domenica 20 dicembre 2009

Mancata corresponsione dell'assegno e inadempimento obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.)

Assistenza familiare, mancato versamento dell’assegno, accertamento



Cassazione penale , sez. VI, sentenza 09.11.2009 n° 42631






Il mancato versamento dell’assegno stabilito in sede di separazione personale dei coniugi, da parte dell’obbligato, di per sé solo non determina la configurabilità del reato previsto dall'art. 570, comma 2, c.p., in quanto è necessario che sia accertato se, in conseguenza di tale condotta, siano venuti a mancare in concreto al beneficiario i mezzi di sussistenza e se l’obbligato abbia una concreta capacità economica a fornire gli stessi. (1-2)






(*) Riferimenti normativi: art. 570, comma 2, c.p..


(1) In tema di mancato versamento dell’assegno per impossibilità economica dell’obbligato, si veda Cassazione penale, sez. VI, sentenza 31.10.2007 n° 40341.


(2) Per una visione generale del reato previsto dall’art. 570 c.p., si veda il Focus di Salemi: La violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.).






(Fonte: Altalex Massimario 43/2009)
















assistenza familiare
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giudice penale












SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE






SEZIONE VI PENALE






Sentenza 28 ottobre - 9 novembre 2009, n. 42631






Svolgimento del processo






Con sentenza in data 4-7-2003 il Tribunale di Torre Annunziata, Sezione Distaccata di Sorrento, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M.S. in ordine al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare nei confronti della moglie e del figlio minore V., perchè estinto per prescrizione.






Con sentenza in data 13-3-2007 la Corte di Appello di Napoli, in riforma di tale sentenza, ha dichiarato l'imputato colpevole del reato ascrittogli, limitatamente alla condotta in danno del coniuge separato L.R., e lo ha condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 750,00 di multa, confermando nel resto la decisione di primo grado.






Il M., anche a mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, riproponendo con un primo motivo l'eccezione di inammissibilità dell'appello proposto dal Procuratore Generale. Sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del gravame, la pronuncia di proscioglimento di primo grado era stata emessa prima della formale apertura del dibattimento e che, pertanto, la stessa, a norma dell'art. 469 c.p.p., era inappellabile.






Con un secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 580 c.p.p., art. 585 c.p.p., comma 4, artt. 591 e 603 c.p.p., in relazione all'ammissione della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale formulata dal P.G. Sostiene che, poichè le censure mosse dall'appellante erano circoscritte alla violazione di legge in cui era incorso il giudice di primo grado nel dichiarare una causa estintiva del reato in presenza di un reato contestato a condotta perdurante, la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria, non essendo collegata ad alcun motivo di impugnazione o censura nel merito, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile.






Con un terzo motivo il ricorrente denuncia l'erronea applicazione dell'art. 570 c.p., avendo la Corte di Appello correlato l'affermazione di responsabilità dell'imputato alla mera violazione degli obblighi posti a carico di quest'ultimo in favore della moglie nel giudizio civile, senza tener conto del fatto che la L. godeva di ulteriori mezzi di sussistenza e senza considerare che il M., dopo il suo licenziamento, non era in condizioni di adempiere ai propri obblighi.






Motivi della decisione






1) Il primo motivo di ricorso è infondato.






L'assunto del ricorrente, secondo cui in primo grado sarebbe stata emessa una sentenza predibattimentale, come tale non appellabile, ai sensi dell'art. 469 c.p.p., risulta smentito dalla lettura della sentenza emessa in pubblica udienza dal Tribunale di Torre Annunziata, Sezione Distaccata di Sorrento, nella quale si da atto che la decisione in questione - con la quale è stata rilevata, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 1, l'intervenuta prescrizione del reato -, è stata adottata "costituite le parti".






Orbene, come è stato puntualizzato da questa Corte, la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, pronunciata - sia pure su conforme richiesta del Pubblico Ministero e della difesa - in udienza pubblica dopo il controllo della costituzione delle parti, deve essere considerata come dibattimentale e, quindi, è soggetta ad appello (Cass. Sez. 4^, 28-11-2008 n. 48310; v. anche Cass. Sez. 2^, 17-11-2004 n. 48340).






2) Anche il secondo motivo è privo di fondamento, essendo evidente che le censure mosse con i motivi di appello in ordine alla declaratoria di prescrizione non erano fine a se stesse, ma miravano ad ottenere una pronuncia di merito sul reato ascritto all'imputato. E infatti il P.G., nel dedurre che, in considerazione della condotta perdurante ascritta al prevenuto, il Tribunale non poteva dichiarare il reato estinto per prescrizione, ha concluso espressamente per l'affermazione di responsabilità del M., previa "rinnovazione del dibattimento per l'esame dei testi di lista del P.M.”.






La Corte di Appello, pertanto, nell'accogliere l'istanza di rinnovazione del dibattimento, non è affatto incorsa nelle violazioni di legge denunziate dal ricorrente, ma ha fatto, anzi, corretta applicazione del disposto dell'art. 604 c.p.p., n. 6, il quale prevede espressamente che, "quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che l'azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito". Questa Corte, d'altro canto, ha già avuto modo di rilevare che nel caso in cui il giudice di primo grado, in pubblica udienza e senza procedere ad istruttoria dibattimentale, abbia dichiarato, a norma dell'art. 129 c.p.p., non doversi procedere contro l'imputato, ed il pubblico ministero abbia proposto appello, chiedendo la condanna dell'imputato, previa - se del caso - l'assunzione delle prove ritualmente dedotte e non assunte dal giudice di prime cure, non merita censura l'ordinanza della Corte d'Appello che disponga la rinnovazione del dibattimento per l'assunzione delle prove richieste (Cass. Sez. 3^, 4-6-1993 n. 9726).






3) Appare invece meritevole di accoglimento, nei limiti di seguito precisati, il terzo motivo di ricorso.






Secondo il costante orientamento di questa Corte, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 570 c.p., comma 2, nell'ipotesi di mancata corresponsione da parte del coniuge obbligato al versamento dell'assegno stabilito in sede di separazione coniugale, il giudice penale deve accertare se, per effetto di tale condotta, siano venuti a mancare in concreto al beneficiario i mezzi di sussistenza; accertamento che è diverso e indipendente da quello compiuto dal giudice civile per la determinazione dell'assegno (Cass. Sez. 6^, 2/-10-2006 n. 40708). In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, infatti, non vi è interdipendenza tra il reato previsto dal citato art. 570 c.p., comma 2, e l'assegno liquidato dal giudice civile, in quanto l'illecito penale non ha carattere sanzionatorio dell'inadempimento del provvedimento del giudice civile che fissa l'entità dell'obbligazione, ma è rapportato unicamente alla sussistenza dello stato di bisogno dell'avente diritto alla somministrazione dei mezzi indispensabili per vivere e al mancato apprestamento di tali mezzi da parte di chi, per legge, vi è obbligato (Cass. Sez. 6^, 5-2-1998 n. 3450).






Ne consegue che, ai fini della configurabilità della fattispecie delittuosa in esame, è necessario l'accertamento, da parte del giudice penale, dell'effettivo stato di bisogno dell'avente diritto alla somministrazione dei mezzi di sussistenza, oltre che della concreta capacità economica dell'obbligato a fornirglieli.






Nel caso di specie, la Corte di Appello, nell'affermare la responsabilità penale del M. in ordine alla mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza alla moglie separata, ha rilevato che lo stato di bisogno della L. emerge dalla stessa entità dell'assegno di mantenimento, "stabilito dal giudice civile in misura appena sufficiente per le più elementari esigenze vitali, non soddisfabili attraverso fonti di reddito o patrimoniali diverse". Trattasi, all'evidenza, di motivazione non conforme agli enunciati principi di diritto, avendo la Corte distrettuale basato il suo giudizio sulla sola misura dell'assegno fissato dal giudice della separazione, senza prendere in alcuna considerazione le reali capacità economiche della donna. Ed è chiara la rilevanza del dato trascurato, non potendosi prescindere, ai fini di un rigoroso accertamento dell'effettivo stato di bisogno del beneficiario dell'assegno, dalla valutazione dell'eventuale esistenza, in capo a quest'ultimo, di ulteriori fonti di reddito e mezzi di sostentamento.






S'impone, di conseguenza, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, per un nuovo giudizio.






P.Q.M.






Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli.






Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2009.






Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2009.

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