domenica 8 giugno 2008


05.06.2008
Il d.l. "sicurezza": le novità in materia processuale

Potenziamento dei riti alternativi di stampo accusatorio e abolizione, per tutti i reati, del "patteggiamento in appello": queste le novità di maggiore impatto previste dall'art. 2 del d.l. n. 92 del 2008.

Decreto Legge 23 maggio 2008 , n. 92

Le novità introdotte dagli art. 2 e 3 d.l. n. 92 del 2008 in ambito processuale toccano sei istinti ambiti: il potenziamento dei riti speciali a impronta accusatoria (giudizio direttissimo e giudizio immediato); l’abolizione del “patteggiamento in appello” per tutti i reati; l’inasprimento del regime esecutivo, con l’incremento del catalogo dei delitti per i quali è esclusa la sospensione dell’esecuzione della pena; l’introduzione di una procedura più snella relativamente alla distruzione di merci contraffatte; l’estensione dell’attività di coordinamento del procuratore nazionale antimafia in relazione ai procedimenti di prevenzione; la sottrazione alla competenza al giudice di pace, la nuova ipotesi delittuosa delineata dall’art. 590, c. 3, secondo periodo, c.p. .

Le modifiche ai riti speciali
Le modifiche alle norme che disciplinano il giudizio direttissimo e il giudizio immediato sono accomunate dallo scopo di circoscrivere la discrezionalità del p.m., rendendo doverosa la scelta di quel rito nei casi in cui, secondo la precedente formulazione degli artt. 449 e 453 c.p.p., essa era invece facoltativa. La ratio è quella, quindi, di incidere sui tempi della celebrazione del processo, favorendo dei riti che, per loro natura, hanno cadenze molto serrate, e, di riflesso, specie in relazione alla nuova ipotesi di rito immediato, di impedire la scarcerazione per decorrenza dei termini.
Quanto al giudizio direttissimo, ai sensi del nuovo c. 4 dell’art. 449 c.p.p., quando l'arresto in flagranza è già stato convalidato, il p.m. «procede al giudizio direttissimo presentando non oltre il quindicesimo giorno dall'arresto»; balza immediatamente all’occhio la differenza con la formulazione previgente, in cui il p.m. poteva procedere nelle forme del rito speciale. La norma contiene tuttavia una valvola di sfogo: il p.m. può procedere per le vie ordinarie quando la celebrazione del processo con giudizio direttissimo «pregiudichi gravemente le indagini».
Nella stessa direzione si colloca la modifica del c. 5: «il pubblico ministero procede inoltre al giudizio direttissimo (…) nei confronti della persona che nel corso dell'interrogatorio ha reso confessione»; anche in tal caso, la soppressione della locuzione «può procedere», sta a denotare la riduzione del potere discrezionale del p.m. Tuttavia, come per l’ipotesi del c. 4, anche il c. 5 prevede una clausola di salvezza, potendo il p.m. optare per le forme ordinarie laddove la scelta del giudizio direttissimo «pregiudichi gravemente le indagini».
Di mero raccordo è la modifica dell’art. 450, c. 1, c.p.p., che rispecchia la tendenziale obbligatorietà del giudizio direttissimo nei casi di arresto già convalidato e di confessione dell’imputato: «Quando procede a giudizio direttissimo…», che sostituisce il precedente «Se ritiene di procedere a giudizio direttissimo… Per il resto, la disciplina del giudizio direttissimo rimane inalterata.
Più articolati sono gli innesti sulla disciplina del giudizio immediato. Oltre alla riduzione –tendenziale – del potere di scelta di instaurazione del rito di cui al c. 1, si prevede una nuova ipotesi di accesso al giudizio immediato, ad iniziativa del p.m. Ai sensi dell’art. 453, c. 1-bis, c.p.p. «anche fuori dai termini di cui all’articolo 454, comma 1, e, comunque, entro centottanta giorni dall’esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare». Ai sensi del nuovo c. 1-ter, la richiesta del p.m. «è formulata dopo la definizione del procedimento di cui all’articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame». I presupposti, di forma e sostanza, per l’instaurazione del rito sono perciò i seguenti: a) l’imputato deve trovarsi in stato custodia cautelare (in carcere ovvero agli arresti domiciliari, stante l’equiparazione ex art. 284, c. 5 c.p.p.) in relazione al reato per il quale viene richiesto il giudizio immediato; il giudizio non è perciò instaurabile se l’imputato è latitante, ovvero sottoposto a una misura non custodiale (divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla p.g., allontanamento dalla casa familiare, divieto e obbligo di dimora), oppure, a fortiori, se è libero; b) per la proposizione della richiesta è previsto un termine dilatorio: essa deve intervenire dopo la definizione del procedimento di riesame ex art. 309 c.p.p. ovvero allo spirare del termine per la proposizione della richiesta, ma entro centottanta giorni dall’esecuzione della misura.
A differenza dell’ipotesi considerata dal c. 1, non si prevede, in maniera espressa, né il requisito dell’evidenza della prova, né il previo interrogatorio dell’imputato ovvero l’invito a renderlo rimasto senza effetto. A ben vedere, tuttavia, quei requisiti, nella sostanza, sono dati per presupposti anche per l’ipotesi prevista dal c. 1-bis, essendo necessariamente implicati nel fatto che l’indagato debba trovarsi in stato di custodia cautelare. In primo luogo, infatti, lo status detentionis dell’indagato presuppone il permanere di «gravi indizi di colpevolezza» ex art. 273 c.p.p., locuzione che, dal punto di vista probatorio, evoca una situazione assai simile alla nozione di “evidenza della prova”, di cui al c. 1, - ove tale evidenza si riferisce non alla colpevolezza alla superfluità dell’udienza preliminare - se è vero che, secondo la giurisprudenza prevalente, una volta emesso il decreto di giudizio immediato ex art. 453, c. 1, c.p.p, non è possibile rimettere in discussione, in assenza di fatti sopravvenuti, la permanenza del fondamento indiziario del provvedimento de libertate (cfr., per tutti, C SU 27.11.1995, Liotta, CED 202858). In secondo luogo, l’imputato, nei cui confronti è in atto una misura custodiale, è stato messo nelle condizioni di difendersi nell’interrogatorio di garanzia, previsto dall’art. 294 c.p.p., ovvero nell’interrogatorio dell’arrestato o del fermato condotto dal p.m. (art. 388 c.p.p.), ovvero dal giudice in sede di convalida (art. 391 c.p.p.).
Ricorrendo i presupposti indicati nel c. 1-bis, il p.m. ha il dovere di procedere nelle forme del giudizio immediato, salvo, come per l’ipotesi del c. 1, che «la richiesta pregiudichi gravemente le indagini».
Nel caso in cui all’indagato siano contestati più reati tra loro connessi, ma egli si trovi in stato di detenzione solo per alcuni di essi, pare applicabile il disposto del c. 2 dell’art. 453 c.p.p., improntato al favor separationis. In prima battuta, quindi, il p.m. procederà alla separazione, chiedendo il giudizio immediato solo per i reati per i quali sussistono le condizioni contemplate dal c. 1-bis e procedendo per le vie ordinarie per gli altri; ove però la separazione sia ritenuta gravemente pregiudizievole per le indagini, il giudizio immediato cede il passo al giudizio ordinario.
Una questione problematica riguarda la necessità che la richiesta ex art. 1-bis sia o meno preceduta dall’avviso di conclusione delle indagini.
Con riguardo al giudizio immediato ex c. 1, il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, avallato dalla Corte costituzionale (cfr. C Cost. n. 203 del 2002, DPP, 2002, 818), esclude che la richiesta di giudizio immediato debba essere preceduta dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p., essendo tale adempimento previsto quando si procede nelle forme ordinarie con la richiesta di rinvio a giudizio o con la citazione diretta a giudizio, mentre il presupposto del giudizio immediato è l'evidenza della prova la cui sussistenza permette di evitare la celebrazione dell'udienza preliminare [C IV 14.2.2007, p.m. in c. M.A., CED 236283; C VI 24.2.2003, Bardi, ivi, n. 225530]; non solo, ma la notifica dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p. si porrebbe in antinomia con i presupposti che giustificano procedimenti speciali privi del filtro dell'udienza preliminare e improntati a principi di massima speditezza [C V 27.11.2002, Cavalieri, ivi, n. 226429]. Sebbene argomentazioni del genere possano essere ritenute valide anche con riguardo alla richiesta di giudizio immediato formulata ex art. 453, c. 1-bis, c.p.p., nondimeno la necessità dell’invio dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p. parrebbe imporsi in considerazione del termine particolarmente ampio che di cui dispone il p.m. per chiedere l’instaurazione del rito speciale, ossia centottanta giorni dall’inizio dell’esecuzione della misura, il doppio dell’ipotesi prevista dal c. 1, periodo durante il quale è ben possibile che le indagini siano state sviluppate con l’acquisizione di nuovi elementi. Inoltre, può accadere che l’imputato abbia potuto interloquire solo nell’interrogatorio di garanzia, ovvero in sede di convalida del fermo e dell’arresto, e quindi in un momento in cui le investigazioni erano in fase embrionale, sicché, grazie all’avviso di conclusione delle indagini, l’indagato non solo viene messo a conoscenza della documentazione relativa alla indagini espletate, di cui può prendere copia, ma ha anche la possibilità di essere interrogato dal p.m.
Un’ulteriore profilo che può dar luogo a dubbi interpretativi, strettamente collegato alla necessità che il p.m. sia tenuto a notificare o meno all’indagato l’avviso di conclusione delle indagini, riguarda l’eventualità in cui, dopo l’interrogatorio di garanzia ovvero a quello reso in sede di convalida, muti - in senso peggiorativo - la qualificazione giuridica del fatto. Se si propende per la soluzione secondo cui il p.m., prima di richiedere il giudizio immediato ex art. 453, c. 1 bis, c.p.p, deve notificare all’indagato l’avviso di conclusione delle indagini, la questione viene risolta in radice, perché, in tal caso, l’indagato, se vuole, può interloquire sul fatto - più grave rispetto a quello ritenuto nell’ordinanza custodiale - in relazione al quale il p.m. è legittimato a chiedere il giudizio immediato. Se, invece, si opta per la soluzione opposta, anche in analogia con la previsione del c. 1 dell’art. 453 c.p.p. - che peraltro è espressione del più generale diritto di difesa - sembra preferibile ritenere che, in caso di mutamento in pejus della qualificazione giuridica del fatto, il p.m. debba comuqune procedere all’interrogatorio dell’indagato, prima di richiedere il giudizio immediato ex c. 1-bis.
Il g.i.p. decide entro cinque giorni dalla richiesta, ai sensi dell'art. 455, c. 1, c.p.p. Il nuovo c. 1-bis indica i criteri cui il g.i.p. deve attenersi nella valutazione della richiesta di giudizio immediato formulata dal p.m. ai sensi dell’art. 453, c. 1-bis, c.p.p.: «il giudice rigetta la richiesta se l’ordinanza che dispone la custodia cautelare è stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza». Il g.i.p., pertanto, non è tenuto a compiere un autonomo apprezzamento circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla base della misura restrittiva della libertà personale applicata all’imputato, potendo rigettare l’istanza solo se, prima della sua decisione, l’ordinanza è stata revocata dal giudice che l’ha emessa, oppure è stata annullata dal tribunale del riesame ovvero dalla Corte di cassazione, in sede di ricorso avverso il provvedimento confermativo del tribunale del riesame, ma solo per motivi che attengono al quadro indiziario. Il riferimento alla “sopravvenienza” del venire meno dei gravi indizi di colpevolezza appare una scelta linguistica poco felice; invero, non sembra dubitabile che il g.i.p. debba rigettare la richiesta ex c. 1-bis anche quando l’ordinanza applicativa della misura è stata annullata o revocata per insussistenza originaria (e non solo sopravvenuta) dei gravi indizi di colpevolezza. Se, invece, l’ordinanza viene annullata, modificata o revocata per motivi che non attengono al requisito probatorio ex art. 273 c.p.p., ma ad altri motivi (mutamento o caducazione delle esigenze cautelari, eventuale applicazione di una causa estintiva del reato – sospensione condizionale - o della pena – indulto - ecc.) il g.i.p. dispone il giudizio immediato ex c. 1-bis.
Ad un attento esame, non pare che le modifiche di cui si è dato conto siano in grado di incidere in maniera effettiva sul potere del p.m. in ordine all’instaurazione del giudizio direttissimo e del giudizio immediato. In primo luogo, in sede giurisdizionale la decisione del p.m. di procedere o meno con giudizio direttissimo ovvero con giudizio immediato non è sottoposta ad alcun sindacato; se, quindi, il p.m. non opta per il giudizio speciale, pur ricorrendo le che lo imporrebbero, non vi è alcuno strumento che possa contrastare la scelta operata dall’organo della pubblica accusa. In secondo luogo, il p.m. può optare per il giudizio ordinario quanto ritenga che la celebrazione del processo con giudizio direttissimo o con giudizio immediato pregiudichi gravemente le indagini.
Abolizione del “patteggiamento in appello”
Come laconicamente recita l’art. 1, lett. i), «all'articolo 599, i c. 4 e 5 sono abrogati»; la successiva lett. l), invece, abroga l’art. 602, c. 2, c.p.p. Con un tratto di penna, il Governo ha cancellato il cd. “patteggiamento in appello”, un istituto, molto diffuso nella prassi, che, in caso di appello dell’imputato, consentiva alle parti, nelle forme previste per la rinuncia all’impugnazione, di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi, con l’indicazione della pena sulla quale imputato, p.m. e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria si erano accordati..
A differenza delle prime indiscrezioni, la cancellazione del “patteggiamento in appello” è generalizzata, e non solo per una cerchia ristretta di reati. La ratio sottesa all’abolizione dell’istituto pare risiedere in esigenze di certezza nell’applicazione della pena e, in via mediata, di celerità nella celebrazione dei processi. A seguito dell’abolizione dell’istituto in esame, l’imputato sa di non potere più fare affidamento, in caso di condanna, sullo sconto di pena frutto dell’accordo sui motivi di appello, il che potrebbe incentivare la scelta, quanto al primo grado, anziché del giudizio ordinario, dei riti premiali, i quali, a fronte di una riduzione di pena, consentono una più rapida definizione del processo.
Fuori dell’abrogazione espressa dei c. 4 e 5, l’art. 599 c.p.p. non subisce ulteriori modifiche; continua perciò a trovare applicazione la disciplina prevista nei c. 1, 2 e 3, che regola il procedimento in camera di consiglio ove l’appello abbia ad oggetto esclusivamente «la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, o l'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, di sanzioni sostitutive, della sospensione condizionale della pena o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale».
L’allargamento del divieto di sospensione dell’esecuzione della pena
Al fine di incidere sulla certezza della pena, il Governo ha operato un intervento sul c. 9, lett. a), dell’art. 656 c.p., ampliando il novero dei delitti per i quali è esclusa la sospensione dell’esecuzione della pena; l’aggiunta riguarda le fattispecie di cui agli 423-bis (incendio boschivo), 600 bis (prostituzione minorile), 624-bis (furto in abitazione e furto con strappo) e 628 (rapina) c.p. La finalità cui si ispira la modifica è quella di rendere effettiva la pena per reati che, ad avviso dell’Esecutivo, generano un particolare allarme sociale.
Ancorché la scelta di incrementare i delitti per i quali è escludere il beneficio della sospensione dell’esecuzione della pena sia di natura squisitamente politica, tuttavia la modifica suscita alcune perplessità.
In primo luogo, le fattispecie delittuose inserite appaiono scarsamente omogenee non solo tra di loro, ma anche in relazione alla categoria dei delitti considerati dall’art. 4-bis ord. pen., prevista dal c. 9, lett. a).
Inoltre, pare irragionevole l’esclusione dal beneficio ex art. 656, c. 5, c.p.p. per un’ipotesi meramente colposa, quale quella di cui al c. 2 dell’art. 423-bis c.p., che punisce il delitto colposo di incendio boschivo; probabilmente si tratta di un lapsus calami, emendabile in sede di conversione.
Con riguardo ai profili di diritto intertemporale, nel caso in esame pare applicabile il principio già affermato dalle Sezioni unite in relazione all’operatività dell’ampliamento delle esclusioni previste nel c. 9, per effetto della modifica dell’art. 4-bis ord. penit. da parte della l. l. 6 febbraio 2006, n. 38, che ha inserito tra i reati ostativi ai benefici penitenziari (e quindi alla sospensione iniziale della pena detentiva breve) anche i delitti previsti dagli artt. 600-bis c. 1, 600-ter c. 1 e 2, 600-quinques, 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies c.p.
La Corte ha affermato che ogni modifica della disciplina riguardante la sospensione dell'esecuzione - compresa l'indicazione dei delitti che ostano alla sospensione stessa – deve applicarsi, secondo il principio tempus regit actum, a qualsiasi esecuzione penale in corso, rimanendone esclusi solo i rapporti esecutivi già esauriti [C SU 30.5.2006, Pg. in c. A., DPP 2006, 1071].
La semplificazione del procedimento per la distruzione di merci contraffatte
L’art. 2 lett. a) introduce, nell’art. 260 c.p.p., i c. 3-bis e 3-ter, che delineano una procedura più snella nel caso di distruzione di merci contraffatte, senza attendere la definitività della confisca. In particolare, ai sensi del c. 3-bis, anche su istanza dell’organo accertatore l’a.g. – e quindi anche il p.m. – procede alla distruzione «delle merci di cui sono comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione» in tre ipotesi tra loro alternative: a) quando le merci sono di difficile custodia; b) quando la custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica; c) quando, anche all'esito di accertamenti compiuti ai sensi dell'art. 360 c.p.p., risulti evidente la violazione dei predetti divieti. In tal caso, l’a.g. dispone il prelievo di uno o più campioni con l'osservanza delle formalità previste dall'art. 364 c.p.p. e ordina la distruzione della merce residua.
Il c. 3-ter disciplina invece il caso in cui il sequestro delle merci contraffatte, indicate nel c. precedente, è effettuato a carico di ignoti; in tal caso, la distruzione può essere disposta dalla stessa p.g., decorso il termine di tre mesi dalla data del sequestro, previa comunicazione all’autorità giudiziaria. Trascorsi quindici giorni da tale comunicazione, la p.g. può disporre la distruzione, a meno che l’a.g. disponga diversamente. In caso di distruzione, «è fatta salva la facoltà di conservazione di campioni da utilizzare a fini giudiziari».
I poteri del procuratore nazionale antimafia in relazione ai procedimenti di prevenzione
Un cenno merita la modifica dell’art. 371-bis, c. 1, c.p.p.: per effetto dell’art. 2 lett. b), dopo le parole: «nell'articolo 51, c. 3-bis» sono inserite le seguenti: «e in relazione ai procedimenti di prevenzione»; in tal modo, viene rafforzata l’attività di coordinamento del procuratore nazionale antimafia, il quale, appunto, esercita le sue funzioni non solo nei procedimenti di “criminalità organizzata”, individuati dall’art. 51-c. 3 bis, c.p.p., ma anche in tutti i procedimenti di prevenzione. A tal fine, ai sensi del nuovo art. 110-ter ord. giud., nell'ambito dei poteri attribuiti in materia di misure di prevenzione e previa intesa con il competente procuratore distrettuale, il Procuratore nazionale antimafia può disporre l'applicazione temporanea di magistrati della direzione nazionale antimafia alle procure distrettuali per la trattazione di singoli procedimenti di prevenzione. Il Procuratore nazionale antimafia può inoltre richiedere al Procuratore generale presso la Corte d'appello di disporre, per giustificati motivi, che le funzioni di pubblico ministero per la trattazione delle misure di prevenzione siano esercitate da un magistrato designato dal Procuratore della Repubblica presso il giudice competente.
La sottrazione alla competenza del giudice di pace penale del reato di cui all’art. 590, c. 3, secondo periodo, c.p.
L’art. 3 modifica l’art. 4, c. 1, lett. a) d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, con l’aggiunta, dopo le parole «derivi una malattia di durata superiore a venti giorni», del seguente periodo: «nonché ad esclusione ad esclusione delle fattispecie di cui all'articolo 590, terzo comma, quando si tratta di fatto commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, ». A seguito della modifica, viene sottratta al giudice di pace penale la competenza in ordine al delitto di lesioni personali colpose aggravate per il caso in cui autore del fatto commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale sia un soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186, c. 2, lett. c) c.d.s. - cioè il conducente di un veicolo rispetto al quale sia stato accertato un valore corrispondente a un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l - ovvero un soggetto sotto l’influenza di sostanze stupefacenti o psicotrope. In applicazione del criterio fissato dall’art. 33-bis c.p.p., il delitto è attribuito alla competenza del tribunale in composizione monocratica.
Stefano Corbetta, Giudice penale presso il Tribunale di Milano
Tratto da Quotidiano Giuridico Ipsoa 2008

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