domenica 29 novembre 2009

Animali,cani,guinzagli,comuni,contestazione immediata,contestazione differita, ausiliari del traffico



http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=88976&idCat=120

"Per contro va ricordato che in tema di sanzioni amministrative, ad eccezione delle infrazioni al codice della strada, per le quali vige una disciplina specifica, l’art.14 della legge 24 novembre 1981,n.689, consente la contestazione differita della violazione quando non vi sia stata possibilità – condizione da intendere in senso ampio – di contestazione immediata. Ne consegue la possibilità di indicare le ragioni del differimento della contestazione anche in sede giudiziaria, come lo stesso ricorrente afferma essere avvenuto nella specie, qualora l’opponente sollevi contestazione sul punto. (Cass. 4287/05; 3128/05)."















CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE



SECONDA SEZIONE CIVILE



SENTENZA



Fatto e diritto



Il Giudice di Pace di Carovilli con sentenza del 31/12/2005 rigettava l’opposizione proposta da […] avverso il Comune di Pescolanciano, per l’annullamento del verbale di due ordinanze ingiunzione – n.3 e 4 del 2005 – emesse dal Sindaco di quel comune, per sanzionare la circolazione in centro abitato di due cani privi di guinzaglio e museruola. Rilevava che non era necessaria la contestazione immediata delle violazioni; che la contestazione successiva era stata adeguata e che risultava incontrovertibilmente che i cani del […] circolavano liberamente e incustoditi in prossimità di abitazioni.



[…] ha proposto ricorso per cassazione, notificato l’8 luglio 2006. Il Comune di Pescolanciano ha resistito con controricorso.



Avviata la trattazione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, il procuratore generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso perché manifestamente fondato.



Preliminarmente va disatteso il rilievo, contenuto in controricorso, relativo al disposto dell’art.366 bis c.p.c. e alla mancata formulazione dei quesiti ivi previsti. La norma è erroneamente invocata, poiché essa si applica ai ricorsi avverso sentenze rese dopo il 2 marzo 2006, mentre quella impugnata è stata pronunciata nel 2005.





Con il primo e secondo motivo di ricorso il […] lamenta che non sia stata dichiarata la nullità delle ordinanze opposte, in quanto non precedute da contestazione immediata dell’illecito o almeno dalla mancata indicazione dei motivi che avevano reso impossibile la contestazione stessa.



Le censure non hanno pregio. Per sostenerle il ricorrente invoca principi dettati da questa Corte con riferimento alle violazioni del codice della strada, rette dalla normativa speciale. Per contro va ricordato che in tema di sanzioni amministrative, ad eccezione delle infrazioni al codice della strada, per le quali vige una disciplina specifica, l’art.14 della legge 24 novembre 1981,n.689 [1], consente la contestazione differita della violazione quando non vi sia stata possibilità – condizione da intendere in senso ampio – di contestazione immediata. Ne consegue la possibilità di indicare le ragioni del differimento della contestazione anche in sede giudiziaria, come lo stesso ricorrente afferma essere avvenuto nella specie, qualora l’opponente sollevi contestazione sul punto. (Cass. 4287/05; 3128/05).



Risulta invece fondato il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta che non sia stata indicata la norma di legge violata, ma soltanto un’ordinanza comunale, che vieta la circolazione degli animali in centro abitato. Deduce inoltre che egli aveva rispettato l’ordinanza, poiché il proprio cane si trovava lungo un tratturo nei pressi della propria abitazione e non nel centro abitato. La sentenza impugnata presta il fianco alla doglianza, (che non è inammissibile censura di merito, ma attiene alla motivazione resa sul punto relativo alla nozione di centro abitato), giacché il Giudice di Pace ha desunto l’esistenza della violazione dal fatto che i cani del […] circolavano liberamente "in prossimità di altre abitazioni, e dunque nel pieno centro abitato del comune", circostanza riscontrata dalla cartografia in atti. Il giudicante ha quindi equiparato al centro abitato la presenza di alcune abitazioni, ma tale equiparazione è concettualmente errata, poiché la mera presenza di "altre abitazioni" (è da intendere oltre quella dell’opponente) non è di per sé prova della ubicazione in centro abitato. È invece positivo riscontro del contrario, poiché altrimenti sia il verbale, contestato sul punto, che la sentenza avrebbero potuto (e dovuto) indicare il nome della via in cui avvenne il fatto e gli altri elementi oggettivi e inequivocabili che connotano la nozione di centro abitato, senza ricorrere a un’indicazione presuntiva talmente vaga da fornire implicitamente prova della inconsistenza dell’ipotesi sostenuta.



Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo anche con riguardo al giudizio di primo grado.



Si fa luogo, con decisione ex art.384 c.p.c., all’accoglimento dell’originaria opposizione, giacché non sono da esperire ulteriori accertamenti di fatto per dichiarare la nullità degli atti opposti, a causa dell’errata nozione di centro abitato applicata dal Giudice di Pace.



P.Q.M.



La Corte rigetta primo e secondo motivo di ricorso. Accoglie il terzo. Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione originaria. Condanna parte controricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in euro 600,00 per onorari e 100,00 per esborsi, quanto al giudizio di primo grado e in euro 400,00 per onorari e 200 per spese con riguardo al giudizio di legittimità, oltre accessori di legge.





Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile tenuta il 20 maggio 2009.





DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 NOVEMBRE 2009-11-18











Animali,cani,guinzagli,comuni,contestazione immediata,contestazione differita, ausiliari del traffico

http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=88976&idCat=120
"Per contro va ricordato che in tema di sanzioni amministrative, ad eccezione delle infrazioni al codice della strada, per le quali vige una disciplina specifica, l’art.14 della legge 24 novembre 1981,n.689, consente la contestazione differita della violazione quando non vi sia stata possibilità – condizione da intendere in senso ampio – di contestazione immediata. Ne consegue la possibilità di indicare le ragioni del differimento della contestazione anche in sede giudiziaria, come lo stesso ricorrente afferma essere avvenuto nella specie, qualora l’opponente sollevi contestazione sul punto. (Cass. 4287/05; 3128/05)."







CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

SENTENZA

Fatto e diritto

Il Giudice di Pace di Carovilli con sentenza del 31/12/2005 rigettava l’opposizione proposta da […] avverso il Comune di Pescolanciano, per l’annullamento del verbale di due ordinanze ingiunzione – n.3 e 4 del 2005 – emesse dal Sindaco di quel comune, per sanzionare la circolazione in centro abitato di due cani privi di guinzaglio e museruola. Rilevava che non era necessaria la contestazione immediata delle violazioni; che la contestazione successiva era stata adeguata e che risultava incontrovertibilmente che i cani del […] circolavano liberamente e incustoditi in prossimità di abitazioni.

[…] ha proposto ricorso per cassazione, notificato l’8 luglio 2006. Il Comune di Pescolanciano ha resistito con controricorso.

Avviata la trattazione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, il procuratore generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso perché manifestamente fondato.

Preliminarmente va disatteso il rilievo, contenuto in controricorso, relativo al disposto dell’art.366 bis c.p.c. e alla mancata formulazione dei quesiti ivi previsti. La norma è erroneamente invocata, poiché essa si applica ai ricorsi avverso sentenze rese dopo il 2 marzo 2006, mentre quella impugnata è stata pronunciata nel 2005.


Con il primo e secondo motivo di ricorso il […] lamenta che non sia stata dichiarata la nullità delle ordinanze opposte, in quanto non precedute da contestazione immediata dell’illecito o almeno dalla mancata indicazione dei motivi che avevano reso impossibile la contestazione stessa.

Le censure non hanno pregio. Per sostenerle il ricorrente invoca principi dettati da questa Corte con riferimento alle violazioni del codice della strada, rette dalla normativa speciale. Per contro va ricordato che in tema di sanzioni amministrative, ad eccezione delle infrazioni al codice della strada, per le quali vige una disciplina specifica, l’art.14 della legge 24 novembre 1981,n.689 [1], consente la contestazione differita della violazione quando non vi sia stata possibilità – condizione da intendere in senso ampio – di contestazione immediata. Ne consegue la possibilità di indicare le ragioni del differimento della contestazione anche in sede giudiziaria, come lo stesso ricorrente afferma essere avvenuto nella specie, qualora l’opponente sollevi contestazione sul punto. (Cass. 4287/05; 3128/05).

Risulta invece fondato il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta che non sia stata indicata la norma di legge violata, ma soltanto un’ordinanza comunale, che vieta la circolazione degli animali in centro abitato. Deduce inoltre che egli aveva rispettato l’ordinanza, poiché il proprio cane si trovava lungo un tratturo nei pressi della propria abitazione e non nel centro abitato. La sentenza impugnata presta il fianco alla doglianza, (che non è inammissibile censura di merito, ma attiene alla motivazione resa sul punto relativo alla nozione di centro abitato), giacché il Giudice di Pace ha desunto l’esistenza della violazione dal fatto che i cani del […] circolavano liberamente "in prossimità di altre abitazioni, e dunque nel pieno centro abitato del comune", circostanza riscontrata dalla cartografia in atti. Il giudicante ha quindi equiparato al centro abitato la presenza di alcune abitazioni, ma tale equiparazione è concettualmente errata, poiché la mera presenza di "altre abitazioni" (è da intendere oltre quella dell’opponente) non è di per sé prova della ubicazione in centro abitato. È invece positivo riscontro del contrario, poiché altrimenti sia il verbale, contestato sul punto, che la sentenza avrebbero potuto (e dovuto) indicare il nome della via in cui avvenne il fatto e gli altri elementi oggettivi e inequivocabili che connotano la nozione di centro abitato, senza ricorrere a un’indicazione presuntiva talmente vaga da fornire implicitamente prova della inconsistenza dell’ipotesi sostenuta.

Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo anche con riguardo al giudizio di primo grado.

Si fa luogo, con decisione ex art.384 c.p.c., all’accoglimento dell’originaria opposizione, giacché non sono da esperire ulteriori accertamenti di fatto per dichiarare la nullità degli atti opposti, a causa dell’errata nozione di centro abitato applicata dal Giudice di Pace.

P.Q.M.

La Corte rigetta primo e secondo motivo di ricorso. Accoglie il terzo. Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione originaria. Condanna parte controricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in euro 600,00 per onorari e 100,00 per esborsi, quanto al giudizio di primo grado e in euro 400,00 per onorari e 200 per spese con riguardo al giudizio di legittimità, oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile tenuta il 20 maggio 2009.


DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 NOVEMBRE 2009-11-18





lunedì 23 novembre 2009

Rito sommario di cognizione: le prime pronunce

Rito sommario di cognizione



Rito sommario di cognizione: la prima decisione (illustrativa) è del Tribunale di Varese





Il rito sommario non può iscriversi nell’alveo dei procedimenti a cognizione sommaria. Pare, in particolare, da condividere l’opinione di chi ha parlato di “rito semplificato” di cognizione.



L’ultimo momento utile per delimitare il ventaglio delle richieste istruttorie è l’udienza di prima comparizione, ove le parti possono specificare le prove già richieste nei propri atti o formulare istanza per quelle determinate dall’altrui difesa.



Le parti possono formulare richieste istruttorie sino alla pronuncia del giudice in ordine alla decidibilità della controversia con le forme del sommario (art. 702-ter, comma V, c.p.c.) e, dunque, sino all’ordinanza che provvede sulle richieste di prova indicando gli atti di istruzione ritenuti rilevanti.



In ordine alla decidibilità nelle forme del sommario (…) il giudice è chiamato a valutare nell’ordine:



a. l’oggetto “originario” del processo ed i fatti costitutivi della domanda (anche in relazione al valore della causa);



b. le eventuali domande riconvenzionali e quelle nei confronti di terzi e le difese svolte in sede di costituzione dal convenuto e dai terzi;



c. l’impostazione complessiva del sistema difensivo del convenuto (e dei terzi), da cui desumere le questioni, di fatto e di diritto, controverse tra le parti, tenendo anche conto di singole eccezioni di rito e di merito, nonché delle richieste istruttorie già formulate o comunque prospettate quale thema probandum.













Tribunale di Varese - Sezione prima civile - ordinanza 18 novembre 2009













Giudice Buffone













































L’attrice evoca in giudizio la convenuta assumendo di avere versato a favore di quest’ultima la complessiva somma di euro 8.120,00 ma di non avere ricevuto, come previsto dal sinallagma pattuito, la controprestazione pari ad una partita di fornitura di capi di abbigliamento. Chiede, per l’effetto, il risarcimento del danno (in via equitativa) e la ripetizione dell’importo versato a titolo di corrispettivo, previa declaratoria dell’inadempimento del partner negoziale.





























1. Verifiche preliminari













L’odierna controversia rientra tra quelle indicate nell’art. 702-bis, comma I, c.p.c. e, prima facie, è sussistente la competenza territoriale di questo Tribunale.













Preliminare alla decisione in ordine alle richieste istruttorie è la previa qualificazione giuridica del rito sommario di cognizione, nel senso di procedimento di plena cognitio ovvero nel senso di tutela sommaria. Come noto, la dottrina sul punto è divisa. Secondo taluni il rito sommario dovrebbe farsi confluire nei procedimenti sommari non cautelari, tenuto conto della sua collocazione topografica nel codice di rito e vista la sua stessa definizione legislativa. Alcuni commentatori, peraltro, qualificano il suddetto rito come bifasico: il primo grado sarebbe la fase sommaria del giudizio; il secondo grado sarebbe la fase a cognizione piena e, dunque, non un appello.













Altra dottrina reputa che il rito sommario sia a tutti gli effetti un rito ordinario a cognizione piena, atteso che, tra l’altro, si conclude con un provvedimento che passa in giudicato.













A parere di questo giudice, va condivisa l’opinione di quanti in dottrina hanno ritenuto che il rito sommario non possa iscriversi nell’alveo dei procedimenti a cognizione sommaria. Pare, in particolare, da condividere l’opinione di chi ha parlato di “rito semplificato” di cognizione. Diverse sono le ragioni che conducono a ritenere tale conclusioni l’unica corretta, all’esito del procedimento ermeneutico:













a) in primo luogo, è prevista espressamente la “comunicabilità” tra il rito sommario di cognizione e quello ordinario, atteso che la conversione determina il passaggio di una controversia tra binari paralleli, non ipotizzabile, certo, ove si trattasse di riti ontologicamente differenziati;













b) vi è, poi, che la delega legislativa contenuta nella Legge 69/2009 propone, de jure condendo, la concentrazione dei procedimenti civili in tre soli riti di cognizione ove spicca anche il sommario che è collocato nell’ambito dei procedimenti civili di natura contenziosa nei quali prevalgono caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione: aver richiamato, come uno dei tre modelli di riferimento, il procedimento “sommario” sta a significare che quest’ultimo si colloca al di fuori delle tutele sommarie;













c) l’ordinanza con cui viene definito il procedimento sommario di cognizione produce gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. (art. 702-quater, comma I, c.p.c.) e, dunque, come si è autorevolmente scritto, è un processo di cognizione speciale, alternativo al processo a cognizione piena ed idoneo ad impartire tutela dichiarativa nella stessa identica misura di quest’ultimo.













Ne segue - come si è abilmente sostenuto in dottrina - che il procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis ss. c.p.c. “è in realtà un processo a cognizione piena, poiché nella sua destinazione prevale la funzione di accertare definitivamente chi ha ragione e chi ha torto tra le parti, rispetto alle funzioni che sono proprie dei procedimenti sommari, ma sono completamente assenti dal profilo legislativo di questo istituto”.





























2. Istruzione sommaria













Reputa, preliminarmente, questo giudice, che le difese svolte dalle parti non richiedano una istruzione non sommaria e che, per l’effetto, l’attuale controversia possa essere decisa con le forme del processo sommario di cognizione.













Si badi: se il giudice deve decidere sulle sorti del sommario alla prima udienza (fissata ex art. 702-bis, comma III, c.p.c.), ciò vuol dire che la piattaforma probatoria deve essersi per tale momento processuale già stabilizzata, quanto fa ritenere che la natura fisiologica del rito e la sua auspicata celerità impongano alle parti di individuare il thema probandum già negli scritti introduttivi del giudizio, seppur nelle forme snelle del sommario e, dunque, senza le solennità tipiche del giudizio ordinario (ad es., articolazione dei capitoli per i testi). Si vuol dire che l’ultimo momento utile per delimitare il ventaglio delle richieste istruttorie è l’udienza di prima comparizione, ove le parti possono specificare le prove già richieste nei propri atti o formulare istanza per quelle determinate dall’altrui difesa; si può dubitare circa l’articolazione - solo all’udienza di prima comparizione - di “nuove prove” dirette, diverse da quelle già previste negli atti introduttivi, atteso che il sommario, se è snello nell’istruzione, è formale e procedimentalizzato nell’introduzione. E, però, ragioni di ordine sistematico e di coerenza con il rito, impongono di ritenere che le parti possono formulare richieste istruttorie sino alla pronuncia del giudice in ordine alla decidibilità della controversia con le forme del sommario (art. 702-ter, comma V, c.p.c.) e, dunque, sino all’ordinanza che provvede sulle richieste di prova indicando gli atti di istruzione ritenuti rilevanti. Oltre tale sbarramento, alle parti non è consentito dedurre nuovi mezzi di prova poiché si incorrerebbe nel rischio di favorire atteggiamenti difensivi secundum eventum litis, ovvero meramente orientanti a provocare una conversione del rito ove al percorso scelto dal giudice per l’istruzione del sommario si ritenga di preferire il procedimento ordinario. Resta salvo il potere di provvedere a nuovi mezzi di prova ex officio, anche su impulso delle parti, dopo o durante l’istruzione probatoria, ove il giudice lo ritenga necessario, ma senza che possa più provvedersi alla conversione del rito.













Quanto alla valutazione in ordine alla decidibilità nelle forme del sommario, questo giudice reputa di dovere aderire ai suggerimenti dei primi commentatori della riforma (legge 18 giugno 2009 n. 69), secondo i quali il giudice è chiamato a valutare nell’ordine:













a. l’oggetto “originario” del processo ed i fatti costitutivi della domanda (anche in relazione al valore della causa);













b. le eventuali domande riconvenzionali e quelle nei confronti di terzi e le difese svolte in sede di costituzione dal convenuto e dai terzi;













c. l’impostazione complessiva del sistema difensivo del convenuto (e dei terzi), da cui desumere le questioni, di fatto e di diritto, controverse tra le parti, tenendo anche conto di singole eccezioni di rito e di merito, nonché delle richieste istruttorie già formulate o comunque prospettate quale thema probandum.













Il parametro valutativo da assumere quale primario riferimento per il giudizio di “decidibilità” nelle forme del sommario è, dunque, sicuramente l’“oggetto” della causa ed il complesso articolato di difese ed eccezioni introitate nel giudizio, passando, anche, per le richieste istruttorie articolate dalle parti e le eventuali istanze per la estensione del contraddittorio ad altri soggetti. Non è un caso che l’art. 702-ter, comma III, c.p.c. richiami espressamente “le difese svolte dalle parti”, ai fini della eventuale conversione.













All’esito delle valutazioni che precedono, il giudice, tenuto conto della complessità oggettiva e soggettiva della causa, deve prefigurarsi il percorso che, a suo giudizio, si prospetta per la decisione e, dunque, verificarne la sua compatibilità con le forme semplificate. La compatibilità va esclusa ove venga meno uno degli assi portanti del giudizio sommario e, cioè: I) celerità dei tempi e II) snellezza delle forme.













Sulla scorta delle osservazioni dell’autorevole dottrina, il giudice, però, può anche valutare tout court l’eventuale manifesta fondatezza/infondatezza della domanda (detto a contrario, la manifesta infondatezza/fondatezza della difese del convenuto) ove, ad esempio, nonostante la complessità globale del giudizio, una questione di diritto sia idonea a risolvere la lite.













Alla luce delle argomentazioni sin qui svolte, l’istruzione sommaria è quella che dà la stura ad un processo (in concreto) veloce e snello, a prescindere dall’eventuale complessità (in astratto) del fascicolo del procedimento.













Orbene, applicando le regole di diritto sin qui illustrate al caso di specie, è chiaro che sia non solo possibile ma anche opportuna una istruzione sommaria. Ed, infatti, va in primo luogo osservato che l’azione esperita può beneficiare di un riparto degli oneri probatori di favore per il creditore (art. 1218 c.c. come interpretato dalle SS.UU. 13533/2001), cosicché l’istruzione è circoscritta ad una verifica del titolo negoziale (documentale) e dell’esatto adempimento (onere probatorio gravante sul debitore). Va, poi, rilevato che il processo presenta un indice minimo di complessità soggettiva (due parti) e che non è stato esteso il perimetro del procedimento, vuoi in senso soggettivo (vocatio in ius di terzi), vuoi in senso oggettivo (domande riconvenzionali).













Per tali motivi, non va disposta la conversione ex art. 702-ter, comma III, c.p.c. e può provvedersi alla decisione in ordine agli atti di istruzione cui provvedere.





























3. Atti di istruzione













L’attore ha dedotto ed allegato documentalmente il proprio adempimento, avendo fornito prova scritta del bonifico effettuato nei confronti della convenuta. Ha, poi, dato prova documentale del rapporto intercorso tra le parti, anche allegando la corrispondenza in itinere intervenuta tra i contraenti ed avente, essenzialmente, ad oggetto le ragioni per cui, a fronte del pagamento anticipato della merce, il debitore non provvedesse ad eseguire la sua prestazione.













La convenuta non si è costituita.













Orbene, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca ai sensi dell’art. 1218 c.c. deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533 in Corriere Giur., 2001, 12, 1565; Cass. civ., Sez. Unite, 24/03/2006, n. 6572). Ed, infatti, la disciplina dell’onere della prova assume un rilievo particolare nell’ambito dell’inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ove il Codice civile (art. 1218) introduce una presunzione - definita dalla dottrina - “semplificante”, in deroga alla regola generale dell’art. 2697 c.c., accollando al debitore, che non abbia eseguito esattamente la prestazione dovuta, l’onere di provare che l’inadempimento o il ritardo siano stati provocati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (salvo, ovviamente, provare fatti estintivi, modificativi o impeditivi dell’altrui pretesa; es. l’avvenuto esatto adempimento).













Alla luce delle considerazioni che precedono, va rigettata la richiesta di prova orale formulata dall’attrice atteso che, fornita prova documentale del rapporto ed allegato l’altrui inadempimento, è onere del debitore fornire prova liberatoria ex art. 1218 c.c.





























4. Calendario del processo













La Legge 18 giugno 2009 n. 69 ha introdotto nelle disposizioni di attuazione al codice di rito, l’art. 81-bis c.p.c., in virtù del quale, il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati. Reputa questo Tribunale che il calendario del processo non sia applicabile al rito semplificato di cognizione. La funzione della calendarizzazione delle udienze, infatti, risponde all’esigenza di “programmare”, con le parti, la durata del procedimento civile, con indicazione dei singoli arresti procedimentali che si andranno a seguire nel tempo e tanto al fine di garantire un tempo ragionevole di definizione del giudizio. Se, allora, questa è la ratio essa non si rileva sintonica con il giudizio sommario ove, come già si è detto, il rito è già per sua natura celere e snello. Ma vi è di più: l’introduzione del calendario andrebbe a vulnerare la stessa natura ontologica del rito sommario. Si andrebbe, infatti, ad introdurre un elemento di rigidità nell’istruttoria deformalizzata del procedimento semplificato (“il giudice provvede nel modo che ritiene più opportuno”). Non va sottaciuto, poi, che l’art. 81-bis cit. segue all’art. 81 il quale è chiaramente modellato sul processo ordinario di cognizione atteso che regola la fissazione delle singole udienze di istruzione.













Per i motivi illustrati, nel giudizio sommario il giudice non deve provvedere alla fissazione del calendario del processo, atteso che il suddetto incombente non è compatibile con “i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa” (secondo la dizione della delega legislativa conferita per la riorganizzazione dei riti civili, v. legge 69/2009).













Ad ogni modo, non essendovi istruttoria nel caso di specie, il calendario, comunque, non dovrebbe essere annesso alla odierna pronuncia.













La causa va rinviata per la discussione finale, abilitando il difensore a produrre, entro quella data, uno scritto difensivo conclusivo e riepilogativo delle richieste.













P.Q.M.













letto ed applicato l’art. 702-ter, comma V, c.p.c.













rinvia













la causa per la discussione all’udienza del 18 dicembre 2009 ore 10.30.

















































Rito sommario di cognizione: le prime pronunce

Rito sommario di cognizione

Rito sommario di cognizione: la prima decisione (illustrativa) è del Tribunale di Varese


Il rito sommario non può iscriversi nell’alveo dei procedimenti a cognizione sommaria. Pare, in particolare, da condividere l’opinione di chi ha parlato di “rito semplificato” di cognizione.

L’ultimo momento utile per delimitare il ventaglio delle richieste istruttorie è l’udienza di prima comparizione, ove le parti possono specificare le prove già richieste nei propri atti o formulare istanza per quelle determinate dall’altrui difesa.

Le parti possono formulare richieste istruttorie sino alla pronuncia del giudice in ordine alla decidibilità della controversia con le forme del sommario (art. 702-ter, comma V, c.p.c.) e, dunque, sino all’ordinanza che provvede sulle richieste di prova indicando gli atti di istruzione ritenuti rilevanti.

In ordine alla decidibilità nelle forme del sommario (…) il giudice è chiamato a valutare nell’ordine:

a. l’oggetto “originario” del processo ed i fatti costitutivi della domanda (anche in relazione al valore della causa);

b. le eventuali domande riconvenzionali e quelle nei confronti di terzi e le difese svolte in sede di costituzione dal convenuto e dai terzi;

c. l’impostazione complessiva del sistema difensivo del convenuto (e dei terzi), da cui desumere le questioni, di fatto e di diritto, controverse tra le parti, tenendo anche conto di singole eccezioni di rito e di merito, nonché delle richieste istruttorie già formulate o comunque prospettate quale thema probandum.






Tribunale di Varese - Sezione prima civile - ordinanza 18 novembre 2009






Giudice Buffone






















L’attrice evoca in giudizio la convenuta assumendo di avere versato a favore di quest’ultima la complessiva somma di euro 8.120,00 ma di non avere ricevuto, come previsto dal sinallagma pattuito, la controprestazione pari ad una partita di fornitura di capi di abbigliamento. Chiede, per l’effetto, il risarcimento del danno (in via equitativa) e la ripetizione dell’importo versato a titolo di corrispettivo, previa declaratoria dell’inadempimento del partner negoziale.














1. Verifiche preliminari






L’odierna controversia rientra tra quelle indicate nell’art. 702-bis, comma I, c.p.c. e, prima facie, è sussistente la competenza territoriale di questo Tribunale.






Preliminare alla decisione in ordine alle richieste istruttorie è la previa qualificazione giuridica del rito sommario di cognizione, nel senso di procedimento di plena cognitio ovvero nel senso di tutela sommaria. Come noto, la dottrina sul punto è divisa. Secondo taluni il rito sommario dovrebbe farsi confluire nei procedimenti sommari non cautelari, tenuto conto della sua collocazione topografica nel codice di rito e vista la sua stessa definizione legislativa. Alcuni commentatori, peraltro, qualificano il suddetto rito come bifasico: il primo grado sarebbe la fase sommaria del giudizio; il secondo grado sarebbe la fase a cognizione piena e, dunque, non un appello.






Altra dottrina reputa che il rito sommario sia a tutti gli effetti un rito ordinario a cognizione piena, atteso che, tra l’altro, si conclude con un provvedimento che passa in giudicato.






A parere di questo giudice, va condivisa l’opinione di quanti in dottrina hanno ritenuto che il rito sommario non possa iscriversi nell’alveo dei procedimenti a cognizione sommaria. Pare, in particolare, da condividere l’opinione di chi ha parlato di “rito semplificato” di cognizione. Diverse sono le ragioni che conducono a ritenere tale conclusioni l’unica corretta, all’esito del procedimento ermeneutico:






a) in primo luogo, è prevista espressamente la “comunicabilità” tra il rito sommario di cognizione e quello ordinario, atteso che la conversione determina il passaggio di una controversia tra binari paralleli, non ipotizzabile, certo, ove si trattasse di riti ontologicamente differenziati;






b) vi è, poi, che la delega legislativa contenuta nella Legge 69/2009 propone, de jure condendo, la concentrazione dei procedimenti civili in tre soli riti di cognizione ove spicca anche il sommario che è collocato nell’ambito dei procedimenti civili di natura contenziosa nei quali prevalgono caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione: aver richiamato, come uno dei tre modelli di riferimento, il procedimento “sommario” sta a significare che quest’ultimo si colloca al di fuori delle tutele sommarie;






c) l’ordinanza con cui viene definito il procedimento sommario di cognizione produce gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. (art. 702-quater, comma I, c.p.c.) e, dunque, come si è autorevolmente scritto, è un processo di cognizione speciale, alternativo al processo a cognizione piena ed idoneo ad impartire tutela dichiarativa nella stessa identica misura di quest’ultimo.






Ne segue - come si è abilmente sostenuto in dottrina - che il procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis ss. c.p.c. “è in realtà un processo a cognizione piena, poiché nella sua destinazione prevale la funzione di accertare definitivamente chi ha ragione e chi ha torto tra le parti, rispetto alle funzioni che sono proprie dei procedimenti sommari, ma sono completamente assenti dal profilo legislativo di questo istituto”.














2. Istruzione sommaria






Reputa, preliminarmente, questo giudice, che le difese svolte dalle parti non richiedano una istruzione non sommaria e che, per l’effetto, l’attuale controversia possa essere decisa con le forme del processo sommario di cognizione.






Si badi: se il giudice deve decidere sulle sorti del sommario alla prima udienza (fissata ex art. 702-bis, comma III, c.p.c.), ciò vuol dire che la piattaforma probatoria deve essersi per tale momento processuale già stabilizzata, quanto fa ritenere che la natura fisiologica del rito e la sua auspicata celerità impongano alle parti di individuare il thema probandum già negli scritti introduttivi del giudizio, seppur nelle forme snelle del sommario e, dunque, senza le solennità tipiche del giudizio ordinario (ad es., articolazione dei capitoli per i testi). Si vuol dire che l’ultimo momento utile per delimitare il ventaglio delle richieste istruttorie è l’udienza di prima comparizione, ove le parti possono specificare le prove già richieste nei propri atti o formulare istanza per quelle determinate dall’altrui difesa; si può dubitare circa l’articolazione - solo all’udienza di prima comparizione - di “nuove prove” dirette, diverse da quelle già previste negli atti introduttivi, atteso che il sommario, se è snello nell’istruzione, è formale e procedimentalizzato nell’introduzione. E, però, ragioni di ordine sistematico e di coerenza con il rito, impongono di ritenere che le parti possono formulare richieste istruttorie sino alla pronuncia del giudice in ordine alla decidibilità della controversia con le forme del sommario (art. 702-ter, comma V, c.p.c.) e, dunque, sino all’ordinanza che provvede sulle richieste di prova indicando gli atti di istruzione ritenuti rilevanti. Oltre tale sbarramento, alle parti non è consentito dedurre nuovi mezzi di prova poiché si incorrerebbe nel rischio di favorire atteggiamenti difensivi secundum eventum litis, ovvero meramente orientanti a provocare una conversione del rito ove al percorso scelto dal giudice per l’istruzione del sommario si ritenga di preferire il procedimento ordinario. Resta salvo il potere di provvedere a nuovi mezzi di prova ex officio, anche su impulso delle parti, dopo o durante l’istruzione probatoria, ove il giudice lo ritenga necessario, ma senza che possa più provvedersi alla conversione del rito.






Quanto alla valutazione in ordine alla decidibilità nelle forme del sommario, questo giudice reputa di dovere aderire ai suggerimenti dei primi commentatori della riforma (legge 18 giugno 2009 n. 69), secondo i quali il giudice è chiamato a valutare nell’ordine:






a. l’oggetto “originario” del processo ed i fatti costitutivi della domanda (anche in relazione al valore della causa);






b. le eventuali domande riconvenzionali e quelle nei confronti di terzi e le difese svolte in sede di costituzione dal convenuto e dai terzi;






c. l’impostazione complessiva del sistema difensivo del convenuto (e dei terzi), da cui desumere le questioni, di fatto e di diritto, controverse tra le parti, tenendo anche conto di singole eccezioni di rito e di merito, nonché delle richieste istruttorie già formulate o comunque prospettate quale thema probandum.






Il parametro valutativo da assumere quale primario riferimento per il giudizio di “decidibilità” nelle forme del sommario è, dunque, sicuramente l’“oggetto” della causa ed il complesso articolato di difese ed eccezioni introitate nel giudizio, passando, anche, per le richieste istruttorie articolate dalle parti e le eventuali istanze per la estensione del contraddittorio ad altri soggetti. Non è un caso che l’art. 702-ter, comma III, c.p.c. richiami espressamente “le difese svolte dalle parti”, ai fini della eventuale conversione.






All’esito delle valutazioni che precedono, il giudice, tenuto conto della complessità oggettiva e soggettiva della causa, deve prefigurarsi il percorso che, a suo giudizio, si prospetta per la decisione e, dunque, verificarne la sua compatibilità con le forme semplificate. La compatibilità va esclusa ove venga meno uno degli assi portanti del giudizio sommario e, cioè: I) celerità dei tempi e II) snellezza delle forme.






Sulla scorta delle osservazioni dell’autorevole dottrina, il giudice, però, può anche valutare tout court l’eventuale manifesta fondatezza/infondatezza della domanda (detto a contrario, la manifesta infondatezza/fondatezza della difese del convenuto) ove, ad esempio, nonostante la complessità globale del giudizio, una questione di diritto sia idonea a risolvere la lite.






Alla luce delle argomentazioni sin qui svolte, l’istruzione sommaria è quella che dà la stura ad un processo (in concreto) veloce e snello, a prescindere dall’eventuale complessità (in astratto) del fascicolo del procedimento.






Orbene, applicando le regole di diritto sin qui illustrate al caso di specie, è chiaro che sia non solo possibile ma anche opportuna una istruzione sommaria. Ed, infatti, va in primo luogo osservato che l’azione esperita può beneficiare di un riparto degli oneri probatori di favore per il creditore (art. 1218 c.c. come interpretato dalle SS.UU. 13533/2001), cosicché l’istruzione è circoscritta ad una verifica del titolo negoziale (documentale) e dell’esatto adempimento (onere probatorio gravante sul debitore). Va, poi, rilevato che il processo presenta un indice minimo di complessità soggettiva (due parti) e che non è stato esteso il perimetro del procedimento, vuoi in senso soggettivo (vocatio in ius di terzi), vuoi in senso oggettivo (domande riconvenzionali).






Per tali motivi, non va disposta la conversione ex art. 702-ter, comma III, c.p.c. e può provvedersi alla decisione in ordine agli atti di istruzione cui provvedere.














3. Atti di istruzione






L’attore ha dedotto ed allegato documentalmente il proprio adempimento, avendo fornito prova scritta del bonifico effettuato nei confronti della convenuta. Ha, poi, dato prova documentale del rapporto intercorso tra le parti, anche allegando la corrispondenza in itinere intervenuta tra i contraenti ed avente, essenzialmente, ad oggetto le ragioni per cui, a fronte del pagamento anticipato della merce, il debitore non provvedesse ad eseguire la sua prestazione.






La convenuta non si è costituita.






Orbene, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca ai sensi dell’art. 1218 c.c. deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533 in Corriere Giur., 2001, 12, 1565; Cass. civ., Sez. Unite, 24/03/2006, n. 6572). Ed, infatti, la disciplina dell’onere della prova assume un rilievo particolare nell’ambito dell’inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ove il Codice civile (art. 1218) introduce una presunzione - definita dalla dottrina - “semplificante”, in deroga alla regola generale dell’art. 2697 c.c., accollando al debitore, che non abbia eseguito esattamente la prestazione dovuta, l’onere di provare che l’inadempimento o il ritardo siano stati provocati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (salvo, ovviamente, provare fatti estintivi, modificativi o impeditivi dell’altrui pretesa; es. l’avvenuto esatto adempimento).






Alla luce delle considerazioni che precedono, va rigettata la richiesta di prova orale formulata dall’attrice atteso che, fornita prova documentale del rapporto ed allegato l’altrui inadempimento, è onere del debitore fornire prova liberatoria ex art. 1218 c.c.














4. Calendario del processo






La Legge 18 giugno 2009 n. 69 ha introdotto nelle disposizioni di attuazione al codice di rito, l’art. 81-bis c.p.c., in virtù del quale, il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati. Reputa questo Tribunale che il calendario del processo non sia applicabile al rito semplificato di cognizione. La funzione della calendarizzazione delle udienze, infatti, risponde all’esigenza di “programmare”, con le parti, la durata del procedimento civile, con indicazione dei singoli arresti procedimentali che si andranno a seguire nel tempo e tanto al fine di garantire un tempo ragionevole di definizione del giudizio. Se, allora, questa è la ratio essa non si rileva sintonica con il giudizio sommario ove, come già si è detto, il rito è già per sua natura celere e snello. Ma vi è di più: l’introduzione del calendario andrebbe a vulnerare la stessa natura ontologica del rito sommario. Si andrebbe, infatti, ad introdurre un elemento di rigidità nell’istruttoria deformalizzata del procedimento semplificato (“il giudice provvede nel modo che ritiene più opportuno”). Non va sottaciuto, poi, che l’art. 81-bis cit. segue all’art. 81 il quale è chiaramente modellato sul processo ordinario di cognizione atteso che regola la fissazione delle singole udienze di istruzione.






Per i motivi illustrati, nel giudizio sommario il giudice non deve provvedere alla fissazione del calendario del processo, atteso che il suddetto incombente non è compatibile con “i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa” (secondo la dizione della delega legislativa conferita per la riorganizzazione dei riti civili, v. legge 69/2009).






Ad ogni modo, non essendovi istruttoria nel caso di specie, il calendario, comunque, non dovrebbe essere annesso alla odierna pronuncia.






La causa va rinviata per la discussione finale, abilitando il difensore a produrre, entro quella data, uno scritto difensivo conclusivo e riepilogativo delle richieste.






P.Q.M.






letto ed applicato l’art. 702-ter, comma V, c.p.c.






rinvia






la causa per la discussione all’udienza del 18 dicembre 2009 ore 10.30.
























domenica 22 novembre 2009

vendita ed affitto di posti auto condominiali

Quando il condominio puo’ vendere o affittare il posto auto?













(16/11/2009)











La legge Tognoli, all’art. 9 n. 122/89, volendo sostenere gli interventi di ampliamento dei condomini, quali la costruzione a piano terra o nei sotterranei di parcheggi, ha previsto che sia sufficiente, a tal fine, il consenso della maggioranza degli intervenuti e/o 500 millesimi.







Nel caso in cui un condominio abbia la possibilità di realizzare più posti auto, che superino il numero previsto dalla legge,ossia un posto auto per ogni unità immobiliare, questi può optare per la vendita e/o locazione degli stessi.







Condicio sine qua non per la loro alienazione è una delibera presa all’unanimità, per la locazione, invece, è sufficiente la maggioranza regolamentare.







Sempre nell’ottica degli interventi di ampliamento, l’art. 1127 del codice civile prevede la possibilità per il proprietario, dell’ultimo piano o del lastrico solare, di elevare altri piani nel rispetto degli standard urbanistici ed edilizi, dei regolamenti condominiali nonché nel rispetto del decoro architettonico.







Per poter procedere ai lavori, il condomino deve corrispondere, agli altri condomini, un’indennità pari al valore dell’area diviso il numero dei piani detratta la quota a lui spettante. All’uopo, dovrà ricostruire il lastrico solare.







Questa ipotesi, tuttavia, è remota atteso che i Comuni sono più propensi a concedere autorizzazione per il recupero di sottotetti, che vengono inglobati nell’appartamento sottostante, invece che aggiungere nuove volumetrie.

vendita ed affitto di posti auto condominiali

Quando il condominio puo’ vendere o affittare il posto auto?






(16/11/2009)





La legge Tognoli, all’art. 9 n. 122/89, volendo sostenere gli interventi di ampliamento dei condomini, quali la costruzione a piano terra o nei sotterranei di parcheggi, ha previsto che sia sufficiente, a tal fine, il consenso della maggioranza degli intervenuti e/o 500 millesimi.



Nel caso in cui un condominio abbia la possibilità di realizzare più posti auto, che superino il numero previsto dalla legge,ossia un posto auto per ogni unità immobiliare, questi può optare per la vendita e/o locazione degli stessi.



Condicio sine qua non per la loro alienazione è una delibera presa all’unanimità, per la locazione, invece, è sufficiente la maggioranza regolamentare.



Sempre nell’ottica degli interventi di ampliamento, l’art. 1127 del codice civile prevede la possibilità per il proprietario, dell’ultimo piano o del lastrico solare, di elevare altri piani nel rispetto degli standard urbanistici ed edilizi, dei regolamenti condominiali nonché nel rispetto del decoro architettonico.



Per poter procedere ai lavori, il condomino deve corrispondere, agli altri condomini, un’indennità pari al valore dell’area diviso il numero dei piani detratta la quota a lui spettante. All’uopo, dovrà ricostruire il lastrico solare.



Questa ipotesi, tuttavia, è remota atteso che i Comuni sono più propensi a concedere autorizzazione per il recupero di sottotetti, che vengono inglobati nell’appartamento sottostante, invece che aggiungere nuove volumetrie.

Prescrizione nell'appalto: dies a quo

Garanzia per vizi, conoscenza dei difetti dopo l'esecuzione delle riparazioni, termine di prescrizione























(17/11/2009)













Cass. Civile, Sezione II, 29 ottobre 2009 n. 20853





















Il principio secondo cui, in caso di riparazioni eseguite dall'appaltatore a seguito di denuncia dei vizi dell'opera da parte del committente, il termine decennale di prescrizione previsto dall'art. 1669 c.c., inizia a decorrere ex novo dall'esecuzione dei lavori, dovendosi intendere questa come riconoscimento dei vizi (ex multis: Cass. 13/93) va coordinato con il principio (ex multis: Cass. 567/05) secondo cui il termine in questione inizia a decorrere dal momento in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti (Di conseguenza, nel caso in cui la sufficiente conoscenza dei difetti sia stata raggiunta soltanto dopo l'esecuzione delle riparazioni ed in conseguenza dell'inefficacia di queste, il termine prescrizionale deve farsi decorrere da questo successivo momento e non gia' dall'esecuzione delle riparazioni).

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...