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sabato 6 giugno 2009

DURC e quant'altro: un breve memento perchè "repetita iuvant"

Obbligatoria la comunicazione per chi affida lavori a imprese edili

La normativa in materia di lavoro, approvata con decreto legislativo 276 del 2003, prevede che nel settore dell’edilizia privata il committente dei lavori deve richiedere all’impresa esecutrice il certificato di iscrizione alla Camera di commercio, la dichiarazione sull’organico medio annuo e sul tipo di contrattoapplicato alla manodopera e, infine, il certificato di regolarità contributiva (DURC) rilasciato da INAIL, INPS o Casse edili.Tutta la documentazione di cui sopra deve essere trasmessa al comune, indicando l’impresa esecutrice dei lavori. La mancanza del DURC comporta la sospensione della efficacia delle autorizzazioni comunali anche nel caso in cui nella esecuzione dei lavori subentri una nuova impresa a quelle inizialmente in attività.

DURC e quant'altro: un breve memento perchè "repetita iuvant"

Obbligatoria la comunicazione per chi affida lavori a imprese edili

La normativa in materia di lavoro, approvata con decreto legislativo 276 del 2003, prevede che nel settore dell’edilizia privata il committente dei lavori deve richiedere all’impresa esecutrice il certificato di iscrizione alla Camera di commercio, la dichiarazione sull’organico medio annuo e sul tipo di contrattoapplicato alla manodopera e, infine, il certificato di regolarità contributiva (DURC) rilasciato da INAIL, INPS o Casse edili.Tutta la documentazione di cui sopra deve essere trasmessa al comune, indicando l’impresa esecutrice dei lavori. La mancanza del DURC comporta la sospensione della efficacia delle autorizzazioni comunali anche nel caso in cui nella esecuzione dei lavori subentri una nuova impresa a quelle inizialmente in attività.

lunedì 6 aprile 2009

Novara dopo le Sezioni Unite in tem di danno morale ed esistenziale: non sono in re ipsa

Nota a sentenza 30.03.08
Danno non patrimoniale: il Tribunale di Novara si pronuncia dopo le Sezioni Unite
Nota a Tribunale di Novara, Sentenza 16 febbraio 2009, n.23

Il Tribunale di Novara Sezione Lavoro si è pronunciato sul danno non patrimoniale, con la sentenza n. 23 del 4/2/2009, depositata il 16/2/2009.
La pronuncia è interessante perché stata resa dopo la nota sentenza SS.UU. 26972/2008 e costituisce un’applicazione pratica dei principi dettati dalla Cassazione in consesso plenario.
‘Casus belli’ per il Tribunale di Novara un infortunio sul lavoro. Un operaio si frattura una mano mentre sta sostituendo la punta di un trapano.
Risulta che la macchina non avesse le protezioni di legge e che l’operaio non avesse seguito le dovute procedure di sicurezza.
L’operaio ricorre avanti al Tribunale di Novara chiedendo il risarcimento dei danni subiti.Il Giudice di Novara rilevava la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., dacchè tale norma non impone soltanto l’obbligo di adozione, da parte del datore di lavoro, di tutte le misure che “in concreto si rendano necessarie per la tutela della sicurezza del lavoro, in base alla particolarità dell’attività lavorativa, all’esperienza e alla tecnica”, ma perché, scriveva in motivazione, “la violazione del dovere generale di sicurezza comporta la responsabilità datoriale, non solo quando omette di adottare le idonee misure protettive imposte dalla legge o suggerite dall’esperienza o dalle conoscenze tecniche, ma anche quando omette di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente”. Era quanto accaduto nella fattispecie, sottoposta a disamina.
Poi però, atteso che, il Ctu aveva rilevato la sussistenza di lesioni alla persona, sia permanente sia temporanea, si poneva, nel giudizio in oggetto, la questione di come liquidarli. E, soprattutto, di se e, se sì, di come, liquidare quelle voci di pregiudizio che, prima della note SSUU 26972/2008, si definivano danno morale soggettivo e danno esistenziale o alla vita di relazione.Il Giudice spiegava in motivazione: “La Corte di Cassazione con pronuncia resa a Sezioni Unite n. 26972 in data 24 giugno 2008 ha osservato che la lesione degli interessi non suscettivi di valutazione economica dà luogo al risarcimento dei danni conseguenza, sotto il profilo della lesione dell’integrità psicofisica, (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2,4,32 Cost.), come avviene nel caso dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale co-stituita dall’impresa”.Proseguiva quindi, osservando che “la Corte di Cassazione ha inoltre precisato che definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale”.Ricorre il primo caso, aggiungeva, “ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella indennità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza”. Nel caso siano dedotte siffatte conseguenze, quindi, “si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”. In conseguenza, affermava il magistrato, “esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.E decideva la causa, liquidando prima il danno biologico e in seguito provvedendo alla sua personalizzazione in considerazione della sofferenza patita e dalla incidenza che la lesione era destinata ad assumere anche nella sfera della vita privata dell’infortunato.La sentenza in oggetto, come detto, si segnala all’attenzione del lettore perché affronta il delicatissimo problema di come ‘trattare’ il danno non patrimoniale nella sua componente soggettivo o morale o esistenziale o comunque legato alla sofferenza psichica e al fare areddituale della persona.Interessanti altri precedenti sul tema specifico.Il Tribunale di Milano, decima sezione civile, nella sentenza n. 2427 del 23/2/2009, scriveva in motivazione, di essere pervenuto “all’importo indicato, sulla base delle indicazioni fornite con riferimento al danno biologico, sia temporaneo che permanente, dalla tabella legale per le micropermanenti - i cui ordini di grandezza vengono in questa sede equitativamente utilizzati - indicazioni che, avendo come unico riferimento il pregiudizio derivante dalla lesione dell’integrità psicofisica del danneggiato (ossia il danno biologico de-privato dalla componente di sofferenze fisiche e morali, così come usava secondo la diffusa accezione del danno biologico precedente alle Sezioni Unite 2008), possono e devono essere oggetto della personalizzazione cui le stesse Sezioni Unite fanno riferimento, solo così potendo assicurarsi l’integralità del risarcimento”.Il Tribunale di Torino, Sezione quarta civile, nella sentenza n. 7876 del 27/11/2008, dopo aver rilevato che “la sentenza delle Sezioni Unite impone oggi un diverso approccio alla liquidazione del danno non patrimoniale”, ripercorsi i principi affermati da esse SS.UU., rileva per ciò che ivi viene definito danno “da sofferenza” – specificando “che per mera comodità espositiva si può continuare a chiamare ‘morale’” – che “a soli fini orientativi, e fatte salve le peculiarità di ogni caso concreto, è possibile distinguere tre tipologie di fattispecie, corrispondenti ciascuna a un diverso modo di manifestazione di questo danno, cui devono corrispondere differenti criteri di liquidazione”. E così viene identificato, dal Tribunale di Torino, un “primo gruppo” nei “casi in cui il patimento è normalmente momentaneo, strettamente legato a un certo evento di breve durata (p.es. un incidente stradale, lievi percosse, una rapina) e destinato ad attenuarsi e risolversi con rapidità: così la sofferenza e la preoccupazione di chi subisce lievi lesioni, che guariscono senza lasciare postumi e con postumi minimi. In questi casi la ‘sofferenza morale’ è principalmente legata alla entità della lesione fisica e alla durata della malattia. Si giustifica quindi un criterio che ancori la liquidazione del danno in oggetto a quella del danno biologico, sia da invalidità permanente che da invalidità temporanea”: liquidazione, in tal caso, “contenuta entro il limite massimo di un terzo (1/3) del danno biologico”. Secondo gruppo: “i casi in cui la sofferenza è conseguenza di una lesione fisica o psichica di una certa gravità”, “normalmente destinata a durare a lungo, spesso per tutta la vita del danneggiato. Si tratta della sofferenza che deriva dalla perdurante percezione della propria invalidità (non poter muovere un arto, non poter deambulare normalmente…); e della sofferenza derivante dal non poter compiere attività a cui prima si era dediti”. Anche in questo caso “il ‘patimento morale’ è il portato di una lesione fisica” “anche qui, dunque, pare corretto un criterio di liquidazione ancorato al danno biologico”, che va liquidato “in misura superiore, da un minimo di un terzo ad un massimo corrispondente all’intero importo del danno biologico”. Con una precisazione, però: la sofferenza derivante dalla perdurante percezione della lesione fisica può ritenersi, afferma il Tribunale, “provata in via presuntiva”, mentre la sofferenza derivante dal non poter fare deve essere “positivamente dimostrata”. Terzo gruppo, infine, “i casi in cui il ‘patimento’ da risarcire è completamente svincolato dal pregiudizio fisico”, come nel danno per diffamazione. In dette ipotesi, dichiara il Tribunale di Torino, “la liquidazione deve essere svincolata da quella del danno biologico (quand’anche esistente) e ancorata a criteri che non possono essere indicati in astratto, perché devono trovare riscontro nelle peculiarità della singola fattispecie”.Sempre il Tribunale di Torino, Sezione quarta civile, nella sentenza n. 8428 del 23/12/2008, distingue fra “riflessi oggettivi e soggettivi del danno biologico”, precisando che i primi sono apprezzabili “tramite accertamento medico legale (incidenza su sport, attività fisiche, maggior usura al lavoro, riflessi sulla vita sessuale e di relazione, ecc.)” mentre i secondi includono “gli aspetti più propriamente psicologici, ovvero la sofferenza morale che discende dall’illecito patito e dalle sua conseguenze oggettive”. Tali danni “sembrano liquidabili” “mediante un eventuale incremento ulteriore dei valori” dei danni all’integrità psicofisica della persona, incremento che non sarebbe “predeterminabile allo stato, a priori, in senso assoluto, ma valutabile in concreto, in considerazione delle particolarità oggettive e soggettive del caso, sulla scorta della prova offerta, in modo da garantire l’effettività della tutela rispetto al danno, ovvero risarcirlo per intero”. Nel caso di specie, il Tribunale ha liquidato operando un aumento della valutazione del danno.Il Tribunale di Catania, invece, nella sentenza del 17/11/2008, rilevando che “nel caso di specie, nulla è stato allegato e men che meno è stato provato che possa indurre a ritenere che vi siano ulteriori concrete sofferenze fisiche o psichiche” che non fossero già stata risarcite dai criteri tabellari, negava la risarcibilità dei ‘vecchi’ danno morale o esistenziale, non provvedendo a nessun incremento.Anche il Tribunale di Potenza, nella sentenza del 15/12/2008, affermava che “nulla può, di contro, essere liquidato a titolo di danno morale, non potendosi ritenere in re ipsa”.

Novara dopo le Sezioni Unite in tem di danno morale ed esistenziale: non sono in re ipsa

Nota a sentenza 30.03.08
Danno non patrimoniale: il Tribunale di Novara si pronuncia dopo le Sezioni Unite
Nota a Tribunale di Novara, Sentenza 16 febbraio 2009, n.23

Il Tribunale di Novara Sezione Lavoro si è pronunciato sul danno non patrimoniale, con la sentenza n. 23 del 4/2/2009, depositata il 16/2/2009.
La pronuncia è interessante perché stata resa dopo la nota sentenza SS.UU. 26972/2008 e costituisce un’applicazione pratica dei principi dettati dalla Cassazione in consesso plenario.
‘Casus belli’ per il Tribunale di Novara un infortunio sul lavoro. Un operaio si frattura una mano mentre sta sostituendo la punta di un trapano.
Risulta che la macchina non avesse le protezioni di legge e che l’operaio non avesse seguito le dovute procedure di sicurezza.
L’operaio ricorre avanti al Tribunale di Novara chiedendo il risarcimento dei danni subiti.Il Giudice di Novara rilevava la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., dacchè tale norma non impone soltanto l’obbligo di adozione, da parte del datore di lavoro, di tutte le misure che “in concreto si rendano necessarie per la tutela della sicurezza del lavoro, in base alla particolarità dell’attività lavorativa, all’esperienza e alla tecnica”, ma perché, scriveva in motivazione, “la violazione del dovere generale di sicurezza comporta la responsabilità datoriale, non solo quando omette di adottare le idonee misure protettive imposte dalla legge o suggerite dall’esperienza o dalle conoscenze tecniche, ma anche quando omette di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente”. Era quanto accaduto nella fattispecie, sottoposta a disamina.
Poi però, atteso che, il Ctu aveva rilevato la sussistenza di lesioni alla persona, sia permanente sia temporanea, si poneva, nel giudizio in oggetto, la questione di come liquidarli. E, soprattutto, di se e, se sì, di come, liquidare quelle voci di pregiudizio che, prima della note SSUU 26972/2008, si definivano danno morale soggettivo e danno esistenziale o alla vita di relazione.Il Giudice spiegava in motivazione: “La Corte di Cassazione con pronuncia resa a Sezioni Unite n. 26972 in data 24 giugno 2008 ha osservato che la lesione degli interessi non suscettivi di valutazione economica dà luogo al risarcimento dei danni conseguenza, sotto il profilo della lesione dell’integrità psicofisica, (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2,4,32 Cost.), come avviene nel caso dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale co-stituita dall’impresa”.Proseguiva quindi, osservando che “la Corte di Cassazione ha inoltre precisato che definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale”.Ricorre il primo caso, aggiungeva, “ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella indennità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza”. Nel caso siano dedotte siffatte conseguenze, quindi, “si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”. In conseguenza, affermava il magistrato, “esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.E decideva la causa, liquidando prima il danno biologico e in seguito provvedendo alla sua personalizzazione in considerazione della sofferenza patita e dalla incidenza che la lesione era destinata ad assumere anche nella sfera della vita privata dell’infortunato.La sentenza in oggetto, come detto, si segnala all’attenzione del lettore perché affronta il delicatissimo problema di come ‘trattare’ il danno non patrimoniale nella sua componente soggettivo o morale o esistenziale o comunque legato alla sofferenza psichica e al fare areddituale della persona.Interessanti altri precedenti sul tema specifico.Il Tribunale di Milano, decima sezione civile, nella sentenza n. 2427 del 23/2/2009, scriveva in motivazione, di essere pervenuto “all’importo indicato, sulla base delle indicazioni fornite con riferimento al danno biologico, sia temporaneo che permanente, dalla tabella legale per le micropermanenti - i cui ordini di grandezza vengono in questa sede equitativamente utilizzati - indicazioni che, avendo come unico riferimento il pregiudizio derivante dalla lesione dell’integrità psicofisica del danneggiato (ossia il danno biologico de-privato dalla componente di sofferenze fisiche e morali, così come usava secondo la diffusa accezione del danno biologico precedente alle Sezioni Unite 2008), possono e devono essere oggetto della personalizzazione cui le stesse Sezioni Unite fanno riferimento, solo così potendo assicurarsi l’integralità del risarcimento”.Il Tribunale di Torino, Sezione quarta civile, nella sentenza n. 7876 del 27/11/2008, dopo aver rilevato che “la sentenza delle Sezioni Unite impone oggi un diverso approccio alla liquidazione del danno non patrimoniale”, ripercorsi i principi affermati da esse SS.UU., rileva per ciò che ivi viene definito danno “da sofferenza” – specificando “che per mera comodità espositiva si può continuare a chiamare ‘morale’” – che “a soli fini orientativi, e fatte salve le peculiarità di ogni caso concreto, è possibile distinguere tre tipologie di fattispecie, corrispondenti ciascuna a un diverso modo di manifestazione di questo danno, cui devono corrispondere differenti criteri di liquidazione”. E così viene identificato, dal Tribunale di Torino, un “primo gruppo” nei “casi in cui il patimento è normalmente momentaneo, strettamente legato a un certo evento di breve durata (p.es. un incidente stradale, lievi percosse, una rapina) e destinato ad attenuarsi e risolversi con rapidità: così la sofferenza e la preoccupazione di chi subisce lievi lesioni, che guariscono senza lasciare postumi e con postumi minimi. In questi casi la ‘sofferenza morale’ è principalmente legata alla entità della lesione fisica e alla durata della malattia. Si giustifica quindi un criterio che ancori la liquidazione del danno in oggetto a quella del danno biologico, sia da invalidità permanente che da invalidità temporanea”: liquidazione, in tal caso, “contenuta entro il limite massimo di un terzo (1/3) del danno biologico”. Secondo gruppo: “i casi in cui la sofferenza è conseguenza di una lesione fisica o psichica di una certa gravità”, “normalmente destinata a durare a lungo, spesso per tutta la vita del danneggiato. Si tratta della sofferenza che deriva dalla perdurante percezione della propria invalidità (non poter muovere un arto, non poter deambulare normalmente…); e della sofferenza derivante dal non poter compiere attività a cui prima si era dediti”. Anche in questo caso “il ‘patimento morale’ è il portato di una lesione fisica” “anche qui, dunque, pare corretto un criterio di liquidazione ancorato al danno biologico”, che va liquidato “in misura superiore, da un minimo di un terzo ad un massimo corrispondente all’intero importo del danno biologico”. Con una precisazione, però: la sofferenza derivante dalla perdurante percezione della lesione fisica può ritenersi, afferma il Tribunale, “provata in via presuntiva”, mentre la sofferenza derivante dal non poter fare deve essere “positivamente dimostrata”. Terzo gruppo, infine, “i casi in cui il ‘patimento’ da risarcire è completamente svincolato dal pregiudizio fisico”, come nel danno per diffamazione. In dette ipotesi, dichiara il Tribunale di Torino, “la liquidazione deve essere svincolata da quella del danno biologico (quand’anche esistente) e ancorata a criteri che non possono essere indicati in astratto, perché devono trovare riscontro nelle peculiarità della singola fattispecie”.Sempre il Tribunale di Torino, Sezione quarta civile, nella sentenza n. 8428 del 23/12/2008, distingue fra “riflessi oggettivi e soggettivi del danno biologico”, precisando che i primi sono apprezzabili “tramite accertamento medico legale (incidenza su sport, attività fisiche, maggior usura al lavoro, riflessi sulla vita sessuale e di relazione, ecc.)” mentre i secondi includono “gli aspetti più propriamente psicologici, ovvero la sofferenza morale che discende dall’illecito patito e dalle sua conseguenze oggettive”. Tali danni “sembrano liquidabili” “mediante un eventuale incremento ulteriore dei valori” dei danni all’integrità psicofisica della persona, incremento che non sarebbe “predeterminabile allo stato, a priori, in senso assoluto, ma valutabile in concreto, in considerazione delle particolarità oggettive e soggettive del caso, sulla scorta della prova offerta, in modo da garantire l’effettività della tutela rispetto al danno, ovvero risarcirlo per intero”. Nel caso di specie, il Tribunale ha liquidato operando un aumento della valutazione del danno.Il Tribunale di Catania, invece, nella sentenza del 17/11/2008, rilevando che “nel caso di specie, nulla è stato allegato e men che meno è stato provato che possa indurre a ritenere che vi siano ulteriori concrete sofferenze fisiche o psichiche” che non fossero già stata risarcite dai criteri tabellari, negava la risarcibilità dei ‘vecchi’ danno morale o esistenziale, non provvedendo a nessun incremento.Anche il Tribunale di Potenza, nella sentenza del 15/12/2008, affermava che “nulla può, di contro, essere liquidato a titolo di danno morale, non potendosi ritenere in re ipsa”.

NEWS DALLA SUPREMA CORTE

Diritto penale del lavoro: portata delle prescrizioni di normative ed art. 23 Cost.
IN PARTICOLARE: IRRILEVANZA D VIOLAZIONI PURAMENTE FORMALI ED OBBLIGO DI LEALE COLLABORAZIONE DELLE AUTORITA' PREPOSTE ALL'ACCERTAMENTO


SENTENZA N. 12483 UD. 8 GENNAIO 2009 - DEPOSITO DEL 20 MARZO 2009



LAVORO (DIRITTO PENALE) – PROCEDURA DI DEFINIZIONE EX D.LGS. N. 758 DEL 1994 - PRESCRIZIONI DELL'ORGANO DI VIGILANZA - ONERE DEL CONTRAVVENTORE DI COMUNICARE L'AVVENUTO ADEMPIMENTO - ESCLUSIONE


Con la decisione in esame - in una fattispecie nella quale il giudice di merito aveva dichiarato l’imputato colpevole di una contravvenzione antinfortunistica, per la quale era stata esperita la procedura di definizione ex D.Lgs. n. 758 del 1994, non perché avesse accertato il mancato adempimento delle prescrizioni imposte dall’organo di vigilanza ovvero il mancato pagamento dell’oblazione nel termine di legge, ma semplicemente per la tardiva comunicazione al predetto organo dell’avvenuto adempimento delle prescrizioni imposte - ha affermato che l’onere di comunicare l’avvenuto adempimento non può costituire oggetto delle prescrizioni che l’organo di vigilanza ha il potere di imporre al contravventore ai sensi dell’art. 21 del citato D.Lgs., essendo ciò vietato dall’art. 23 Cost. (prestazione personale imposta da una disposizione non avente forza di legge).

Testo Completo: in www.cortedicassazione.it

Sentenza n. 12483 dell'8 gennaio 2009 – depositata il 20 marzo 2009(Sezione Terza Penale, Presidente G. De Maio, Relatore A. Franco

NEWS DALLA SUPREMA CORTE

Diritto penale del lavoro: portata delle prescrizioni di normative ed art. 23 Cost.
IN PARTICOLARE: IRRILEVANZA D VIOLAZIONI PURAMENTE FORMALI ED OBBLIGO DI LEALE COLLABORAZIONE DELLE AUTORITA' PREPOSTE ALL'ACCERTAMENTO


SENTENZA N. 12483 UD. 8 GENNAIO 2009 - DEPOSITO DEL 20 MARZO 2009



LAVORO (DIRITTO PENALE) – PROCEDURA DI DEFINIZIONE EX D.LGS. N. 758 DEL 1994 - PRESCRIZIONI DELL'ORGANO DI VIGILANZA - ONERE DEL CONTRAVVENTORE DI COMUNICARE L'AVVENUTO ADEMPIMENTO - ESCLUSIONE


Con la decisione in esame - in una fattispecie nella quale il giudice di merito aveva dichiarato l’imputato colpevole di una contravvenzione antinfortunistica, per la quale era stata esperita la procedura di definizione ex D.Lgs. n. 758 del 1994, non perché avesse accertato il mancato adempimento delle prescrizioni imposte dall’organo di vigilanza ovvero il mancato pagamento dell’oblazione nel termine di legge, ma semplicemente per la tardiva comunicazione al predetto organo dell’avvenuto adempimento delle prescrizioni imposte - ha affermato che l’onere di comunicare l’avvenuto adempimento non può costituire oggetto delle prescrizioni che l’organo di vigilanza ha il potere di imporre al contravventore ai sensi dell’art. 21 del citato D.Lgs., essendo ciò vietato dall’art. 23 Cost. (prestazione personale imposta da una disposizione non avente forza di legge).

Testo Completo: in www.cortedicassazione.it

Sentenza n. 12483 dell'8 gennaio 2009 – depositata il 20 marzo 2009(Sezione Terza Penale, Presidente G. De Maio, Relatore A. Franco

venerdì 13 marzo 2009

Riceviamo e gentilmente pubblichiamo......


La Cassazione e il lavoro dei clandestini
(Cass. pen., n. 38079/2008)
G. De Falco
(Nota a sentenza 9/2/2009)


E' purtroppo ancora assai frequente, nel mondo del lavoro, l'assunzione irregolare di lavoratori stranieri non in regola con le disposizioni che disciplinano l'ingresso e il soggiorno dei cittadini extracomunitari nel nostro paese. E' noto che la manodopera immigrata consente un notevole risparmio al datore di lavoro, sia in punto di retribuzione che in punto di oneri contributivi. Per fronteggiare tale fenomeno, a prescindere dalle violazioni circa l'irregolare instaurazione del rapporto di lavoro, le norme in tema di immigrazione delineano il reato di cui all'art. 22 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (testo unico in tema di immigrazione) che punisce il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, ovvero il cui permesso di soggiorno sia scaduto, revocato o annullato. La giurisprudenza è assai rigorosa nel ritenere configurabile il reato sia quando l'assunzione riguardi un solo lavoratore, sia quando ne concerna un numero superiore. Analogamente è irrilevante la tipologia del rapporto di lavoro perfezionato, sempreché questo dia luogo ad un rapporto di sostanziale subordinazione. Una recente sentenza della Cassazione penale (sezione feriale 6.10.08 - udienza 4.9.08 - n. 38079, ricorrente la Marca) precisa invero, in modo ineccepibile, che il reato in questione è configurabile qualunque sia la tipologia di lavoro subordinato instaurato, e quindi anche nel caso di lavoro in prova, e indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell'attività, e quindi anche nel caso di lavoro durato un solo giorno. Anche tali, in apparenza, marginali connotazioni del rapporto di lavoro ledono infatti l'interesse dello Stato a non consentire l'occupazione di soggetti che non siano in regola con le diposizioni in tema di ingresso e di permanenza nel territorio nazionale e a mantenere il controllo sulla disciplina di ogni tipo di rapporto lavorativo. Sempre a proposito dell'interpretazione rigorosa fornita dalla giurisprudenza in ordine alla fattispecie penale in parola va ricordato che sia i giudici di merito che la Cassazione ravvisano il reato con riferimento a qualunque tipo di attività svolta dal datore di lavoro; e dunque anche il semplice cittadino che assuma una badante o una colf clandestina, o comunque qualsiasi lavoratore non chiamato a lavoratore nell'ambito di un'attività imprenditoriale, incorre nel reato in questione.

Dott. Giuseppe De Falco
Magistrato

Riceviamo e gentilmente pubblichiamo......


La Cassazione e il lavoro dei clandestini
(Cass. pen., n. 38079/2008)
G. De Falco
(Nota a sentenza 9/2/2009)


E' purtroppo ancora assai frequente, nel mondo del lavoro, l'assunzione irregolare di lavoratori stranieri non in regola con le disposizioni che disciplinano l'ingresso e il soggiorno dei cittadini extracomunitari nel nostro paese. E' noto che la manodopera immigrata consente un notevole risparmio al datore di lavoro, sia in punto di retribuzione che in punto di oneri contributivi. Per fronteggiare tale fenomeno, a prescindere dalle violazioni circa l'irregolare instaurazione del rapporto di lavoro, le norme in tema di immigrazione delineano il reato di cui all'art. 22 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (testo unico in tema di immigrazione) che punisce il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, ovvero il cui permesso di soggiorno sia scaduto, revocato o annullato. La giurisprudenza è assai rigorosa nel ritenere configurabile il reato sia quando l'assunzione riguardi un solo lavoratore, sia quando ne concerna un numero superiore. Analogamente è irrilevante la tipologia del rapporto di lavoro perfezionato, sempreché questo dia luogo ad un rapporto di sostanziale subordinazione. Una recente sentenza della Cassazione penale (sezione feriale 6.10.08 - udienza 4.9.08 - n. 38079, ricorrente la Marca) precisa invero, in modo ineccepibile, che il reato in questione è configurabile qualunque sia la tipologia di lavoro subordinato instaurato, e quindi anche nel caso di lavoro in prova, e indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell'attività, e quindi anche nel caso di lavoro durato un solo giorno. Anche tali, in apparenza, marginali connotazioni del rapporto di lavoro ledono infatti l'interesse dello Stato a non consentire l'occupazione di soggetti che non siano in regola con le diposizioni in tema di ingresso e di permanenza nel territorio nazionale e a mantenere il controllo sulla disciplina di ogni tipo di rapporto lavorativo. Sempre a proposito dell'interpretazione rigorosa fornita dalla giurisprudenza in ordine alla fattispecie penale in parola va ricordato che sia i giudici di merito che la Cassazione ravvisano il reato con riferimento a qualunque tipo di attività svolta dal datore di lavoro; e dunque anche il semplice cittadino che assuma una badante o una colf clandestina, o comunque qualsiasi lavoratore non chiamato a lavoratore nell'ambito di un'attività imprenditoriale, incorre nel reato in questione.

Dott. Giuseppe De Falco
Magistrato

Gli immigrati clandestini ed il lavoro irregolare


Corte di Cassazione Penale Sezione Feriale 6/10/2008 n. 38079;
Pres. De Roberto G.
Lavoro clandestino

FATTO E DIRITTO
Con sentenza 23/4/08 la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza 6/6/07 del Tribunale di Savona che, a seguito di giudizio abbreviato, condannava L.M.A. alla pena complessiva (interamente condonata) di 4.500,00 Euro di ammenda (in parte sostitutiva della corrispondente pena detentiva) per il reato di occupazione alle proprie dipendenze di straniero (tale M. D.) senza permesso di soggiorno (D.L. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12: in (omissis)).
Ricorreva personalmente per cassazione l'imputato, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. Con un primo motivo lamentava che il giudice di merito avesse ritenuto la sussistenza del reato in presenza di un solo lavoratore occupato (mentre la norma usava il sostantivo al plurale: "lavoratori"). Con un secondo motivo lamentava che il reato fosse stato ritenuto nonostante l'assenza di prova di uno stabile rapporto, lo straniero stesso avendo dichiarato ai carabinieri di essere in prova presso l'impresa ed al primo giorno di lavoro. Con un terzo motivo lamentava la mancata assunzione di una prova decisiva (la testimonianza del proprio commercialista).
All'udienza fissata per la discussione, non comparsa la parte ricorrente, il PG presso la S.C. chiedeva dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Il ricorso, manifestamente infondato, è inammissibile.
Col primo motivo si sostiene che la norma violata intende sanzionare l'occupazione di una pluralità di "lavoratori stranieri" clandestini: quando la medesima legge ha voluto diversamente ha usato una diversa locuzione ("uno o più stranieri": art. 24, comma 6, in materia di lavoro stagionale). La tesi, basata su una lettura meramente letterale della norma, non solo è contraddetta dall'inciso finale della stessa, dove si stabilisce la pena "per ogni lavoratore impiegato" (venendo così meno il preteso rilievo della pluralità indistinta dei lavoratori), ma lo è soprattutto - come peraltro già rilevato dal giudice di merito - dalla ratio della norma (e della legge) di cui trattasi (evitare l'occupazione di stranieri irregolari).
Allo stesso modo il secondo motivo contraddice una giurisprudenza di legittimità del tutto condivisa (v. sez. 1^, 26/3/08-14/4/08, n. 15463, Zhao), secondo cui il concetto di occupazione che figura nell'art. 22 della legge de qua si riferisce alla instaurazione di un qualunque rapporto di lavoro subordinato (quindi anche un rapporto di lavoro in prova), indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell'attività (quindi anche il lavoro di un giorno).
Il terzo motivo si limita genericamente ad evocare un mezzo di prova (che si assume decisivo, ma ciò è da escludersi in forza delle considerazioni che precedono) chiesto nel corso del procedimento di primo grado (celebrato in abbreviato). Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di somma, a favore della Cassa delle ammende, che è congruo fissare in 1.000,00 Euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

Gli immigrati clandestini ed il lavoro irregolare


Corte di Cassazione Penale Sezione Feriale 6/10/2008 n. 38079;
Pres. De Roberto G.
Lavoro clandestino

FATTO E DIRITTO
Con sentenza 23/4/08 la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza 6/6/07 del Tribunale di Savona che, a seguito di giudizio abbreviato, condannava L.M.A. alla pena complessiva (interamente condonata) di 4.500,00 Euro di ammenda (in parte sostitutiva della corrispondente pena detentiva) per il reato di occupazione alle proprie dipendenze di straniero (tale M. D.) senza permesso di soggiorno (D.L. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12: in (omissis)).
Ricorreva personalmente per cassazione l'imputato, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. Con un primo motivo lamentava che il giudice di merito avesse ritenuto la sussistenza del reato in presenza di un solo lavoratore occupato (mentre la norma usava il sostantivo al plurale: "lavoratori"). Con un secondo motivo lamentava che il reato fosse stato ritenuto nonostante l'assenza di prova di uno stabile rapporto, lo straniero stesso avendo dichiarato ai carabinieri di essere in prova presso l'impresa ed al primo giorno di lavoro. Con un terzo motivo lamentava la mancata assunzione di una prova decisiva (la testimonianza del proprio commercialista).
All'udienza fissata per la discussione, non comparsa la parte ricorrente, il PG presso la S.C. chiedeva dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Il ricorso, manifestamente infondato, è inammissibile.
Col primo motivo si sostiene che la norma violata intende sanzionare l'occupazione di una pluralità di "lavoratori stranieri" clandestini: quando la medesima legge ha voluto diversamente ha usato una diversa locuzione ("uno o più stranieri": art. 24, comma 6, in materia di lavoro stagionale). La tesi, basata su una lettura meramente letterale della norma, non solo è contraddetta dall'inciso finale della stessa, dove si stabilisce la pena "per ogni lavoratore impiegato" (venendo così meno il preteso rilievo della pluralità indistinta dei lavoratori), ma lo è soprattutto - come peraltro già rilevato dal giudice di merito - dalla ratio della norma (e della legge) di cui trattasi (evitare l'occupazione di stranieri irregolari).
Allo stesso modo il secondo motivo contraddice una giurisprudenza di legittimità del tutto condivisa (v. sez. 1^, 26/3/08-14/4/08, n. 15463, Zhao), secondo cui il concetto di occupazione che figura nell'art. 22 della legge de qua si riferisce alla instaurazione di un qualunque rapporto di lavoro subordinato (quindi anche un rapporto di lavoro in prova), indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell'attività (quindi anche il lavoro di un giorno).
Il terzo motivo si limita genericamente ad evocare un mezzo di prova (che si assume decisivo, ma ciò è da escludersi in forza delle considerazioni che precedono) chiesto nel corso del procedimento di primo grado (celebrato in abbreviato). Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di somma, a favore della Cassa delle ammende, che è congruo fissare in 1.000,00 Euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

Il lavoratore può agire direttamente contro l'assicuratore datoriale per il credito risarcitorio da danno differenziale per infortunio sul lavoro

Corte Costituzionale sentenza 63 del 2009 -

"questione di legittimità costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non concede al lavoratore azione diretta contro l'assicuratore del datore di lavoro per il credito risarcitorio da danno differenziale per infortunio sul lavoro."


SENTENZA N. 63
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, del codice civile, promosso con ordinanza del 13 maggio 2008 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra N. B. e la UMS Generali Marine S.p.A. ed altro, iscritta al n. 322 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2008.
Visti l'atto di costituzione di N. B. nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 10 febbraio 2009 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Giuseppe Sante Assennato e Alessandro Garlatti per N. B. e l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio promosso da un lavoratore vittima di infortunio contro il fallimento della società datrice di lavoro e l'assicuratore di tale società, la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 13 maggio 2008, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non concede al lavoratore azione diretta contro l'assicuratore del datore di lavoro per il credito risarcitorio da danno differenziale per infortunio sul lavoro.
La Corte rimettente espone di essere stata investita del ricorso proposto dal lavoratore contro la sentenza del giudice di secondo grado confermativa della pronuncia del tribunale che, ammettendo al passivo fallimentare il credito del lavoratore per il danno differenziale conseguente all'infortunio sul lavoro da lui subito il 17 novembre 1995, aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta dello stesso lavoratore contro l'assicuratore del datore di lavoro, perché, in base all'art. 1917 cod. civ., il danneggiato non ha azione diretta contro la compagnia assicuratrice.
Il giudice a quo ricorda che un'analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 1917, commi primo e secondo, cod. civ., è stata già proposta alla Corte costituzionale, la quale, con ordinanza n. 457 del 2006, l'ha dichiarata manifestamente inammissibile sotto due profili: in primo luogo perchè sollevata nel corso di un giudizio che ha quale unico possibile oggetto l'ammissione al passivo del credito azionato ed il suo rango (giudizio nel quale, pertanto, non è rilevante una questione di azionabilità diretta, da parte del danneggiato, del suo credito risarcitorio nei confronti dell'assicuratore); in secondo luogo, perchè la questione era stata prospettata dal rimettente in termini commisti ad una modifica dell'ordine legale dei privilegi, come tale estranea all'oggetto del giudizio principale, promosso esclusivamente per la riforma del capo della sentenza che aveva rigettato la pretesa di azionare il credito direttamente nei confronti dell'assicuratore.
La rimettente ritiene di dover riproporre la questione depurata dai predetti profili di inammissibilità.
In particolare, quanto al secondo, la Corte di cassazione afferma che nel giudizio principale non è prospettata alcuna questione di ordine di privilegi.
Invece, per quel che concerne il primo profilo di inammissibilità, la rimettente sostiene che il principio di concentrazione delle tutele derivante dall'art. 111, secondo comma, Cost., consente, e in un certo senso impone, nell'alternatività tra azione diretta verso l'assicuratore e ammissione al passivo fallimentare dell'assicurato (eventualmente per il residuo non coperto dall'assicuratore), una risposta giudiziaria contestuale alla domanda di giustizia del danneggiato. Tale esigenza di concentrazione, ad avviso del giudice a quo, è a fondamento delle modifiche apportate alla legge fallimentare dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), in particolare con l'eliminazione delle precedenti limitazioni alla cognizione del tribunale fallimentare, e della giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. un., 12 novembre 2004, n. 21499) che, nell'affermare la mera specialità del rito, con esclusione di qualsiasi profilo di competenza, ammette la trattazione contestuale avanti al tribunale fallimentare di tutte le questioni (anche nei confronti di terzi) che, come quella diretta del lavoratore infortunato contro l'assicuratore, siano incidenti sulla formazione dello stato passivo.
Con riferimento alla non manifesta infondatezza, la Corte rimettente sostiene che la norma censurata viola gli artt. 3 e 35 Cost., discriminando il lavoratore vittima di infortunio rispetto ad altri soggetti che godono invece di azione diretta verso l'assicuratore o verso altri terzi e, in particolare, rispetto: ai dipendenti dell'appaltatore che hanno azione diretta contro il committente, ai sensi dell'art. 1676 del codice civile; ai dipendenti dell'impresa somministratrice nel contratto di somministrazione di lavoro ed a quelli dell'impresa appaltatrice nel contratto di appalto di opere o servizi, i quali – a norma, rispettivamente, degli artt. 23 e 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30) – possono esercitare azione diretta nei confronti del debitore del loro datore di lavoro per il pagamento dei trattamenti retributivi loro spettanti; ai danneggiati da sinistro stradale, che hanno azione diretta nei confronti dell'assicuratore del danneggiante ai sensi dell'art. 18 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti). In tutti questi casi le somme dovute dall'assicuratore al danneggiato sono sottratte alla par condicio creditorum del danneggiante dichiarato fallito.
La rimettente deduce, poi, la violazione dell'art. 3 Cost. sotto il profilo dell'irrazionalità dell'attuale disciplina dell'art. 1917, secondo comma, cod. civ., sia perché tale norma affida il soddisfacimento, o meno, del bene primario rappresentato dal credito risarcitorio del lavoratore infortunato alla mera volontà dell'assicuratore o dell'assicurato che, in ragione del tempo in cui viene manifestata, può essere sottratto alla par condicio creditorum, sia perché essa non concede azione diretta al lavoratore infortunato sul luogo di lavoro, mentre il lavoratore vittima di infortunio in itinere gode dell'azione diretta in quanto vittima della strada.
Infine, il giudice a quo denuncia la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., perché un'azione diretta nei confronti dell'assicuratore consentirebbe tempi processuali più rapidi e minori costi per spese di giustizia.
2. – Nel giudizio si è costituito il lavoratore ricorrente nel giudizio principale che ha concluso nel senso della fondatezza della questione.
La parte privata, dopo aver ripercorso l'iter del giudizio principale ed aver dato conto delle argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione, deduce che l'art. 1917, secondo comma, cod. civ., frustra il diritto del lavoratore infortunato al risarcimento del danno subito. Infatti, l'indennizzo assicurativo (estraneo all'utile e al patrimonio dell'impresa) in caso di fallimento del datore di lavoro entra nella massa attiva del fallimento alla stregua di un qualsiasi cespite attivo dell'impresa fallita, pur trattandosi di una somma destinata a risarcire un danno. Esso finisce per costituire un incremento patrimoniale attivo sul quale altri, non danneggiati dall'infortunio, possono soddisfarsi almeno in parte. Vengono così in comparazione due diversi interessi di rango diseguale: la par condicio creditorum (che, pur essendo privilegiata dall'ordinamento, non è oggetto di protezione costituzionale) e la tutela dell'integrità psicofisica del lavoratore (di rango costituzionale ex artt. 32 e 36, primo comma, Cost.).
2.1. – In prossimità dell'udienza di discussione la parte privata ha depositato memoria nella quale ha sostenuto l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri e, in via subordinata, ha chiesto che la Corte affermi il principio secondo cui il danneggiato da infortunio sul lavoro ha azione diretta contro l'assicuratore per il credito risarcitorio del danno differenziale anche dopo la dichiarazione di fallimento.
3. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o manifestamente infondata.
Sotto il primo profilo la questione sarebbe manifestamente inammissibile per difetto di adeguata motivazione sulla rilevanza, poiché la Corte rimettente prende le mosse dal presupposto secondo cui la sopravvenienza del fallimento impedirebbe all'assicuratore di pagare l'indennizzo direttamente al danneggiato e all'amministrazione fallimentare di ordinare all'assicuratore il pagamento diretto (come invece sarebbe previsto dall'art. 1917, secondo comma, cod. civ., qualora l'assicurato fosse in bonis), senza esplorare la possibilità di un'interpretazione alternativa, alla stregua della quale le facoltà di pagamento diretto già previste dall'art. 1917, secondo comma, cod. civ., possano sopravvivere al fallimento dell'assicurato.
Quanto al merito, il Presidente del Consiglio dei ministri denuncia che l'impostazione della questione di legittimità costituzionale, così come sollevata dalla Corte di cassazione, è viziata da un salto logico, poiché la rimettente, sostenendo che il problema nascerebbe dal venir meno, a seguito del fallimento del datore di lavoro, delle facoltà di pagamento diretto di cui all'art. 1917, secondo comma, cod. civ., avrebbe dovuto denunciare la predetta norma codicistica, non per il fatto che essa non preveda l'azione diretta del lavoratore in caso di sopravvenuto fallimento, bensì per il fatto che essa esclude, in tale ipotesi, la sopravvivenza delle facoltà di pagamento diretto di cui al secondo comma.
L'interventore nega, poi, la sussistenza della denunziata violazione dell'art. 3 Cost. in relazione all'azione diretta concessa al danneggiato da sinistro occorso nella circolazione stradale. Infatti, questa facoltà costituisce la sola tutela specifica prevista dalla legge al danneggiato da tale tipo di sinistri, mentre, in materia di infortuni sul lavoro, l'assicurazione obbligatoria dei lavoratori presso gli istituti pubblici a ciò preposti assicura essa stessa un'adeguata tutela.
A parere del Presidente del Consiglio dei ministri, non v'è disuguaglianza costituzionalmente apprezzabile neppure in relazione all'azione diretta per le retribuzioni non pagate concessa ai dipendenti dell'appaltatore di lavori o di manodopera poi fallito, verso il committente di questo. Infatti – se si eccettua la limitata copertura a carico dell'Istituto nazionale della previdenza sociale accordata dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro) – il lavoratore non dispone di garanzie sostanziali per il pagamento delle retribuzioni a fronte dell'insolvenza del datore di lavoro e pertanto è logico che il legislatore valorizzi le possibilità di surrogazione del terzo, ogni volta che questi si trovi in un rapporto sostanzialmente diretto con il lavoratore.
Per quel che concerne la denunciata violazione dell'art. 35 Cost., l'Avvocatura generale dello Stato deduce che i sistemi di garanzia pubblica delle retribuzioni e dei risarcimenti in caso di infortuni apprestano tutta la tutela che l'ordinamento può conferire ai diritti dei lavoratori nel necessario equilibrio con altre posizioni creditorie che potrebbero essere altrettanto meritevoli di tutela e dunque rientra nella discrezionalità del legislatore decidere se introdurre, a favore dei soli lavoratori subordinati, per il danno differenziale da infortunio sul lavoro, la deroga al principio della par condicio creditorum (che costituisce un'attuazione del principio di uguaglianza) richiesta dall'ordinanza di rimessione.
Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che non sussiste violazione degli artt. 24 e 111 Cost. in relazione alla maggiore complessità e durata processuale del fallimento rispetto all'azione ordinaria diretta. Infatti, il credito risarcitorio del lavoratore vittima di infortunio sul lavoro è assistito, nell'ambito del concorso fallimentare, da privilegio generale (il che già lo differenzia da molti altri crediti). Inoltre la complessità e durata delle procedure fallimentari è un'evenienza di fatto, cui va posto rimedio su altri piani dell'ordinamento. Infine, l'irragionevole durata e complessità dei fallimenti non costituisce, contrariamente a quanto asserisce la rimettente, un fatto notorio, bensì una circostanza che può, o meno, sussistere nei singoli casi.
Considerato in diritto
1. – La Corte di cassazione dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede in favore del lavoratore azione diretta contro l'assicuratore del datore di lavoro per il credito risarcitorio da danno differenziale derivante da infortunio sul lavoro.
2. – La questione è inammissibile.
Questa Corte, con l'ordinanza n. 457 del 2006, ha dichiarato l'inammissibilità di una questione analoga alla presente, perché irrilevante nel giudizio a quo il cui oggetto era l'ammissione al passivo del credito azionato ex art. 93 o 101 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa). In tale procedimento non poteva – a giudizio della Corte – essere rilevante una questione di azionabilità diretta, da parte del danneggiato, del suo credito risarcitorio nei confronti dell'assicuratore.
Anche nel presente caso il giudizio principale riguarda l'ammissione di un credito al passivo fallimentare. La rimettente sembra però ritenere implicitamente superabile il rilievo contenuto nell'ordinanza n. 457 del 2006. Essa afferma, infatti, che il tribunale fallimentare ben può esaminare il merito della domanda proposta dal danneggiato contro l'assicuratore del datore di lavoro fallito. Nell'ordinanza di rimessione si sottolinea che l'esigenza di concentrare davanti a quel giudice tutte le questioni che incidano sulla formazione dello stato passivo troverebbe riscontro nell'art. 111, secondo comma, Cost. (che enuncia i princìpi del giusto processo e della sua ragionevole durata), nelle modifiche alla legge fallimentare apportate dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), e nell'orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Ritiene tuttavia questa Corte che dall'art. 111, secondo comma, Cost., non può desumersi la necessità di una concentrazione davanti al giudice fallimentare di tutti i vari strumenti di tutela giudiziale previsti dall'ordinamento. Al principio della ragionevole durata del processo enunciato dalla predetta norma costituzionale «possono arrecare un vulnus solamente norme procedurali che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorretta da alcuna logica esigenza» (sentenza n. 148 del 2005) e tali non possono essere considerate le disposizioni con le quali il legislatore, nell'esercizio non irragionevole dell'ampia discrezionalità di cui gode in tema di individuazione del giudice competente, definisce l'ambito della cognizione dei singoli organi giurisdizionali.
E', poi, inconferente il richiamo ai princìpi ispiratori della riforma della disciplina delle procedure concorsuali introdotta dal d. lgs. n. 5 del 2006. Infatti, indipendentemente da qualsiasi considerazione circa le conseguenze di tale riforma sulla effettiva possibilità per i creditori del fallimento di proporre nel giudizio di opposizione allo stato passivo domande contro terzi, c'è da osservare che, per espressa previsione dell'art. 150 del d. lgs. n. 5 del 2006, le procedure di fallimento che – come quella sulla quale si innesta il giudizio a quo – erano pendenti alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo sono comunque disciplinate dalla legge anteriore.
Infine, la stessa giurisprudenza di legittimità, richiamata dalla rimettente a conforto della propria impostazione, non afferma affatto la possibilità di trattazione, davanti al tribunale fallimentare, di domande proposte dai creditori del fallimento contro terzi.
Dall'implausibilità della motivazione sulla rilevanza della questione deriva, dunque, l'inammissibilità della stessa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 111 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2009.
Il Cancelliere
F.to: FRUSCELLA

Il lavoratore può agire direttamente contro l'assicuratore datoriale per il credito risarcitorio da danno differenziale per infortunio sul lavoro

Corte Costituzionale sentenza 63 del 2009 -

"questione di legittimità costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non concede al lavoratore azione diretta contro l'assicuratore del datore di lavoro per il credito risarcitorio da danno differenziale per infortunio sul lavoro."


SENTENZA N. 63
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, del codice civile, promosso con ordinanza del 13 maggio 2008 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra N. B. e la UMS Generali Marine S.p.A. ed altro, iscritta al n. 322 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2008.
Visti l'atto di costituzione di N. B. nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 10 febbraio 2009 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Giuseppe Sante Assennato e Alessandro Garlatti per N. B. e l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio promosso da un lavoratore vittima di infortunio contro il fallimento della società datrice di lavoro e l'assicuratore di tale società, la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 13 maggio 2008, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non concede al lavoratore azione diretta contro l'assicuratore del datore di lavoro per il credito risarcitorio da danno differenziale per infortunio sul lavoro.
La Corte rimettente espone di essere stata investita del ricorso proposto dal lavoratore contro la sentenza del giudice di secondo grado confermativa della pronuncia del tribunale che, ammettendo al passivo fallimentare il credito del lavoratore per il danno differenziale conseguente all'infortunio sul lavoro da lui subito il 17 novembre 1995, aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta dello stesso lavoratore contro l'assicuratore del datore di lavoro, perché, in base all'art. 1917 cod. civ., il danneggiato non ha azione diretta contro la compagnia assicuratrice.
Il giudice a quo ricorda che un'analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 1917, commi primo e secondo, cod. civ., è stata già proposta alla Corte costituzionale, la quale, con ordinanza n. 457 del 2006, l'ha dichiarata manifestamente inammissibile sotto due profili: in primo luogo perchè sollevata nel corso di un giudizio che ha quale unico possibile oggetto l'ammissione al passivo del credito azionato ed il suo rango (giudizio nel quale, pertanto, non è rilevante una questione di azionabilità diretta, da parte del danneggiato, del suo credito risarcitorio nei confronti dell'assicuratore); in secondo luogo, perchè la questione era stata prospettata dal rimettente in termini commisti ad una modifica dell'ordine legale dei privilegi, come tale estranea all'oggetto del giudizio principale, promosso esclusivamente per la riforma del capo della sentenza che aveva rigettato la pretesa di azionare il credito direttamente nei confronti dell'assicuratore.
La rimettente ritiene di dover riproporre la questione depurata dai predetti profili di inammissibilità.
In particolare, quanto al secondo, la Corte di cassazione afferma che nel giudizio principale non è prospettata alcuna questione di ordine di privilegi.
Invece, per quel che concerne il primo profilo di inammissibilità, la rimettente sostiene che il principio di concentrazione delle tutele derivante dall'art. 111, secondo comma, Cost., consente, e in un certo senso impone, nell'alternatività tra azione diretta verso l'assicuratore e ammissione al passivo fallimentare dell'assicurato (eventualmente per il residuo non coperto dall'assicuratore), una risposta giudiziaria contestuale alla domanda di giustizia del danneggiato. Tale esigenza di concentrazione, ad avviso del giudice a quo, è a fondamento delle modifiche apportate alla legge fallimentare dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), in particolare con l'eliminazione delle precedenti limitazioni alla cognizione del tribunale fallimentare, e della giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. un., 12 novembre 2004, n. 21499) che, nell'affermare la mera specialità del rito, con esclusione di qualsiasi profilo di competenza, ammette la trattazione contestuale avanti al tribunale fallimentare di tutte le questioni (anche nei confronti di terzi) che, come quella diretta del lavoratore infortunato contro l'assicuratore, siano incidenti sulla formazione dello stato passivo.
Con riferimento alla non manifesta infondatezza, la Corte rimettente sostiene che la norma censurata viola gli artt. 3 e 35 Cost., discriminando il lavoratore vittima di infortunio rispetto ad altri soggetti che godono invece di azione diretta verso l'assicuratore o verso altri terzi e, in particolare, rispetto: ai dipendenti dell'appaltatore che hanno azione diretta contro il committente, ai sensi dell'art. 1676 del codice civile; ai dipendenti dell'impresa somministratrice nel contratto di somministrazione di lavoro ed a quelli dell'impresa appaltatrice nel contratto di appalto di opere o servizi, i quali – a norma, rispettivamente, degli artt. 23 e 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30) – possono esercitare azione diretta nei confronti del debitore del loro datore di lavoro per il pagamento dei trattamenti retributivi loro spettanti; ai danneggiati da sinistro stradale, che hanno azione diretta nei confronti dell'assicuratore del danneggiante ai sensi dell'art. 18 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti). In tutti questi casi le somme dovute dall'assicuratore al danneggiato sono sottratte alla par condicio creditorum del danneggiante dichiarato fallito.
La rimettente deduce, poi, la violazione dell'art. 3 Cost. sotto il profilo dell'irrazionalità dell'attuale disciplina dell'art. 1917, secondo comma, cod. civ., sia perché tale norma affida il soddisfacimento, o meno, del bene primario rappresentato dal credito risarcitorio del lavoratore infortunato alla mera volontà dell'assicuratore o dell'assicurato che, in ragione del tempo in cui viene manifestata, può essere sottratto alla par condicio creditorum, sia perché essa non concede azione diretta al lavoratore infortunato sul luogo di lavoro, mentre il lavoratore vittima di infortunio in itinere gode dell'azione diretta in quanto vittima della strada.
Infine, il giudice a quo denuncia la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., perché un'azione diretta nei confronti dell'assicuratore consentirebbe tempi processuali più rapidi e minori costi per spese di giustizia.
2. – Nel giudizio si è costituito il lavoratore ricorrente nel giudizio principale che ha concluso nel senso della fondatezza della questione.
La parte privata, dopo aver ripercorso l'iter del giudizio principale ed aver dato conto delle argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione, deduce che l'art. 1917, secondo comma, cod. civ., frustra il diritto del lavoratore infortunato al risarcimento del danno subito. Infatti, l'indennizzo assicurativo (estraneo all'utile e al patrimonio dell'impresa) in caso di fallimento del datore di lavoro entra nella massa attiva del fallimento alla stregua di un qualsiasi cespite attivo dell'impresa fallita, pur trattandosi di una somma destinata a risarcire un danno. Esso finisce per costituire un incremento patrimoniale attivo sul quale altri, non danneggiati dall'infortunio, possono soddisfarsi almeno in parte. Vengono così in comparazione due diversi interessi di rango diseguale: la par condicio creditorum (che, pur essendo privilegiata dall'ordinamento, non è oggetto di protezione costituzionale) e la tutela dell'integrità psicofisica del lavoratore (di rango costituzionale ex artt. 32 e 36, primo comma, Cost.).
2.1. – In prossimità dell'udienza di discussione la parte privata ha depositato memoria nella quale ha sostenuto l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri e, in via subordinata, ha chiesto che la Corte affermi il principio secondo cui il danneggiato da infortunio sul lavoro ha azione diretta contro l'assicuratore per il credito risarcitorio del danno differenziale anche dopo la dichiarazione di fallimento.
3. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o manifestamente infondata.
Sotto il primo profilo la questione sarebbe manifestamente inammissibile per difetto di adeguata motivazione sulla rilevanza, poiché la Corte rimettente prende le mosse dal presupposto secondo cui la sopravvenienza del fallimento impedirebbe all'assicuratore di pagare l'indennizzo direttamente al danneggiato e all'amministrazione fallimentare di ordinare all'assicuratore il pagamento diretto (come invece sarebbe previsto dall'art. 1917, secondo comma, cod. civ., qualora l'assicurato fosse in bonis), senza esplorare la possibilità di un'interpretazione alternativa, alla stregua della quale le facoltà di pagamento diretto già previste dall'art. 1917, secondo comma, cod. civ., possano sopravvivere al fallimento dell'assicurato.
Quanto al merito, il Presidente del Consiglio dei ministri denuncia che l'impostazione della questione di legittimità costituzionale, così come sollevata dalla Corte di cassazione, è viziata da un salto logico, poiché la rimettente, sostenendo che il problema nascerebbe dal venir meno, a seguito del fallimento del datore di lavoro, delle facoltà di pagamento diretto di cui all'art. 1917, secondo comma, cod. civ., avrebbe dovuto denunciare la predetta norma codicistica, non per il fatto che essa non preveda l'azione diretta del lavoratore in caso di sopravvenuto fallimento, bensì per il fatto che essa esclude, in tale ipotesi, la sopravvivenza delle facoltà di pagamento diretto di cui al secondo comma.
L'interventore nega, poi, la sussistenza della denunziata violazione dell'art. 3 Cost. in relazione all'azione diretta concessa al danneggiato da sinistro occorso nella circolazione stradale. Infatti, questa facoltà costituisce la sola tutela specifica prevista dalla legge al danneggiato da tale tipo di sinistri, mentre, in materia di infortuni sul lavoro, l'assicurazione obbligatoria dei lavoratori presso gli istituti pubblici a ciò preposti assicura essa stessa un'adeguata tutela.
A parere del Presidente del Consiglio dei ministri, non v'è disuguaglianza costituzionalmente apprezzabile neppure in relazione all'azione diretta per le retribuzioni non pagate concessa ai dipendenti dell'appaltatore di lavori o di manodopera poi fallito, verso il committente di questo. Infatti – se si eccettua la limitata copertura a carico dell'Istituto nazionale della previdenza sociale accordata dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro) – il lavoratore non dispone di garanzie sostanziali per il pagamento delle retribuzioni a fronte dell'insolvenza del datore di lavoro e pertanto è logico che il legislatore valorizzi le possibilità di surrogazione del terzo, ogni volta che questi si trovi in un rapporto sostanzialmente diretto con il lavoratore.
Per quel che concerne la denunciata violazione dell'art. 35 Cost., l'Avvocatura generale dello Stato deduce che i sistemi di garanzia pubblica delle retribuzioni e dei risarcimenti in caso di infortuni apprestano tutta la tutela che l'ordinamento può conferire ai diritti dei lavoratori nel necessario equilibrio con altre posizioni creditorie che potrebbero essere altrettanto meritevoli di tutela e dunque rientra nella discrezionalità del legislatore decidere se introdurre, a favore dei soli lavoratori subordinati, per il danno differenziale da infortunio sul lavoro, la deroga al principio della par condicio creditorum (che costituisce un'attuazione del principio di uguaglianza) richiesta dall'ordinanza di rimessione.
Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che non sussiste violazione degli artt. 24 e 111 Cost. in relazione alla maggiore complessità e durata processuale del fallimento rispetto all'azione ordinaria diretta. Infatti, il credito risarcitorio del lavoratore vittima di infortunio sul lavoro è assistito, nell'ambito del concorso fallimentare, da privilegio generale (il che già lo differenzia da molti altri crediti). Inoltre la complessità e durata delle procedure fallimentari è un'evenienza di fatto, cui va posto rimedio su altri piani dell'ordinamento. Infine, l'irragionevole durata e complessità dei fallimenti non costituisce, contrariamente a quanto asserisce la rimettente, un fatto notorio, bensì una circostanza che può, o meno, sussistere nei singoli casi.
Considerato in diritto
1. – La Corte di cassazione dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede in favore del lavoratore azione diretta contro l'assicuratore del datore di lavoro per il credito risarcitorio da danno differenziale derivante da infortunio sul lavoro.
2. – La questione è inammissibile.
Questa Corte, con l'ordinanza n. 457 del 2006, ha dichiarato l'inammissibilità di una questione analoga alla presente, perché irrilevante nel giudizio a quo il cui oggetto era l'ammissione al passivo del credito azionato ex art. 93 o 101 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa). In tale procedimento non poteva – a giudizio della Corte – essere rilevante una questione di azionabilità diretta, da parte del danneggiato, del suo credito risarcitorio nei confronti dell'assicuratore.
Anche nel presente caso il giudizio principale riguarda l'ammissione di un credito al passivo fallimentare. La rimettente sembra però ritenere implicitamente superabile il rilievo contenuto nell'ordinanza n. 457 del 2006. Essa afferma, infatti, che il tribunale fallimentare ben può esaminare il merito della domanda proposta dal danneggiato contro l'assicuratore del datore di lavoro fallito. Nell'ordinanza di rimessione si sottolinea che l'esigenza di concentrare davanti a quel giudice tutte le questioni che incidano sulla formazione dello stato passivo troverebbe riscontro nell'art. 111, secondo comma, Cost. (che enuncia i princìpi del giusto processo e della sua ragionevole durata), nelle modifiche alla legge fallimentare apportate dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), e nell'orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Ritiene tuttavia questa Corte che dall'art. 111, secondo comma, Cost., non può desumersi la necessità di una concentrazione davanti al giudice fallimentare di tutti i vari strumenti di tutela giudiziale previsti dall'ordinamento. Al principio della ragionevole durata del processo enunciato dalla predetta norma costituzionale «possono arrecare un vulnus solamente norme procedurali che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorretta da alcuna logica esigenza» (sentenza n. 148 del 2005) e tali non possono essere considerate le disposizioni con le quali il legislatore, nell'esercizio non irragionevole dell'ampia discrezionalità di cui gode in tema di individuazione del giudice competente, definisce l'ambito della cognizione dei singoli organi giurisdizionali.
E', poi, inconferente il richiamo ai princìpi ispiratori della riforma della disciplina delle procedure concorsuali introdotta dal d. lgs. n. 5 del 2006. Infatti, indipendentemente da qualsiasi considerazione circa le conseguenze di tale riforma sulla effettiva possibilità per i creditori del fallimento di proporre nel giudizio di opposizione allo stato passivo domande contro terzi, c'è da osservare che, per espressa previsione dell'art. 150 del d. lgs. n. 5 del 2006, le procedure di fallimento che – come quella sulla quale si innesta il giudizio a quo – erano pendenti alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo sono comunque disciplinate dalla legge anteriore.
Infine, la stessa giurisprudenza di legittimità, richiamata dalla rimettente a conforto della propria impostazione, non afferma affatto la possibilità di trattazione, davanti al tribunale fallimentare, di domande proposte dai creditori del fallimento contro terzi.
Dall'implausibilità della motivazione sulla rilevanza della questione deriva, dunque, l'inammissibilità della stessa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 111 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2009.
Il Cancelliere
F.to: FRUSCELLA

lunedì 16 febbraio 2009

Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime sul lavoro: le regole per l'accesso

Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime sul lavoro: le regole per l'accesso
Decreto Ministero Lavoro, salute e politiche sociali 19.11.2008, G.U. 02.02.2009

Il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro eroga una prestazione una tantum al nucleo dei familiari superstiti dei lavoratori deceduti, anche se questi ultimi erano privi di copertura assicurativa obbligatoria.
E' quanto stabilisce il D.M. 19 novembre 2008 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 2 febbraio 2009, n. 26) con il quale il Ministero del Lavoro fissa tipologie di benefici, requisiti e modalità di accesso al Fondo istituito dalla Legge 296/2006 (Finanziaria 2007).
In particolare per gli eventi verificatesi tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2008 l'importo della prestazione varia in base al numero dei componenti il nucleo familiare 'superstite':
1.500 euro (1 superstite);
1.900 euro (2);
2.200 euro (3);
2.500 euro (pù di 3).
(Altalex, 10 febbraio 2009)
MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI, DECRETO 19 novembre 2008
Tipologie di benefici, requisiti e modalita' di accesso al Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro.
(GU n. 26 del 2-2-2009)
IL MINISTRO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI
Visto l'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che, al fine di assicurare un adeguato e tempestivo sostegno ai familiari delle vittime di gravi incidenti sul lavoro, anche per i casi in cui le vittime medesime risultino prive della copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, ha istituito il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, di seguito denominato Fondo;Visto che il medesimo art. 1, comma 1187, ha previsto che con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali siano definite le tipologie dei benefici concessi nonche' i requisiti e le modalita' di accesso agli stessi;Visto che il medesimo art. 1, comma 1187, ha conferito al Fondo la somma di 2,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009;Visto il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 2 luglio 2007 con il quale sono stati individuate le tipologie dei benefici concessi e i requisiti e le modalita' di accesso agli stessi ai sensi dell'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;Visto l'art. 2, comma 534, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, il quale ha incrementato la dotazione del Fondo di cui sopra «di 2,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010»;Visto l'art. 9, comma 4, lettera d), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, il quale dispone che l'INAIL «eroga, previo trasferimento delle necessarie risorse da parte del Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, le prestazioni del Fondo di cui all'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296» e che «in sede di prima applicazione, le relative prestazioni sono fornite con riferimento agli infortuni verificatisi a far data dal 1° gennaio 2007»;Visto l'art. 9, comma 7, lettera e), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, il quale dispone che l'IPSEMA «eroga, previo trasferimento delle necessarie risorse da parte del Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, le prestazioni del Fondo di cui all'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n.296, con riferimento agli infortuni del settore marittimo» e che «in sede di prima applicazione, le relative prestazioni sono fornite con riferimento agli infortuni verificatisi a far data dal 1° gennaio 2007»;Vista la legge n. 493 del 3 dicembre 1999 recante «Norme per la tutela della salute nelle abitazioni e istituzione dell'assicurazione contro gli infortuni domestici» ed, in particolare, l'art. 7, comma 5, e successive disposizioni attuative di cui al decreto ministeriale del 31 gennaio 2006, in merito alla «Estensione dell'assicurazione contro gli infortuni in ambito domestico ai casi di infortunio mortale»;Vista la nota dell'8 settembre 2008 con la quale l'INAIL, in raccordo con l'IPSEMA, ha comunicato la stima della spesa per l'esercizio finanziario 2008 per l'erogazione della prestazione di cui all'articolo 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;Ritenuto che, in fase di prima applicazione della normativa, le prestazioni erogate dal Fondo debbano essere destinate ai soli familiari dei lavoratori deceduti a causa di infortuni sul lavoro e consistere in una prestazione una tantum in favore dei predetti familiari;Ritenuto, altresi', che occorre provvedere alla modifica del decreto 2 luglio 2007 in relazione alle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 4, lettera d) e comma 7, lettera e), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;
Decreta:
Art. 1.
Benefici erogati dal Fondo
1. Il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, di cui all'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificato dall'art. 2, comma 534, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, eroga una prestazione una tantum al nucleo dei familiari superstiti dei lavoratori deceduti a causa di infortunio sul lavoro. La prestazione erogata dal Fondo non e' soggetta a rivalsa e non limita l'ammontare del risarcimento del danno in favore dei familiari del lavoratore.2. L'importo della prestazione di cui al comma 1 e' parametrato al numero dei familiari superstiti del lavoratore, ed e' annualmente determinato in relazione alle risorse disponibili.3. Per gli eventi verificatesi tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2008 l'importo della prestazione di cui al comma 1 e' determinato secondo le seguenti quattro tipologie:
Tipologia
N. superstiti
Importo per nucleo superstiti (euro)
A
1
1.500

B
2
1.900

C
3
2.200

D
più di 3
2.500

4. La prestazione una tantum a carico del Fondo viene erogata anche ai superstiti dei lavoratori privi di copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, di seguito denominato Testo Unico.5. Con riferimento agli infortuni mortali in ambito domestico la prestazione una tantum a carico del Fondo e' erogata ai familiari superstiti degli assicurati di cui all'art. 7 della legge 3 dicembre 1999, n. 493.6. Il beneficio di cui al comma 1, non soggetto a tassazione in relazione alla natura e finalita' dell'erogazione in analogia a quanto previsto dall'art. 34, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 e successive modificazioni e integrazioni, e' cumulabile con altre misure di sostegno in favore dei familiari delle vittime di infortuni sul lavoro.7. Nei casi di erogazione della prestazione una tantum da parte del Fondo, l'INAIL o l'IPSEMA liquidano un'anticipazione della rendita ai superstiti, di cui all'art. 85 del Testo Unico, dei soggetti assicurati.8. Ferme restando le misure e le condizioni previste dall'art. 85 del Testo Unico, l'importo dell'anticipazione di cui al comma 7 e' pari a 3/12 della rendita annua calcolata sulla retribuzione valida ai fini della determinazione del minimale di legge per la liquidazione delle rendite di cui all'art. 116, comma 3, del Testo Unico.
Art. 2.
Familiari superstiti aventi diritto ai benefici a carico del Fondo
1. Ferme restando le condizioni previste dall'art. 85 del Testo Unico, il beneficio di cui all'art. 1, nell'importo complessivo ivi stabilito, spetta:a) ai familiari superstiti del lavoratore deceduto, indicati all'art. 85, comma 1, punti 1) e 2), del Testo Unico;b) in mancanza dei familiari superstiti di cui alla lettera a), a quelli indicati nei punti 3) e 4), del medesimo art. 85.2. In caso di concorso di piu' aventi diritto, le quote sono divise tra i medesimi in parti uguali.3. Nei confronti di coloro i quali abbiano presentato domanda di concessione del beneficio ai sensi del decreto 2 luglio 2007 indicato in premessa, i beneficiari sono individuati con riferimento alle previsioni di cui all'art. 2 del medesimo decreto.
Art. 3.
Modalita' di accesso ai benefici ed erogazioni
1. Fermo restando il disposto di cui all'art. 5, il beneficio di cui all'art. 1, e' erogato, previa istanza, entro trenta giorni dall'accertamento sommario dal quale risulti che il decesso sia riconducibile ad infortunio sul lavoro.2. L'istanza deve essere presentata, o inviata a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, entro 40 giorni dalla data del decesso, da uno solo degli aventi diritto alle sedi competenti per territorio dell'Istituto presso cui il lavoratore deceduto era assicurato.3. Nel caso di lavoratori non assicurati, le istanze devono essere inviate all'IPSEMA, per i superstiti dei lavoratori occupati nel settore marittimo e aereo, o all'INAIL.4. Unicamente per gli infortuni verificatisi antecedentemente alla data di pubblicazione del presente decreto e per i quali non sia stata gia' trasmessa la relativa istanza, la medesima dovra' essere presentata, con le stesse modalita' di cui al comma 1, entro 40 giorni dalla predetta data.5. L'istanza deve essere formulata utilizzando la modulistica allegata al presente decreto.
Art. 4.
Accertamento sommario
1. L'accertamento di cui all'art. 3, comma 1, e' effettuato con apposita ispezione congiunta dalla Direzione provinciale del lavoro - Servizio ispezione del lavoro, o dai corrispondenti uffici della regione Sicilia e delle province autonome di Trento e Bolzano, e dal Servizio ispettivo dell'INAIL, territorialmente competenti, i quali redigono una relazione e la inviano all'INAIL.2. Con riferimento agli infortuni nel settore marittimo e aereo, il relativo accertamento e' effettuato dai competenti uffici dell'IPSEMA in raccordo con gli altri organismi di vigilanza di settore.3. All'esito dell'accertamento sommario, dal quale risulti che il decesso sia riconducibile ad infortunio sul lavoro, l'INAIL e l'IPSEMA provvedono alla erogazione dei benefici di cui all'art. 1.
Art. 5.
Procedura ordinaria di accertamento
1. Ove, a seguito dell'accertamento sommario, non sia stata riconosciuta la prestazione una tantum e all'esito della procedura ordinaria di accertamento si riscontri che il decesso sia riconducibile a infortunio sul lavoro, l'INAIL e l'IPSEMA provvedono anche all'erogazione della prestazione una tantum.2. All'esito delle procedure ordinarie di accertamento, l'INAIL e l'IPSEMA provvedono al recupero dei benefici indebitamente corrisposti, ai sensi dell'art. 2033 del Codice civile.
Art. 6.
Ripartizione e rendicontazione
1. Le prestazioni di cui all'art.1, sono erogate dall'INAIL e dall'IPSEMA, previo trasferimento delle risorse necessarie da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, e ripartite proporzionalmente tra gli Istituti assicuratori sulla base del numero degli eventi mortali stimati.2. Al fine di monitorare l'andamento del fenomeno infortunistico nonche' l'utilizzo delle risorse a tal fine trasferite, entro 30 giorni dall'approvazione dei relativi bilanci l'INAIL e l'IPSEMA sono tenute a presentare al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali il rendiconto annuale della relativa gestione.3. In sede di prima applicazione, tenuto conto delle modalita' di accesso ai benefici di cui all'art. 3, la presentazione dei rendiconti di cui al comma 2 e' fissata all'approvazione dei bilanci per l'esercizio finanziario 2009.4. Eventuali economie di gestione sono versate all'entrata del bilancio dello Stato.
Art. 7.
Contenzioso giudiziario
1. Il contenzioso giudiziario avverso il diniego della prestazione derivante dall'esito negativo dell'accertamento sommario e' posto a carico dell'INAIL e dell'IPSEMA.Il presente decreto sara' trasmesso alla Corte dei conti per il visto e per la registrazione ed entra in vigore decorsi 15 giorni dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.Roma, 19 novembre 2008 Il Ministro : Sacconi Registrato alla Corte dei conti il 3 dicembre 2008 Ufficio controllo atti servizi alla persona e beni culturali, registro n. 6, foglio n. 147
Allegato
...omissis...

Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime sul lavoro: le regole per l'accesso

Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime sul lavoro: le regole per l'accesso
Decreto Ministero Lavoro, salute e politiche sociali 19.11.2008, G.U. 02.02.2009

Il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro eroga una prestazione una tantum al nucleo dei familiari superstiti dei lavoratori deceduti, anche se questi ultimi erano privi di copertura assicurativa obbligatoria.
E' quanto stabilisce il D.M. 19 novembre 2008 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 2 febbraio 2009, n. 26) con il quale il Ministero del Lavoro fissa tipologie di benefici, requisiti e modalità di accesso al Fondo istituito dalla Legge 296/2006 (Finanziaria 2007).
In particolare per gli eventi verificatesi tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2008 l'importo della prestazione varia in base al numero dei componenti il nucleo familiare 'superstite':
1.500 euro (1 superstite);
1.900 euro (2);
2.200 euro (3);
2.500 euro (pù di 3).
(Altalex, 10 febbraio 2009)
MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI, DECRETO 19 novembre 2008
Tipologie di benefici, requisiti e modalita' di accesso al Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro.
(GU n. 26 del 2-2-2009)
IL MINISTRO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI
Visto l'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che, al fine di assicurare un adeguato e tempestivo sostegno ai familiari delle vittime di gravi incidenti sul lavoro, anche per i casi in cui le vittime medesime risultino prive della copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, ha istituito il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, di seguito denominato Fondo;Visto che il medesimo art. 1, comma 1187, ha previsto che con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali siano definite le tipologie dei benefici concessi nonche' i requisiti e le modalita' di accesso agli stessi;Visto che il medesimo art. 1, comma 1187, ha conferito al Fondo la somma di 2,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009;Visto il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 2 luglio 2007 con il quale sono stati individuate le tipologie dei benefici concessi e i requisiti e le modalita' di accesso agli stessi ai sensi dell'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;Visto l'art. 2, comma 534, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, il quale ha incrementato la dotazione del Fondo di cui sopra «di 2,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010»;Visto l'art. 9, comma 4, lettera d), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, il quale dispone che l'INAIL «eroga, previo trasferimento delle necessarie risorse da parte del Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, le prestazioni del Fondo di cui all'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296» e che «in sede di prima applicazione, le relative prestazioni sono fornite con riferimento agli infortuni verificatisi a far data dal 1° gennaio 2007»;Visto l'art. 9, comma 7, lettera e), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, il quale dispone che l'IPSEMA «eroga, previo trasferimento delle necessarie risorse da parte del Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, le prestazioni del Fondo di cui all'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n.296, con riferimento agli infortuni del settore marittimo» e che «in sede di prima applicazione, le relative prestazioni sono fornite con riferimento agli infortuni verificatisi a far data dal 1° gennaio 2007»;Vista la legge n. 493 del 3 dicembre 1999 recante «Norme per la tutela della salute nelle abitazioni e istituzione dell'assicurazione contro gli infortuni domestici» ed, in particolare, l'art. 7, comma 5, e successive disposizioni attuative di cui al decreto ministeriale del 31 gennaio 2006, in merito alla «Estensione dell'assicurazione contro gli infortuni in ambito domestico ai casi di infortunio mortale»;Vista la nota dell'8 settembre 2008 con la quale l'INAIL, in raccordo con l'IPSEMA, ha comunicato la stima della spesa per l'esercizio finanziario 2008 per l'erogazione della prestazione di cui all'articolo 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;Ritenuto che, in fase di prima applicazione della normativa, le prestazioni erogate dal Fondo debbano essere destinate ai soli familiari dei lavoratori deceduti a causa di infortuni sul lavoro e consistere in una prestazione una tantum in favore dei predetti familiari;Ritenuto, altresi', che occorre provvedere alla modifica del decreto 2 luglio 2007 in relazione alle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 4, lettera d) e comma 7, lettera e), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;
Decreta:
Art. 1.
Benefici erogati dal Fondo
1. Il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, di cui all'art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificato dall'art. 2, comma 534, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, eroga una prestazione una tantum al nucleo dei familiari superstiti dei lavoratori deceduti a causa di infortunio sul lavoro. La prestazione erogata dal Fondo non e' soggetta a rivalsa e non limita l'ammontare del risarcimento del danno in favore dei familiari del lavoratore.2. L'importo della prestazione di cui al comma 1 e' parametrato al numero dei familiari superstiti del lavoratore, ed e' annualmente determinato in relazione alle risorse disponibili.3. Per gli eventi verificatesi tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2008 l'importo della prestazione di cui al comma 1 e' determinato secondo le seguenti quattro tipologie:
Tipologia
N. superstiti
Importo per nucleo superstiti (euro)
A
1
1.500

B
2
1.900

C
3
2.200

D
più di 3
2.500

4. La prestazione una tantum a carico del Fondo viene erogata anche ai superstiti dei lavoratori privi di copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, di seguito denominato Testo Unico.5. Con riferimento agli infortuni mortali in ambito domestico la prestazione una tantum a carico del Fondo e' erogata ai familiari superstiti degli assicurati di cui all'art. 7 della legge 3 dicembre 1999, n. 493.6. Il beneficio di cui al comma 1, non soggetto a tassazione in relazione alla natura e finalita' dell'erogazione in analogia a quanto previsto dall'art. 34, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 e successive modificazioni e integrazioni, e' cumulabile con altre misure di sostegno in favore dei familiari delle vittime di infortuni sul lavoro.7. Nei casi di erogazione della prestazione una tantum da parte del Fondo, l'INAIL o l'IPSEMA liquidano un'anticipazione della rendita ai superstiti, di cui all'art. 85 del Testo Unico, dei soggetti assicurati.8. Ferme restando le misure e le condizioni previste dall'art. 85 del Testo Unico, l'importo dell'anticipazione di cui al comma 7 e' pari a 3/12 della rendita annua calcolata sulla retribuzione valida ai fini della determinazione del minimale di legge per la liquidazione delle rendite di cui all'art. 116, comma 3, del Testo Unico.
Art. 2.
Familiari superstiti aventi diritto ai benefici a carico del Fondo
1. Ferme restando le condizioni previste dall'art. 85 del Testo Unico, il beneficio di cui all'art. 1, nell'importo complessivo ivi stabilito, spetta:a) ai familiari superstiti del lavoratore deceduto, indicati all'art. 85, comma 1, punti 1) e 2), del Testo Unico;b) in mancanza dei familiari superstiti di cui alla lettera a), a quelli indicati nei punti 3) e 4), del medesimo art. 85.2. In caso di concorso di piu' aventi diritto, le quote sono divise tra i medesimi in parti uguali.3. Nei confronti di coloro i quali abbiano presentato domanda di concessione del beneficio ai sensi del decreto 2 luglio 2007 indicato in premessa, i beneficiari sono individuati con riferimento alle previsioni di cui all'art. 2 del medesimo decreto.
Art. 3.
Modalita' di accesso ai benefici ed erogazioni
1. Fermo restando il disposto di cui all'art. 5, il beneficio di cui all'art. 1, e' erogato, previa istanza, entro trenta giorni dall'accertamento sommario dal quale risulti che il decesso sia riconducibile ad infortunio sul lavoro.2. L'istanza deve essere presentata, o inviata a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, entro 40 giorni dalla data del decesso, da uno solo degli aventi diritto alle sedi competenti per territorio dell'Istituto presso cui il lavoratore deceduto era assicurato.3. Nel caso di lavoratori non assicurati, le istanze devono essere inviate all'IPSEMA, per i superstiti dei lavoratori occupati nel settore marittimo e aereo, o all'INAIL.4. Unicamente per gli infortuni verificatisi antecedentemente alla data di pubblicazione del presente decreto e per i quali non sia stata gia' trasmessa la relativa istanza, la medesima dovra' essere presentata, con le stesse modalita' di cui al comma 1, entro 40 giorni dalla predetta data.5. L'istanza deve essere formulata utilizzando la modulistica allegata al presente decreto.
Art. 4.
Accertamento sommario
1. L'accertamento di cui all'art. 3, comma 1, e' effettuato con apposita ispezione congiunta dalla Direzione provinciale del lavoro - Servizio ispezione del lavoro, o dai corrispondenti uffici della regione Sicilia e delle province autonome di Trento e Bolzano, e dal Servizio ispettivo dell'INAIL, territorialmente competenti, i quali redigono una relazione e la inviano all'INAIL.2. Con riferimento agli infortuni nel settore marittimo e aereo, il relativo accertamento e' effettuato dai competenti uffici dell'IPSEMA in raccordo con gli altri organismi di vigilanza di settore.3. All'esito dell'accertamento sommario, dal quale risulti che il decesso sia riconducibile ad infortunio sul lavoro, l'INAIL e l'IPSEMA provvedono alla erogazione dei benefici di cui all'art. 1.
Art. 5.
Procedura ordinaria di accertamento
1. Ove, a seguito dell'accertamento sommario, non sia stata riconosciuta la prestazione una tantum e all'esito della procedura ordinaria di accertamento si riscontri che il decesso sia riconducibile a infortunio sul lavoro, l'INAIL e l'IPSEMA provvedono anche all'erogazione della prestazione una tantum.2. All'esito delle procedure ordinarie di accertamento, l'INAIL e l'IPSEMA provvedono al recupero dei benefici indebitamente corrisposti, ai sensi dell'art. 2033 del Codice civile.
Art. 6.
Ripartizione e rendicontazione
1. Le prestazioni di cui all'art.1, sono erogate dall'INAIL e dall'IPSEMA, previo trasferimento delle risorse necessarie da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, e ripartite proporzionalmente tra gli Istituti assicuratori sulla base del numero degli eventi mortali stimati.2. Al fine di monitorare l'andamento del fenomeno infortunistico nonche' l'utilizzo delle risorse a tal fine trasferite, entro 30 giorni dall'approvazione dei relativi bilanci l'INAIL e l'IPSEMA sono tenute a presentare al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali il rendiconto annuale della relativa gestione.3. In sede di prima applicazione, tenuto conto delle modalita' di accesso ai benefici di cui all'art. 3, la presentazione dei rendiconti di cui al comma 2 e' fissata all'approvazione dei bilanci per l'esercizio finanziario 2009.4. Eventuali economie di gestione sono versate all'entrata del bilancio dello Stato.
Art. 7.
Contenzioso giudiziario
1. Il contenzioso giudiziario avverso il diniego della prestazione derivante dall'esito negativo dell'accertamento sommario e' posto a carico dell'INAIL e dell'IPSEMA.Il presente decreto sara' trasmesso alla Corte dei conti per il visto e per la registrazione ed entra in vigore decorsi 15 giorni dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.Roma, 19 novembre 2008 Il Ministro : Sacconi Registrato alla Corte dei conti il 3 dicembre 2008 Ufficio controllo atti servizi alla persona e beni culturali, registro n. 6, foglio n. 147
Allegato
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