martedì 6 luglio 2010

Danno per ritardata riconsegna del bagaglio al passeggero aereo

Giudice di Pace: danno per consegna ritardata del bagaglio al passeggero aereo



 
In un caso di consegna del bagaglio del passeggero di vettore aereo dopo tre giorni, il Giudice di Pace ha applicato la recente pronuncia della Corte di Giustizia (6 maggio 2010) secondo cui "Il termine «danno» contenuto all’art. 22, n. 2, della convenzione per l’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale conclusa a Montreal il 28 maggio 1999, che fissa la limitazione della responsabilità del vettore aereo per il danno derivante in particolare dalla perdita di bagagli, deve essere interpretato nel senso che include tanto il danno materiale quanto il danno morale".

In materia di competenza giurisdizionale il Giudice ha richiamato la Convenzione di Montreal e il nostro Codice del consumo. "L’art. 33 (competenza giurisdizionale) di detta Convenzione stabilisce che: l’azione per il risarcimento del danno è promossa, a scelta dell’attore, nel territorio di uno degli Stati Parti (criterio per la giurisdizione), o davanti al Tribunale (criterio per la competenza) del domicilio del vettore o della sede principale della sua attività o del luogo in cui esso possiede un’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto, o davanti al Tribunale del luogo di destinazione (criterio per la competenza). E’ ius receptum che, all’interno dell’ordinamento giudiziario dello Stato investito di giurisdizione, ex art. 33 Convenzione di Montreal, la distribuzione della competenza tra diversi ordini del potere giudiziario, o ratione materiae e valoris all’interno dello stesso ordine, è rimessa alla legge di tale Paese. ... per la competenza territoriale, la regola legislativa è contenuta nel codice del consumo (D.L.vo 6/9/05 n.206), secondo cui si presume la vessatorietà della clausola che stabilisce come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore. Detta regola viene interpretata dalla giurisprudenza nel senso che, nelle controversie tra consumatore e professionista, si è stabilita la competenza territoriale esclusiva ed inderogabile (se non con apposita trattativa individuale) del giudice del luogo del consumatore, a prescindere dell’avvenuta designazione di una determinata sede giudiziaria nel documento negoziale e dall’operatività dei criteri ordinariamente previsti".

Nel merito il Giudice ha rilevato che "Per quanto concerne il risarcimento dei danni, l’art. 22, comma 2, della Convenzione di Montreal limita la responsabilità del vettore alla somma di 1000 diritti speciali di prelievo per passeggero, equivalente a circa € 1.134,00. Questo Giudice, ritiene che detta somma sia più che congrua rispetto all’effettivo danno subito dall’istante la quale, con la sola prova testimoniale non ha provato né la somma pagata per l’acquisto dei vestiari prima della partenza, né la somma pagata per l’acquisto dei vestiari dopo lo smarrimento del bagaglio. Ella avrebbero dovuto provare la spesa sostenuta con le ricevute di acquisto, da dove si poteva evincere la quantità e la qualità dei capi di vestiario e degli effetti personali acquistati."


(Giudice di Pace di Pozzuoli - Avv. Italo Bruno, Sentenza 23 giugno 2010: Danno da consegna ritardata di bagaglio)


Danno per ritardata riconsegna del bagaglio al passeggero aereo

Giudice di Pace: danno per consegna ritardata del bagaglio al passeggero aereo

 
In un caso di consegna del bagaglio del passeggero di vettore aereo dopo tre giorni, il Giudice di Pace ha applicato la recente pronuncia della Corte di Giustizia (6 maggio 2010) secondo cui "Il termine «danno» contenuto all’art. 22, n. 2, della convenzione per l’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale conclusa a Montreal il 28 maggio 1999, che fissa la limitazione della responsabilità del vettore aereo per il danno derivante in particolare dalla perdita di bagagli, deve essere interpretato nel senso che include tanto il danno materiale quanto il danno morale".
In materia di competenza giurisdizionale il Giudice ha richiamato la Convenzione di Montreal e il nostro Codice del consumo. "L’art. 33 (competenza giurisdizionale) di detta Convenzione stabilisce che: l’azione per il risarcimento del danno è promossa, a scelta dell’attore, nel territorio di uno degli Stati Parti (criterio per la giurisdizione), o davanti al Tribunale (criterio per la competenza) del domicilio del vettore o della sede principale della sua attività o del luogo in cui esso possiede un’impresa che ha provveduto a stipulare il contratto, o davanti al Tribunale del luogo di destinazione (criterio per la competenza). E’ ius receptum che, all’interno dell’ordinamento giudiziario dello Stato investito di giurisdizione, ex art. 33 Convenzione di Montreal, la distribuzione della competenza tra diversi ordini del potere giudiziario, o ratione materiae e valoris all’interno dello stesso ordine, è rimessa alla legge di tale Paese. ... per la competenza territoriale, la regola legislativa è contenuta nel codice del consumo (D.L.vo 6/9/05 n.206), secondo cui si presume la vessatorietà della clausola che stabilisce come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore. Detta regola viene interpretata dalla giurisprudenza nel senso che, nelle controversie tra consumatore e professionista, si è stabilita la competenza territoriale esclusiva ed inderogabile (se non con apposita trattativa individuale) del giudice del luogo del consumatore, a prescindere dell’avvenuta designazione di una determinata sede giudiziaria nel documento negoziale e dall’operatività dei criteri ordinariamente previsti".
Nel merito il Giudice ha rilevato che "Per quanto concerne il risarcimento dei danni, l’art. 22, comma 2, della Convenzione di Montreal limita la responsabilità del vettore alla somma di 1000 diritti speciali di prelievo per passeggero, equivalente a circa € 1.134,00. Questo Giudice, ritiene che detta somma sia più che congrua rispetto all’effettivo danno subito dall’istante la quale, con la sola prova testimoniale non ha provato né la somma pagata per l’acquisto dei vestiari prima della partenza, né la somma pagata per l’acquisto dei vestiari dopo lo smarrimento del bagaglio. Ella avrebbero dovuto provare la spesa sostenuta con le ricevute di acquisto, da dove si poteva evincere la quantità e la qualità dei capi di vestiario e degli effetti personali acquistati."

(Giudice di Pace di Pozzuoli - Avv. Italo Bruno, Sentenza 23 giugno 2010: Danno da consegna ritardata di bagaglio)

Ordinanze. quando è competente il Sindaco???

L'ordinanza di rimozione rifiuti compete al Sindaco


TAR Lombardia-Milano, sez. VI, sentenza 09.06.2010 n° 1764 (Aurelio Schiavone)


In ordine alla competenza ad emanare l’ordinanza di rimozione rifiuti ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006 (TUA) si sono sviluppati, in giurisprudenza, due orientamenti.

Da un lato, un orientamento minoritario ritiene che il previgente art. 14, comma 3, d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (cd. decreto Ronchi) sebbene affidasse già al Sindaco il potere di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati, tuttavia - in virtù del principio sulla separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali di cui all’art. 107 del T. U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali - la norma va ora letta alla luce del nuovo principio per il quale spetta ai dirigenti tutta l’attività di gestione, tra cui è ricompresa quella sulla rimozione dei rifiuti abbandonati. La soluzione non cambia neppure dopo l’adozione del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il cui articolo 192, comma 3, ultima parte, riproduce, con identica formulazione, la disposizione di cui al citato art. 14, comma 3, ultimo periodo[1].

Tuttavia, secondo un altro più condivisibile e seducente indirizzo giurisprudenziale, largamente condiviso e recepito dalla pronuncia in esame, la competenza ad emanare le ordinanze di rimozione rifiuti spetta a Sindaco per espressa disposizione dell’art. 192, comma 3, TUA.

Invero, pur essendo l’ordinanza di rimozione rifiuti ex art.192 cit. astrattamente suscettibile di poter rientrare nella sfera di competenza del responsabile dell’area tecnica, ai sensi dell’art. 107, comma 5, TUEL, a mente del quale l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, essa viene attribuita al Sindaco dall’insuperabile dato testuale sancito dal citato art. 192, comma 3, secondo periodo, in coerente applicazione del canone ermeneutico lex posterior specialis derogat anteriori generali, nonché ai sensi dello stesso art. 107, comma 4, TUEL, il quale consente che “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’art. 1, comma 4°, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”[2].

Altrimenti detto, l’art. 192, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (TUA) - che è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL) - attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2 e, in base agli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio della specialità e criterio cronologico), prevale sul disposto dell'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000[3].





(Altalex, 22 giugno 2010. Nota di Aurelio Schiavone)


_______________

[1] Così, T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. II, 4 novembre 2009, n. 1598, in Giurisprudenza di merito, fasc. n. 1 del 2010. Si veda, altresì, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 9 giugno 2009, n. 3159, in www.ambientediritto.it, secondo cui: “Ai sensi dell’art. 107 comma 5 T.U.E.L. 18 agosto 2000, n. 267, rientra nella competenza del dirigente, e non del Sindaco, l’adozione dell’ordinanza di rimozione di rifiuti rivolta al proprietario di un’area sulla quale gli stessi sono stati abbandonati”. Nello stesso senso, T.A.R. Basilicata, 23 maggio 2007, n. 457, in http://www.giustizia-amministrativa.it/.


[2] Cfr., a tal proposito, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 20 ottobre 2009, n. 1118, in www.giustizia-amministrativa.it e in corso di pubblicazione su Giurisprudenza di merito con nota di A. Mezzotero.

[3] Cfr., oltre alla pronuncia in rassegna, Cons. St., Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061, in www.lexitalia.it. Nello stesso senso, T.A.R. Veneto, Sez. III, 24 novembre 2009, n. 2968, in www.ambientediritto.it, secondo cui: “L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 è norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000”; Id., 20 ottobre 2009, n. 2623, ivi; Id., 29 settembre 2009, n. 2454, ivi; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 2 settembre 2009, n. 4598, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Veneto, sez. III, 14 gennaio 2009, n. 40, ivi.

Aurelio Schiavone




T.A.R.

Lombardia - Milano

Sezione VI

Sentenza 9 giugno 2010, n. 1764


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente


SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 2076 del 1999, proposto da:
Avila S.a.s., rappresentata e difesa dagli avv. Benedetto Dalla Libera, Luigi Sangiorgio, con domicilio eletto presso l’avv. Benedetto Dalla Libera in Milano, via Losanna,29;
contro
Comune di Lomagna non costituito in giudizio;
per l'annullamento


dell’ordinanza nr. 10 del 2.3.99 del Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Lomagna che ordina di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi con smaltimento delle macerie secondo la normativa in tema di rifiuti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2010 il dott. Ugo De Carlo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
Fatto e Diritto
Con ricorso regolarmente notificato e depositato la società ha impugnato l’atto indicato in epigrafe.
Il ricorso si articola su quattro motivi.
Il primo lamenta l’incompetenza del funzionario in quanto l’ordinanza in questione doveva essere emanata dal Sindaco o da un assessore delegato.


Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 7 e 8 L. 241\90 poiché non era stato comunicato alla ricorrente l’avvio del procedimento.
Il terzo motivo contesta l’eccesso di potere per travisamento dei fatti in quanto lo scarico del materiale è avvenuto ad opera della s.r.l. Marcos che ha sede nel medesimo luogo della Avila tramite una terza ditta.


Il quarto motivo eccepisce lo stesso vizio per il fatto che il materiale esistente nella scarpata è ivi presente da lungo tempo e non è possibile stabilire chi sia il responsabile dell’abbandono di rifiuti.


Il Comune di Lomagna non si costituiva in giudizio.


Il ricorso è fondato.


E’ assorbente il primo motivo che eccepisce l’incompetenza del funzionario alla emanazione dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti.
L’art. 14 D.lgs 22\97 attualmente riprodotto senza modifiche nell’art. 192 Codice dell’Ambiente affida il compito di emanare tali ordinanza ripristinatorie al Sindaco e trattandosi di norma speciale rispetto all’art. 107 D.lgs 267\00 che deroga alla ordinaria competenza dei funzionari per i provvedimenti di ordinaria amministrazione.
L'art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 poi è norma speciale sopravvenuta rispetto all`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V, 25.8.2008, n. 4061).


Il provvedimento va, pertanto, annullato per incompetenza rimanendo assorbiti gli altri profili di illegittimità che dovranno essere valutati dall’organo competente, e cioè il Sindaco, nel momento in cui dovrà riesercitare il potere.


Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso epigrafato, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Comune di Lomagna alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 2.000 oltre C.P.A. ed I.V.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Adriano Leo, Presidente


Ugo De Carlo, Referendario, Estensore


Alberto Di Mario, Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 09/06/2010.






Ordinanze. quando è competente il Sindaco???

L'ordinanza di rimozione rifiuti compete al Sindaco

TAR Lombardia-Milano, sez. VI, sentenza 09.06.2010 n° 1764 (Aurelio Schiavone)

In ordine alla competenza ad emanare l’ordinanza di rimozione rifiuti ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006 (TUA) si sono sviluppati, in giurisprudenza, due orientamenti.
Da un lato, un orientamento minoritario ritiene che il previgente art. 14, comma 3, d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (cd. decreto Ronchi) sebbene affidasse già al Sindaco il potere di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati, tuttavia - in virtù del principio sulla separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali di cui all’art. 107 del T. U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali - la norma va ora letta alla luce del nuovo principio per il quale spetta ai dirigenti tutta l’attività di gestione, tra cui è ricompresa quella sulla rimozione dei rifiuti abbandonati. La soluzione non cambia neppure dopo l’adozione del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il cui articolo 192, comma 3, ultima parte, riproduce, con identica formulazione, la disposizione di cui al citato art. 14, comma 3, ultimo periodo[1].
Tuttavia, secondo un altro più condivisibile e seducente indirizzo giurisprudenziale, largamente condiviso e recepito dalla pronuncia in esame, la competenza ad emanare le ordinanze di rimozione rifiuti spetta a Sindaco per espressa disposizione dell’art. 192, comma 3, TUA.
Invero, pur essendo l’ordinanza di rimozione rifiuti ex art.192 cit. astrattamente suscettibile di poter rientrare nella sfera di competenza del responsabile dell’area tecnica, ai sensi dell’art. 107, comma 5, TUEL, a mente del quale l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, essa viene attribuita al Sindaco dall’insuperabile dato testuale sancito dal citato art. 192, comma 3, secondo periodo, in coerente applicazione del canone ermeneutico lex posterior specialis derogat anteriori generali, nonché ai sensi dello stesso art. 107, comma 4, TUEL, il quale consente che “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’art. 1, comma 4°, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”[2].
Altrimenti detto, l’art. 192, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (TUA) - che è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL) - attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2 e, in base agli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio della specialità e criterio cronologico), prevale sul disposto dell'art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000[3].


(Altalex, 22 giugno 2010. Nota di Aurelio Schiavone)

_______________
[1] Così, T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. II, 4 novembre 2009, n. 1598, in Giurisprudenza di merito, fasc. n. 1 del 2010. Si veda, altresì, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 9 giugno 2009, n. 3159, in www.ambientediritto.it, secondo cui: “Ai sensi dell’art. 107 comma 5 T.U.E.L. 18 agosto 2000, n. 267, rientra nella competenza del dirigente, e non del Sindaco, l’adozione dell’ordinanza di rimozione di rifiuti rivolta al proprietario di un’area sulla quale gli stessi sono stati abbandonati”. Nello stesso senso, T.A.R. Basilicata, 23 maggio 2007, n. 457, in http://www.giustizia-amministrativa.it/.

[2] Cfr., a tal proposito, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 20 ottobre 2009, n. 1118, in www.giustizia-amministrativa.it e in corso di pubblicazione su Giurisprudenza di merito con nota di A. Mezzotero.
[3] Cfr., oltre alla pronuncia in rassegna, Cons. St., Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061, in www.lexitalia.it. Nello stesso senso, T.A.R. Veneto, Sez. III, 24 novembre 2009, n. 2968, in www.ambientediritto.it, secondo cui: “L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 è norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000”; Id., 20 ottobre 2009, n. 2623, ivi; Id., 29 settembre 2009, n. 2454, ivi; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 2 settembre 2009, n. 4598, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Veneto, sez. III, 14 gennaio 2009, n. 40, ivi.
Aurelio Schiavone


T.A.R.
Lombardia - Milano
Sezione VI
Sentenza 9 giugno 2010, n. 1764

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 2076 del 1999, proposto da:
Avila S.a.s., rappresentata e difesa dagli avv. Benedetto Dalla Libera, Luigi Sangiorgio, con domicilio eletto presso l’avv. Benedetto Dalla Libera in Milano, via Losanna,29;
contro
Comune di Lomagna non costituito in giudizio;
per l'annullamento

dell’ordinanza nr. 10 del 2.3.99 del Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Lomagna che ordina di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi con smaltimento delle macerie secondo la normativa in tema di rifiuti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2010 il dott. Ugo De Carlo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
Fatto e Diritto
Con ricorso regolarmente notificato e depositato la società ha impugnato l’atto indicato in epigrafe.
Il ricorso si articola su quattro motivi.
Il primo lamenta l’incompetenza del funzionario in quanto l’ordinanza in questione doveva essere emanata dal Sindaco o da un assessore delegato.

Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 7 e 8 L. 241\90 poiché non era stato comunicato alla ricorrente l’avvio del procedimento.
Il terzo motivo contesta l’eccesso di potere per travisamento dei fatti in quanto lo scarico del materiale è avvenuto ad opera della s.r.l. Marcos che ha sede nel medesimo luogo della Avila tramite una terza ditta.

Il quarto motivo eccepisce lo stesso vizio per il fatto che il materiale esistente nella scarpata è ivi presente da lungo tempo e non è possibile stabilire chi sia il responsabile dell’abbandono di rifiuti.

Il Comune di Lomagna non si costituiva in giudizio.

Il ricorso è fondato.

E’ assorbente il primo motivo che eccepisce l’incompetenza del funzionario alla emanazione dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti.
L’art. 14 D.lgs 22\97 attualmente riprodotto senza modifiche nell’art. 192 Codice dell’Ambiente affida il compito di emanare tali ordinanza ripristinatorie al Sindaco e trattandosi di norma speciale rispetto all’art. 107 D.lgs 267\00 che deroga alla ordinaria competenza dei funzionari per i provvedimenti di ordinaria amministrazione.
L'art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 poi è norma speciale sopravvenuta rispetto all`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V, 25.8.2008, n. 4061).

Il provvedimento va, pertanto, annullato per incompetenza rimanendo assorbiti gli altri profili di illegittimità che dovranno essere valutati dall’organo competente, e cioè il Sindaco, nel momento in cui dovrà riesercitare il potere.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso epigrafato, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Comune di Lomagna alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 2.000 oltre C.P.A. ed I.V.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Adriano Leo, Presidente

Ugo De Carlo, Referendario, Estensore

Alberto Di Mario, Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 09/06/2010.



mercoledì 30 giugno 2010

per comprare in condominio far chiarezza su tutte le spese

Capita spesso che, comprando un appartamento in condominio, ci si trovi involontariamente coinvolti in un contenzioso giudiziario di  cui neppure si aveva avuto preventiva notizia.
Quando si acquista si sta normalemtne attenti alle  SPESE CONDOMINIALI PREGRESSE, così che, ancor prima di andare dal notaio per il rogito, ci si premura di chiedere all'amministratore il rilascio di ampia dichiarazione attestante l'avvenuto pagramento di ogni sospeso da parte del venditore. Sebbene nel rogito venga espressamente dichiarato che le spese condominiali graveranno sull'acquirente a far tempo dalla sottoscrizione dell'atto di compravendita, verso il condominio permane la responsabilità SOLIDALE TRA VECCHIO E NUOVO PROPRIETARIO per tutte le spese inerenti alla getione in corso al momento dell'acquisto e quella precedente: così dispone, infatti, l'art. 63 disp. att. cod. civ.. L'accertarsi, dunque, dell'inesistenza di debiti pregressi rappresenta per chi acquista un'unità immobiliare in uno stabile condominiale un pimario incombente che, se non ottemperato, può riservare spiacevoli sorprese.
E' bene sottolineare che l'AMMINISTRATORE PUO' INDIFFERENTEMENTE AGIRE NEI CONFRONTI IA DEL VECCHIO CHE DEL NUOVO PROPRIETARIO per il recupero delle spese riguardanti il periodo temporale predetto. Il che significa che l'acquirente può essere chiamato dall'amministratore a pagare spese riguardanti un periodo in cui egli neppure era proprietario, purchè riferentesi alla gestione in corso al momento dell'acquisto oppure a quella immediatamente prima. Egli si sostituisce al venditore nel pagamento di quanto maturato anche prima del suo acquisto, restando però fermo il suo diritto di rivalsa nei confronti del venditore per il recupero di tutte le somme che egli sia stato costretto a versare al condominio.
 Non sempre però si presta la dovuta attenzione alle cause giudiziarie che, al momento della compravendita, magari vedono coinvolto il condominio verso terzi estranei oppure nei confronti dei singoli partecipanti alla collettività condominiale.
Il principio generale è che il CONDOMINO E' TWENUTO AL VERSAMENTO DELLE SPESE PER LA CONSERVAZIONE E PER LA MANUTENZIONE DELLE PARTI COMUNI  per il semplice fatto di essere proprietario di una unità immobiliare sita nel complesso condominiale.
Anche le SPESE LEGALI RIGUARDANTI LE CAUSE DEL CONDOMINIO COSTITUISCONO UN DEBITO PER QUOTE CONDOMINIALI e rientrano quindi nella categoria di obbligazioni che devono essere adempiute da colui che risulta essere proprietario al momento in cui la spesa viene sostenuta, vale a dire, nel caso di alienazion di una unità immobiliare, dal nuovo condomino che l 'ha acquistata: questi difatti, quale successore particolare del diritto oggetto del giudizio, deve soggiacere agli effetti prodotti dalla sentenza resa tra le parti originarie.
Una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un'unitòà immobiliare, non può essere chiesto ed emesso nei confronti dell'alienante, in capo al quale è cessatala qualità di condomino, un decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che l'obbligo di pagamento di questi ultimi sorge dal rapporto di natura reale che lega l'obbligoato alla proprietà dell'immobile. Venuto meno tale rapporto, l'obbligo del venditore per il pagamento di oneri condominiali deliberati dall'assemblea anche solo un giorn o dopo la vendita dell'immobile (Cass. n. 23686/2009).
Occorre però fare una netta DISTINZIONE TRA LE SPESE DOVUTE ALLA CONTROPARTE  a seguito della soccombenza del condominio in giudizio e QUELLE invece  DA VERSARE ALL'AVVOCATO CHE LO HA DIFESO.
 Quanto alle prime, l'acquirente può vedersi chiamato a far fronte alla richiesta di pagamento da parte dell'amministratore. Quanto alle seconde, la richiesta di pagamento può essere fatta al nuovo condomino solo nel caso in cui la delibera di dar corso o di resistere alla lite sia stata assunta entro l'anno contabile ni cui è avventuo l'acquisto o in quello immediatamente precedente, dovendosi applicare in tal caso il principio generale dettato dalla legge già indicato. Poichè infatti, l'obbligo di corrispondere il compenso al proprio difensore sorge con il conferimento a costui del mandato, l'acquirente dell'unità immobiliare sita in condominio è responsabile ni solido con il proprio venditore solo per le spese legali inerenti i giudizi introdotti a partire dall'anno contabile subito precedente il suo acquisto.
Maggiori problemi sorgono nel caso in cui all'acquirente sia richeisto di versare le SPESE RIGUARDANTI OPERE DI CARATTERE STRAORDINARIO  eseguite sull'immobile successivamente all'acquisto, ma autorizzate con delibera assembleare assunta anteriormente all'atto di compravendita. E' ormai consolidato il principio secondo cui l'obbligo del condomino di versare le spese di conservazione delle parti comuni deriva dalla concreta attuazione dei lavori e non già dalla preventiva approvazione della relativa  spesa e della ripartizione della stessa.
La decisione dell'assemblea ha infatti la funzione di rendere liquido il debito di ciascun partecipante e di quantificarne in concreto l'importo attraverso la successiva delibera di ripartizione della spesa.
Ne consegue che nel caso di vendita di un'unità immobiliare sita in un condominio,  TENUTO ALLA SPESA E' COLUI CHE RIVESTE LA QUALITA' DI CONDOMINO AL MOMENTO IN CUI VIENE ATTUATO L'INTERVENTO CONSERVATIVO in precedenza deliberato, anche perchè dall'esecuzione dei lavori deriva un incremento di valore delle parti comuni e, di conseguenza, anche delle singole unità immobiliari.
Si può quindi pacificamente affermare che la clausola inseita nell'atto di compravendita con cui il venitore si assume ogni onere in ordine a spese pregresse o a interventi deliberati prima della cessione del bene ha efficacia esclusivamente tra le parti contraenti e non è opponibile a lcondominio. Nulla impedisce all'amministratore di rivolgersi comunque all'acquirente per il pagamento di tali spese, salvo sempre il diritto di quest'ultimo di spiegare specifica azione di rivalsa nei confronti del proprio venditore per vedersi restituito ciò che abbia eventualmente pagato per tali titoli.


2. LA COMUNICAZIONE ALL'AMMINISTRATORE
L'amministratore deve conoscere chi sono i proprietari delle unità immobiliari che fanno parte del condominio da lui gestito. E' un dato che egli deve necessariamente avere per potere svolgere l'incarico conferitogli dall'assemblea e che anche tutti gli altri condomini hanno diritto, peraltro, di conoscere in quanto contitolari dello stesso diritto di comproprietà sulle parti comuni.
 Spesso accade che, in occasione della compravendita di un immobile, nessuna delle parti coinvoltre si premuri di comunicare tempestivamente l'intervenuta variazione nella titolarità del bene venduto. Il che crea non pochi problemi nella gestione, andando ad interferire  simile negligenza sulla regolare convocazione delle assemblee, sulla corretta ripartizione delle spese e, non da ultimo, sull'esatta individuazione di coloro che sono tenuti al pagamento delle spese condominiali. L'ONERE DI INFORMAZIONE DELL'AVVENUTO CAMBIAMENTO DI PROPRIETA' SPETTA ALL'ACQUIRENTE,  al punto che verso la collettività condominiale non può pretendere di essere considerato condomino sono a quando non abbia almeno comunicato all'amministratore l'avvenuto passaggio in capo a lui della proprietà del bene. A ciò consegue che,  IN ASSENZA DI TALE COMUNICAZIONE, L'AMMINISTRATORE NON HA L'OBBLIGO DI CONVOCARE IN ASSEMBLEA IL NUOVO ACQUIRENTE  e nè costui ha il diritto di impugnare le delibere assunte lamentando di non essere stato chiamato a partecipare alla riunione.
Nè può pretendersi dall'amministratore un continuo controllo degli atti di acquisto dei singoli condomini, non essendo egli tenuto a svolgere onerose e complesse indagini presso gli uffici pubblici per individuare coloro che effettivamente rivestono la qualità di condomino.


3. IL PRINCIPIO DELL'APPARENZA
Attenzione, però, perchè anche in difetto di formale comunicazione circa il cambiamento della proprietà l'amministratore che agisce in giudizio nei confronti del condomino moroso per il recupero delle spese da lui dovute deve eccezionalmente operare con l'estrema diligenza impostagli dalla legge nell'esecuzione del mandato. Nel condominio non può infatti trovare applicazione il principio generale secondo cui colui che si presenta e agisce come titolare di un diritto senza esserlo rispondecomunque delle obbligazioni conseguenti a tale sua presunta qualità. Ciò significa che LE QUOTE CONDOMINIALI DEVONO ESSERE RICHIESTE SOLO AL VERO CONDOMINO e non a chi, quale appunto potrebbe essere il venditore dell'immobile, continua a presentarsi come tale, partecipando alle assemblee esprimendo il proprio voto.


4. IL REGOLAMENTO
 L?obbligo di comunicazione del trasferimento della proprietà può anche essere inserito nel regolamento di  condominio, trattandosi di un vincolo finalizzato a rendere più spedita e corretta la gestione condominiale senza ledere alcun diritto dei condomini.  LA RELATIVA CLAUSOLA HA NATURA REGOLAMENTARE  e assume piena efficacia anche qualora sia stata deliberata dalla sola maggioranza dei condomini, a maggior ragione se contenuta in un regolamento di natura contrattuale e, come tale, accettato da tutti i condomini.


 5. NESSUNA PRESCRIZIONE PER LE SPESE CONDOMINIALI
LE SPESE VALIDAMENTE APPROVATE DALL'ASSEMBLEA NON SONO SOGGETTE A TERMINI DI PRESCRIZIONE  e il condomino è sempre tenuto a versarle in modo da consentire all'amministratore di continuare a gestire i beni comuni e a erogare i servizi in favore della collettività condominiale, indipendentemente dal ritardo con cui gliene viene fatta richiesta.
Se da un lato è pacifico che qualsiasi termine di prescrizione decorre dalla data in cui il credito diventa certo ed esigibile - e quindi, per il condominio, dal momento in cui l'assemblea approva in sede consuntiva la spesa ed il suo riparto - altrettanto vero è che il condomino moroso non può esimersi dal pagamento solo per il fatto che l'amministratore non lo abbia invitato a effettuare i versamenti di quanto da lui dovuto entro il termine di prescrizione del credito. La pretesa creditoria fatta valere dall'amministratore trova infatti ragione e fondamento nel mandato che viene a costui affidato per la gestione del condominio, nonchè nel dovere di ogni singolo condomino di fornire all'amministratore  mandatario la necessaria provvista per adempiere tutti quegli obblighi che la legge gl iimpone di svolgere nell'interesse comune, tra cui quello di pagae i fornitori del condominio, nonchè gli eventuali dipenenti. Gli impegni che l'amministratore assume in nime e per conto del condominio sono pur sempre riferibili ai singoli condomini, i quali, d'altro canto, sono tenuti al pagamento delle spese condominiali indipendentemente dalle deliberazioni assembleari e per il semplice fatto di essere comproprietari dei beni e degli impianti comuni. Applicare la prescrizione anche agli oneri condominiali vorrebbe dire impedire all'amministratore, decorso un certo tempo, di procurarsi dal condomino la necessaria provvista per eseguire il mandato che gli è stato conferito dall'assemblea dei condomini.
L'INTEMPESTIVA CORRESPONSIONE DELLA QUOTA CONDOMINIALE PUO'  semmai  COMPLICARE IL NORMALE SVOLGIMENTO DELLA GESTIONE CONDOMINIALE, obbligando l'amministratore a ritardare i pagamenti ai fornitori. Giammai può però liberare il condomino dal dovere di corrisponderla, nè tanto meno dal vincolo di solidarietà che con gli altri condomini egli assume nei confronti del terzo creditore del condominio. Questi infatti, che sia l'impresa addetta alle pulizie delle parti comuni piuttosto che quella che fornisce il combustibile per il riscaldamento, ha ili peno diritto di procedere giudizialmente verso ogni singolo condomino per ottenere il pagamento di quanto dovutigli dala condominio, nei limiti della prescrizione - decennale o quinquennale o ancora minore - prevista dalla legge a seconda del credito fatto valere, senza correre il rischio di vedersi eccepito, da parte del condomino,l'intervenuta minore prescrizione (semmai quinquennale) nel rapporto interno tra questi ed il condomino solo per il fatto che l'amministratore non gli ha tempestivamente richiesto il versamento di quanto da lui dovuto.

per comprare in condominio far chiarezza su tutte le spese

Capita spesso che, comprando un appartamento in condominio, ci si trovi involontariamente coinvolti in un contenzioso giudiziario di  cui neppure si aveva avuto preventiva notizia.
Quando si acquista si sta normalemtne attenti alle  SPESE CONDOMINIALI PREGRESSE, così che, ancor prima di andare dal notaio per il rogito, ci si premura di chiedere all'amministratore il rilascio di ampia dichiarazione attestante l'avvenuto pagramento di ogni sospeso da parte del venditore. Sebbene nel rogito venga espressamente dichiarato che le spese condominiali graveranno sull'acquirente a far tempo dalla sottoscrizione dell'atto di compravendita, verso il condominio permane la responsabilità SOLIDALE TRA VECCHIO E NUOVO PROPRIETARIO per tutte le spese inerenti alla getione in corso al momento dell'acquisto e quella precedente: così dispone, infatti, l'art. 63 disp. att. cod. civ.. L'accertarsi, dunque, dell'inesistenza di debiti pregressi rappresenta per chi acquista un'unità immobiliare in uno stabile condominiale un pimario incombente che, se non ottemperato, può riservare spiacevoli sorprese.
E' bene sottolineare che l'AMMINISTRATORE PUO' INDIFFERENTEMENTE AGIRE NEI CONFRONTI IA DEL VECCHIO CHE DEL NUOVO PROPRIETARIO per il recupero delle spese riguardanti il periodo temporale predetto. Il che significa che l'acquirente può essere chiamato dall'amministratore a pagare spese riguardanti un periodo in cui egli neppure era proprietario, purchè riferentesi alla gestione in corso al momento dell'acquisto oppure a quella immediatamente prima. Egli si sostituisce al venditore nel pagamento di quanto maturato anche prima del suo acquisto, restando però fermo il suo diritto di rivalsa nei confronti del venditore per il recupero di tutte le somme che egli sia stato costretto a versare al condominio.
 Non sempre però si presta la dovuta attenzione alle cause giudiziarie che, al momento della compravendita, magari vedono coinvolto il condominio verso terzi estranei oppure nei confronti dei singoli partecipanti alla collettività condominiale.
Il principio generale è che il CONDOMINO E' TWENUTO AL VERSAMENTO DELLE SPESE PER LA CONSERVAZIONE E PER LA MANUTENZIONE DELLE PARTI COMUNI  per il semplice fatto di essere proprietario di una unità immobiliare sita nel complesso condominiale.
Anche le SPESE LEGALI RIGUARDANTI LE CAUSE DEL CONDOMINIO COSTITUISCONO UN DEBITO PER QUOTE CONDOMINIALI e rientrano quindi nella categoria di obbligazioni che devono essere adempiute da colui che risulta essere proprietario al momento in cui la spesa viene sostenuta, vale a dire, nel caso di alienazion di una unità immobiliare, dal nuovo condomino che l 'ha acquistata: questi difatti, quale successore particolare del diritto oggetto del giudizio, deve soggiacere agli effetti prodotti dalla sentenza resa tra le parti originarie.
Una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un'unitòà immobiliare, non può essere chiesto ed emesso nei confronti dell'alienante, in capo al quale è cessatala qualità di condomino, un decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che l'obbligo di pagamento di questi ultimi sorge dal rapporto di natura reale che lega l'obbligoato alla proprietà dell'immobile. Venuto meno tale rapporto, l'obbligo del venditore per il pagamento di oneri condominiali deliberati dall'assemblea anche solo un giorn o dopo la vendita dell'immobile (Cass. n. 23686/2009).
Occorre però fare una netta DISTINZIONE TRA LE SPESE DOVUTE ALLA CONTROPARTE  a seguito della soccombenza del condominio in giudizio e QUELLE invece  DA VERSARE ALL'AVVOCATO CHE LO HA DIFESO.
 Quanto alle prime, l'acquirente può vedersi chiamato a far fronte alla richiesta di pagamento da parte dell'amministratore. Quanto alle seconde, la richiesta di pagamento può essere fatta al nuovo condomino solo nel caso in cui la delibera di dar corso o di resistere alla lite sia stata assunta entro l'anno contabile ni cui è avventuo l'acquisto o in quello immediatamente precedente, dovendosi applicare in tal caso il principio generale dettato dalla legge già indicato. Poichè infatti, l'obbligo di corrispondere il compenso al proprio difensore sorge con il conferimento a costui del mandato, l'acquirente dell'unità immobiliare sita in condominio è responsabile ni solido con il proprio venditore solo per le spese legali inerenti i giudizi introdotti a partire dall'anno contabile subito precedente il suo acquisto.
Maggiori problemi sorgono nel caso in cui all'acquirente sia richeisto di versare le SPESE RIGUARDANTI OPERE DI CARATTERE STRAORDINARIO  eseguite sull'immobile successivamente all'acquisto, ma autorizzate con delibera assembleare assunta anteriormente all'atto di compravendita. E' ormai consolidato il principio secondo cui l'obbligo del condomino di versare le spese di conservazione delle parti comuni deriva dalla concreta attuazione dei lavori e non già dalla preventiva approvazione della relativa  spesa e della ripartizione della stessa.
La decisione dell'assemblea ha infatti la funzione di rendere liquido il debito di ciascun partecipante e di quantificarne in concreto l'importo attraverso la successiva delibera di ripartizione della spesa.
Ne consegue che nel caso di vendita di un'unità immobiliare sita in un condominio,  TENUTO ALLA SPESA E' COLUI CHE RIVESTE LA QUALITA' DI CONDOMINO AL MOMENTO IN CUI VIENE ATTUATO L'INTERVENTO CONSERVATIVO in precedenza deliberato, anche perchè dall'esecuzione dei lavori deriva un incremento di valore delle parti comuni e, di conseguenza, anche delle singole unità immobiliari.
Si può quindi pacificamente affermare che la clausola inseita nell'atto di compravendita con cui il venitore si assume ogni onere in ordine a spese pregresse o a interventi deliberati prima della cessione del bene ha efficacia esclusivamente tra le parti contraenti e non è opponibile a lcondominio. Nulla impedisce all'amministratore di rivolgersi comunque all'acquirente per il pagamento di tali spese, salvo sempre il diritto di quest'ultimo di spiegare specifica azione di rivalsa nei confronti del proprio venditore per vedersi restituito ciò che abbia eventualmente pagato per tali titoli.

2. LA COMUNICAZIONE ALL'AMMINISTRATORE
L'amministratore deve conoscere chi sono i proprietari delle unità immobiliari che fanno parte del condominio da lui gestito. E' un dato che egli deve necessariamente avere per potere svolgere l'incarico conferitogli dall'assemblea e che anche tutti gli altri condomini hanno diritto, peraltro, di conoscere in quanto contitolari dello stesso diritto di comproprietà sulle parti comuni.
 Spesso accade che, in occasione della compravendita di un immobile, nessuna delle parti coinvoltre si premuri di comunicare tempestivamente l'intervenuta variazione nella titolarità del bene venduto. Il che crea non pochi problemi nella gestione, andando ad interferire  simile negligenza sulla regolare convocazione delle assemblee, sulla corretta ripartizione delle spese e, non da ultimo, sull'esatta individuazione di coloro che sono tenuti al pagamento delle spese condominiali. L'ONERE DI INFORMAZIONE DELL'AVVENUTO CAMBIAMENTO DI PROPRIETA' SPETTA ALL'ACQUIRENTE,  al punto che verso la collettività condominiale non può pretendere di essere considerato condomino sono a quando non abbia almeno comunicato all'amministratore l'avvenuto passaggio in capo a lui della proprietà del bene. A ciò consegue che,  IN ASSENZA DI TALE COMUNICAZIONE, L'AMMINISTRATORE NON HA L'OBBLIGO DI CONVOCARE IN ASSEMBLEA IL NUOVO ACQUIRENTE  e nè costui ha il diritto di impugnare le delibere assunte lamentando di non essere stato chiamato a partecipare alla riunione.
Nè può pretendersi dall'amministratore un continuo controllo degli atti di acquisto dei singoli condomini, non essendo egli tenuto a svolgere onerose e complesse indagini presso gli uffici pubblici per individuare coloro che effettivamente rivestono la qualità di condomino.

3. IL PRINCIPIO DELL'APPARENZA
Attenzione, però, perchè anche in difetto di formale comunicazione circa il cambiamento della proprietà l'amministratore che agisce in giudizio nei confronti del condomino moroso per il recupero delle spese da lui dovute deve eccezionalmente operare con l'estrema diligenza impostagli dalla legge nell'esecuzione del mandato. Nel condominio non può infatti trovare applicazione il principio generale secondo cui colui che si presenta e agisce come titolare di un diritto senza esserlo rispondecomunque delle obbligazioni conseguenti a tale sua presunta qualità. Ciò significa che LE QUOTE CONDOMINIALI DEVONO ESSERE RICHIESTE SOLO AL VERO CONDOMINO e non a chi, quale appunto potrebbe essere il venditore dell'immobile, continua a presentarsi come tale, partecipando alle assemblee esprimendo il proprio voto.

4. IL REGOLAMENTO
 L?obbligo di comunicazione del trasferimento della proprietà può anche essere inserito nel regolamento di  condominio, trattandosi di un vincolo finalizzato a rendere più spedita e corretta la gestione condominiale senza ledere alcun diritto dei condomini.  LA RELATIVA CLAUSOLA HA NATURA REGOLAMENTARE  e assume piena efficacia anche qualora sia stata deliberata dalla sola maggioranza dei condomini, a maggior ragione se contenuta in un regolamento di natura contrattuale e, come tale, accettato da tutti i condomini.

 5. NESSUNA PRESCRIZIONE PER LE SPESE CONDOMINIALI
LE SPESE VALIDAMENTE APPROVATE DALL'ASSEMBLEA NON SONO SOGGETTE A TERMINI DI PRESCRIZIONE  e il condomino è sempre tenuto a versarle in modo da consentire all'amministratore di continuare a gestire i beni comuni e a erogare i servizi in favore della collettività condominiale, indipendentemente dal ritardo con cui gliene viene fatta richiesta.
Se da un lato è pacifico che qualsiasi termine di prescrizione decorre dalla data in cui il credito diventa certo ed esigibile - e quindi, per il condominio, dal momento in cui l'assemblea approva in sede consuntiva la spesa ed il suo riparto - altrettanto vero è che il condomino moroso non può esimersi dal pagamento solo per il fatto che l'amministratore non lo abbia invitato a effettuare i versamenti di quanto da lui dovuto entro il termine di prescrizione del credito. La pretesa creditoria fatta valere dall'amministratore trova infatti ragione e fondamento nel mandato che viene a costui affidato per la gestione del condominio, nonchè nel dovere di ogni singolo condomino di fornire all'amministratore  mandatario la necessaria provvista per adempiere tutti quegli obblighi che la legge gl iimpone di svolgere nell'interesse comune, tra cui quello di pagae i fornitori del condominio, nonchè gli eventuali dipenenti. Gli impegni che l'amministratore assume in nime e per conto del condominio sono pur sempre riferibili ai singoli condomini, i quali, d'altro canto, sono tenuti al pagamento delle spese condominiali indipendentemente dalle deliberazioni assembleari e per il semplice fatto di essere comproprietari dei beni e degli impianti comuni. Applicare la prescrizione anche agli oneri condominiali vorrebbe dire impedire all'amministratore, decorso un certo tempo, di procurarsi dal condomino la necessaria provvista per eseguire il mandato che gli è stato conferito dall'assemblea dei condomini.
L'INTEMPESTIVA CORRESPONSIONE DELLA QUOTA CONDOMINIALE PUO'  semmai  COMPLICARE IL NORMALE SVOLGIMENTO DELLA GESTIONE CONDOMINIALE, obbligando l'amministratore a ritardare i pagamenti ai fornitori. Giammai può però liberare il condomino dal dovere di corrisponderla, nè tanto meno dal vincolo di solidarietà che con gli altri condomini egli assume nei confronti del terzo creditore del condominio. Questi infatti, che sia l'impresa addetta alle pulizie delle parti comuni piuttosto che quella che fornisce il combustibile per il riscaldamento, ha ili peno diritto di procedere giudizialmente verso ogni singolo condomino per ottenere il pagamento di quanto dovutigli dala condominio, nei limiti della prescrizione - decennale o quinquennale o ancora minore - prevista dalla legge a seconda del credito fatto valere, senza correre il rischio di vedersi eccepito, da parte del condomino,l'intervenuta minore prescrizione (semmai quinquennale) nel rapporto interno tra questi ed il condomino solo per il fatto che l'amministratore non gli ha tempestivamente richiesto il versamento di quanto da lui dovuto.

martedì 15 giugno 2010

Diritto alla pensione, anzianità contributiva e lavoratori part-time

Corte di Giustizia UE: calcolo anzianità contributiva in caso di part time verticale


Secondo la Corte di Giustizia la disciplina comunitaria deve essere interpretata, con riferimento alle pensioni, nel senso che osta a una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive.

La questione riguarda da vicino l'Italia in quanto le domande di pronuncia pregiudiziale formulate alla Corte di Giustizia, relative all’interpretazione della direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, sono state proposte nell’ambito di una serie di controversie nelle quali l’INPS si contrappone a diversi ricorrenti, in merito alla determinazione dell’anzianità maturata ai fini del calcolo del diritto alla pensione.

In sostanza la Corte di Giustizia ha rilevato che "il principio del pro rata temporis non è applicabile alla determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione, in quanto questa dipende esclusivamente dall’anzianità contributiva maturata dal lavoratore. Questa anzianità corrisponde, infatti, alla durata effettiva del rapporto di lavoro e non alla quantità di lavoro fornita nel corso della relazione stessa. Il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno implica quindi che l’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati".

Ciò in contrasto con quanto sostenuto dall'Italia e dall'INPS, sulla legittimità del sistema in essere a norma del quale: "Per un lavoratore a tempo pieno, il periodo di tempo preso in considerazione per il calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione coincide con quello del rapporto di lavoro. Per contro, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, l’anzianità non viene conteggiata sulla stessa base, poiché essa è calcolata sulla sola durata dei periodi effettivamente lavorati tenuto conto della riduzione degli orari di lavoro. In questo modo, un lavoratore a tempo pieno beneficia, per un periodo d’impiego di dodici mesi consecutivi, di un anno di anzianità ai fini della determinazione della data in cui può rivendicare il diritto alla pensione. Per contro, ad un lavoratore in una situazione comparabile che abbia optato, secondo la formula del tempo parziale di tipo verticale ciclico, per una riduzione del 25% del suo orario di lavoro, sarà accreditata, per lo stesso periodo, un’anzianità pari al 75% soltanto di quella del suo collega che lavora a tempo pieno, e questo per il solo motivo che egli lavora a tempo parziale. Ne consegue che, sebbene i loro contratti di lavoro abbiano una durata effettiva equivalente, il lavoratore a tempo parziale matura l’anzianità contributiva utile ai fini della pensione con un ritmo più lento del lavoratore a tempo pieno. Si tratta quindi di una differenza di trattamento basata sul solo motivo del lavoro a tempo parziale".


(Corte di Giustizia CE, Sentenza 10 giugno
2010: Direttiva 97/81/CE – Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale – Parità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno – Calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione – Esclusione dei periodi non lavorati – Discriminazione)

Diritto alla pensione, anzianità contributiva e lavoratori part-time

Corte di Giustizia UE: calcolo anzianità contributiva in caso di part time verticale

Secondo la Corte di Giustizia la disciplina comunitaria deve essere interpretata, con riferimento alle pensioni, nel senso che osta a una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive.
La questione riguarda da vicino l'Italia in quanto le domande di pronuncia pregiudiziale formulate alla Corte di Giustizia, relative all’interpretazione della direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, sono state proposte nell’ambito di una serie di controversie nelle quali l’INPS si contrappone a diversi ricorrenti, in merito alla determinazione dell’anzianità maturata ai fini del calcolo del diritto alla pensione.
In sostanza la Corte di Giustizia ha rilevato che "il principio del pro rata temporis non è applicabile alla determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione, in quanto questa dipende esclusivamente dall’anzianità contributiva maturata dal lavoratore. Questa anzianità corrisponde, infatti, alla durata effettiva del rapporto di lavoro e non alla quantità di lavoro fornita nel corso della relazione stessa. Il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno implica quindi che l’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati".
Ciò in contrasto con quanto sostenuto dall'Italia e dall'INPS, sulla legittimità del sistema in essere a norma del quale: "Per un lavoratore a tempo pieno, il periodo di tempo preso in considerazione per il calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione coincide con quello del rapporto di lavoro. Per contro, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, l’anzianità non viene conteggiata sulla stessa base, poiché essa è calcolata sulla sola durata dei periodi effettivamente lavorati tenuto conto della riduzione degli orari di lavoro. In questo modo, un lavoratore a tempo pieno beneficia, per un periodo d’impiego di dodici mesi consecutivi, di un anno di anzianità ai fini della determinazione della data in cui può rivendicare il diritto alla pensione. Per contro, ad un lavoratore in una situazione comparabile che abbia optato, secondo la formula del tempo parziale di tipo verticale ciclico, per una riduzione del 25% del suo orario di lavoro, sarà accreditata, per lo stesso periodo, un’anzianità pari al 75% soltanto di quella del suo collega che lavora a tempo pieno, e questo per il solo motivo che egli lavora a tempo parziale. Ne consegue che, sebbene i loro contratti di lavoro abbiano una durata effettiva equivalente, il lavoratore a tempo parziale matura l’anzianità contributiva utile ai fini della pensione con un ritmo più lento del lavoratore a tempo pieno. Si tratta quindi di una differenza di trattamento basata sul solo motivo del lavoro a tempo parziale".

(Corte di Giustizia CE, Sentenza 10 giugno
2010: Direttiva 97/81/CE – Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale – Parità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno – Calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione – Esclusione dei periodi non lavorati – Discriminazione)

Ordinanze contingibili ed urgenti e bonifica dei fondi

L'ordinanza di bonifica del sito non rientra fra le ordinanze contingibili ed urgenti


TAR Calabria-Catanzaro, sez. I, sentenza 31.05.2010 n° 959 (Aurelio Schiavone)


L’ordinanza resa dall’Ente comunale ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 242-244 del d.lgs. n. 152 del 2006 (TUA) per la bonifica dell’area inquinata non è sussumibile fra le ordinanze contingibili ed urgenti di cui all’art. 117 del d.lgs. n. 112/1998 ed all’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), disciplinate dall’ordinamento per far fronte ad emergenze sanitarie o di igiene pubblica ovvero per prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana.
È quanto chiarito dal T.A.R. Calabria, sede di Catanzaro, Sezione I, con la sentenza 31 maggio 2010, n. 959.
Invero, l’esercizio del potere dell’ordinanza contingibile e urgente, adottata dal sindaco quale ufficiale di Governo, presuppone un’oggettiva situazione di effettivo e concreto pericolo per l’incolumità pubblica, non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva[1]. Detto altrimenti, l’esercizio del potere extra ordinem presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, cui non si potrebbe far fronte col ricorso agli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento; situazioni eccezionali di pericolo attuale ed imminente per l’incolumità pubblica che impongono al sindaco di dare adeguata contezza delle ragioni che lo hanno spinto ad usare tale strumento extra ordinem, la cui ratio non consiste tanto nell’imprevedibilità dell’evento, quanto nell’impossibilità di utilizzare tempestivamente i rimedi normali offerti dall’ordinamento[2]. Peraltro, siffatto potere non può mai trasmodare in una violazione del principio di legalità e va ancorato ad una serie di principi che devono guidarne l’utilizzo, quali appunto la necessità e l’urgenza, la durata limitata nel tempo, la motivazione, ovvero la insussistenza di altri poteri per risolvere la questione.
Di contro, in tema di bonifica di aree inquinate, gli artt. 242-244 TUA dettano un’articolata procedura ordinatoria. Infatti, nell'attuale sistema normativo, l'obbligo di bonifica dei siti inquinati grava, in primo luogo, sull'effettivo responsabile dell'inquinamento, responsabile che le Autorità amministrative hanno l'onere di ricercare ed individuare (artt. 242 e 244, D.Lgs. 152/2006), mentre il proprietario non responsabile dell'inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera "facoltà" di effettuare interventi di bonifica (art. 245); nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica saranno realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250), salvo, a fronte delle spese da esse sostenute, l'esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (art. 253).
Per tali ragioni, il T.A.R. Calabria ha accolto il ricorso avanzato dall’Agenzia del Demanio avverso l’ordinanza contingibile ed urgente adottata dal Sindaco per la bonifica di un bacino fluviale, avendo cura di chiarire inoltre che la competenza ad adottare l’ordinanza finalizzata ad assicurare la tutela ambientale è stata assegnata dal legislatore alla Provincia e non al Comune, in ragione dei molteplici interessi pubblici coinvolti in episodi di inquinamento, i quali normalmente trascendono l’ambito territoriale comunale.
Pertanto, al Comune spetta solo un apporto partecipativo al procedimento di bonifica dell’area ai sensi art. 244, comma 2, TUA, nella ben diversa veste di Ente esponenziale degli interessi localizzabili sul territorio, interessi la cui concreta tutela viene devoluta ex lege ad altri Enti ed organi[3].
Sotto altro profilo, l’azione amministrativa è stata censurata anche in ordine all’insufficiente istruttoria e al deficit motivazionale.
È infatti noto che in subiecta materia il legislatore ha previsto e sancito una procedura di cooperazione tra il responsabile del danno ambientale e le pubbliche amministrazioni preposte alla tutela, nonché una cooperazione tra le stesse amministrazioni territorialmente competenti fin anche a coinvolgere lo Stato, specie in ipotesi in cui si tratti di bonifica di aree di interesse nazionale. Sicchè, nei procedimenti amministrativi volti alla bonifica di siti inquinati vi è una maggiore e più profonda valenza dell’istruzione del procedimento al fine di perseguire al meglio con ogni efficacia ed efficienza la tutela dell’ambiente, con l’apporto partecipativo del responsabile dell’inquinamento e del proprietario incolpevole[4] [5].


(Altalex, 10 giugno 2010. Nota di Aurelio Schiavone)
________________


[1] Ex plurimis: Cons. St., Ad. Plen., 30 luglio 2007, n. 10; Id., Sez. V, 28 maggio 2007, n. 2109; Id., Sez. II, 24 ottobre 2007, n. 2210, in www.giustizia-amministrativa.it.
[2] Cfr. Cons. St., Sez. IV, 13 dicembre 1999, n. 1844, in www.giustizia-amministrativa.it.
[3] Si veda, in tal senso, T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 7 febbraio 2008, n. 372, in 
www.giustizia-amministrativa.it.


[4] Si veda, per un ampio commento organico alle procedure di rimozione rifiuti e a quella più complessa della bonifica di aree inquinate, la nota di commento di A.Mezzotero a T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 20 ottobre 2009, n. 1118, in corso di pubblicazione su giurisprudenza di merito, Giuffrè.
[5] In ordine all’apporto partecipativo e alla necessaria comunicazione dell’avvio del procedimento sia in tema di rimozione rifiuti ex art. 192 TUA che di bonifica ex artt. 242-244, si vedano: T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254, in www.giustizia-amministrativa.it; in merito alla necessarietà della comunicazione dell’avvio del procedimento in ipotesi di ordinanza rimozione rifiuti ex art. 192 TUA, ex pluribus T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 31 gennaio 2008, n. 64, in www.giustamm.it; in senso conforme, T.A.R. Veneto, sez. III, 23 dicembre 2009, n. 3803, in www.giustizia-amministrativa.it. Si veda, altresì, T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 7 maggio 2009, n. 1826, in www.ambientediritto.it; nello stesso senso, T.A.R. Toscana, sez. II, 6 maggio 2009, n. 772, ivi. Si veda, in dottrina, S. R. Cerruto, Note semi-brevi in tema di bonifiche. Analisi delle principali novità portate dal D.Lgs. n. 152/2006, par. 5, in www.giustizia-amministrativa.it.




T.A.R.
Calabria - Catanzaro
Sezione I
Sentenza 31 maggio 2010, n. 959
(Pres. Romeo, Est. Corrado)




REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 254 del 2008, proposto da:
Agenzia del Demanio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catanzaro, presso la quale è domiciliata per legge in Catanzaro, via G. Da Fiore;
contro
Comune di Serra D'Aiello;


per l'annullamento dell’ordinanza sindacale di bonifica del sito in agro di Serra d’Aiello.


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 aprile 2010 il dott. Anna Corrado e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO E DIRITTO


La Procura della Repubblica di Paola in data 22 dicembre 2007 ha comunicato a diversi soggetti pubblici, tra cui il Dirigente Assessorato Ambiente della Provincia di Cosenza e il Sindaco del Comune di Serra d’Aiello, che nel corso di indagini e campionamenti di suolo in agro di Serra d’Aiello – bacino fluviale del fiume Oliva – sx idrauilica- effettuati da tecnici dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria, per conto dell’Autorità giudiziaria, è stato accertato il superamento del valore di concentrazione della soglia di contaminazione (CSC) per il parametro chimico: rame.
Con ordinanza contingibile ed urgente n. 11/07 del 27 dicembre 2007 il Sindaco del Comune di Serra d’Aiello ha ordinato all’Agenzia del demanio, ai sensi dell’articolo 244 del decreto legislativo 152/2006, di provvedere alla bonifica del sito in agro di Serra d’Aiello – bacino fluviale del fiume Oliva –sx idraulica.
Detta ordinanza comunale è stata impugnata con il presente ricorso.
Dopo aver premesso alcune considerazioni in ordine alla sussistenza della legittimazione passiva del Comune intimato nonché in ordine alla correttezza della notifica effettuata presso la casa comunale, l’amministrazione ricorrente ha dedotto:
-1 - incompetenza – violazione erronea e falsa interpretazione ed applicazione dell’art. 244, 2° comma, D.Lgs. n. 152 del 2006 (recante “norme in materia ambientale”). Violazione e falsa applicazione dell’art. 50, 4° e 5° comma e dell’art. 54 , 2° comma, del D. Lgs. n. 267/2000; l’impugnato provvedimento sarebbe, infatti, illegittimo, poiché emesso, ai sensi dell’art. 244 del D. Lgs. n. 152 del 2006, nell’esercizio di una potestà ascrivibile all’ente Provincia, ma non al Sindaco. Inoltre l’ordinanza sindacale sarebbe stata emanata in mancanza dei presupposti propri del provvedimento contingibile ed urgente.
-2 -mancata comunicazione di avvio del procedimento: art. 7 legge 241/1990 e art. 192, comma 3 d. lgs. n. 152/2006- Violazione del contraddittorio. Mancanza assoluta di motivazione del provvedimento. Mancanza assoluta di istruttoria. Violazione dei principi di adeguatezza, proporzionalità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost. e art. 1 , l. 241/1990).
L’ordinanza impugnata sarebbe stata emessa in dispregio dei fondamentali principi inerenti l’azione amministrativa, che presuppongono il rispetto della garanzie partecipative, l’onere motivazionale, l’espletamento di idonea e congrua istruttoria.

- 3- Violazione dell’articolo 244, d. lgs n. 152/2006. Insussistenza dei presupposti per l’emissione dell’ordine di bonifica del sito nei confronti dell’Agenzia del Demanio. Assenza della qualità di proprietario e gestore dell’Agenzia fiscale ricorrente del sito da bonificare. In particolare la ricorrente afferma che l’ordinanza impugnata fa riferimento ad un bacino fluviale che non è né gestito né di proprietà dell’Agenzia del Demanio ricadendo nell’ambito del demanio idrico la cui proprietà e gestione competono alla Regione, ai sensi del d.lgs. 112/1998.
-4 Mancanza assoluta di istruttoria – violazione del principio “chi inquina paga”. Violazione dell’art. 244, comma 2, D. Lgvo n. 152 del 2006: omesso compimento delle opportune indagini “ volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento”.
La P.A. avrebbe illegittimamente posto a carico dell’Agenzia del Demanio la bonifica del sito individuato, senza aver previamente accertato la sussistenza o meno delle responsabilità dell’Amministrazione per l’inquinamento del sito.
Non risulta costituita in giudizio l’intimata amministrazione comunale.
Alla pubblica udienza del 22 aprile 2010 il ricorso è passato in decisione.
Il ricorso è fondato e va pertanto accolto.
Preliminarmente appare opportuno richiamare il disposto dell’articolo 244 del D.Lgs. n. 152/2006 recante norme in materia ambientale, espressamente richiamato nell’ordinanza impugnata, a mente del quale: “Le pubbliche amministrazioni che nell'esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti.
La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo.
L'ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'articolo 253.
Se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall'amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall'articolo 250” .
Alla luce di tale disciplina va accolta la doglianza con cui si rileva la incompetenza del Comune di Serra d’Aiello..
La competenza ad adottare l’ordinanza finalizzata ad assicurare la tutela ambientale è stata infatti assegnata dal legislatore alla Provincia e non al Comune, in ragione verosimilmente dei molteplici interessi pubblici coinvolti in episodi di inquinamento i quali normalmente trascendono l’ambito territoriale comunale. Il Comune, quindi, per come espressamente dispone la norma richiamata, non è competente ad emanare l’avversata ordinanza.
Nè detta ordinanza può essere ricondotta, come invece fa l’ente locale, tra le ordinanze contingibili ed urgenti di cui all’articolo 117del D. Lgs. 112/1998 ed all’articolo 54 del D. Lgs 267/2000, disciplinate dall’ordinamento per far fronte ad emergenze sanitarie o di igiene pubblica ovvero per prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana.
L'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente del sindaco presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, cui non si potrebbe far fronte col ricorso agli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento; situazioni eccezionali di pericolo attuale ed imminente per l’incolumità pubblica, che impongono al sindaco di dare adeguata contezza delle ragioni che lo hanno spinto ad usare tale strumento “extra ordinem”, la cui “ratio” non consiste tanto nell’imprevedibilità dell’evento, quanto nell’impossibilità di utilizzare tempestivamente i rimedi normali offerti dall’ordinamento (ex plurimis: Cons. St., Sez. IV, 13 dicembre 1999, n. 1844). Peraltro, siffatto potere non può mai trasmodare in una violazione del principio di legalità e va ancorato ad una serie di principi che devono guidarne l’utilizzo, quali appunto la necessità e l’urgenza, la durata limitata nel tempo, la motivazione, ovvero la insussistenza di altri poteri per risolvere la questione: in sostanza, esso presuppone un’oggettiva situazione di effettivo e concreto pericolo per l’incolumità pubblica, non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva (ex plurimis: Cons. St., Ad. Plen., 30.7.2007, n. 10; Sez. V, 28.5.2007, n. 2109; Sez. II, 24.10.2007, n.2210).
Lo strumento dell’ordinanza contingibile ed urgente non appare, quindi, legittimamente utilizzabile nella fattispecie di cui alla presente controversia, e cioè per disporre in ordine alla bonifica di un sito inquinato. Per queste ipotesi, infatti, l’articolo 244 appresta una articolata procedura che, in base a quanto si evince dall’ordinanza, non appare rispettata anche per quanto concerne lo specifico profilo della esatta individuazione del responsabile dell’inquinamento registrato.
Infatti, nell'attuale sistema normativo, l'obbligo di bonifica dei siti inquinati grava, in primo luogo, sull'effettivo responsabile dell'inquinamento, responsabile che le Autorità amministrative hanno l'onere di ricercare ed individuare (artt. 242 e 244 D.Lgs. 152/2006), mentre il proprietario non responsabile dell'inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera "facoltà" di effettuare interventi di bonifica (art. 245); nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica saranno realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250), salvo, a fronte delle spese da esse sostenute, l'esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (art. 253).
Il complesso di questa disciplina, conforme al diritto comunitario, appare ispirato al cosiddetto principio del “chi inquina paga”, da intendersi in senso sostanzialistico e che consiste, in definitiva, nell’imputazione dei costi ambientali al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita.
Va quindi precisato, alla luce di tale esigenza di effettività della protezione dell’ambiente, che, ferma la doverosità degli accertamenti indirizzati ad individuare con specifici elementi i responsabili dei fatti di contaminazione, l’imputabilità dell’inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive, prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’ “id quod plerumque accidit”, che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori. ( cfr. T.A.R Calabria – Catanzaro 1118/2009).
Per quanto concerne la fattispecie all’attenzione di questo Collegio si osserva che non è stato individuato dall’ente locale il soggetto responsabile dell’inquinamento, ma la detta responsabilità è stata attribuita direttamente all’Agenzia del Demanio in qualità di proprietario, per come individuato dalla Provincia di Cosenza senza “aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento” per come prevede il citato articolo 244.
In verità nell’ordinanza si dà atto che “non è stato possibile individuare il responsabile dell’evento di superamento di concentrazione soglia di contaminazione (CSC): rame”; tuttavia se si tiene conto che l’ordinanza è stata emessa a distanza di appena 5 giorni dalla comunicazione della Procura della Repubblica (senza considerare le festività natalizie) dal rilevato inquinamento, l’asserita impossibilità di individuare il responsabile dell’inquinamento non trova effettivo riscontro in alcuna attività istruttoria espletata vista la ristrettezza dei tempi intercosi tra i due atti.
Ne consegue la condivisibilità delle doglianze svolte dalla parte ricorrente anche quanto al profilo dell’insufficiente istruttoria e del deficit motivazionale.
Alla luce delle svolte considerazioni il ricorso va accolto poiché fondato.
Le spese e gli onorari di giudizio possono essere compensate
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sede di Catanzaro - Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato provvedimento.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Concetta Anastasi, Consigliere
Anna Corrado, Referendario, Estensore






Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...