martedì 28 aprile 2009

News dall'Agenzia delle Entrate: Enti Associativi e No Profit


Agenzia delle Entrate Anno 2009
Agenzia delle Entrate, Circolare 9 aprile 2009, n. 12
Oggetto: Art. 30 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 - Enti associativi e norme in materia di ONLUS

INDICE
1 COMUNICAZIONE DI DATI E NOTIZIE RILEVANTI AI FINI FISCALI
1.1 Requisiti qualificanti per fruire dei regimi agevolativi dell'art. 148 del TUIR e dell'art. 4 del DPR n. 633.
1.1.1 Natura tributaria degli enti di tipo associativo1.1.2 Requisiti per particolari tipologie di associazioni
1.2 Soggetti tenuti alla presentazione del modello di comunicazione dei dati e delle notizie rilevanti ai fini del controllo fiscale.
1.2.1 Enti esonerati dalla trasmissione del modello
1.2.1.1 Associazioni pro-loco
1.2.1.2 Associazioni sportive dilettantistiche
1.2.1.3 Organizzazioni di volontariato iscritte nei registri della legge n. 266 del 1991 che non svolgono attività commerciali diverse da quelle marginali di cui al decreto del Ministro delle Finanze 25 maggio 19951.
3 Modalità di trasmissione e contenuti della comunicazione
2 NORME IN MATERIA DI ONLUS
2.1 Organizzazioni di volontariato ONLUS di diritto
2.2 Attività di beneficenza svolta da ONLUS
2.3 Agevolazione in materia di imposta catastale per le ONLUS
PREMESSA
L'art. 30, commi 1, 2, 3 e 3-bis, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, al fine di consentire gli opportuni controlli, introduce per gli enti di tipo associativo, che siano in possesso dei requisiti qualificanti richiesti dalle norme fiscali per avvalersi delle disposizioni di favore previste dall'art. 148 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e dall'art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, l'onere di comunicare all'Agenzia delle entrate dati e notizie rilevanti ai fini fiscali.L'applicazione delle richiamate disposizioni fiscali di favore, rilevanti ai fini delle imposte sui redditi e ai fini IVA, è pertanto subordinata alla ricorrenza delle seguenti condizioni:a) possesso dei requisiti previsti dalla normativa tributaria;b) comunicazione dei dati e delle notizie rilevanti ai fini dell'accertamento.La comunicazione di dati e notizie deve essere effettuata con apposito modello approvato con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, nei termini e secondo le modalità stabilite con lo stesso provvedimento.La norma ha finalità esclusivamente fiscali e risponde a reali esigenze di controllo che l'Agenzia delle entrate potrà effettuare anche attraverso l'acquisizione di informazioni necessarie a garantire che i regimi tributari diretti ad incentivare il fenomeno del libero associazionismo non costituiscano di fatto uno strumento per eludere il pagamento delle imposte dovute.L'intento della norma è quello di acquisire una più ampia informazione e conoscenza del mondo associativo e dei soggetti assimilati sotto il profilo fiscale (società sportive dilettantistiche), con l'obiettivo primario di tutelare le vere forme associazionistiche incentivate dal legislatore fiscale e, conseguentemente, di isolare e contrastare l'uso distorto dello strumento associazionistico suscettibile di intralciare - tra l'altro - la libertà di concorrenza tra gli operatori commerciali.L'art. 30 in esame reca altresì alcune disposizioni in materia di ONLUS, ai commi 4, 5, 5-bis e 5-ter.Il comma 4 disciplina il settore della beneficenza, riconducendo nell'ambito di tale attività, oltre agli interventi diretti a favore di soggetti svantaggiati, le erogazioni effettuate ad altri enti che realizzano programmi di utilità sociale (c.d. beneficenza indiretta).Il comma 5 disciplina le organizzazioni di volontariato, fissando le condizioni necessarie perché le stesse possano acquisire la qualifica di ONLUS di diritto.Infine, i commi 5-bis e 5-ter dell'art. 30 introducono un'agevolazione temporanea in materia di imposta catastale a favore delle ONLUS.
1 COMUNICAZIONE DI DATI E NOTIZIE RILEVANTI AI FINI FISCALI
1.1 Requisiti qualificanti per fruire dei regimi agevolativi dell'art. 148 del TUIR e dell'art. 4 del DPR n. 633.
In merito ai requisiti per avvalersi delle disposizioni di cui ai menzionati articoli 148 del TUIR e 4 del DPR n. 633 che escludono dalla imposizione, ai fini delle imposte sui redditi e dell'IVA, i contributi, le quote e i corrispettivi, pagati alle associazioni, la norma in commento ribadisce la necessità che gli enti associativi interessati posseggano i "requisiti qualificanti previsti dalla normativa tributaria".Al riguardo si evidenzia che presupposto di carattere generale per l'applicazione sia delle disposizioni dell'art. 148 del TUIR, sia di quelle dell'art. 4, commi quarto e sesto, del DPR n. 633, è la qualificazione dell'ente associativo come ente non commerciale.1.1.1 Natura tributaria degli enti di tipo associativoGli enti di tipo associativo che possono fruire delle disposizioni dell'art. 148 del TUIR e dell'art. 4, commi quarto e sesto, del DPR n. 633 sono solo gli enti che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali ai sensi dell'art. 73 del TUIR.L'art. 148 è inserito, infatti, nel Titolo II, Capo III, del TUIR concernente gli enti non commerciali, così come l'art. 4, commi quarto e sesto, del DPR n. 633 disciplina agli effetti IVA gli stessi enti non commerciali.Gli enti di tipo associativo che svolgono in via esclusiva o principale attività commerciale non possono fruire del regime di favore previsto dall'art. 148 del TUIR e dall'art. 4, commi quarto e sesto, del DPR n. 633.In particolare per detti enti la natura commerciale fa sì che anche le quote e i contributi associativi concorrono alla determinazione del reddito d'impresa.Si ricorda che la commercialità o meno di un'attività è determinata ai fini fiscali sulla base di parametri oggettivi che prescindono dalle motivazioni del soggetto che la pone in essere e dalle sue finalità.In sostanza la qualificazione ai fini fiscali dell'attività deve essere operata verificando se la stessa possa ricondursi fra quelle previste dall'art. 2195 del codice civile o, qualora essa consista nella prestazione di servizi non riconducibili nel menzionato articolo (es. prestazioni didattiche, sanitarie, terapeutiche etc.), se venga svolta con i connotati dell'organizzazione, della professionalità e abitualità.Il carattere di imprenditorialità può di fatto derivare anche dallo svolgimento di un solo affare in considerazione della sua rilevanza economica e della complessità delle operazioni in cui si articola e la funzione organizzativa dell'imprenditore può rilevarsi nel coordinamento dei mezzi finanziari nell'ambito di un'operazione di rilevante entità economica.
1.1.2 Requisiti per particolari tipologie di associazioniIl comma 3 dell'art. 148 del TUIR e il quarto comma, secondo periodo, dell'art. 4 del DPR n. 633 prevedono un particolare regime agevolativo, consistente nella decommercializzazione delle attività rese in diretta attuazione degli scopi istituzionali, nei confronti di iscritti, associati o partecipanti verso il pagamento di corrispettivi specifici, applicabile ad associazioni che, oltre a dover essere preventivamente qualificate come enti non commerciali, appartengano a una delle seguenti tipologie:- associazioni politiche;- associazioni sindacali;- associazioni di categoria;- associazioni religiose;- associazioni assistenziali;- associazioni culturali;- associazioni sportive dilettantistiche;- associazioni di promozione sociale;- associazioni di formazione extra-scolastica della persona.Le associazioni sportive dilettantistiche sono definite dall'art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, mentre le associazioni di promozione sociale sono quelle disciplinate dalla legge 7 dicembre 2000, n. 383.Altri specifici benefici sono stabiliti, a favore di una o più tipologie di associazioni sopra richiamate, dai commi 5, 6 e 7 dell'art. 148 del TUIR nonché dal sesto comma dell'art. 4 del DPR n. 633 in presenza delle condizioni previste dalle stesse disposizioni.Si precisa che l'attività "esterna" degli enti associativi, cioè quella resa nei confronti di terzi, non rientra di regola nella sfera di applicazione delle norme agevolative sopra riportate.Il regime agevolativo previsto per i corrispettivi specifici pagati dagli associati, iscritti o partecipanti ai sensi del comma 3 dell'art. 148 del TUIR e del quarto comma, secondo periodo, dell'art. 4 del DPR n. 633 nonchè gli ulteriori benefici recati dai commi 5, 6 e 7 dello stesso art. 148 e dal sesto comma del menzionato art. 4 si applicano a condizione che le associazioni interessate si conformino, oltre che alle anzidette condizioni recate dai commi sopra citati, anche alle seguenti clausole, da inserire nei relativi statuti redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata:a) divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge;b) obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l'organismo di controllo di cui all'art. 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge;c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l'effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d'età il diritto di voto per l'approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell'associazione;d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie;e) eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all'art. 2532, comma 2, del codice civile, sovranità dell'assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; è ammesso il voto per corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1 gennaio 1997, preveda tale modalità di voto ai sensi dell'art. 2532, ultimo comma, del codice civile e sempreché le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive di organizzazione a livello locale;f) intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa.Per espressa previsione normativa (comma 9 dell'art. 148 del TUIR e ottavo comma dell'art. 4 del DPR n. 633 del 1972) le clausole indicate alle lettere c) ed e) non si applicano alle associazioni religiose riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, nonché alle associazioni politiche, sindacali e di categoria.1.2 Soggetti tenuti alla presentazione del modello di comunicazione dei dati e delle notizie rilevanti ai fini del controllo fiscale.Dalle disposizioni dei commi 1, 2 e 3-bis dell'art. 30 emerge che l'onere della presentazione del modello di comunicazione dei dati e delle notizie rilevanti ai fini fiscali è previsto per tutti gli enti di tipo associativo che fruiscono della detassazione delle quote associative ovvero dei contributi o dei corrispettivi prevista dai richiamati articoli 148 del TUIR e 4 del DPR n. 633, ad esclusione degli enti espressamente indicati dalle stesse disposizioni (v. paragrafo 1.2.1).Come si desume dalla rubrica della norma, riferita ai circoli privati, la disposizione in esame si applica esclusivamente agli enti di carattere privato.Pertanto, sono tenuti alla presentazione del modello di comunicazione previsto dall'art. 30 del decreto-legge n. 185 gli enti associativi di natura privata, con o senza personalità giuridica, che si avvalgono di una o più delle previsioni di decommercializzazione previste dagli articoli 148 del TUIR e 4, quarto comma, secondo periodo, e sesto comma, del DPR n. 633.Ne consegue che l'onere della comunicazione grava anche sugli enti associativi che, in applicazione del comma 1 dell'art. 148 del TUIR, si limitano a riscuotere quote associative oppure contributi versati dagli associati o partecipanti a fronte dell'attività istituzionale svolta dai medesimi.L'onere della comunicazione si estende, in forza del comma 3 dell'art. 30 in commento, alle società sportive dilettantistiche di cui all'art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. Sono tenute, altresì, alla trasmissione del modello in argomento le organizzazioni di volontariato, ad eccezione di quelle espressamente escluse dal comma 1 dell'art. 30 (v. paragrafo 1.2.1.3).Come si evince dal comma 2 dell'articolo in commento sono tenuti a trasmettere il modello di comunicazione previsto dallo stesso articolo sia le associazioni già costituite alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 185 sia gli enti di nuova costituzione.L'onere della comunicazione grava su tutti i soggetti associativi con autonomia giuridica tributaria e, pertanto, anche sulle articolazioni territoriali o funzionali di un ente nazionale, qualora queste si configurino come autonomi soggetti d'imposta ai sensi dell'art. 73 del TUIR.Resta inteso che gli enti associativi interessati dalle disposizioni fiscali di favore di cui ai citati articoli 148 del TUIR e 4 del DPR n. 633 del 1972, non potranno più farne applicazione qualora non assolvano all'onere della comunicazione nei termini e secondo le modalità stabilite con il menzionato provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate.
1.2.1 Enti esonerati dalla trasmissione del modello
L'art. 30 in commento, fermo restando il potere di controllo dell'Agenzia delle entrate della sussistenza dei requisiti qualificanti previsti dalla normativa tributaria, esclude dall'onere di comunicare all'Agenzia dell'entrate i dati e le notizie rilevanti ai fini fiscali:- le associazioni pro-loco che optano per l'applicazione delle disposizioni di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398;- gli enti associativi dilettantistici iscritti nel registro del Comitato olimpico nazionale italiano che non svolgono attività commerciale.- le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali di cui all'art. 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266 che non svolgono attività commerciali diverse da quelle marginali individuate con decreto del Ministro delle finanze 25 maggio 1995.
1.2.1.1 Associazioni pro-loco
Il disposto del comma 3-bis dell'art. 30 esonera dalla trasmissione dei dati e delle notizie rilevanti ai fini fiscali le associazioni pro-loco che abbiano esercitato l'opzione per il regime agevolativo recato dalla legge n. 398 del 1991.Si fa presente che le associazioni pro-loco possono optare per l'anzidetto regime fiscale sempre che, nel periodo di imposta precedente, abbiano esercitato attività commerciali, conseguendo proventi di ammontare non superiore a 250.000 euro.Sono tenute, pertanto, a comunicare all'Agenzia delle entrate i dati e le notizie rilevanti ai fini fiscali, le associazioni pro-loco che, nel periodo di imposta precedente, abbiano conseguito proventi superiori a 250.000 euro nonché le associazioni pro-loco che, pur avendo realizzato proventi di ammontare inferiore a tale importo, non abbiano optato per il regime agevolativo recato dalla legge n. 398 del 1991.
1.2.1.2 Associazioni sportive dilettantistiche
Il comma 3-bis dell'art. 30 esonera dall'onere della trasmissione dei dati e delle notizie rilevanti sotto il profilo fiscale gli enti associativi dilettantistici in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI che non svolgono attività commerciale.Sono, per converso, tenute all'invio dei dati e delle notizie rilevanti ai fini fiscali, secondo le modalità precisate nel paragrafo 1.3, le associazioni sportive dilettantistiche che, oltre all'attività sportiva dilettantistica riconosciuta dal CONI, effettuano cessioni di beni (ad es. somministrazione di alimenti e bevande, vendita di materiali sportivi e gadget pubblicitari) e prestazioni di servizi (es. prestazioni pubblicitarie, sponsorizzazioni) rilevanti ai fini dell'IVA e delle imposte sui redditi.L'onere della comunicazione dei dati grava anche sulle associazioni che effettuano operazioni strutturalmente commerciali anche se non imponibili ai sensi dell'articolo 148, terzo comma, del TUIR e dell'articolo 4 del DPR n. 633 del 1972.1.2.1.3 Organizzazioni di volontariato iscritte nei registri della legge n. 266 del 1991 che non svolgono attività commerciali diverse da quelle marginali di cui al decreto del Ministro delle Finanze 25 maggio 1995L'art. 30 in commento al comma 1 esonera dalla trasmissione del modello di comunicazione le "organizzazioni di volontariato iscritte nei registri di cui all'art. 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266, in possesso dei requisiti di cui al comma 5 del presente articolo".Il comma 5 dell'art. 30, richiamato dal comma 1 dello stesso articolo, disciplina le organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, che non svolgono attività commerciali diverse da quelle individuate con decreto del Ministro delle Finanze 25 maggio 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 134 del 10 giugno 1995.Sono escluse pertanto dall'onere della comunicazione in argomento le organizzazioni iscritte nei registri di cui all'art. 6 della legge n. 266 del 1991, che non svolgono attività commerciali se non in via marginale, nei limiti consentiti dal richiamato decreto del 1995.
1.3 Modalità di trasmissione e contenuti della comunicazione
La comunicazione dei dati e delle notizie rilevanti ai fini fiscali deve essere effettuata, ai sensi del comma 1 dell'art. 30 in commento, compilando l'apposito modello, approvato con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, che deve essere trasmesso esclusivamente per via telematica.Come accennato in premessa, l'intento del legislatore, attraverso l'introduzione dell'onere della comunicazione a carico degli enti che si avvalgono dei regimi agevolativi richiamati nei precedenti paragrafi ai fini delle imposte sui redditi e dell'IVA, è quello di conoscere e monitorare gli enti associativi esistenti al fine di acquisire per ciascun soggetto informazioni sugli elementi di identificazione e qualificazione soggettiva dell'ente associativo, sui contenuti statutari e sui profili organizzativi, sul settore di operatività e sulle specifiche attività poste in essere, per modo che l'azione di controllo fiscale possa concentrarsi sulle pseudo-associazioni, con esclusione di quelle correttamente organizzate che operano nell'interesse degli associati.
2 NORME IN MATERIA DI ONLUS
2.1 Organizzazioni di volontariato ONLUS di diritto
Il comma 5 dell'art. 30 in commento stabilisce che le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri del volontariato di cui all'art. 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266 acquistano, in forza dell'art. 10, comma 8, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, la qualifica di ONLUS di diritto a condizione che non svolgano attività commerciali diverse da quelle marginali indicate nel decreto 25 maggio 1995.La norma in esame modifica, in sostanza, la previsione del comma 8 dell'art. 10 del decreto legislativo n. 460, intervenendo sui requisiti richiesti alle organizzazioni di volontariato per l'acquisizione della qualifica di ONLUS di diritto.Le attività commerciali marginali individuate dal predetto decreto del 1995, consentite alle organizzazioni di volontariato, ai sensi dell'art. 30, comma 5, al fine dell'acquisizione della qualifica di ONLUS di diritto e al fine dell'esonero dalla trasmissione telematica dei dati e delle notizie fiscalmente rilevanti, sono le seguenti:
a) attività di vendita occasionali o iniziative occasionali di solidarietà svolte nel corso di celebrazioni o ricorrenze o in concomitanza a campagne di sensibilizzazione pubblica verso i fini istituzionali dell'organizzazione di volontariato;
b) attività di vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito a fini di sovvenzione, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall'organizzazione senza alcun intermediario;
c) cessione di beni prodotti dagli assistiti e dai volontari sempre che la vendita di prodotti sia curata direttamente dall'organizzazione senza alcun intermediario;
d) attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale;
e) attività di prestazione di servizi rese in conformità alle finalità istituzionali, non riconducibili nell'ambito applicativo dell'art. 148, comma 3, del TUIR, verso pagamento di corrispettivi specifici che non eccedano del 50% i costi di diretta imputazione.
Le attività sopra elencate, ai sensi del comma 2 dell'art. 1 del citato decreto del 25 maggio 1995, devono essere svolte:
a) in funzione della realizzazione del fine istituzionale dell'organizzazione di volontariato iscritta nei registri di cui all'art. 6 della legge n. 266 del 1991;
b) senza l'impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato, quali l'uso di pubblicità dei prodotti, di insegne elettriche, di locali attrezzati secondo gli usi dei corrispondenti esercizi commerciali, di marchi di distinzione dell'impresa.
In sintesi, in base alla previsione del comma 5 dell'art. 30, le organizzazioni di volontariato sono ONLUS di diritto e possono fruire della disciplina a favore delle ONLUS se:
1) sono iscritte negli appositi registri del volontariato di cui alla legge n. 266 del 1991;
2) non svolgono attività commerciali diverse da quelle marginali elencate nel decreto del 25 maggio 1995.
Pertanto, qualora le organizzazioni di volontariato, ancorché iscritte negli anzidetti registri, svolgano attività commerciali non riconducibili fra quelle sopra richiamate, le stesse non possono assumere la qualifica di ONLUS di diritto e sono tenute, ai sensi dei commi 1 e 5 dell'art. 30 del decreto-legge n. 185, a trasmettere il modello di comunicazione previsto dallo stesso articolo.La qualificazione dell'attività come commerciale o non commerciale deve essere effettuata ai fini fiscali sulla base dei parametri oggettivi richiamati nel precedente paragrafo 1.1.1, senza che a tal fine possa assumere rilievo la qualificazione statutaria della stessa.In sostanza, in base alla disposizione in esame, l'Agenzia delle entrate esercita l'autonoma attività di controllo anche sulle organizzazioni iscritte negli appositi registri del volontariato al fine di accertare l'eventuale svolgimento di attività commerciali diverse da quelle elencate dal decreto del 25 maggio 1995 e, conseguentemente, la spettanza o meno delle agevolazioni fiscali.
2.2 Attività di beneficenza svolta da ONLUS
Il comma 4 dell'art. 30 prevede quanto segue:4. All'art. 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, dopo il comma 2 è inserito il seguente:"2-bis. Si considera attività di beneficenza, ai sensi del comma 1, lettera a), numero 3), anche la concessione di erogazioni gratuite in denaro con utilizzo di somme provenienti dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte, a favore di enti senza scopo di lucro che operano prevalentemente nei settori di cui al medesimo comma 1, lettera a), per la realizzazione diretta di progetti di utilità sociale".La formulazione della norma con le parole "si considera attività di beneficenza (...)" fa assumere carattere interpretativo alla disposizione che qualifica e delimita l'attività di beneficenza, conferendo alla previsione in esame efficacia retroattiva.Il comma 4 dell'art. 30, aggiungendo all'art. 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, dopo il comma 2, il comma 2-bis), riconduce nella beneficenza, quale settore di attività in cui possono operare le ONLUS, oltre all'attività consistente direttamente nella concessione di erogazioni gratuite in denaro o in natura a favore degli indigenti, anche l'attività di erogazione gratuita di somme di denaro, provenienti dalla gestione patrimoniale della ONLUS o da campagne di raccolta di donazioni, a favore di enti che presentino i requisiti stabiliti dallo stesso comma 4.In particolare gli enti destinatari delle erogazioni gratuite di denaro devono avere i seguenti requisiti:a) devono essere enti senza scopo di lucro;b) devono operare prevalentemente e direttamente nei settori di attività previsti dal medesimo art. 10, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 460 del 1997 e quindi nei settori dell'assistenza sociale e socio-sanitaria, dell'assistenza sanitaria, dell'istruzione, della formazione, dello sport dilettantistico, della tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico, della tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente, della promozione della cultura e dell'arte, della tutela dei diritti civili, della ricerca scientifica di particolare interesse sociale.Per quanto riguarda la natura degli enti destinatari delle erogazioni, in mancanza di una limitazione normativa, si ritiene che gli stessi possano avere natura pubblica o privata, non esclusi gli enti religiosi, e possano assumere qualsiasi forma giuridica.L'espressa previsione dell'assenza di lucratività comporta che l'ente deve osservare di fatto e prevedere statutariamente il divieto di distribuzione anche indiretta degli utili e avanzi di gestione nonché di fondi riserve o capitale.Affinché le erogazioni destinate a tali enti possano essere ricondotte nell'attività di beneficenza è inoltre necessario che:- provengano dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte;- siano destinate alla realizzazione diretta di progetti di utilità sociale.Riguardo a quest'ultima previsione si chiarisce che la norma esclude che gli enti beneficiari delle erogazioni effettuate dalle ONLUS c.d. erogative possano a loro volta riversare le donazioni raccolte a favore di altri enti.La norma non consente, quindi, che si verifichi il fenomeno delle erogazioni a catena attraverso molteplici passaggi di denaro tra enti diversi, ma impone che gli enti beneficiari utilizzino "direttamente" le erogazioni ricevute per la realizzazione di progetti di utilità sociale.La specifica destinazione delle erogazioni a progetti di utilità sociale comporta, peraltro, da una parte la necessità della tracciabilità della donazione attraverso strumenti bancari o postali che evidenzino la particolare causa del versamento e dall'altra l'esistenza non di un programma generico, ma di un progetto già definito nell'ambito del settore di attività dell'ente destinatario prima dell'effettuazione dell'erogazione.L'utilità sociale del progetto comporta che esso si connoti per la realizzazione di attività solidaristiche.
2.3 Agevolazione in materia di imposta catastale per le ONLUS
I commi 5-bis e 5-ter dell'art. 30 in commento introducono, con efficacia temporale limitata al 31 dicembre 2009, una nuova agevolazione in favore delle ONLUS in materia di imposta catastale.Tale agevolazione consiste, in sostanza, nella previsione dell'applicazione dell'imposta catastale in misura fissa, pari a 168 euro, per i trasferimenti a titolo oneroso a favore delle ONLUS, a condizione che la ONLUS dichiari nell'atto che intende utilizzare direttamente i beni per lo svolgimento della propria attività e che realizzi l'effettivo utilizzo diretto entro due anni dall'acquisto. Le Direzioni Regionali vigileranno affinché i principi enunciati nella presente circolare vengano applicati con uniformità.

martedì 21 aprile 2009

RASSEGNA BREVE IN TEMA DI RESPONSABILITA' CIVILE

Come ottenere il giusto risarcimento dei danni dai Comuni

Con l'espressa avvertenza che la questione è in continua evoluzione e che ogni caso particolare presenta delle specifiche peculiarietà che vanno ponderate attentamente al fine di valutare l'azione più idonea per ottenere tutela e soprattutto SE SIA OPPORTUNO AGIRE IN GIUDIZIO.
Va, inotre, tenuto nel debito conto che ai sensi dell'art. 40 del Codice Deontologico Forense, l'Avvocato eventualmente incaricato è tenuto ad INFORMARE CHIARAMENTE IL PROPRIO CLIENTE delle caratteristiche e dell'importanza della controversia o delle attività da espletare, delle soluzioni possibili INDICANDO IN MANIERA SPECIFICA costi, durata ed incertezza sull'esito di un eventuale processo. L'inadempimento dell'obbligo suindicato costituisce illecito disciplinare.
In particolare, la problematica è quale sia la disposizione del codice civile cui fare riferimento: l'art. 2043 (Risarcimento per fatto illecito. Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. (Cod. Pen. 185), ovvero l'art. 2051 (Danno cagionato da cosa in custodia. Ciascuno e responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito (1218,1256).
La differenza è sostanziale.
L'applicazione dell'art. 2043 fà sì che sia il danneggiato a dover provare la colpa del Comune, allegando in causa che la "buca" rappresentava un pericolo occulto (definito anche insidia o trabocchetto), caratterizzato dalla coesistenza dell’elemento oggettivo della non visibilità e dell’elemento soggettivo della imprevedibilità.
L'applicazione dell'art. 2051 consente una inversione della prova: il comune è obbligato a custodire le strade, con la conseguenza che è responsabile dei danni cagionati alle persone e cose, nei limiti in cui non vi sia l’impossibilità di governo del territorio. L’obbligo di custodia sussiste se vi è:· a) il potere di controllare la cosa;· b) il potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa o che in essa si è determinata;·c) il potere di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno. (Il comune è obbligato a custodire le strade, con la conseguenza che è responsabile dei danni cagionati alle persone e cose, nei limiti in cui non vi sia l’impossibilità di governo del territorio. L’obbligo di custodia sussiste se vi è: il potere di controllare la cosa; il potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa o che in essa si è determinata; il potere di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno. Se anche il danneggiato ha avuto un ruolo causale nella determinazione dell’evento dannoso troverà applicazione l’art. 1227 c.c. - Cassazione civile , sez. III, sentenza 27.03.2007 n° 7403).

Ne deriva che, secondo tale autorevole interprete, il fattore decisivo per l'applicabilità della disciplina ex art. 2051 c.c. debba individuarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l'impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi, considerati meri indici di tale impossibilità, ma all'esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto degli indici suddetti. In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della .custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità- del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006). Questo procedimento di verifica in merito all'esistenza del potere di controllo e vigilanza di cui si discute, come è stato dimostrato correttamente dalla ricorrente mediante trascrizione nel ricorso di significativi passaggi della decisione di primo grado (v. pag. 6 del ricorso), è stato puntualmente eseguito dal Tribunale di Ravenna, e con esito assolutamente affermativo, mentre è stato totalmente omesso dalla Corte di merito, che si è trincerata dietro l'inapplicabilità in via di principio dell'art. 2051 c.c. alla manutenzione delle strade da parte della P.A. (Cass. sent. n. 23924 del 19.11.2007).

Cassazione Sez.III, 23 gennaio 2009, n. 1691
La Corte di Cassazione con una recente sentenza (Cass. Sez.III, 23 gennaio 2009, n. 1691) ha ribadito la precedente giurisprudenza (vedi sopra, Cass. sent. n. 23924 del 19.11.2007), precisando ulteriormente che «Sintomatico, in questo senso, deve considerarsi la circostanza, anch'essa tenuta presente dalla Corte di merito (ma da questa non valorizzata ai fini della riconducibilità della responsabilità del Comune di Roma nell'ambito di cui all'art. 2051 cc), che ha riguardo alla suddivisione in “zone” della manutenzione delle strade del territorio comunale, affidata in appalto a varie imprese, tra cui quella Antonio V.È indubbio, infatti, che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza gravata, tale “zonizzazione” comporta per il Comune, sul piano meramente fattuale, un maggiore grado di possibilità di sorveglianza e di controllo sui beni del demanio stradale, con conseguente responsabilità del Comune stesso per i danni da essi cagionato, salvo ricorso del caso fortuito». In sostanza, la circostanza che il comune abbia diviso in zone la manutenzione delle strade (come certo accade per le grandi città) è un elemento che aumenta il grado di di possibilità della manutenzione, con conseguente maggiore responsabilità per il comune.

Interessante sentenza del Tribunale di Trani, sentenza n. 1241/08, che nella parte in diritto così motiva: «Brevemente, in diritto, deve precisarsi che, per giurisprudenza ormai consolidata (cfr. da ultimo, Cassazione civile, sez. IlI, 25 luglio 2008, n. 20427), la responsabilità per danni ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. ha natura oggettiva, in quanto si fonda sul mero rapporto di custodia, cioè sulla relazione intercorrente fra la cosa dannosa e colui il quale ha l'effettivo potere su di essa (come il proprietario, il possessore o anche il detentore) e non sulla presunzione di colpa, restando estraneo alla fattispecie il comportamento tenuto dal custode; a tal fine, occorre, da un lato, che il danno sia prodotto nell'ambito del dinamismo connaturale, del bene o per l'insorgenza in esso di un processo dannoso, ancorché provocato da elementi esterni, e, dall'altro, che la cosa, pur combinandosi con l'elemento esterno, costituisca la causa o la concausa del danno; pertanto, l'attore deve offrire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l'evento lesivo, nonché la prova dell'esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa, mentre il convenuto deve dimostrare l'esistenza di un fattore esterno che, per il carattere dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità, cioè il caso fortuito", in presenza del quale è esclusa la responsabilità del custode (Cassazione civile, sez. II, 29 novembre 2006, n. 25243). Tale fattore esterno può essere rappresentato anche dal comportamento imprudente del danneggiato: se questo comportamento è stato eccezionale o straordinario (come nel caso in cui vi sia stato uso improprio della cosa), esclude totalmente il nesso di causalità tra cosa in custodia e danno (caso fortuito del danneggiato); se, invece, è stato tale da concorrere soltanto nella causazione dell'evento e, perciò, non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa, costituita dalla cosa in custodia e il danno, può anche integrare il concorso colposo del danneggiante nella produzione del danno ai fini dell'art. 1227, co. 1, cod. civ. Occorre, dunque, verificare in fatto se la P.A., omettendo di custodire adeguatamente il bene demaniale strada abbia o non determinato un pericolo non visibile e non prevedibile e, perciò, non evitabile dall'utente con - l'uso della normale diligenza».

La pubblica amministrazione, omettendo il controllo sulla strada controllabile, perchè non eccessivamente estesa, deve aver creato un pericolo per il cittadino.

Un caso a parte è costituito dalle autostrade, che necessitano di maggiore controllo (reti di protezione, guard rail ecc.). La Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, con la sentenza del 2 febbraio 2007, n. 2308, ha confermato la sentenza dei giudici di merito di condanna del gestore di autostrada per incidente verificatosi per l'attraversamento dell'autostrada da parte di un cane, vista l' omessa custodia (art. 2051 c.c.) e la mancata prova esimente.
In conclusione, per ottenere il giusto risarcimento dei danni sarà necessario verificare il singolo caso ed analizzare nello specifico la questione al fine di verificare le condizioni dell'azione e le relative prove.
La domanda di risarcimento va sempre rivolta al comune, stato o ente gestore della strada, che potranno chiamare in causa le ditte da loro designate per la custodia.
Nel caso di lesioni il responsabile dei danni provocati in incidente stradale determinato da buche sulla strada potrà rispondere anche penalmente (Cfr. Cassazione penale sez. IV, sentenza 08.02.2008 n° 6267)

La sentenza sulla custodia di autostrada
"
..........Quanto al denunciato vizio di violazione di legge, di cui sub a), occorre rilevare che la più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 3651/2006) ha chiarito che la disciplina di cui all'art. 2051 c.c. si applica anche in tema di danni sofferti dagli utenti per la cattiva od omessa manutenzione dell'autostrada da parte del concessionario, in ragione del particolare rapporto con la cosa che ad esso deriva dai poteri effettivi di disponibilità e controllo sulla medesima, salvo che dalla responsabilità presunta a suo carico il concessionario si liberi dando la prova del fortuito, consistente non già nella dimostrazione dell'interruzione del nesso di causalità determinato da elementi esterni o dal fatto estraneo alla sfera di custodia (ivi compreso il fatto del danneggiato o del terzo), bensì anche nella dimostrazione - in applicazione del principio di cd. vicinanza alla prova - di avere espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa, in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in base a specifiche disposizioni normative e già del principio generale del neminem laedere, di modo che, pertanto, il sinistro appaia verificato per un fatto non ascrivibile a sua colpa......."

Cassazione penale sez. IV, sentenza 08.02.2008 n° 6267) "A carico di ..... erano stati ravvisati profili di colpa generica, sub specie dell'imprudenza, imperizia e negligenza, in particolare perché, in violazione dell'obbligo di garanzia assunto nella qualità sopra indicata, ometteva di approntare adeguata sorveglianza ed idonea segnalazione di emergenza laddove ......... che, proprio a causa di tali buche profonde ed insidiose, perdeva il controllo del mezzo, e rovinava a terra, riportando lesioni gravissime a causa delle quali decedeva poco dopo il sinistro"

RASSEGNA BREVE IN TEMA DI RESPONSABILITA' CIVILE

Come ottenere il giusto risarcimento dei danni dai Comuni

Con l'espressa avvertenza che la questione è in continua evoluzione e che ogni caso particolare presenta delle specifiche peculiarietà che vanno ponderate attentamente al fine di valutare l'azione più idonea per ottenere tutela e soprattutto SE SIA OPPORTUNO AGIRE IN GIUDIZIO.
Va, inotre, tenuto nel debito conto che ai sensi dell'art. 40 del Codice Deontologico Forense, l'Avvocato eventualmente incaricato è tenuto ad INFORMARE CHIARAMENTE IL PROPRIO CLIENTE delle caratteristiche e dell'importanza della controversia o delle attività da espletare, delle soluzioni possibili INDICANDO IN MANIERA SPECIFICA costi, durata ed incertezza sull'esito di un eventuale processo. L'inadempimento dell'obbligo suindicato costituisce illecito disciplinare.
In particolare, la problematica è quale sia la disposizione del codice civile cui fare riferimento: l'art. 2043 (Risarcimento per fatto illecito. Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. (Cod. Pen. 185), ovvero l'art. 2051 (Danno cagionato da cosa in custodia. Ciascuno e responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito (1218,1256).
La differenza è sostanziale.
L'applicazione dell'art. 2043 fà sì che sia il danneggiato a dover provare la colpa del Comune, allegando in causa che la "buca" rappresentava un pericolo occulto (definito anche insidia o trabocchetto), caratterizzato dalla coesistenza dell’elemento oggettivo della non visibilità e dell’elemento soggettivo della imprevedibilità.
L'applicazione dell'art. 2051 consente una inversione della prova: il comune è obbligato a custodire le strade, con la conseguenza che è responsabile dei danni cagionati alle persone e cose, nei limiti in cui non vi sia l’impossibilità di governo del territorio. L’obbligo di custodia sussiste se vi è:· a) il potere di controllare la cosa;· b) il potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa o che in essa si è determinata;·c) il potere di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno. (Il comune è obbligato a custodire le strade, con la conseguenza che è responsabile dei danni cagionati alle persone e cose, nei limiti in cui non vi sia l’impossibilità di governo del territorio. L’obbligo di custodia sussiste se vi è: il potere di controllare la cosa; il potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa o che in essa si è determinata; il potere di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno. Se anche il danneggiato ha avuto un ruolo causale nella determinazione dell’evento dannoso troverà applicazione l’art. 1227 c.c. - Cassazione civile , sez. III, sentenza 27.03.2007 n° 7403).

Ne deriva che, secondo tale autorevole interprete, il fattore decisivo per l'applicabilità della disciplina ex art. 2051 c.c. debba individuarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l'impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi, considerati meri indici di tale impossibilità, ma all'esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto degli indici suddetti. In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della .custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità- del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006). Questo procedimento di verifica in merito all'esistenza del potere di controllo e vigilanza di cui si discute, come è stato dimostrato correttamente dalla ricorrente mediante trascrizione nel ricorso di significativi passaggi della decisione di primo grado (v. pag. 6 del ricorso), è stato puntualmente eseguito dal Tribunale di Ravenna, e con esito assolutamente affermativo, mentre è stato totalmente omesso dalla Corte di merito, che si è trincerata dietro l'inapplicabilità in via di principio dell'art. 2051 c.c. alla manutenzione delle strade da parte della P.A. (Cass. sent. n. 23924 del 19.11.2007).

Cassazione Sez.III, 23 gennaio 2009, n. 1691
La Corte di Cassazione con una recente sentenza (Cass. Sez.III, 23 gennaio 2009, n. 1691) ha ribadito la precedente giurisprudenza (vedi sopra, Cass. sent. n. 23924 del 19.11.2007), precisando ulteriormente che «Sintomatico, in questo senso, deve considerarsi la circostanza, anch'essa tenuta presente dalla Corte di merito (ma da questa non valorizzata ai fini della riconducibilità della responsabilità del Comune di Roma nell'ambito di cui all'art. 2051 cc), che ha riguardo alla suddivisione in “zone” della manutenzione delle strade del territorio comunale, affidata in appalto a varie imprese, tra cui quella Antonio V.È indubbio, infatti, che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza gravata, tale “zonizzazione” comporta per il Comune, sul piano meramente fattuale, un maggiore grado di possibilità di sorveglianza e di controllo sui beni del demanio stradale, con conseguente responsabilità del Comune stesso per i danni da essi cagionato, salvo ricorso del caso fortuito». In sostanza, la circostanza che il comune abbia diviso in zone la manutenzione delle strade (come certo accade per le grandi città) è un elemento che aumenta il grado di di possibilità della manutenzione, con conseguente maggiore responsabilità per il comune.

Interessante sentenza del Tribunale di Trani, sentenza n. 1241/08, che nella parte in diritto così motiva: «Brevemente, in diritto, deve precisarsi che, per giurisprudenza ormai consolidata (cfr. da ultimo, Cassazione civile, sez. IlI, 25 luglio 2008, n. 20427), la responsabilità per danni ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. ha natura oggettiva, in quanto si fonda sul mero rapporto di custodia, cioè sulla relazione intercorrente fra la cosa dannosa e colui il quale ha l'effettivo potere su di essa (come il proprietario, il possessore o anche il detentore) e non sulla presunzione di colpa, restando estraneo alla fattispecie il comportamento tenuto dal custode; a tal fine, occorre, da un lato, che il danno sia prodotto nell'ambito del dinamismo connaturale, del bene o per l'insorgenza in esso di un processo dannoso, ancorché provocato da elementi esterni, e, dall'altro, che la cosa, pur combinandosi con l'elemento esterno, costituisca la causa o la concausa del danno; pertanto, l'attore deve offrire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l'evento lesivo, nonché la prova dell'esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa, mentre il convenuto deve dimostrare l'esistenza di un fattore esterno che, per il carattere dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità, cioè il caso fortuito", in presenza del quale è esclusa la responsabilità del custode (Cassazione civile, sez. II, 29 novembre 2006, n. 25243). Tale fattore esterno può essere rappresentato anche dal comportamento imprudente del danneggiato: se questo comportamento è stato eccezionale o straordinario (come nel caso in cui vi sia stato uso improprio della cosa), esclude totalmente il nesso di causalità tra cosa in custodia e danno (caso fortuito del danneggiato); se, invece, è stato tale da concorrere soltanto nella causazione dell'evento e, perciò, non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa, costituita dalla cosa in custodia e il danno, può anche integrare il concorso colposo del danneggiante nella produzione del danno ai fini dell'art. 1227, co. 1, cod. civ. Occorre, dunque, verificare in fatto se la P.A., omettendo di custodire adeguatamente il bene demaniale strada abbia o non determinato un pericolo non visibile e non prevedibile e, perciò, non evitabile dall'utente con - l'uso della normale diligenza».

La pubblica amministrazione, omettendo il controllo sulla strada controllabile, perchè non eccessivamente estesa, deve aver creato un pericolo per il cittadino.

Un caso a parte è costituito dalle autostrade, che necessitano di maggiore controllo (reti di protezione, guard rail ecc.). La Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, con la sentenza del 2 febbraio 2007, n. 2308, ha confermato la sentenza dei giudici di merito di condanna del gestore di autostrada per incidente verificatosi per l'attraversamento dell'autostrada da parte di un cane, vista l' omessa custodia (art. 2051 c.c.) e la mancata prova esimente.
In conclusione, per ottenere il giusto risarcimento dei danni sarà necessario verificare il singolo caso ed analizzare nello specifico la questione al fine di verificare le condizioni dell'azione e le relative prove.
La domanda di risarcimento va sempre rivolta al comune, stato o ente gestore della strada, che potranno chiamare in causa le ditte da loro designate per la custodia.
Nel caso di lesioni il responsabile dei danni provocati in incidente stradale determinato da buche sulla strada potrà rispondere anche penalmente (Cfr. Cassazione penale sez. IV, sentenza 08.02.2008 n° 6267)

La sentenza sulla custodia di autostrada
"
..........Quanto al denunciato vizio di violazione di legge, di cui sub a), occorre rilevare che la più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 3651/2006) ha chiarito che la disciplina di cui all'art. 2051 c.c. si applica anche in tema di danni sofferti dagli utenti per la cattiva od omessa manutenzione dell'autostrada da parte del concessionario, in ragione del particolare rapporto con la cosa che ad esso deriva dai poteri effettivi di disponibilità e controllo sulla medesima, salvo che dalla responsabilità presunta a suo carico il concessionario si liberi dando la prova del fortuito, consistente non già nella dimostrazione dell'interruzione del nesso di causalità determinato da elementi esterni o dal fatto estraneo alla sfera di custodia (ivi compreso il fatto del danneggiato o del terzo), bensì anche nella dimostrazione - in applicazione del principio di cd. vicinanza alla prova - di avere espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa, in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in base a specifiche disposizioni normative e già del principio generale del neminem laedere, di modo che, pertanto, il sinistro appaia verificato per un fatto non ascrivibile a sua colpa......."

Cassazione penale sez. IV, sentenza 08.02.2008 n° 6267) "A carico di ..... erano stati ravvisati profili di colpa generica, sub specie dell'imprudenza, imperizia e negligenza, in particolare perché, in violazione dell'obbligo di garanzia assunto nella qualità sopra indicata, ometteva di approntare adeguata sorveglianza ed idonea segnalazione di emergenza laddove ......... che, proprio a causa di tali buche profonde ed insidiose, perdeva il controllo del mezzo, e rovinava a terra, riportando lesioni gravissime a causa delle quali decedeva poco dopo il sinistro"

lunedì 20 aprile 2009

Ecco il decreto flussi per l'anno 2009

Flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali per l'anno 2009
D.P.C.M. 20.03.2009, G.U. 10.04.2009

Sono ammessi in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale, i cittadini stranieri non comunitari residenti all'estero entro una quota massima di 80.000 unità.
E' quanto previsto dal Decreto 20 marzo 2009, firmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (e pubblicato in Gazzetta Ufficiale 10 aprile 2009, n. 84) al fine di rendere disponibili i lavoratori indispensabili per le particolari esigenze del settore turistico e per la raccolta dei prodotti agricoli.
Il particolare la quota riguarda:
i lavoratori subordinati stagionali non comunitari di Serbia, Montenegro, Bosnia-Herzegovina, ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, Croazia, India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka e Ucraina;
i lavoratori subordinati stagionali non comunitari dei seguenti Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria: Tunisia, Albania, Marocco, Moldavia ed Egitto;
i cittadini stranieri non comunitari titolari di permesso di soggiorno per lavoro subordinato stagionale negli anni 2006, 2007 o 2008.

(Altalex, 15 aprile 2009)

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 20 marzo 2009
Programmazione transitoria dei flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali, nel territorio dello Stato, per l'anno 2009. (09A04218)
(GU n. 84 del 10-4-2009)

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Visto il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni ed integrazioni, recante il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero;Visto il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni ed integrazioni, regolamento recante norme di attuazione del testo unico sull'immigrazione;Visto l'art. 3 del testo unico sull'immigrazione, il quale dispone che la determinazione annuale delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato avviene sulla base dei criteri generali per la definizione dei flussi d'ingresso individuati nel Documento programmatico triennale, relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, e che «in caso di mancata pubblicazione del decreto di programmazione annuale, il Presidente del Consiglio dei Ministri puo' provvedere in via transitoria, con proprio decreto, nel limite delle quote stabilite per l'anno precedente»;Considerato che il Documento programmatico triennale non e' stato emanato;Rilevato che e' necessario definire la quota di lavoratori extracomunitari stagionali da ammettere in Italia per l'anno 2009, al fine di rendere disponibili i lavoratori indispensabili per le particolari esigenze del settore turistico e per la raccolta dei prodotti agricoli e che, allo scopo, puo' provvedersi, in via transitoria, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, nel limite della quota stabilita per l'anno 2008;Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 novembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - serie generale - n. 2 del 3 gennaio 2008, concernente la Programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali nel territorio dello Stato per l'anno 2008, che prevede una quota complessiva di 80.000 unita';
Decreta:
Art. 1.
1. In via di programmazione transitoria delle quote massime di ingresso di lavoratori non comunitari per l'anno 2009, sono ammessi in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale, i cittadini stranieri non comunitari residenti all'estero entro una quota massima di 80.000 unita', da ripartire tra le regioni e le province autonome a cura del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
2. La quota di cui al comma 1 riguarda:
a) i lavoratori subordinati stagionali non comunitari di Serbia, Montenegro, Bosnia-Herzegovina, ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, Croazia, India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka e Ucraina;
b) i lavoratori subordinati stagionali non comunitari dei seguenti Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria: Tunisia, Albania, Marocco, Moldavia ed Egitto;
c) i cittadini stranieri non comunitari titolari di permesso di soggiorno per lavoro subordinato stagionale negli anni 2006, 2007 o 2008.Roma, 20 marzo 2009
p. Il Presidente del Consiglio dei Ministri Letta
Registrato alla Corte dei conti il 30 marzo 2009.
Ministeri istituzionali - Presidenza del Consiglio dei Ministri, registro n. 3, foglio n. 171.

Ecco il decreto flussi per l'anno 2009

Flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali per l'anno 2009
D.P.C.M. 20.03.2009, G.U. 10.04.2009

Sono ammessi in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale, i cittadini stranieri non comunitari residenti all'estero entro una quota massima di 80.000 unità.
E' quanto previsto dal Decreto 20 marzo 2009, firmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (e pubblicato in Gazzetta Ufficiale 10 aprile 2009, n. 84) al fine di rendere disponibili i lavoratori indispensabili per le particolari esigenze del settore turistico e per la raccolta dei prodotti agricoli.
Il particolare la quota riguarda:
i lavoratori subordinati stagionali non comunitari di Serbia, Montenegro, Bosnia-Herzegovina, ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, Croazia, India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka e Ucraina;
i lavoratori subordinati stagionali non comunitari dei seguenti Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria: Tunisia, Albania, Marocco, Moldavia ed Egitto;
i cittadini stranieri non comunitari titolari di permesso di soggiorno per lavoro subordinato stagionale negli anni 2006, 2007 o 2008.

(Altalex, 15 aprile 2009)

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 20 marzo 2009
Programmazione transitoria dei flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali, nel territorio dello Stato, per l'anno 2009. (09A04218)
(GU n. 84 del 10-4-2009)

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Visto il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni ed integrazioni, recante il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero;Visto il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni ed integrazioni, regolamento recante norme di attuazione del testo unico sull'immigrazione;Visto l'art. 3 del testo unico sull'immigrazione, il quale dispone che la determinazione annuale delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato avviene sulla base dei criteri generali per la definizione dei flussi d'ingresso individuati nel Documento programmatico triennale, relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, e che «in caso di mancata pubblicazione del decreto di programmazione annuale, il Presidente del Consiglio dei Ministri puo' provvedere in via transitoria, con proprio decreto, nel limite delle quote stabilite per l'anno precedente»;Considerato che il Documento programmatico triennale non e' stato emanato;Rilevato che e' necessario definire la quota di lavoratori extracomunitari stagionali da ammettere in Italia per l'anno 2009, al fine di rendere disponibili i lavoratori indispensabili per le particolari esigenze del settore turistico e per la raccolta dei prodotti agricoli e che, allo scopo, puo' provvedersi, in via transitoria, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, nel limite della quota stabilita per l'anno 2008;Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 novembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - serie generale - n. 2 del 3 gennaio 2008, concernente la Programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali nel territorio dello Stato per l'anno 2008, che prevede una quota complessiva di 80.000 unita';
Decreta:
Art. 1.
1. In via di programmazione transitoria delle quote massime di ingresso di lavoratori non comunitari per l'anno 2009, sono ammessi in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale, i cittadini stranieri non comunitari residenti all'estero entro una quota massima di 80.000 unita', da ripartire tra le regioni e le province autonome a cura del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
2. La quota di cui al comma 1 riguarda:
a) i lavoratori subordinati stagionali non comunitari di Serbia, Montenegro, Bosnia-Herzegovina, ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, Croazia, India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka e Ucraina;
b) i lavoratori subordinati stagionali non comunitari dei seguenti Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria: Tunisia, Albania, Marocco, Moldavia ed Egitto;
c) i cittadini stranieri non comunitari titolari di permesso di soggiorno per lavoro subordinato stagionale negli anni 2006, 2007 o 2008.Roma, 20 marzo 2009
p. Il Presidente del Consiglio dei Ministri Letta
Registrato alla Corte dei conti il 30 marzo 2009.
Ministeri istituzionali - Presidenza del Consiglio dei Ministri, registro n. 3, foglio n. 171.

giovedì 16 aprile 2009

LIbertà di concorrenza ed apertura domenicale degli esercizi: D.lgs 114/98 e norme regionali difformi

Riceviamo e gentilmente pubblichiamo ....

15.04.09 - TAR Lecce: libera apertura domenicale degli esercizi

E' illegittima, perchè contraria alle norme sulla libera concorrenza, l'ordinanza sindacale con cui viene autorizzata l'apertura domenicale dei soli esercizi di vicinato. E' questo il principio con cui la I sezione del TAR Lecce ha accolto il ricorso proposto da una media struttura di vendita avverso l'ordinaza del sindaco che limitava l'apertura ai soli esercizi di vicinato.Il TAR Lecce ha evidenziato preliminarmente il contrasto esistente tra la legge regionale pugliese in materia - la quale pone il principio della chiusura domenicale, con possibilità di derogarvi previa autorizzazione comunale - e la normativa statale (decreto legislativo n. 114 del 1998), che in tema di città d'arte come quella di specie fissa invece l'opposto principio della libera apertura domenicale per tutte le tipologie di esercizio, senza distinzioni legate alla diversa dimensione aziendale.Ha poi proseguito il TAR adito, rilevando che il decreto legislativo 114/1998 ha principalmente inteso favorire l'apertura del mercato alla concorrenza (Corte cost., sent. n. 64 del 2007) al fine di rimuovere vincoli e privilegi, realizzando una maggiore eguaglianza di opportunità, in chiave di libera esplicazione della capacità imprenditoriale, per tutti gli operatori economici.Pertanto, per il TAR Lecce tale programmazione della apertura degli esercizi commerciali costituisce:- da un lato, una barriera, sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, all'accesso al mercato ed al suo libero funzionamento (cfr. Corte cost., sent. n. 430 del 2007);- e, dall'atro, viola i principi comunitari in tema di libera concorrenza. Ed ancora, per il Giudicante:- la liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura favorisce, in termini pro-concorenziali, la creazione di un mercato più dinamico e più aperto all'ingresso di nuovi operatori; - le nuove dinamiche competitive sembrano altresì caratterizzate, sul piano della domanda, da una maggiore e significativa disponibilità alla mobilità per l'acquisto, soprattutto se domenicale (cfr. Segnalazione Antitrust 24 ottobre 2008);- la disposizione regionale citata, ad una sommaria delibazione, sembra introdurre altresì una ingiustificata discriminazione tra esercizi di diverse tipologie dimensionali.
(Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Lecce - Sezione Prima,
Ordinanza 25 marzo 2009, n.287).

LIbertà di concorrenza ed apertura domenicale degli esercizi: D.lgs 114/98 e norme regionali difformi

Riceviamo e gentilmente pubblichiamo ....

15.04.09 - TAR Lecce: libera apertura domenicale degli esercizi

E' illegittima, perchè contraria alle norme sulla libera concorrenza, l'ordinanza sindacale con cui viene autorizzata l'apertura domenicale dei soli esercizi di vicinato. E' questo il principio con cui la I sezione del TAR Lecce ha accolto il ricorso proposto da una media struttura di vendita avverso l'ordinaza del sindaco che limitava l'apertura ai soli esercizi di vicinato.Il TAR Lecce ha evidenziato preliminarmente il contrasto esistente tra la legge regionale pugliese in materia - la quale pone il principio della chiusura domenicale, con possibilità di derogarvi previa autorizzazione comunale - e la normativa statale (decreto legislativo n. 114 del 1998), che in tema di città d'arte come quella di specie fissa invece l'opposto principio della libera apertura domenicale per tutte le tipologie di esercizio, senza distinzioni legate alla diversa dimensione aziendale.Ha poi proseguito il TAR adito, rilevando che il decreto legislativo 114/1998 ha principalmente inteso favorire l'apertura del mercato alla concorrenza (Corte cost., sent. n. 64 del 2007) al fine di rimuovere vincoli e privilegi, realizzando una maggiore eguaglianza di opportunità, in chiave di libera esplicazione della capacità imprenditoriale, per tutti gli operatori economici.Pertanto, per il TAR Lecce tale programmazione della apertura degli esercizi commerciali costituisce:- da un lato, una barriera, sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, all'accesso al mercato ed al suo libero funzionamento (cfr. Corte cost., sent. n. 430 del 2007);- e, dall'atro, viola i principi comunitari in tema di libera concorrenza. Ed ancora, per il Giudicante:- la liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura favorisce, in termini pro-concorenziali, la creazione di un mercato più dinamico e più aperto all'ingresso di nuovi operatori; - le nuove dinamiche competitive sembrano altresì caratterizzate, sul piano della domanda, da una maggiore e significativa disponibilità alla mobilità per l'acquisto, soprattutto se domenicale (cfr. Segnalazione Antitrust 24 ottobre 2008);- la disposizione regionale citata, ad una sommaria delibazione, sembra introdurre altresì una ingiustificata discriminazione tra esercizi di diverse tipologie dimensionali.
(Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Lecce - Sezione Prima,
Ordinanza 25 marzo 2009, n.287).

Sanità: Se si paga il ticket o si è esenti da esso non si è comsumatori


Consumerismo,servizio sanitario nazionale,salute:
Non si applica la normativa sui consumatori

"Ebbene, poiche' il rapporto fra il cittadino-utente che si rivolga alla struttura sanitaria pubblica per ottenere una prestazione, se del caso ospedaliera, o ad una struttura convenzionata in totale esenzione o previo pagamento di ticket non si puo' qualificare come contratto, trattandosi soltanto dell’adempimento di un dovere di prestazione direttamente discendente dalla leggi e, automaticamente attivato dalla richiesta del cittadino-utente, manca il presupposto per l’applicabilita' della lett u). Questa sembra essere la ragione determinante dell’esclusione di tale applicabilita'."

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 8989-2008 proposto da ... omissis ... legale rappresentante pro-tempore
contro
I. ...
avverso la sentenza n. 317/2008 del TRIBUNALE di BENEVENTO del 26.2-08, depositata il 27/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/01/2009 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;
udito per il resistente l’Avvocato ... G. che si riporta alla memoria.
E’ presente il p.G. in persona del Dott. Giovanni SALVI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.
Ritenuto quanto segue;
... omissis ... ha proposto istanza di regolamento di competenza avverso la sentenza del 27 febbraio 2008, con la quale il Tribunale di Benevento - da lui inerito di una controversia contro ... omissis ... per ottenere l’accertamento della responsabilita' del personale medico dipendente di detta azienda nell’esecuzione di un intervento chirurgico e, conseguentemente, la condanna della medesima al risarcimento dei danni sofferti le lesioni ad esso conseguenti, in conseguenza alla sua persona - ha dichiarato, sull’eccezione incompetenza territoriale formulata dall’Azienda convenuta, la propria incompetenza territoriale e la competenza sulla controversia del Tribunale di Perugia. All’istanza di regolamento ha resistito con memoria ... omissis ...
Essendo il ricorso soggetto alla disciplina di cui al decreto_legislativo_206_2005, in ragione dell’epoca di pronuncia del provvedimento impugnato, ed essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione con il procedimento di cui all’art. 380 - bis c.p.c., e' stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che e' stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.
La resistente ha depositato memoria ed il Pubblico Ministero ha formulato conclusioni scritte Considerato quanto segue;
La relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. ha avuto il seguente tenore;
Il ricorso prospetta tre motivi, corredati ognuno da corrispondenti quesiti di diritto.
Con il primo si sostiene che l’Azienda convenuta avrebbe rinunciato all’eccezione incompetenza, in quanto nella seconda comparsa conclusionale depositata in funzione della decisione del Tribunale avrebbe espressamente formulato la seguente precisione: «nella consapevolezza dell’orientamento espresso da ultimo da Cass. Civ. Sezioni Unite con sentenza 1.01.2008, n. 577 si rimette a Giustizia in relazione alla eccezione di incompetenza per territorio come sollevata in atti». Il Tribunale avrebbe omesso di considerare la rinuncia, che, stante iI carattere derogabile della competenza del Tribunale di Perugia, invocata sotto il profilo del foro generale della convenuta e dei fori facoltativi di cui all’art. 20 c.p.c, avrebbe determinato adesione alla competenza beneventana.
Il motivo parrebbe infondato, atteso che l’espressione che avrebbe integrato la rinuncia all’ eccezione non appare logicamente idonea in questo senso, giacche' il “rimettersi a giustizia e' soltanto evocativo del normale ufficio del giudice, che e' appunto quello di concedere giustizia (secondo cio' che prescrive la volonta' astratta dell’ordinamento in relazioni: alla fattispecie concreta).
3.1. - Con il secondo motivo si denuncia “illegittimita' ed infondatezza in diritto della sentenza declinatoria della competenza per violazione e/o mancata applicazione dell’art. 1469 bis c. III n. 19 c. c. e art. 33 lett. u) del d.lgs. n. 206 del 2005″ sotto il profilo che al ricorrente dovrebbe riconoscersi la qualifica di “consumatore” o “utente” di cui all’art. 3 del detto d. lgs. ed alla convenuta quella di “professionista” ai sensi della stessa fonte legislativa, di modo che il foro di Benevento, luogo di residenza dell’istante sarebbe stato quello applicabile nella controversia ai sensi dell’art. 33 citato.
In relazione a tale motivo si prospetta il seguente quesito di diritto: «all’utente della prestazione sanitaria resa da una Azienda Ospedaliera Pubblica con oneri a carico del Servizio Sanitario nazionale, e' applicabile la disciplina legislativa del consumatore e quindi e' applicabile il principio del foro generale della residenza o del domicilio del consumatore ovverosia della competenza territoriale esclusiva del Giudice del luogo in cui l’utente consumatore ha la propria residenza o il proprio domicilio elettivo, ex art. 1469 bis comma 3 n, I e art. 33 comma 2° lett. u) codice del consumo.
Questi gli argomenti a sostegno.
In primo luogo, avrebbe rilievo il carattere contrattuale della responsabilita' della struttura sanitaria anche pubblica, siccome affermato dalla recente Cass. sez. un, n. 577 del 2008 (nonche' numerose altre decisioni della Corte, che vengono parimenti citate).
In secondo luogo, si deduce l’inesattezza dell’affermazione del Tribunale di Benevento secondo cui la particolarita' del rapporto fra paziente e struttura ospedaliera, con oneri a carico del S.S.N., giustificherebbe l’inapplicabilita' delle disposizioni sul rafforzamento della posizione del consumatore nella fase negoziale, perche' trattandosi di erogazione di un servizio pubblico, non e' l’utente che paga la prestazione e non puo' definirsi consumatore. L’inesattezza viene sostenuta invocandosi il principio di diritto espresso da Cass. n. 369 del 2007 in ordine al riconoscimento della posizione di consumatore del terzo beneficiario della polizza assicurativa, nonche' la pregressa ord. n. 285 del 2004 della Corte costituzionale sulla stessa questione. Di tale principio si invoca l’estensione analogica alla posizione dell’utente del servizio Sanitario nazionale, perche' anche costui, come il detto beneficiario, non sopporta il costo del servizio.
In terzo luogo, si asserisce l’inesattezza dell’argomento prospettato dal Tribunale sulla base dell’art. 101 del d.lgs, 206 del 2005, la' dove prevede una norma di rinvio a proposito dei servizi pubblici, per sottrarre l’azienda sanitaria pubblica all’operativita' del foro del consumatore.
L’inesattezza discenderebbe dal fatto che a seguire il ragionamento del Tribunale anche quando la postazione sia erogata da un’azienda sanitaria privata, trattandosi sempre di un pubblico servizio dovrebbe valere detta sottrazione.
In quarto luogo si prospetta che darebbe luogo ad un risultato lesivo dei principio costituzionale di eguaglianza l’escludere l’operativita' del foro del consumatore in caso di prestazione resa da una azienda ospedaliera pubblica con oneri a carico del S.S.N. ed ammetterla invece a favore di chi, avendo disponibilita' economiche, si rivolga ad una struttura privata a proprie spese.
3.1.1. Il motivo parrebbe infondato.
Premesso che esso dev’essere scrutinato alla stregua dell’art. 33, comma 2, lett. u) del d.lgs. n. 206 del 2005 (c.d. codice del consumo), atteso che la norma codicistica invocata e' venuta meno, si deve anzitutto rilevare che in punto di soggezione dell’utente di un servizio pubblico alle disposizioni di tale codice, il tessuto normativo di quest’ultimo contiene soltanto due riferimenti a tale tipo di utente. Il primo e' contenuto nell’art. 2, comma 2, lett. g) la' dove si riconosce come diritto fondamentale ai consumatori e agli utenti quello “all’erogazione di servizi pubblici secondo gli standard di qualita' e di efficienza”. Il secondo e' espresso nell’intitolazione del Titolo quinto del d.lgs. che e' alla “erogazione di servizi pubblici”, nella intitolazione del Capo primo di cui esso si compone, e nell’art. 101 di cui tale capo consta, il quale, sotto la rubrica “Norma di rinvio”, cosi' dispone: «1. Lo Stato e le regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, garantiscono i diritti degli utenti dei servizi pubblici attraverso la concreta e corretta attuazione dei principi e dei criteri previsti della normativa vigente in materia. 2. Il rapporto di utenza deve svolgersi nei rispetto di standard di qualita' predeterminati e adeguatamente resi pubblici. 3. Agli utenti e' garantita, attraverso forme rappresentative, la partecipazione alle procedure di definizione e di valutazioni degli standard di qualita' previsti dalle leggi. 4. La legge stabilisce per determinati enti erogatori di servizi pubblici l’obbligo di adottare, attraverso specifici meccanismi di attuazione diversificati in relazione ai settori, apposite carte dei servizi.».
Il coordinamento fra le due norme evidenzia che la seconda - peraltro programmatica ed avente valore piuttosto che di norma di rinvio a specifiche disposizioni, di norma di rinvio ad una produzione (legislativa) di Stato e Regioni - nelle intenzioni del legislatore delegato vuole solo indicare taluni criteri di realizzazione normativa (appunto affidati alle competenze di Stato e Regioni) del diritto riconosciuto al consumatore in relazione alla erogazione del servizio pubblico dall’art. 2, comma 2.
Viceversa, detto coordinamento, attesa la limitatezza del diritto riconosciuto dall’art. 2, comma 2, lett. g), non evidenzia - come vorrebbe la sentenza impugnata - che in generale il rapporto di utenza con il servizio pubblico sia sottratto automaticamente alla disciplina del d.lgs. Se cosi' avesse voluto disporre, il legislatore lo avrebbe dovuto dire in ben diverso modo, cioe' con una norma effettuativa dell’operare della disciplina del d.lgs. del settore del servizio pubblico. Mentre, come si e' visto, la previsione settoriale nei sensi indicati, contenuta nelle due norme, e' significativa di una intentio legis non aliena dal considerare il rapporto di utenza con il servizio pubblico come rapporto in linea di massima soggetto all’ambito della disciplina del codice.
L’interprete e', dunque, autorizzato ad un approccio interpretativo diverso da quello adottato dalla sentenza impugnata, cioe' ad affrontare il problema dell’operare delle tutele apprestate a favore del consumatore-utente anche a beneficio dell’utente di un servizio pubblico, valutando se le varie disposizioni di cui consta il decreto legislativo siano o meno applicabili, per la loro ratio o sulla base del loro tenore, al rapporto di utenza pubblica.
L’operazione esegetica deve riguardare anzitutto la possibilita' che al detto rapporto si possano riferire le definizioni individuate dall’art. 3 del d.lgs.
In relazione al rapporto fra il cittadino ed il servizio sanitario nazionale (disciplinato in generale dalla L. n. 833 del 1978) in funzione della fruizione di una prestazione sanitaria), in ipotesi ospedaliera, in totale esenzione od anche previo pagamento del c.d. ticket, certamente al cittadino-utente si attaglia la definizione di “utente”, di cui alla lettera a) dell’art. 3. Alla struttura ospedaliera facente capo al S.S.N., posto che il detto servizio si articola sia attraverso strutture direttamente gestite dalla mano pubblica (e, quindi, da organismi di diritto pubblico, come l’azienda qui resistente), sia attraverso strutture gestite da privati che abbiano ricevuto l’autorizzatone a svolgere il servizio in convenzione, v’e' da chiedersi se possa attagliarsi la definizione di “professionista”, di cui all’art. 3, lett. e). La risposta all’interrogativo parrebbe certa nel caso delle seconde, perche' esse, sulla base della convenzione, agiscono come soggetti imprenditoriali (che cioe', perseguono un proprio utile), mentre e' dubitativa riguardo alle prime. Anche se l’interprete subisce certamente la suggestione della configurabilita' dell’attivita' delle strutture di mano pubblica pur sempre come attivita' “professionale”, il che potrebbe giustificare che esse siano comprese nella definizione di “professionista”.
La questione all’esame, dunque, non pare poter essere risolta sulla base delle definizioni offerte dall’art. 3, che non sono decisive.
Venendo alla disciplina specifica del c.d. foro del consumatore di cui all’art. 33, comma 2, lett. u), una volta ipotizzato (come consente l’equivocita' del dato dell’art. 3) che nell’uno e nell’altro caso ricorra la figura del professionista, l’interprete si imbatte in un dato che induce decisamente ad escludere che alla controversia, introdotta dal cittadino-utente (che si sia rivolto alla struttura pubblica o a una struttura convenzionata), per ottenere il risarcimento dei danni sofferti in conseguenza dell’inesecuzione o del non corretto adempimento della prestazione richiesta possa applicarsi la norma de qua. Il dato che viene in rilievo e' che, perche' la norma della lettera u), citata sopra si applichi, e' necessario un presupposto. Lo fanno manifesto sia l’intitolazione del titolo primo della parte terza (intitolata al Rapporto di consumo), che e' “Dei contratti del consumatore in generale”, sia la stessa rubrica “Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore”.
Questo presupposto e' rappresentato dal “contratto” fra professionista e consumatore.
Ebbene, poiche' il rapporto fra il cittadino-utente che si rivolga alla struttura sanitaria pubblica per ottenere una prestazione, se del caso ospedaliera, o ad una struttura convenzionata in totale esenzione o previo pagamento di ticket non si puo' qualificare come contratto, trattandosi soltanto dell’adempimento di un dovere di prestazione direttamente discendente dalla leggi e, automaticamente attivato dalla richiesta del cittadino-utente, manca il presupposto per l’applicabilita' della lett u). Questa sembra essere la ragione determinante dell’esclusione di tale applicabilita'. Mancando il contratto non si puo' giustificare l’applicazione del foro del consumatore, che il contratto presuppone. Il cittadino che chiede una prestazione in esenzione o con ticket al Servizio Sanitario Nazionale esercita in sostanza un diritto soggettivo pubblico riconosciutogli direttamente dalla legge e che la legge stessa prevede debba essere soddisfatto a richiesta dall’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale o direttamente o attraverso !s strutture in convenzione, imponendo essa stessa la relativa prestazione. Il rapporto che si instaura con la struttura sanitaria pubblica o convenzionata rappresenta l’attuazione (che ha titolo direttamente nella legge) di questo obbligo di prestazione e non suppone la stipula, nemmeno tacita, di un contratto. In altri termini, quando il cittadino-utente si rivolge alla struttura sanitaria pubblica o in convenzione, la ricezione della sua richiesta e la conseguente attivazione della struttura non danno luogo alla conclusione, nemmeno per fatto concludente, di un contratto, ma realizzano soltanto l’attuazione dell’obbligazione della mano pubblica di fornire il servizio. Tale attuazione non avviene mediante la riconduzione del rapporto allo schema del contratto, del quale non solo non vi sono i presupposti giustificativi a livello normativo (atteso che non si prevede alcunche' che sia in qualche modo riconducibile alla figura della stipulazione di un accordo contrattuale), ma neppure vi sonori presupposti fattuali che potrebbero comunque fare emergere la figura del contratto, nei contorni seppure sfumati che essa ha nel momento storico attuale. Si potrebbe pensare che tali presupposti sussistano sub specie della figura dell’obbligo a contrarre, ma si tratterebbe di prospettiva erronea, perche' cio' che la legge direttamente impone non e' qui l’obbligo di contrattare una prestazione, che l’oggetto del diritto soggettivo del cittadino-utente.
In proposito e' a questo punto necessaria una precisazione.
La conclusione che nega la ricorrenza del contratto non e' in alcun modo configgente con la comune ed ormai acquisita qualificazione come contrattuale della responsabilita' della struttura ospedaliera anche pubblica, evocata con insistenza dalla parte istante, e presente da tempo nella giurisprudenza della Corte. Tale affermazione, infatti, non sottende (vedi, peraltro, a quel che consta, Cass. n. 8826 del 2007, in diverso senso) che quando ci si rivolge alla struttura del Servizio Sanitario nazionale o ad una struttura convenzionata si stipuli un contratto, ma vuole significare che la cattiva esecuzione della prestazione “da' luogo a responsabilita' contrattuale nel senso di responsabilita' nascente dall’inadempimento di un obbligo preesistente o dalla sua cattiva esecuzione e non nel senso di responsabilita' per inadempimento di un contratto o per la sua cattiva esecuzione. Il concetto di responsabilita' contrattuale, cioe', viene usato nel senso non gia' di responsabilita' che suppone un contratto, ma nel senso - comune alla dottrina in contrapposizione all’obbligazione da illecito extracontrattuale - di responsabilita' che nasce dall’ inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, che nella specie sta a carico della struttura del Servizio Sanitario Nazionale. La lettura delle motivazioni, anche al di la' di quanto sembra talvolta suggeriscano le massime, evidenzia che la Corte (salvo appunto la sentenza sopra citata) non ha qualificato il rapporto che sorge dall’accettazione della richiesta da parte della struttura sanitaria del Servizio Sanitario nazionale, direttamente operante o operante in convenzione, come contratto,, ma si e' sempre soffermata sulla natura della responsabilita', ricorrendo alla figura della responsabilita' contrattuale nei sensi indicati.
L’art. 33, comma 2, lett. u), appare, dunque, nella specie inapplicabile. Il terzo motivo lamenta in fine “irritualita' della eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla parte convenuta ex art. 38 comma secondo c.p.c.” per non essere stata contestata la competenza del Tribunale di Benevento ai sensi del c.d. foro del consumatore. Tale contestazione si sarebbe dovuta avverare perche' nella citazione si invocava la responsabilita' contrattuale dell’ Azienda e, quindi anche il detto foro.
Il motivo e' infondato, tenuto che l’onere di contestazione e' riferibile alla c.d. competenza territoriale derogabile, ma non alla competenza territoriale inderogabile, qual e' quella dei c.d. foro del consumatore (si veda Cass. (ord.) 16557 del 2008 anche per ulteriori riferimenti), 6. Sembra, dunque, conclusivamente doversi dichiarare la competenza del Tribunale di Perugia.
Il Collegio condivide la soluzione finale indicata nella relazione quanto all’individuazione del giudice competente, ma reputa che la giustifichino considerazioni solo in parte coincidenti con quelle esposte nella relazione in riferimento al secondo motivo. Fra queste, infatti, il Collegio non ravvisa necessarie, indipendentemente da ogni valutazione sulla loro correttezza, quelle che hanno fatto leva, per giustificare l’esclusione della invocabilita' del c.d. foro del consumatore, sul rilievo che non sarebbe sussumibile sotto la figura del contratto la qualificazione del rapporto che insorge quando il cittadino si rivolge direttamente alla struttura sanitaria pubblica o a quella di una azienda convenzionata e, dunque, quando richiede una prestazione sanitaria fornita direttamente o indirettamente dal Servizio Sanitario Nazionale. Ancorche' non sembri del tutto sfornito di fondamento il dubbio esposto nella relazione riguardo alla mancanza di una chiara affermazione (salvo la sentenza citata nella relazione) della natura contrattuale della responsabilita' delle dette strutture anche quanto alla fonte, deve condividersi la sollecitazione del Pubblico Ministero relativamente all’opportunita' che la questione meriterebbe - per la sua indubbia natura di questione di particolare importanza - di essere rimessa alle Sezioni Unite della Corte, perche' sciolgano il dubbio stesso.
Le ragioni che giustificano l’esclusione dell’operativita' del c.d. foro del consumatore nella fattispecie all’esame sono le seguenti.
In primo luogo, deve osservarsi che il rapporto fra la posizione dell’utente del servizio pubblico e la disciplina del citato d.lgs. (c.d. codice del consumo) dev’essere individuato sulla base di una corretta ricostruzione del significato dei due indici normativi gia' segnalati dalla relazione presenti nel testo di esso.
La proclamazione dell’art. 2, comma 2, lett. g), richiamata nella relazione, in quanto presente in una norma rubricata “diritti del consumatore” e, quindi, deputata a fornirne una ricognizione sembra assumere sia l’indubbia valenza di assegnare al consumatore-utente del servizio pubblico il rango di una sottocategoria della categoria del consumatore-utente agli effetti del codice, sia l’ulteriore significato di identificare uno specifico atteggiarsi del diritto del consumatore-utente del servizio pubblico, considerato come tale: la specificita' e' quella che si esprime nel diritto alla erogazione del servizio pubblico “secondo standard di qualita' e di effettivita'”. Peraltro, il lettore della norma in questione pone in relazione questo specifico diritto con gli altri riconosciuti dalle altre lettere della norma, e' subito indotto a concludere che quello della lettera g) non e' l’unico diritto riconosciuto all’utente del servizio pubblico, bensi' soltanto un diritto aggiuntivo. Sarebbe del resto illogico,che a tale utente non siano riconosciuti quelli previsti dalle altre lettere, come ad esempio il diritto alla salute, che e' diritto di diretta derivazione costituzionale, o quello alla purezza di prodotti.
Questa conclusione e' confermata dalla seconda norma che specificamente considera ”utente del servizio pubblico, l’art. 101. Essa si autoproclama “norma di rinvio”, ma si tratta di una autoproclamazione che in realta' non e' fedele alla rubrica, posto che non si fa riferimento nel comma 1 alle norme che sarebbero oggetto del rinvio, ma piuttosto si affida allo Stato ed alle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, di dettare una normativa. Si tratta, dunque, di una previsione di rinvio ad un potere normativo, quindi, ad una fonte (rinvio formale).
II rinvio e' fatto in funzione della garanzia dei “diritti degli utenti dei servizi pubblici” e questo dato normativo conferma la conclusione che quello di cui all’art. 2, comma 2, lett. g non sia l’unico diritto riconosciuto all’utente del servizio pubblico e rafforza il convincimento che quest’ultimo e' a pieno titolo un utente, cui il codice tendenzialmente puo' se del caso trovare applicazione. Tale conclusione e' ulteriormente rafforzata dal rilievo di quanto emerge dai successivi tre commi.
Il comma 2 della norma, riecheggiando il comma 2, lett. g), assegna al detto potere un contenuto necessario, quello di fissare “standard di qualita' predeterminati” in relazione al rapporto di utenza. Il comma 3 garantisce la partecipazione al procedimento normativo di definizione degli standard. Ed il comma 4 affida alla legge il compito di stabilire, per determinati enti erogatori di servizi pubblici, l’obbligo di adottare, con diversificazione rispetto ai vari settori ed in correlazione alle loro specificita', “apposite carte dei servizi”, cosi richiamando un istituto che l’ordinamento conosceva gia' (si veda il d.l. 12 maggio 1995 n. 163, convertito nella legge 11 luglio 1995 n 273).
Ora, l’espressa considerazione - nei commi 2, 3 e 4 - del diritto all’erogazione secondo standard di qualita' significa che il potere di normazione, cui allude il comma 1, e' piu' ampio e generale, riferendosi esso ai “diritti” dell’utente del servizio pubblico in genere.
Dal comma 1 dell’art. 111 emerge un secondo dato che presenta una certa ambiguita': la proposizione “garantiscono i diritti degli utenti dei servizi pubblici attraverso la concreta e corretta attuazione dei principi e dei criteri previsti della normativa vigente in materia” si presta, intatti, ad essere intesa: a) sia nel senso di un riferimento ai “principi e criteri della normativa vigente” nella materia dei servizi pubblici, di modo che si sia voluto affidare alla legge statale e regionale il compito di disciplinare i diritti dell’utente del servizio pubblico tenendo corto della peculiarita' della disciplina dei vari servizi, nel quale caso si sarebbe voluto sottrarre quella figura di utente alla disciplina del codice pur applicata secondo un criterio di compatibilita' con il modo dell’attivita' del servizio pubblico; b) sia nel senso di un riferimento dei “principi e criteri della normativa vigente” non gia' alla materia dei servizi pubblici, bensi' alla materia dei diritti dell’utente, nel quale caso si sarebbe dato allo Stato ed alle Regioni soltanto il potere di raccordare la disciplina emergente su questa materia e, quindi, in primo luogo dallo stesso codice del consumo alla peculiarita' del servizio pubblico.
Se si considera quanto si e' detto sopra sull’esegesi dell’art. 2, comma 2, e sulle conseguenze che se ne sono tratte in punta di tendenziale applicabilita' all’utente del sevizio pubblico della disciplina del codice, la lettura dell’art. 101, comma 1, quella che sembra preferibile e senz’altro la seconda. E cio' per un’esigenza di elementare coerenza con quanto desumibile dall’art. 2, comma 2. Il principio di diritto che allora si puo' affermare e' il seguente: «L’art. 101, comma 1, del c.d. codice del consumo, di cui al d.lgs. n. 206 del 2005 non sottrae i diritti dell’utente del servizio pubblico al suo operare ove in relazione alla specifica modalita' del rapporto di utenza le norme del codice risultino applicabili, ma consente soltanto allo Stato e alle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, di dettare norme che applichino i principi stabiliti dal codice tenendo conto delle peculiarita' della disciplina del singolo servizio pubblico e delle modalita' con cui avviene il suo espletamento».
3. Affermata, dunque, la tendenziale riferibilita' del codice anche all’utente del servizio pubblico, in mancanza di adozione di una specifica normativa da parte dello Stato e delle regioni per gli ambiti di loro rispettiva competenza (normativa che potrebbe esprimersi anche con atti di normazione secondaria), deve ritenersi in linea tendenziale che all’utente del servizio pubblico la disciplina del codice possa applicarsi previo riscontro dell’idoneita' del relativo rapporto ad essere ricondotto sotto le norme del codice del consumo di volta in volta considerate.
E’ a questa stregua che va verificata la compatibilita' della norma dell’art. 33, comma 2. Iett. u), con la posizione dell’utente del servizio sanitario nazionale quando instauri una controversia inerente la prestazione di tale servizio.
3.1. Sotto tale profilo, con riferimento alla posizione dell’utente del servizio sanitario nazionale quando controverta direttamente con l’azienda ospedaliera pubblica (come' nel caso di specie), la quale, secondo una delle possibili modalita' di fruizione delle prestazioni del servizio sanitario nazionale, gli abbia erogato una prestazione, deve considerarsi che, nelle logica del funzionamento del pubblico servizio costituito dal c.d. servizio sanitario nazionale, l’erogazione del servizio e' garantita attraverso una organizzazione imperniata sul principio di territorialita, cioe' nel senso che vi sono tante articolazioni della complessiva organizzazione preposte ognuna ad un certo territorio. La fruizione del servizio, invece, non e', pero', necessariamente collegata alla residenza dell’utente se non in via tendenziale, essendovi, com’e' noto, la possibilita' di beneficiare del servizio, sia pure di solito attraverso un imput che parte dall’articolazione del servizio del luogo di residenza, in una qualsiasi articolazione dell’organizzazione. Ebbene questo rapporto fra l’organizzazione del servizio, strutturata su base territoriale, ed il diritto alla fruizione da parte dell’utente, che non e' ancorato all’articolazione territoriale di residenza, evidenzia una circostanza che pone l’utente, quando si rivolge ad una articolazione diversa dal suo luogo di residenza, in una posizione che non e' apparentabile a quella del consumatore di cui alla lett. u) dell’art. 33 citato. Il collegamento della struttura ad un certo territorio, ove posto in relazione con la libera scelta dell’utente di fruire del servizio al di fuori dell’ambito dell’articolazione del suo luogo di residenza, palesa cioe' una situazione nella quale, essendo frutto di una scelta dell’utente fruire del servizio al di fuori dell’ambito riferibile al suo luogo di residenza, e' responsabile della radicazione della vicenda all’ambito territoriale della struttura si e' rivolto e' esclusivamente l’utente, il quale, d’altro canto, e' pienamente consapevole che l’articolazione cui si e' rivolto e' predisposta per operare in un certo ambito territoriale. E’ pertanto, pienamente ragionevole che la vicenda del contenzioso che nasce dall’erogazione del servizio non sia soggetta al foro del consumatore.
A queste considerazione deve aggiungersi - superando i dubbi affacciati nella relazione che l’azienda ospedaliera pubblica non riveste la qualita' di “professionista”, che e' essenziale per l’applicabilita' della norma de qua. Cio', perche' l’azienda sanitaria pubblica (anche se oramai e' sostanzialmente configurabile come un soggetto privato e non pubblico, gestito con criteri manageriali, com’e' per la A.S.L), quando eroga la prestazione non agisce nell’esercizio di un’attivita' imprenditoriale, commerciale, artigianale, non potendo l’attivita' che ha permesso di eseguire la prestazione a favore dell’utente considerarsi espressione di attivita' di quel genere quindi, un’attivita' economica, per l’assorbente ragione che il suo svolgimento deve avvenire senza il necessario rispetto del principio di economicita', atteso che comunque l’erogazione del servizio deve essere assicurata anche se cagiona perdite. L’azienda sanitaria pubblica, dunque, non agisce come un “professionista” alla stregua della nozione fissata dall’art. 3 lett. e) del codice.
Ne' puo' considerarsi che detta attivita' sia espressione dell’esercizio di una professioni, come adombrato dalla relazione: il momento finalistico dell’attivita', in quanto essa e' diretta all’assicurazione del servizio esclude che si verta in ipotesi di esercizio di una professione ai sensi delle norme degli arti 2229 e ss. c.c., per l’assorbente ragione che l’attivita' professionale secondo tali norme e' finalizzata alla consecuzione di un compenso.
Neppure potrebbe argomentarsi che professionali sono comunque le attivita' del personale servente dell’azienda sanitaria, che riceve remunerazione per il loro espletamento: e' sufficiente osservare che rispetto al rapporto che si instaura fra l’azienda e l’utente tale remunerazione non viene in evidenza. Ma nemmeno viene in evidenza rispetto al rapporto che si instaura fra il personale dell’azienda e l’utente, secondo la giurisprudenza della Corte che ormai tende a configurare una responsabilita' contrattuale (talvolta definita da “contatto”‘) anche nel rapporto fra l’utente ed il personale sanitario. Onde, l’applicazione del foro di cui all’art. IX comma 2, lett. u) non potrebbe discendere di riflesso nemmeno sotto tale profilo, cioe' per la configurabilita' del foro inderogabile almeno rispetto al detto personale. Si e', in sostanza, in presenza di attivita' professionale, ma non nel senso supposto dall’art, 3, lett. e), il quale, in relazione alla tutela dell’art. 33 in genere suppone che il carattere professionale dell’attivita' del detto “professionista” si ponga in riferimento al contratto stipulato con il “consumatore”.
Alla soluzione dell’inapplicabilita' dell’art 33, comma 2, lett. u) deve pervenirsi anche a proposito di una struttura convenzionata.
Cio', anzitutto per la ragione che vale l’argomento della territorialita' dell’espletamento del servizio e della libera scelta dell’utente di fruirne fuori del suo luogo di residenza. Inoltre, se e' vero che essa si presenta come un’azienda diretta a perseguire un utile proprio in ragione dell’espletamento della prestazione sanitaria coperta dal Servizio Sanitario Nazionale questi viene in rilievo quando essa stipula la convenzione con gli organismi di diritto pubblico a cio' abilitati, mentre, una volta instaurata la convenzione, la fornitura del servizio all’utente avviene con modalita' del tutto identiche a quelle seguite dalla struttura pubblica, senza cioe' che l’essere l’azienda sanitaria privata convenzionata un imprenditore si ponga come tale. Cio' e' tanto vero che I”utente del servizio sanitario nazionale si rivolge ad essa come si sarebbe rivolto alla struttura pubblica. Anche in questo caso valgono, poi, le medesime considerazioni svolte a proposito dell’atteggiarsi del rapporto fra l’utente ed il personale della struttura sanitaria privata.
Va semmai precisato che, qualora il rapporto fra l’utente e la struttura sanitaria convenzionata abbia corso con l’espletamento di eventuali prestazioni aggiuntive direttamente a carico dell’utente e non del Servizio Sanitario Nazionale, allora l’art. 3 comma 2, lett. u) potra' venire in rilievo, in quanto nel rapporto, necessariamente da considerarsi su base unitaria, l’azienda sanitaria si e' posta direttamente nei confronti dell’utente come “professionista”.
Resta da dire del caso in cui abbia corso l’espletamento di una prestazione sanitaria direttamente da parte di un’azienda sanitaria privata non convenzionata e, quindi, sulla base di un normale rapporto privatistico con l’utente che abbia scelto di non rivolgersi al Servizio Sanitario Nazionale.
In questo caso l’azienda si pone senza dubbio come “professionista” ed il foro del consumatore e' applicabile, senza che ne derivi alcuna incoerenza con il collocarsi di detta azienda nell’ambito dello stesso pubblico servizio inerente la sanita'. Ne' l’applicabilita' del detto foro in questo caso comporta una disparita' di trattamento ai sensi dell’art. 3 tra l’utente che scelga di rivolgersi al Servizio Sanitario Nazionale e quello che si rivolge alla struttura sanitaria privata la disparita' e' insussistente, perche' quest’ultimo, che gia' come cittadino subisce sul piano fiscale l’incidenza del costo del detto servizio, se ne accolla direttamente un altro, di modo che le due situazioni sono diverse fra loro.
4- Rimane a questo punto da considerare un argomento svolto nell’ambito del seconde motivo e che la relazione, postasi nell’ottica da cui il Collegio ha parzialmente dissentito a proposito della non ricorrenza del “contratto” nel rapporto fra l’utente e la struttura pubblica convenzionata, non ha considerato perche' sostanzialmente assorbito.
L’argomento e' quello desunto da Cass. n. 369 del 2007 in ordine al riconoscimento della posizione di consumatore del terzo beneficiario della polizza assicurativa, nonche' dalla pregressa ordinanza 235 del 2004 della Corte costituzionale sulla stessa questione. Di tale principio si invoca l’estensione analogica alla posizione dell’utente del servizio Sanitario nazionale, perche' anche costui, come il detto beneficiario, non sopporta il costo del servizio, ma e' beneficiario pur sempre di un costo, quello necessario per il funzionamento diretto od indiretto del Servizio Sanitario Nazionale, sopportato da altri, cioe' nella sostanza da tutti i consociati che adempiono agli obblighi fiscali e cosi' consentono il finanziamento del Servizio, e, sul piano formale, dal soggetto che sul piano pubblicistico opera, ai vari livelli, la destinazione delle somme alle varia strutture sanitarie o le impiega per il c.d. convenzionamento.
L’invocazione del principio stabilito da Cass. n. 369 del 2007 non e', tuttavia, pertinente, perche', come ad altri effetti ha evidenziato questa Corte (si veda Cass. (ord.) n. 29:2.76 del 2007), esso trova spiegazione nell’essere il beneficiario della polizza assicurativa direttamente titolare del diritto previsto dal contratto e, quindi, partecipe del regolamento contrattuale che gli attribuisce il diritto. Sicche' quello che viene in rilievo e' il rapporto fra il “professionista” ed il consumatore che ha stipulato la polizza, in quanto esso stesso ha attribuito un diritto al beneficiario, che lo esercita sulla base del contratto. L’utente che si avvale del Servizio Sanitario Nazionale, viceversa non esercita un diritto che nasce dal rapporto fra la struttura pubblica che stipula la convenzioni con un’azienda sanitaria privata o un diritto che trae titolo dal rapporto in forza del quale l’azienda sanitaria pubblica - tra l’altro certamente non riconducibile alla figura del contratto - agisce nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale ricevendo le erogazioni di pubblico danaro occorrente all’espletamento del servizio.
5- Deve, dunque, dichiararsi la competenza del Tribunale di Perugia, avanti al quale le parti vanno rimesse, con termine per la riassunzione di mesi tre dalla comunicazione del deposito della presente.
Le spese del procedimento possono essere compensate per giusti motivi ravvisabili nella delicatezza e novita' della questione di diritto esaminata.
P. Q. M.
La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Perugia, avanti al quale rimette le parti, a termine per la riassunzione di mesi tre dalla comunicazione del deposito della presente. Compensa le spese del giudizio di regolamento di competenza.
Depositata in Cancelleria il 02.04.2009

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