.2008
Pagamento sistematico di "tangenti" e fattispecie corruttiva
Nel pagamento sistematico di "tangenti" da parte di imprenditori per aggiudicarsi pubbliche commesse è ravvisabile la corruzione e non la concussione "ambientale".
Cassazione penale Sentenza, Sez. VI, 19/09/2008, n. 36154

Interessante sentenza della Cassazione che coglie l’esatto discrimine tra la corruzione e la concussione.
Secondo la Corte, integra la fattispecie della corruzione (articolo 319 c.p.), e non quella della concussione anche cosiddetta "ambientale" (articolo 317 c.p.), una situazione in cui si apprezzi il sistematico pagamento di tangenti da parte di imprenditori di opere pubbliche, nella quale, in un contesto di costante flusso delle commesse, vengano privilegiati gli imprenditori che si siano opportunamente organizzati a tal fine, con conseguente disattivazione dei meccanismi propri della libera concorrenza.
Infatti, argomenta il giudice di legittimità, l’inserimento in un sistema nel quale il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della "tangente" siano costanti, non è agevole cogliere nella parte privata, specie se identificabile con un gruppo imprenditoriale ben attrezzato sotto il profilo organizzativo e sotto quello economico, lo stato di soggezione, indispensabile per la configurazione della concussione, anche ambientale, posto che, in tale situazione, detta parte mira principalmente ad assicurarsi vantaggi al di fuori degli schemi legali, approfittando proprio dei meccanismi criminosi e divenendo protagonista del sistema illecito.
In effetti, non sempre è facile distinguere, in concreto, tra corruzione e concussione.
La difficoltà, anzi, si accentua allorchè si discuta della possibile configurabilità della concussione "ambientale", giacchè soprattutto in questo caso non è sempre semplice cogliere i profili del rapporto intersoggettivo che si determina tra il privato e il pubblico ufficiale e, conseguentemente, il ruolo -di vittima o, alternativamente, di concorrente necessario- del primo.
In realtà, l'elemento fondamentale per distinguere tra la corruzione e la concussione è da individuare nell'apprezzamento del rapporto tra le volontà dei soggetti.
Nella corruzione il rapporto è paritario: vi è, in sostanza, una situazione di par condicio in forza della quale entrambe le parti si accordano liberamente e senza condizionamenti, mercanteggiando l'attività d'ufficio ciascuno per una finalità di profitto proprio.
Nella concussione manca questo rapporto paritario. Il privato, infatti, anche se non sempre si trova in una condizione addirittura di timore o di paura (il c.d. metus publicae potestatis) nei confronti del pubblico ufficiale, sicuramente sempre versa in una situazione di assoggettamento psicologico conseguente alla condotta abusiva del pubblico ufficiale che lo induce o costringe alla prestazione o alla promessa di prestazione solo per evitare un danno.
Peraltro, l'apprezzamento del rapporto -paritetico o no- tra le parti non è sempre immediatamente percepibile, anche perché non è facile la ricostruzione processuale degli stati d'animo psicologici, quali sono l'assoggettamento alla volontà altrui o, per converso, la piena libertà di autodeterminazione.
Occorre, quindi, ricercare nella fattispecie concreta tutti gli elementi indiziari che possano contribuire a fare chiarezza.
In questa prospettiva, utili elementi indiziari possono essere ricavati, come nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, dai "rapporti di forza" esistenti tra il pubblico ufficiale e il privato.
Non è infatti discutibile che, nell'apprezzamento del requisito della par condicio, inteso nei termini suesposti, notevole spessore indiziario dovrà ascriversi alla disamina dei contatti tra le parti e dei reciproci "rapporti di forza" (rilevante sarà il giudizio sul "potere economico" del privato, di norma direttamente proporzionale alla capacità di resistenza rispetto ad un'ipotizzabile pretesa illecita del pubblico agente), estendendosi, laddove possibile, la considerazione anche alle condotte antecedenti e susseguenti l'attività incriminata (per riferimenti, cfr. anche Cassazione, Sezione VI, 19 ottobre 2001, Berlusconi; Sezione VI, 3 novembre 2003, PG ed altro in proc. Di Giacomo).
A nostro avviso, poi, fondamentale elemento indiziario, utile per cogliere l’esatto discrimine tra le fattispecie di che trattasi, è costituito anche dall'apprezzamento della "finalità" che ha mosso il privato, giacchè questa finalità può fornire un contributo essenziale per ricostruire la posizione del privato rispetto a quella del pubblico ufficiale: se il privato si è mosso per perseguire un vantaggio indebito che non avrebbe potuto ottenere se non "pagando", non sembra dubitabile che debba ravvisarsi la corruzione; diverso discorso occorre fare, invece, dovendosi qualificare il fatto come concussione, nell'ipotesi in cui il privato abbia "pagato" solo per avere ciò di cui aveva diritto o addirittura per evitare un maggior danno prospettatogli, direttamente o indirettamente, dal pubblico ufficiale.
Di ciò vi è traccia anche nella sentenza in esame, laddove la Corte ha apprezzato nella vicenda, come ricostruita in sede di merito, che gli imprenditori si erano mossi a pagare sistematicamente sì da potersi aggiudicare le commesse pubbliche "disattivando" i meccanismi della libera concorrenza.

Giuseppe Amato, Procuratore della Repubblica di PineroloTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008
09.10.2008
Pagamento sistematico di "tangenti" e fattispecie corruttiva
Nel pagamento sistematico di "tangenti" da parte di imprenditori per aggiudicarsi pubbliche commesse è ravvisabile la corruzione e non la concussione "ambientale".
Cassazione penale Sentenza, Sez. VI, 19/09/2008, n. 36154

Interessante sentenza della Cassazione che coglie l’esatto discrimine tra la corruzione e la concussione.
Secondo la Corte, integra la fattispecie della corruzione (articolo 319 c.p.), e non quella della concussione anche cosiddetta "ambientale" (articolo 317 c.p.), una situazione in cui si apprezzi il sistematico pagamento di tangenti da parte di imprenditori di opere pubbliche, nella quale, in un contesto di costante flusso delle commesse, vengano privilegiati gli imprenditori che si siano opportunamente organizzati a tal fine, con conseguente disattivazione dei meccanismi propri della libera concorrenza.
Infatti, argomenta il giudice di legittimità, l’inserimento in un sistema nel quale il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della "tangente" siano costanti, non è agevole cogliere nella parte privata, specie se identificabile con un gruppo imprenditoriale ben attrezzato sotto il profilo organizzativo e sotto quello economico, lo stato di soggezione, indispensabile per la configurazione della concussione, anche ambientale, posto che, in tale situazione, detta parte mira principalmente ad assicurarsi vantaggi al di fuori degli schemi legali, approfittando proprio dei meccanismi criminosi e divenendo protagonista del sistema illecito.
In effetti, non sempre è facile distinguere, in concreto, tra corruzione e concussione.
La difficoltà, anzi, si accentua allorchè si discuta della possibile configurabilità della concussione "ambientale", giacchè soprattutto in questo caso non è sempre semplice cogliere i profili del rapporto intersoggettivo che si determina tra il privato e il pubblico ufficiale e, conseguentemente, il ruolo -di vittima o, alternativamente, di concorrente necessario- del primo.
In realtà, l'elemento fondamentale per distinguere tra la corruzione e la concussione è da individuare nell'apprezzamento del rapporto tra le volontà dei soggetti.
Nella corruzione il rapporto è paritario: vi è, in sostanza, una situazione di par condicio in forza della quale entrambe le parti si accordano liberamente e senza condizionamenti, mercanteggiando l'attività d'ufficio ciascuno per una finalità di profitto proprio.
Nella concussione manca questo rapporto paritario. Il privato, infatti, anche se non sempre si trova in una condizione addirittura di timore o di paura (il c.d. metus publicae potestatis) nei confronti del pubblico ufficiale, sicuramente sempre versa in una situazione di assoggettamento psicologico conseguente alla condotta abusiva del pubblico ufficiale che lo induce o costringe alla prestazione o alla promessa di prestazione solo per evitare un danno.
Peraltro, l'apprezzamento del rapporto -paritetico o no- tra le parti non è sempre immediatamente percepibile, anche perché non è facile la ricostruzione processuale degli stati d'animo psicologici, quali sono l'assoggettamento alla volontà altrui o, per converso, la piena libertà di autodeterminazione.
Occorre, quindi, ricercare nella fattispecie concreta tutti gli elementi indiziari che possano contribuire a fare chiarezza.
In questa prospettiva, utili elementi indiziari possono essere ricavati, come nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, dai "rapporti di forza" esistenti tra il pubblico ufficiale e il privato.
Non è infatti discutibile che, nell'apprezzamento del requisito della par condicio, inteso nei termini suesposti, notevole spessore indiziario dovrà ascriversi alla disamina dei contatti tra le parti e dei reciproci "rapporti di forza" (rilevante sarà il giudizio sul "potere economico" del privato, di norma direttamente proporzionale alla capacità di resistenza rispetto ad un'ipotizzabile pretesa illecita del pubblico agente), estendendosi, laddove possibile, la considerazione anche alle condotte antecedenti e susseguenti l'attività incriminata (per riferimenti, cfr. anche Cassazione, Sezione VI, 19 ottobre 2001, Berlusconi; Sezione VI, 3 novembre 2003, PG ed altro in proc. Di Giacomo).
A nostro avviso, poi, fondamentale elemento indiziario, utile per cogliere l’esatto discrimine tra le fattispecie di che trattasi, è costituito anche dall'apprezzamento della "finalità" che ha mosso il privato, giacchè questa finalità può fornire un contributo essenziale per ricostruire la posizione del privato rispetto a quella del pubblico ufficiale: se il privato si è mosso per perseguire un vantaggio indebito che non avrebbe potuto ottenere se non "pagando", non sembra dubitabile che debba ravvisarsi la corruzione; diverso discorso occorre fare, invece, dovendosi qualificare il fatto come concussione, nell'ipotesi in cui il privato abbia "pagato" solo per avere ciò di cui aveva diritto o addirittura per evitare un maggior danno prospettatogli, direttamente o indirettamente, dal pubblico ufficiale.
Di ciò vi è traccia anche nella sentenza in esame, laddove la Corte ha apprezzato nella vicenda, come ricostruita in sede di merito, che gli imprenditori si erano mossi a pagare sistematicamente sì da potersi aggiudicare le commesse pubbliche "disattivando" i meccanismi della libera concorrenza.

Giuseppe Amato, Procuratore della Repubblica di PineroloTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008
09.10.2008
Falso innocuo: ovverossia, per la Cassazione quasi mai

La Cassazione consolida la sua giurisprudenza in ordine al falso c.d. "innocuo", affermando che la lesività del falso va valutata con riferimento all'interesse protetto, che è la fede pubblica, e non all'interesse economico o di altra natura "materiale", eventualmente collegato all'utilizzo dell'atto falso.

Cassazione penale Sentenza, Sez. V, 19/09/2008, n. 36000

L’imputato, utilizzando la carta intestata ed i timbri di un istituto di istruzione, falsifica la firma del direttore e forma un falso attestato che produce in un pubblico concorso. Condannato per i reati di cui agli artt. 477, 482 e 61 n. 2 c.p. (falsità materiale commessa dal privato in certificati od autorizzazioni amministrative, aggravata dal nesso teleologico), ricorre per cassazione rilevando, fra l’altro, che il maggior punteggio attribuitigli da tale falsa attestazione non aveva influito sulla sua posizione di primarietà nella graduatoria del concorso in oggetto, in quanto, anche togliendo tale aggiuntivo punteggio, egli comunque, dato il divario rispetto a quello del successivo candidato, sarebbe risultato vincitore: donde l’irrilevanza dell’uso di tale documento falso e, pertanto, l’innocuità del falso stesso, con la conseguente richiesta di proscioglimento.
La Cassazione, invece, sul tema del falso c.d. "innocuo" è di diverso avviso. Richiamando la sua giurisprudenza sul tema, sostiene che la lesività o meno del falso va rapportata all’interesse protetto, id est la fede pubblica, a nulla rilevando l’interesse, di tipo economico o materiale, collegato all’utilizzo del falso stesso. Nella fattispecie il documento prodotto possedeva tale idoneità ingannatoria, tant’è che aveva comportato l’indebita assegnazione di un ulteriore punteggio al soggetto. Pertanto, conclude il Supremo Collegio, deve considerarsi del tutto irrilevante la circostanza, emersa solo a posteriori, che gli altri concorrenti non avrebbero superato l’imputato anche se questi non avesse ottenuto quel punteggio aggiuntivo, che nulla veniva a togliere alla potenzialità della falsificazione ad ingannare l’affidamento sulla genuinità del documento.
Premessa la distinzione (non sempre rilevata o ben chiara) fra il falso "grossolano", ossia quello macroscopicamente rilevabile e, quindi, non in grado di ingannare nessuno, e quello "innocuo", ossia esistente, ma non lesivo del bene protetto, appare opportuno insistere su tale ultima definizione,
Certo, non pare revocabile in dubbio che l’oggetto giuridico del reato di falso sia la pubblica fede, ma è anche vero che il falso non è quasi mai fine a se stesso, in quanto "non si falsifica per falsificare, ma per conseguire un risultato che sta al di là della falsificazione" (Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte speciale, vol. II, 15a ed. a cura di Grosso, Milano, 2008, p. 69): donde la natura plurioffensiva di tali fattispecie. D’altra parte, anche chi nega tale specifica connotazione giuridica (Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte speciale, vol. I, 4 a ed., Bologna, 2007, p. 543 s.) denuncia l’estremo rigore repressivo nel campo della "falsità di atti", ove "la giurisprudenza è arrivata persino a sostenere che la lesione della pubblica fede è implicata in qualsivoglia falsificazione di atto pubblico". E, d’altra parte, senza scomodare lo storico precedente del codice Zanardelli, che puniva il falso solo ove ne potesse "derivare pubblico o privato nocumento" (art. 275), la stessa Relazione ministeriale veniva ad escludere, più che la punibilità, l’essenza stessa della falsitas "quae non solum non nocuit, sed non erat apta nocere": in definitiva, le ipotesi del falso grossolano, di quello innocuo o di quello inutile.
In tema di falso innocuo la giurisprudenza lo ha ricondotto al caso in cui esso si riveli in concreto inidoneo a ledere l’interesse tutelato dalla genuinità dei documenti e cioè quando non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico, nel senso che l’infedele attestazione o la compiuta alterazione appaiano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e, pertanto, inidonee al conseguimento delle finalità che con l’atto falso si intendevano raggiungere: in altri termini, la innocuità deve correlarsi alla funzione documentale che l’atto è chiamato a svolgere e non all’uso che dell’atto falso venga fatto (Cass. pen., sez. V, 7 novembre 2007, D. e altro, Ced n. 238876; nello stesso senso: Cass. pen., sez. V, 30 settembre 1997, Brasola, in Giust. pen., 1998, II, c. 504). Nel solco di tale impostazione, dal negare l’innocuità del falso documentale di per sé (Cass. pen., sez. V, 19 maggio 2004, B. e altro, in Cass. pen., 2006, p. 118; Cass. pen., sez. V, 9 febbraio 2001, Stipa, Ced. n. 218393, Cass. pen., sez. V, 4 novembre 1993, Buraccini, in Giust. pen., 1997, II, c. 274) è breve il passo dall’affermare che la lesione della fede pubblica e, quindi, il concreto pregiudizio del bene giuridico tutelato nei reati di falso, è insita indefettibilmente nelle falsità in documenti pubblici, sicché in ordine a questi non è mai concepibile un falso innocuo, se non nel caso in cui incida su un documento inesistente o assolutamente nullo (Cass. pen., sez. V, 3 novembre 1988, Valicenti, in Giur. it., 1990, II, c. 100), ovvero, in ultima istanza, che il falso c.d. innocuo è irrilevante (Cass. pen., sez. un., 10 ottobre 1981, Di Carlo, in Arch. giur. circ., 1982, p. 387).
Unica eccezione, una criticata pronuncia, secondo la quale, pur ammettendo che il registro di classe costituisce atto pubblico e perciò le false attestazioni in esso contenute integrano gli estremi del falso ideologico, tuttavia nel caso in cui il registro di classe sia stato sottoscritto dall’insegnante incaricato dell’insegnamento mentre questo in effetti sia stato svolto da altro docente in possesso dei requisiti richiesti, il falso deve ritenersi innocuo ed escludersi la responsabilità penale (Cass. pen., sez. V, 20 novembre 1996, Scaricabarozzi, in Dir. pen. e proc., 1997, p. 594, con nota di Monteverde, Insegnanti di scuole pareggiate: attestazioni infedeli nei registri).
La decisione della Suprema Corte in oggetto, in ogni caso, appare condivisibile, specie laddove sottolinea la necessità di rilevare la potenzialità ingannatoria del falso una sorta di giudizio ex ante, ossia indipendentemente dell’efficacia o meno che esso abbia avuto nell’uso poi fattone: se, dunque, falsitas non nocuit, ciononostante apta nocere erat.

Paolo Pittaro, Professore associato di Diritto penale nell'Università di TriesteTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008
09.10.2008
Falso innocuo: ovverossia, per la Cassazione quasi mai

La Cassazione consolida la sua giurisprudenza in ordine al falso c.d. "innocuo", affermando che la lesività del falso va valutata con riferimento all'interesse protetto, che è la fede pubblica, e non all'interesse economico o di altra natura "materiale", eventualmente collegato all'utilizzo dell'atto falso.

Cassazione penale Sentenza, Sez. V, 19/09/2008, n. 36000

L’imputato, utilizzando la carta intestata ed i timbri di un istituto di istruzione, falsifica la firma del direttore e forma un falso attestato che produce in un pubblico concorso. Condannato per i reati di cui agli artt. 477, 482 e 61 n. 2 c.p. (falsità materiale commessa dal privato in certificati od autorizzazioni amministrative, aggravata dal nesso teleologico), ricorre per cassazione rilevando, fra l’altro, che il maggior punteggio attribuitigli da tale falsa attestazione non aveva influito sulla sua posizione di primarietà nella graduatoria del concorso in oggetto, in quanto, anche togliendo tale aggiuntivo punteggio, egli comunque, dato il divario rispetto a quello del successivo candidato, sarebbe risultato vincitore: donde l’irrilevanza dell’uso di tale documento falso e, pertanto, l’innocuità del falso stesso, con la conseguente richiesta di proscioglimento.
La Cassazione, invece, sul tema del falso c.d. "innocuo" è di diverso avviso. Richiamando la sua giurisprudenza sul tema, sostiene che la lesività o meno del falso va rapportata all’interesse protetto, id est la fede pubblica, a nulla rilevando l’interesse, di tipo economico o materiale, collegato all’utilizzo del falso stesso. Nella fattispecie il documento prodotto possedeva tale idoneità ingannatoria, tant’è che aveva comportato l’indebita assegnazione di un ulteriore punteggio al soggetto. Pertanto, conclude il Supremo Collegio, deve considerarsi del tutto irrilevante la circostanza, emersa solo a posteriori, che gli altri concorrenti non avrebbero superato l’imputato anche se questi non avesse ottenuto quel punteggio aggiuntivo, che nulla veniva a togliere alla potenzialità della falsificazione ad ingannare l’affidamento sulla genuinità del documento.
Premessa la distinzione (non sempre rilevata o ben chiara) fra il falso "grossolano", ossia quello macroscopicamente rilevabile e, quindi, non in grado di ingannare nessuno, e quello "innocuo", ossia esistente, ma non lesivo del bene protetto, appare opportuno insistere su tale ultima definizione,
Certo, non pare revocabile in dubbio che l’oggetto giuridico del reato di falso sia la pubblica fede, ma è anche vero che il falso non è quasi mai fine a se stesso, in quanto "non si falsifica per falsificare, ma per conseguire un risultato che sta al di là della falsificazione" (Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte speciale, vol. II, 15a ed. a cura di Grosso, Milano, 2008, p. 69): donde la natura plurioffensiva di tali fattispecie. D’altra parte, anche chi nega tale specifica connotazione giuridica (Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte speciale, vol. I, 4 a ed., Bologna, 2007, p. 543 s.) denuncia l’estremo rigore repressivo nel campo della "falsità di atti", ove "la giurisprudenza è arrivata persino a sostenere che la lesione della pubblica fede è implicata in qualsivoglia falsificazione di atto pubblico". E, d’altra parte, senza scomodare lo storico precedente del codice Zanardelli, che puniva il falso solo ove ne potesse "derivare pubblico o privato nocumento" (art. 275), la stessa Relazione ministeriale veniva ad escludere, più che la punibilità, l’essenza stessa della falsitas "quae non solum non nocuit, sed non erat apta nocere": in definitiva, le ipotesi del falso grossolano, di quello innocuo o di quello inutile.
In tema di falso innocuo la giurisprudenza lo ha ricondotto al caso in cui esso si riveli in concreto inidoneo a ledere l’interesse tutelato dalla genuinità dei documenti e cioè quando non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico, nel senso che l’infedele attestazione o la compiuta alterazione appaiano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e, pertanto, inidonee al conseguimento delle finalità che con l’atto falso si intendevano raggiungere: in altri termini, la innocuità deve correlarsi alla funzione documentale che l’atto è chiamato a svolgere e non all’uso che dell’atto falso venga fatto (Cass. pen., sez. V, 7 novembre 2007, D. e altro, Ced n. 238876; nello stesso senso: Cass. pen., sez. V, 30 settembre 1997, Brasola, in Giust. pen., 1998, II, c. 504). Nel solco di tale impostazione, dal negare l’innocuità del falso documentale di per sé (Cass. pen., sez. V, 19 maggio 2004, B. e altro, in Cass. pen., 2006, p. 118; Cass. pen., sez. V, 9 febbraio 2001, Stipa, Ced. n. 218393, Cass. pen., sez. V, 4 novembre 1993, Buraccini, in Giust. pen., 1997, II, c. 274) è breve il passo dall’affermare che la lesione della fede pubblica e, quindi, il concreto pregiudizio del bene giuridico tutelato nei reati di falso, è insita indefettibilmente nelle falsità in documenti pubblici, sicché in ordine a questi non è mai concepibile un falso innocuo, se non nel caso in cui incida su un documento inesistente o assolutamente nullo (Cass. pen., sez. V, 3 novembre 1988, Valicenti, in Giur. it., 1990, II, c. 100), ovvero, in ultima istanza, che il falso c.d. innocuo è irrilevante (Cass. pen., sez. un., 10 ottobre 1981, Di Carlo, in Arch. giur. circ., 1982, p. 387).
Unica eccezione, una criticata pronuncia, secondo la quale, pur ammettendo che il registro di classe costituisce atto pubblico e perciò le false attestazioni in esso contenute integrano gli estremi del falso ideologico, tuttavia nel caso in cui il registro di classe sia stato sottoscritto dall’insegnante incaricato dell’insegnamento mentre questo in effetti sia stato svolto da altro docente in possesso dei requisiti richiesti, il falso deve ritenersi innocuo ed escludersi la responsabilità penale (Cass. pen., sez. V, 20 novembre 1996, Scaricabarozzi, in Dir. pen. e proc., 1997, p. 594, con nota di Monteverde, Insegnanti di scuole pareggiate: attestazioni infedeli nei registri).
La decisione della Suprema Corte in oggetto, in ogni caso, appare condivisibile, specie laddove sottolinea la necessità di rilevare la potenzialità ingannatoria del falso una sorta di giudizio ex ante, ossia indipendentemente dell’efficacia o meno che esso abbia avuto nell’uso poi fattone: se, dunque, falsitas non nocuit, ciononostante apta nocere erat.

Paolo Pittaro, Professore associato di Diritto penale nell'Università di TriesteTratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

domenica 12 ottobre 2008

Decreto Ingiuntivo dell'Amministratore di Condominio: si può chiedere anche sulla base del bilancio preventivo


Morosità condominiale: per il recupero l'amministratore può chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo anche sulla base del bilancio preventivo



di Gianfranco Di Rago
Per il recupero della morosità condominiale l'amministratore può chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo anche sulla base del bilancio preventivo. Lo ha confermato in maniera espressa la Corte di Cassazione, sezione seconda civile, con la sentenza n. 24299, depositata lo scorso 29 settembre 2008, con la quale è stato chiarito in maniera definitiva quello che la Suprema Corte ha definito un "principio informatore della gestione condominiale".Il fatto. Nel caso in questione due condomini in ritardo nel pagamento degli oneri condominiali avevano presentato opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso contro di loro dal Giudice di Pace su richiesta dell'amministratore per un credito di € 759,29. L'istanza in questione era stata presentata sulla scorta di quanto previsto dall'art. 63 delle Disposizioni di attuazione del Codice Civile che, com'è noto, concede all'amministratore la facoltà di chiedere la tutela monitoria, peraltro con decreto immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, per la riscossione dei contributi "in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea".Tra i motivi di opposizione presentati al Giudice di Pace dai condomini morosi figurava l'eccezione relativa al fatto che l'amministratore, nel chiedere la concessione del decreto ingiuntivo, aveva fatto riferimento ai crediti risultanti dal bilancio preventivo. Secondo i ricorrenti in opposizione avrebbe invece dovuto farsi applicazione del bilancio consuntivo che, all'epoca del deposito del ricorso del condominio, non era stato ancora approvato. Sorprendentemente, il Giudice di Pace di Roma, con sentenza n. 51696/2003, aveva accolto il ricorso in opposizione, dichiarando la nullità del decreto ingiuntivo proprio perché fondato sul bilancio condominiale preventivo invece che su quello consuntivo. La motivazione redatta a sostegno della sentenza recitava testualmente che "dalla documentazione depositata dalle parti si evince che il decreto ingiuntivo è stato richiesto a eccezione di euro 116,91 con riferimento all'esercizio del 2001, il cui consuntivo al momento della richiesta del decreto, come è provato per tabulas, non era ancora stato approvato". Vista la singolarità della decisione, il condominio, per quanto creditore di una somma davvero esigua, aveva deciso di portare la questione al vaglio della Suprema Corte. La decisione. Grazie alla pervicacia dei difensori del condominio la Suprema Corte ha così potuto chiarire una questione che, per quanto possa apparire scontata, non trova una conferma decisiva nella lettera dell'art. 63 Disp. att. c.c., il quale riveste comunque una certa importanza nell'economia processuale, visto l'elevato numero di decreti ingiuntivi che ogni anno vengono emessi nei confronti dei condomini morosi. Avallare una decisione quale quella adottata dal Giudice di Pace di Roma avrebbe significato una vera e propria rivoluzione nell'ambito del diritto condominiale, con ovvia gioia dei condomini morosi e degli avvocati che, per il gioco delle parti, si trovano a coltivare questo tipo di opposizioni, ma con danni enormi per la corretta gestione dei condomini italiani, tanto da mettere in serie allarme gli amministratori, i quali non avrebbero più potuto contare sull'incasso immediato delle somme indicate nel bilancio preventivo, dovendo necessariamente attendere la deliberazione a consuntivo da parte dell'assemblea. "Tale principio, se applicato", si legge nella sentenza n. 24299/2008 della Suprema Corte, "renderebbe impossibile la riscossione degli oneri - e, quindi, inciderebbe sulla possibilità stessa di gestione del condominio - per tutto il tempo intercorrente tra la scadenza dell'esercizio e l'approvazione del consuntivo". Invero, l'art. 63 Disp. Att. c.c. si limita a fare riferimento alla necessità di fondare la riscossione in via monitoria dei contributi condominiali sullo "stato di ripartizione approvato dall'assemblea", senza specificare se sia sufficiente l'approvazione assembleare del bilancio preventivo o se, al contrario, si necessario attendere la deliberazione del bilancio consuntivo. Che la questione non sia di poco conto ne è prova un altro recente precedente della Suprema Corte (che si è pronunciata raramente su una materia del genere, anche per la particolarità del sistema di impugnazione delle sentenze del Giudice di Pace, questione alla quale si accennerà a breve). Infatti la medesima seconda sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3435 dell'8 marzo 2001, ha avuto modo di sottolineare che i requisiti per l'emissione del decreto ingiuntivo per il recupero degli oneri condominiali di cui all'art. 63 Disp. Att. c.c. non devono essere confusi con quanto previsto in via generale dagli artt. 633 c.p.c.. Fatta questa doverosa premessa, i supremi giudici hanno avuto modo di chiarire che il ricorso da parte dell'amministratore di condominio al procedimento monitorio ai sensi dell'art. 63 Disp. Att. c.c. nei confronti del condomino moroso postula la ricorrenza dell'approvazione del bilancio, preventivo o consuntivo, da parte dell'assemblea. Un altro precedente di legittimità richiamato nella medesima sentenza n. 3435/2001, ovvero la sentenza n. 1789 del 12 febbraio 1993, aveva invece chiarito che "per la riscossione dei contributi condominiali l'amministratore può chiedere il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, ai sensi dell'art. 63 disp. attuaz. c.c., nei confronti del condomino moroso, in base al preventivo delle spese approvato dall'assemblea, soltanto fino a che l'esercizio cui tali spese si riferiscono non sia terminato, dovendo altrimenti agire in base al consuntivo della gestione annuale". Ebbene, con la sentenza in commento la Suprema Corte, parlando espressamente di "principio basilare e ineliminabile per la corretta gestione del condominio", e stigmatizzando così la decisione del Giudice di Pace di Roma, ha chiarito definitivamente che la tutela monitoria degli oneri condominiali è azionabile anche in presenza del solo bilancio preventivo, purché regolarmente adottato dall'assemblea, spiegando che la riferita interpretazione dell'art. 63 Disp. Att. c.c. appare la più corretta per salvaguardare la regolare gestione del condominio. Si sottolinea, altresì, come una volta approvato il bilancio consuntivo l'amministratore debba però agire esclusivamente sulla base di quest'ultimo e non più in forza del bilancio preventivo. Infine, meritano di essere sottolineate le motivazioni con le quali la Suprema Corte, vista l'abnormità del decisum del Giudice di Pace di Roma, ha giustificato la legittimità del proprio intervento correttivo. Nella specie si trattava, infatti, di una decisione secondo equità, ex art. 113 c.p.c.. Com'è noto, la norma in questione consente al Giudice di Pace, relativamente alle liti di valore inferiore a € 1.100,00, di discostarsi motivatamente dalle norme di diritto, cercando di individuare una soluzione di buon senso della controversia. Questo tipo di decisioni, proprio perché prescindono dalla pedissequa applicazione delle norme di diritto, possono essere impugnate soltanto per la violazione di norme costituzionali o di norme comunitarie di rango superiore a quelle ordinarie, nonché delle norme processuali, ai sensi dell'art. 311 c.p.c.. Ebbene, la Suprema Corte si è comunque ritenuta competente a conoscere della questione sul presupposto che quella denunciata dal condominio ricorrente fosse una questione attinente a un principio informatore della disciplina della gestione condominiale, con conseguente obbligo di applicazione generalizzata, secondo quanto previsto dalla sentenza n. 206 del 6 luglio 2004 della Corte Costituzionale (la quale, chiamata a giudicare della legittimità dell'art. 113, comma 2, c.p.c., ha avuto modo di osservare che il giudizio di equità del Giudice di Pace deve appunto svolgersi nel rispetto dei principi informatori della materia in cui ricade la specifica controversia, rendendo quindi possibile il ricorso in Cassazione avverso le sentenze che se ne discostino, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Gianfranco Di Rago
Avvocato in Milano
www.studiolegaledirago.it


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Decreto Ingiuntivo dell'Amministratore di Condominio: si può chiedere anche sulla base del bilancio preventivo


Morosità condominiale: per il recupero l'amministratore può chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo anche sulla base del bilancio preventivo



di Gianfranco Di Rago
Per il recupero della morosità condominiale l'amministratore può chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo anche sulla base del bilancio preventivo. Lo ha confermato in maniera espressa la Corte di Cassazione, sezione seconda civile, con la sentenza n. 24299, depositata lo scorso 29 settembre 2008, con la quale è stato chiarito in maniera definitiva quello che la Suprema Corte ha definito un "principio informatore della gestione condominiale".Il fatto. Nel caso in questione due condomini in ritardo nel pagamento degli oneri condominiali avevano presentato opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso contro di loro dal Giudice di Pace su richiesta dell'amministratore per un credito di € 759,29. L'istanza in questione era stata presentata sulla scorta di quanto previsto dall'art. 63 delle Disposizioni di attuazione del Codice Civile che, com'è noto, concede all'amministratore la facoltà di chiedere la tutela monitoria, peraltro con decreto immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, per la riscossione dei contributi "in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea".Tra i motivi di opposizione presentati al Giudice di Pace dai condomini morosi figurava l'eccezione relativa al fatto che l'amministratore, nel chiedere la concessione del decreto ingiuntivo, aveva fatto riferimento ai crediti risultanti dal bilancio preventivo. Secondo i ricorrenti in opposizione avrebbe invece dovuto farsi applicazione del bilancio consuntivo che, all'epoca del deposito del ricorso del condominio, non era stato ancora approvato. Sorprendentemente, il Giudice di Pace di Roma, con sentenza n. 51696/2003, aveva accolto il ricorso in opposizione, dichiarando la nullità del decreto ingiuntivo proprio perché fondato sul bilancio condominiale preventivo invece che su quello consuntivo. La motivazione redatta a sostegno della sentenza recitava testualmente che "dalla documentazione depositata dalle parti si evince che il decreto ingiuntivo è stato richiesto a eccezione di euro 116,91 con riferimento all'esercizio del 2001, il cui consuntivo al momento della richiesta del decreto, come è provato per tabulas, non era ancora stato approvato". Vista la singolarità della decisione, il condominio, per quanto creditore di una somma davvero esigua, aveva deciso di portare la questione al vaglio della Suprema Corte. La decisione. Grazie alla pervicacia dei difensori del condominio la Suprema Corte ha così potuto chiarire una questione che, per quanto possa apparire scontata, non trova una conferma decisiva nella lettera dell'art. 63 Disp. att. c.c., il quale riveste comunque una certa importanza nell'economia processuale, visto l'elevato numero di decreti ingiuntivi che ogni anno vengono emessi nei confronti dei condomini morosi. Avallare una decisione quale quella adottata dal Giudice di Pace di Roma avrebbe significato una vera e propria rivoluzione nell'ambito del diritto condominiale, con ovvia gioia dei condomini morosi e degli avvocati che, per il gioco delle parti, si trovano a coltivare questo tipo di opposizioni, ma con danni enormi per la corretta gestione dei condomini italiani, tanto da mettere in serie allarme gli amministratori, i quali non avrebbero più potuto contare sull'incasso immediato delle somme indicate nel bilancio preventivo, dovendo necessariamente attendere la deliberazione a consuntivo da parte dell'assemblea. "Tale principio, se applicato", si legge nella sentenza n. 24299/2008 della Suprema Corte, "renderebbe impossibile la riscossione degli oneri - e, quindi, inciderebbe sulla possibilità stessa di gestione del condominio - per tutto il tempo intercorrente tra la scadenza dell'esercizio e l'approvazione del consuntivo". Invero, l'art. 63 Disp. Att. c.c. si limita a fare riferimento alla necessità di fondare la riscossione in via monitoria dei contributi condominiali sullo "stato di ripartizione approvato dall'assemblea", senza specificare se sia sufficiente l'approvazione assembleare del bilancio preventivo o se, al contrario, si necessario attendere la deliberazione del bilancio consuntivo. Che la questione non sia di poco conto ne è prova un altro recente precedente della Suprema Corte (che si è pronunciata raramente su una materia del genere, anche per la particolarità del sistema di impugnazione delle sentenze del Giudice di Pace, questione alla quale si accennerà a breve). Infatti la medesima seconda sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3435 dell'8 marzo 2001, ha avuto modo di sottolineare che i requisiti per l'emissione del decreto ingiuntivo per il recupero degli oneri condominiali di cui all'art. 63 Disp. Att. c.c. non devono essere confusi con quanto previsto in via generale dagli artt. 633 c.p.c.. Fatta questa doverosa premessa, i supremi giudici hanno avuto modo di chiarire che il ricorso da parte dell'amministratore di condominio al procedimento monitorio ai sensi dell'art. 63 Disp. Att. c.c. nei confronti del condomino moroso postula la ricorrenza dell'approvazione del bilancio, preventivo o consuntivo, da parte dell'assemblea. Un altro precedente di legittimità richiamato nella medesima sentenza n. 3435/2001, ovvero la sentenza n. 1789 del 12 febbraio 1993, aveva invece chiarito che "per la riscossione dei contributi condominiali l'amministratore può chiedere il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, ai sensi dell'art. 63 disp. attuaz. c.c., nei confronti del condomino moroso, in base al preventivo delle spese approvato dall'assemblea, soltanto fino a che l'esercizio cui tali spese si riferiscono non sia terminato, dovendo altrimenti agire in base al consuntivo della gestione annuale". Ebbene, con la sentenza in commento la Suprema Corte, parlando espressamente di "principio basilare e ineliminabile per la corretta gestione del condominio", e stigmatizzando così la decisione del Giudice di Pace di Roma, ha chiarito definitivamente che la tutela monitoria degli oneri condominiali è azionabile anche in presenza del solo bilancio preventivo, purché regolarmente adottato dall'assemblea, spiegando che la riferita interpretazione dell'art. 63 Disp. Att. c.c. appare la più corretta per salvaguardare la regolare gestione del condominio. Si sottolinea, altresì, come una volta approvato il bilancio consuntivo l'amministratore debba però agire esclusivamente sulla base di quest'ultimo e non più in forza del bilancio preventivo. Infine, meritano di essere sottolineate le motivazioni con le quali la Suprema Corte, vista l'abnormità del decisum del Giudice di Pace di Roma, ha giustificato la legittimità del proprio intervento correttivo. Nella specie si trattava, infatti, di una decisione secondo equità, ex art. 113 c.p.c.. Com'è noto, la norma in questione consente al Giudice di Pace, relativamente alle liti di valore inferiore a € 1.100,00, di discostarsi motivatamente dalle norme di diritto, cercando di individuare una soluzione di buon senso della controversia. Questo tipo di decisioni, proprio perché prescindono dalla pedissequa applicazione delle norme di diritto, possono essere impugnate soltanto per la violazione di norme costituzionali o di norme comunitarie di rango superiore a quelle ordinarie, nonché delle norme processuali, ai sensi dell'art. 311 c.p.c.. Ebbene, la Suprema Corte si è comunque ritenuta competente a conoscere della questione sul presupposto che quella denunciata dal condominio ricorrente fosse una questione attinente a un principio informatore della disciplina della gestione condominiale, con conseguente obbligo di applicazione generalizzata, secondo quanto previsto dalla sentenza n. 206 del 6 luglio 2004 della Corte Costituzionale (la quale, chiamata a giudicare della legittimità dell'art. 113, comma 2, c.p.c., ha avuto modo di osservare che il giudizio di equità del Giudice di Pace deve appunto svolgersi nel rispetto dei principi informatori della materia in cui ricade la specifica controversia, rendendo quindi possibile il ricorso in Cassazione avverso le sentenze che se ne discostino, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Gianfranco Di Rago
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giovedì 9 ottobre 2008

Il giudicato copre il dedotto ed il deducibile: Ambito e portata del principio

02.10.2008

Estensione del giudicato alle questioni deducibili

Nell'ambito della giurisdizione esclusiva il giudicato sul rapporto controverso si estende, oltre che sulle questioni effettivamente proposte in giudizio, anche quelle su quelle deducibili in via di azione ed eccezione (deducibile), che costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari.
Consiglio di Stato Sentenza 08/09/2008, n. 4288
Con sentenza n. 612 del 2006, la Sezione sesta del Consiglio di Stato confermava la sentenza n. 13085 del 2004 con la quale il T.A.R. del Lazio, dichiarava in parte inammissibili ed in parte infondati i ricorsi proposti da due docenti universitari per l’’annullamento del provvedimento del 19 settembre 2003, con il quale il commissario straordinario dell’azienda Policlinico Umberto I li aveva rimossi dall’esercizio delle funzioni assistenziali di dirigente medico di secondo livello da loro al momento espletate.
Peraltro, la Sezione, nella parte motiva, dichiarava che i due docenti avevano diritto allo svolgimento delle funzioni assistenziali presso una struttura dell’università di pari livello presso la quale erano precedentemente incardinati salvo l’eventuale risarcimento dei danni.
I ricorrenti, rilevato che l’amministrazione non aveva dato soddisfazione all’indicato diritto, facevano istanza per l’ottemperanza al giudicato.
L’Amministrazione eccepiva la carenza di interesse al ricorso e, nel merito, escludeva che l’ottemperanda decisione contenesse statuizioni implicanti alcuna pronuncia di accertamento ovvero di condanna nei suoi confronti.
Con sentenza n. 4288 del 2008, la sesta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto il ricorso per l’ottemperanza.
A sostegno della decisione, detto giudice ha richiamato il principio secondo il quale, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile ed inoltre che, alla stregua del novellato art. 111 della Costituzione, è ammesso il ricorso in questione al fine di determinare le condizioni per ottemperare ai precetti contenuti nella decisione.
Guido Salemi,
Consigliere di Stato,
Giudice al Tribunale superiore delle acque pubbliche e
Componente della Commissione tributaria centrale
Tratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

Il giudicato copre il dedotto ed il deducibile: Ambito e portata del principio

02.10.2008

Estensione del giudicato alle questioni deducibili

Nell'ambito della giurisdizione esclusiva il giudicato sul rapporto controverso si estende, oltre che sulle questioni effettivamente proposte in giudizio, anche quelle su quelle deducibili in via di azione ed eccezione (deducibile), che costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari.
Consiglio di Stato Sentenza 08/09/2008, n. 4288
Con sentenza n. 612 del 2006, la Sezione sesta del Consiglio di Stato confermava la sentenza n. 13085 del 2004 con la quale il T.A.R. del Lazio, dichiarava in parte inammissibili ed in parte infondati i ricorsi proposti da due docenti universitari per l’’annullamento del provvedimento del 19 settembre 2003, con il quale il commissario straordinario dell’azienda Policlinico Umberto I li aveva rimossi dall’esercizio delle funzioni assistenziali di dirigente medico di secondo livello da loro al momento espletate.
Peraltro, la Sezione, nella parte motiva, dichiarava che i due docenti avevano diritto allo svolgimento delle funzioni assistenziali presso una struttura dell’università di pari livello presso la quale erano precedentemente incardinati salvo l’eventuale risarcimento dei danni.
I ricorrenti, rilevato che l’amministrazione non aveva dato soddisfazione all’indicato diritto, facevano istanza per l’ottemperanza al giudicato.
L’Amministrazione eccepiva la carenza di interesse al ricorso e, nel merito, escludeva che l’ottemperanda decisione contenesse statuizioni implicanti alcuna pronuncia di accertamento ovvero di condanna nei suoi confronti.
Con sentenza n. 4288 del 2008, la sesta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto il ricorso per l’ottemperanza.
A sostegno della decisione, detto giudice ha richiamato il principio secondo il quale, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile ed inoltre che, alla stregua del novellato art. 111 della Costituzione, è ammesso il ricorso in questione al fine di determinare le condizioni per ottemperare ai precetti contenuti nella decisione.
Guido Salemi,
Consigliere di Stato,
Giudice al Tribunale superiore delle acque pubbliche e
Componente della Commissione tributaria centrale
Tratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

mercoledì 1 ottobre 2008

I.C.I.: I Giudici del Palazzaccio hanno ribadito che è dovuta anche in relazione ai fabbricati rurali


Tutti i fabbricati rurali pagano il tributo comunale. Questo in sintesi il contenuto delle numerose sentenze con cui la Corte di Cassazione ha chiarito in maniera inequivocabile il principio secondo cui i fabbricati posseduti dalle cooperative agricole, anche se classati in categoria D/10, sono soggetti ad ICI. Principio che, in realtà, coinvolge va oltre il trattamento ICI da riservare ai fabbricati posseduti dalle cooperative agricole, in quanto viene espresso un principio di diritto dirompente, secondo cui tutti i fabbricati rurali pagano il tributo comunale.A tal proposito, è intervenuta l'Anci Emilia Romagna che con la circolare 24 settembre 2008, prot. 117, ha chiarito alcuni concetti fondamentale dell'assoggettabilità all'ICI dei fabbricati rurali. La circolare dell'Anci ha, innanzitutto, evidenziato la normativa in materia ICI che ha condotto i giudici della Suprema Corte a tale conclusione, ed in particolare:
l'art.1, comma 2 del D.Lgs. n.504/1992 individua quale presupposto d'imposta "il possesso di fabbricati (…) a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa"; coerentemente con la natura reale dell'ICI, risulta quindi irrilevante sia la condizione personale del possessore sia l'uso cui è destinato il fabbricato, salve, ovviamente, le deroghe contenute nell'art.7;
l'art.2, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n.504/1992 precisa che per "fabbricato si intende l'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano";
alla data di entrata in vigore dell'ICI i fabbricati rurali erano esclusi dal campo di applicazione dell'ICI in quanto questi né erano iscritti al catasto edilizio urbano né erano da iscrivere;
la situazione muta con il D.L. 30 dicembre 1993, n.557, con il cui art.9, comma 1, viene istituito il "catasto dei fabbricati", nel quale vanno iscritti, ad opera del Ministero delle finanze, tutti i fabbricati rurali;
successivamente all'entrata in vigore del D.L. 557/1993, il riferimento contenuto nell'art.2 della normativa ICI al catasto edilizio urbano deve intendersi sostituito dal catasto fabbricati; pertanto diventa soggetto ad ICI il fabbricato iscritto o da iscrivere al "catasto dei fabbricati";
la disciplina delle esenzioni ed agevolazioni ICI non può essere ricavata da altre disposizioni tributarie, come quelle regolanti l'imposizione diretta, ma esclusivamente dalla normativa ICI, la quale non prevede alcun regime di favore per i fabbricati rurali;
gli incisi "agli effetti fiscali" e "ai fini fiscali", contenuti nell'art.9, commi 3 e 3 bis del D.L. n. 557/1993, vanno interpretati nel senso che laddove una specifica disposizione fiscale considera rilevante la natura rurale di un fabbricato, la sussistenza della ruralità va verificata secondo i parametri catalogati nei commi 3 e 3 bis citati; come già rilevato, la normativa ICI non considera rilevante la natura rurale del fabbricato;
anche i nuovi requisiti di ruralità previsti dall'art.9, commi 3 e 3 bis del D.L. n.557/1993, a seguito delle modifiche apportate dall'art.42 bis introdotto dalla legge n.222/2007 di conversione del D.L. n.159/2007, non esplicano alcun effetto in tema di ICI, avendo solo ampliato i casi in cui può essere riconosciuta la ruralità ad un fabbricato, con conseguenze dirette solo sulle modalità di accatastamento dei fabbricati.Dalla lettura della normativa l'Ance ha ritenuto incontestabile la conclusione cui è pervenuta la Suprema Corte, evidenziando però la necessità di effettuare ulteriori riflessioni in merito al regime ICI da applicare ai fabbricati rurali (legittimamente) ancora iscritti al catasto terreni, il divieto al rimborso dell'ICI versata dalle cooperative (disposto dalla legge finanziaria per il 2008), la presenza di circolari ministeriali di segno opposto, le indicazioni contenute nelle istruzioni alla compilazione della dichiarazione ICI.Per quanto concerne i fabbricati rurali costruiti o variati a decorrere dal 1998, il D.M. 2 gennaio 1998, n.28, all'art.2, comma 2 prevede che l'abitazione gli altri immobili strumentali all'esercizio dell'attività agricola costituiscono unità immobiliari da denunciare in catasto autonomamente. Per i fabbricati rurali costruiti o variati dall'11 marzo 1998 occorre, quindi, presentare denuncia di accatastamento con rendita proposta (ex art.5 del D.M. n.28/1998). I fabbricati rurali, iscritti o da iscrivere, debbono corrispondere l'ICI, indipendentemente dal fatto che il titolare del fabbricato rurale non sia ancora oggi obbligato a presentare l'accatastamento, dovendo provvedervi, ai sensi dell'art.9, comma 1 del D.L. n.557/1993, direttamente l'Agenzia del Territorio, in quanto si tratta di fabbricati che, proprio per la norma appena citata, sono da iscrivere al catasto fabbricati, a nulla rilevando il soggetto cui compete l'obbligo di effettuare l'iscrizione. Per quanto riguarda il disposto della legge finanziaria per il 2008 secondo cui è vietato il rimborso dell'ICI pagata dalle cooperative agricole, l'Anci ha chiarito che la finanziaria per il 2008 in questo modo voluto arrestare sul nascere un'eventuale contenzioso fondato sulla supposta natura retroattiva delle modifiche apportate alla normativa disciplinante i requisiti di ruralità ad opera dell'art.42 bis del D.L. n.159/2007 e sulla supposta esenzione dell'ICI per i fabbricati rurali.Sulla contrapposizione della circolare del Ministero delle Finanze n.50/E del 20 marzo 2000 e la circolare dell'Agenzia del Territorio n.7/T del 15 giugno 2007, che in sintesi hanno previsto una esclusione dall'ICI per i fabbricati rurali, l'Anci, riprendendo quanto affermato dalla Suprema Corte, ha chiarito che le due circolari esprimono un parere dell'Amministrazione non vincolante né per il contribuente né per il Giudice tributario e che dunque non scalfisce minimamente il concetto secondo cui i fabbricati rurali debbano essere assoggettati ad ICI.Infine, per quanto concerne le indicazioni contenute nelle istruzioni alla compilazione della dichiarazione ICI ed in particolare l'inserimento di un campo per i casi di esclusione, esenzione o ruralità, l'Anci ha fatto presente che diversi sono i casi in cui le istruzioni alla compilazione della dichiarazione ICI hanno fornito delle indicazioni poi smentite dalla giurisprudenza di legittimità e che, dunque, il decreto di approvazione delle istruzioni e del modello di dichiarazione ICI è viziato da eccesso di potere, in quanto tale esenzione ICI non è prevista nella norma primaria
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