Offensività e misure cautelari: interpretazione adeguatrice dell’art. 276, ter, c.p.p.
Tribunale Catanzaro, sez. I penale, ordinanza 17.10.2008
Tribunale Catanzaro, sez. I penale, ordinanza 17.10.2008
Ai sensi dell’art. 276 comma I-ter c.p.p. (aggiunto dall'art. 16, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4), in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, “il giudice dispone la revoca della misura e la sua sostituzione con la custodia cautelare in carcere”.
La norma impugnata - lungi dall'assolvere a finalità sanzionatorie estranee alle misure di custodia preventiva, le quali non possono soddisfare altro che esigenze di carattere cautelare o comunque strettamente inerenti al processo (Corte cost. sentenze n. 1 del 1980 e n. 64 del 1970) - integra un caso di “presunzione di inadeguatezza di ogni misura coercitiva diversa dalla custodia cautelare in carcere una volta che la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari si sia rivelata insufficiente allo scopo, per la trasgressione al suo contenuto essenziale”.
Circa la materia regolamentata dalla disposizione de qua, la Consulta ha in diverse occasione (seppur non con riguardo allo specifico articolo in esame) che “non appare irragionevole ritenere che il volontario allontanamento dalla propria abitazione costituisca l'indice di una radicale insofferenza alle prescrizioni da parte della persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari, tale da incidere sulla valutazione circa l'adeguatezza di questa specifica misura cautelare, cui è connaturato un maggior grado di affidamento nel comportamento di chi vi è assoggettato, rispetto a ogni altra misura” (cfr. corte costituzionale, sentenza n. 406 del 1997; ordinanza n. 332 del 1995).
Conclusivamente: se l’imputato che si trova agli arresti domiciliari viola la misura cautelare allontanandosi dal domicilio, il giudice deve sostituire la misura in atto con la custodia cautelare in carcere. Un regime, in verità, particolarmente rigido che sembrerebbe quantomeno “eccessivo” in talune ipotesi del tutto peculiari.
Un esempio è quello affrontato dal tribunale catanzarese nell’ordinanza in commento.
I fatti
Un diciottenne agli arresti domiciliari si trovava solo in casa con la madre, immobilizzata per una frattura del piede. Il cane della suddetta, per una disattenzione, riusciva a fuggire davanti alla abitazione. Il ragazzo ristretto dalla misura in casa, non curante degli obblighi su di lui gravanti, usciva da casa per recuperare l’animale appena davanti alla abitazione. Sorpreso dalle autorità di polizia veniva arrestato e condotto dinnanzi al Giudice per la convalida dell’arresto. Avendo formalmente violato la misura cautelare, il P.M. chiedeva l’automatica applicazione dell’art. 276 comma 1-ter c.p.p.: custodia i carcere.
Il Tribunale di Catanzaro, pur convalidando l’arresto, boccia la richiesta.
L’interpretazione “adeguatrice” dell’art. 276, comma 1-ter c.p.p.
Il giudice catanzarese si trova dinnanzi ad una norma che, pur non scritta in termini di obbligo imposto, è interpretata dalla giurisprudenza di legittimità come “automatica” nella ipotesi fattuale descritta dal comma 1-ter dell’art. 276 cit. E, tuttavia, siffatto “automatismo”, nel caso di specie, secondo il giudicante, condurrebbe quantomeno a conseguenze apparentemente incompatibili col dettato costituzionale il che porta a dover sperimentare un tentativo salvifico in punto di interpretazione ortopedica adeguatrice e, in caso di fallimento, a dover rimettere gli atti alla Consulta. Trai i diversi significati giuridici astrattamente possibili, infatti, il Giudice deve selezionare quello che sia conforme alla Costituzione; il sospetto di illegittimità costituzionale, cioè, è legittimo solo allorquando nessuno dei significati, che è possibile estrapolare dalla disposizione normativa, si sottragga alle censure di incostituzionalità (Corte cost., 12/03/1999, n. 65 in Cons. Stato, 1999, II, 366).
Il giudice, per siffatta via, reputa che la disposizione normativa sia suscettibile di interpretazione adeguatrice: ma da quale parametro costituzionale attingere? In modo innovativo, il Tribunale calabrese decide di attingere direttamente dal principio di offensività, richiamando, all’uopo, la recentissima giurisprudenza costituzionale che, invero, ha definitivamente inscritto il principio de quo nella volta dei principi costituzionali.
Il Tribunale, in primis, richiama proprio “il principio di necessaria offensività del reato” che è desumibile dall'art. 25, secondo comma, Cost., “in una lettura sistematica cui fa da sfondo «l'insieme dei valori connessi alla dignità umana»” (Corte costituzionale, sentenza 20 giugno 2008 n. 225).
Il principio in parola è richiamato per far presente che, in tanto la previsione ex art. 276 comma I-ter c.p.p. si può giustificare in quanto il “fatto” di reato posto in essere dal trasgressore (l’evasione) sia dotato di una componente offensiva rilevante al punto da giustificare la ratio della previsione legislativa. Altrimenti detto: non ogni trasgressione alla misura degli arresti domiciliari può ritenersi utile a determinare il meccanismo automatico di sostituzione con la custodia in carcere. Il giudice, di volta in volta, deve verificare la portata lesiva della violazione posta in essere.
L’ermeneutica sposata dal tribunale catanzarese trova conforto in un autorevole precedente della Corte Costituzionale. Questa, adita proprio sospettando della legittimità costituzionale dell’art. 276 comma I-ter c.p.p., ha avuto modo di precisare che – ai fini della previsione – se è vero che il meccanismo di sostituzione è autonomo (e non irragionevole) è anche vero che il Giudice conserva il potere di sindacare in concreto la “lesività del fatto” e, dunque, la sua offensività.
Secondo la corte delle Leggi “una volta che alla nozione di allontanamento dalla propria abitazione si riconosca una valenza rivelatrice in ordine alla sopravvenuta inadeguatezza degli arresti domiciliari”, non è escluso che “il fatto idoneo a giustificare la sostituzione della misura, tipizzato dal legislatore nella anzidetta formula normativa, possa essere apprezzato dal giudice in tutte le sue connotazioni strutturali e finalistiche, per verificare se la condotta di trasgressione in concreto realizzata presenti quei caratteri di effettiva lesività alla cui stregua ritenere integrata la "violazione" che la norma impugnata assume a presupposto della sostituzione” (Corte costituzionale, 06 marzo 2002, n. 40 in Giur. cost. 2002, 550 ed in Cass. pen. 2002, 2086).
Osservazioni: art. 276 comma I-ter c.p.p. e infraventunenni
L’indirizzo sposato dal Tribunale catanzarese risulta minoritario. Il prevalente insegnamento della cassazione penale, infatti, è nel senso di affermare che “in caso di trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari precedentemente disposti, l'art. 276 c.p.p. comma I-ter rende obbligatoria la revoca degli arresti domiciliari ed il ripristino della custodia cautelare in carcere, senza che al giudice possa essere riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari” (Cass. pen., Sez. VI, 13/11/2003, n. 942; per lo specifico caso dell’evasione: Cass. pen., Sez. V, 17/11/2004, n. 47643). Secondo siffatta lettura, in particolare, l'art. 276, comma 1 ter, c.p.p., “non lascia al giudice alcun margine di valutazione in ordine alla gravità della trasgressione, la cui accertata sussistenza, quindi, comporta automaticamente la conseguenza prevista dalla norma” (Cass. pen., Sez. VI, 17/01/2005, n.9245).
L’indirizzo maggioritario, però, appare senz’altro censurabile se non altro in casi analoghi a quelli trattati dal Tribunale catanzarese. Si pensi, infatti, alle conseguenze irragionevoli che discendono, in ipotesi analoghe, dalla rigida applicazione della norma: viene applicata in itinere un provvedimento restrittivo poi sicuramente non confermato con la decisione finale. Si vuol dire: se il reato è stato commesso da persona di età superiore agli anni diciotto ma inferiore agli anni ventuno, la sospensione può essere ordinata quando si infligga una pena restrittiva della libertà personale non superiore a due anni e sei mesi (art. 163, comma III c.p.). Bene, ai sensi dell’art. 275 comma 2-bis c.p.p., “non può essere disposta la misura della custodia cautelare se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena”.
Altrimenti detto: l’imputato sconterà il carcere fino alla condanna per poi, a seguito della sospensione, uscire dalle mura detentive.
Ed, allora, almeno per il caso di cui si tratta è auspicabile una rimeditazione della questione cogliendo, opportunamente, il valido suggerimento della Consulta.
(Altalex, 28 ottobre 2008. Nota di Maria Grazia Travaglia Cicirello e Stefania Buffone)
Tribunale di Catanzaro
Sezione I Penale
Ordinanza 17 ottobre 2008
Il TRIBUNALE DI CATANZARO
Sezione Prima Penale
Il Giudice dott. Antonio Saraco, alla pubblica udienza del 17 ottobre 2008,
ha pronunciato e pubblicato mediante lettura la seguente
ORDINANZA
(omissis)
Rileva quanto segue
Il provvedimento dell’autorità è stato posto in essere sussistendo i presupposti legittimanti, avendo il B. trasgredito agli obblighi discendenti dalla misura cautelare. Ne consegue la convalida dell’arresto con le conseguenti statuizioni di legge. Il caso di specie sembrerebbe condurre alla applicazione dell’art. 276 comma 1-ter c.p.p., giusta il quale la trasgressione della misura cautelare degli arresti domiciliari comporta la sostituzione della misura in atto con la custodia cautelare in carcere.
Il disposto normativo richiamato non può trovare applicazione – secondo questo Tribunale - nel caso di specie. Una lettura costituzionalmente orientata della disposizione, infatti, comporta che la norma ex art. 276 cit. vada interpretata alla luce dei principi costituzionali che governano la materia dei provvedimenti restrittivi della libertà personale.
Orbene, in primo luogo, il disposto in esame, dal punto di vista letterale, non impone quale atto dovuto la sostituzione della misura come pure avviene in altre disposizioni di rito: ciò vuol dire che resta integra e salva la discrezionalità del giudice di verificare l’”adeguatezza” della prescrizione de qua al caso di specie. E nel caso dell’arrestato B. la misura è del tutto inadeguata.
In primis, sono ostative ragioni sottese alla peculiarità del caso di specie. Il fatto astrattamente configurabile come reato di evasione è, in concreto, minimamente offensivo per le modalità concrete attraverso le quali si è perfezionato: il B., solo, in casa con la madre impossibilitata a muoversi (per un piede rotto), ha superato la soglia del domicilio per ragioni estranee all’intento di violare apertamente la misura e, infatti, ciò è avvenuto per recuperare un animale domestico fuggito da casa.
Il principio di offensività, come ha affermato la Consulta di recente, garanzia “dei valori della dignità umana” in uno Stato democratico, impone di tenere conto della concreta portata lesiva del fatto di reato e, nella specie, conduce a ritenere, per tale aspetto, inoperativo il disposto ex art. 276, comma 1-ter c.p.p..
Ulteriori elementi significativi sono: 1) l’età dell’arrestato, appena diciottenne; 2) il fatto che l’udienza cui strumentale la misura cautelare violata sia fissata a meno di un mese dalla commissione della trasgressione; 3) la condotta del B. assunta in sede di ascolto durante la fase della convalida.
E’ di ostacolo, infine, all’applicazione della misura cautelare richiesta, la prevedibile concessione, al caso di specie, della sospensione condizionale della pena che, in concreto, data l’età del B., conosce un limite pari a due anni e mezzo (art. 163, comma III, c.p.).
P.Q.M.
Convalida l’arresto;
rigetta la richiesta di custodia cautelare in carcere;
(omissis)
17 ottobre 2008
Il Giudice
Dott. Antonio Saraco