mercoledì 2 dicembre 2009

Alcune precisazioni sulla quantificazione del danno da irragionevole durata del processo

Equa riparazione, quantificazione del danno non patrimoniale, criteri, precisazioni







Cassazione civile , sez. I, sentenza 14.10.2009 n° 21840













La quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo. Tuttavia, tale cifra deve valere in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non deve essere inferiore a euro 1000 per quelli successivi, in quanto l'irragionevole durata eccedente quest’ultimo periodo determina uevidente aggravamento del danno. (1-2)













(*) Riferimenti normativi: Legge n. 89/2001.





1) In tema di ansia come danno non patrimoniale derivante da irragionevole durata del processo, si veda Corte d'Appello Potenza, sez. lavoro, decreto 10.03.2009.





(2) Si veda il focus di L. Viola: Equa riparazione da irragionevole durata del processo: le novità giurisprudenziali.













(Fonte: Altalex Massimario 41/2009. Cfr. nota di Giuseppe Mommo)











SEZIONE I CIVILE













Sentenza 14 ottobre 2009, n. 21840









Svolgimento del processo













I.V. adiva la Corte d'appello di Napoli, allo scopo di ottenere l'equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al T.a.r. per la Campania, avente ad oggetto la corresponsione di contributi per l'assistenza prestata ad un proprio familiare, proposto nel luglio 1997, deciso con sentenza del 16.3.01, appellata innanzi al Consiglio di Stato.













La Corte d'appello, con decreto del 24.1.2006, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre (in relazione alla domanda concernente il giudizio di primo grado), liquidava per il danno non patrimoniale, per il tempo eccedente detto termine (mesi otto), Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo, quindi, complessivi Euro 334,00, oltre interessi legali dalla data del decreto, condannando la Presidenza del Consiglio dei ministri a pagare le spese del giudizio.













Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso, I. V., affidato a dieci motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.













Motivi della decisione













1.- La ricorrente, con i motivi da 1 a 6 e 10^, denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 6 1 CEDU, della L. n. 89 del 2001 e degli artt. 112 e 132 c.p.c., nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5); dopo avere richiamato una serie di sentenze della Corte di Strasburgo e di questa Corte, sulla premessa dell'efficacia vincolante per il giudice nazionale sia della CEDU, sia della giurisprudenza della Corte EDU, pone le seguenti questioni (riassunte nel primo motivo, ma sostanzialmente reiterate negli altri mezzi, anche in difformità rispetto alla sintesi datane nella rubrica degli stessi):













la liquidazione dell'equa riparazione andrebbe effettuata avendo riguardo all'intera durata del giudizio; il giudice nazionale non potrebbe discostarsi dal parametro stabilito dal giudice europeo (Euro 1.500,00 per anno); nelle cause concernenti controversie di lavoro e/o previdenziali dovrebbe essere riconosciuto un bonus di Euro 2.000,00 e, se il giudice nazionale ciò non fa, incorrerebbe in omessa pronuncia e vizio di motivazione (motivi 2-4 e 6), mentre il ritardo nel deposito dell'istanza di prelievo potrebbe rilevare esclusivamente ai fini della quantificazione del risarcimento (motivo 5); in relazione a detti profili la motivazione del decreto sarebbe viziata (motivo 10).













1.1.- Con i motivi da 7 a 9, è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 6 CEDU e dell'art. 1 del protocollo addizionale, degli artt. 91 e 92 c.p.c., delle tariffe professionali ed omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.), nonchè difetto di motivazione nella parte in cui il decreto avrebbe quantificato in misura insufficiente le spese del giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, art. 132 c.p.c.), discostandosi dai criteri della Corte EDU e dalle liquidazioni operate da questa Corte, non applicando le voci della tariffa prevista per i giudizi contenziosi e riducendo senza motivazione gli importi asseritamente dovuti.













2.- Il ricorso proposto dall'avv. M.A.L., in proprio, quale antistatario, e inammissibile, perchè proposto da soggetto non legittimato.













Secondo l'orientamento di questa Corte, al quale va data continuità, la qualità di procuratore della parte nei cui confronti è stata pronunziata la sentenza impugnata non abilita il suo titolare alla proposizione dell'impugnazione in proprio, neanche quando si controverta unicamente sul punto delle spese processuali, salvo che lo stesso procuratore non ne sia dichiarato antistatario ed i motivi delle proposte censure attengano alla concessione della distrazione (Cass., n. 20321 del 2005; n. 4973 del 1993; n. 7597 del 1990).













Pertanto, resta preclusa al difensore distrattario l'impugnazione in proprio, con riferimento alla pronuncia sulle spese, quando essa attenga alla loro adeguatezza, ovvero all'an, poichè in questa ipotesi l'unica legittimata a sollevare doglianze in merito è la parte rappresentata, quale soggetto comunque obbligato, nel rapporto con il professionista, a soddisfarlo delle sue pretese (Cass. n. 16717 del 2008, n. 11566 del 2008). Il difensore che ha chiesto la distrazione diviene, infatti, parte del giudizio solo nel caso in cui sorga controversia sul provvedimento che ha disposto la distrazione o se il giudice a quo abbia omesso di provvedere sull'istanza (Cass., n. 20121 del 2005; n. 13290 del 2003; n. 12204 del 2003).













In relazione a detto ricorso non deve essere resa pronuncia sulle spese, in quanto la Presidenza del Consiglio dei ministri non ha svolto attività difensiva in riferimento al medesimo.













3.- Preliminarmente, va ribadito che alla pronuncia di accoglimento parziale per manifesta fondatezza, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, non ostano le conclusioni del F.G., poichè che la decisione del ricorso presenta aspetti d'evidenza compatibili con l'immediata decisione, sia pure in senso difforme a dette conclusioni (Cass. n. 5704 del 2008; n. 23842 e n. 13748 del 2007).













I motivi sintetizzati nel p. 1, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente fondati entro i termini e nei limiti di seguito precisati.













Alle questioni poste con detti mezzi va data soluzione ribadendo i seguenti principi, più volti affermati da questa Corte:













il giudice italiano deve interpretare la L. n. 89 del 2001 in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della L. n. 89 del 2001; qualora ciò non sia possibile ed egli dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto all'art. 117 Cost., comma 1, restando escluso che possa procedere alla "non applicazione" della prima (Corte cost. n. 348 e n. 349 del 2007; in riferimento alla legge in esame Cass. S.U. n. 1338 del 2004);













la precettività, per il giudice nazionale, della giurisprudenza della Corte EDU non concerne il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo per l'equa riparazione, essendo per il primo vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è rilevante soltanto il periodo eccedente il termine ragionevole, in virtù di una modalità di calcolo che non incide sulla complessiva attitudine di detta legge ad assicurare l'obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata de processo (per tutte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 1566 e n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007);













i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea, che ha fissato un parametro tendenziale di Euro 1.000,00/Euro 1.500,00 per anno, non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali:













l'entità della "posta in gioco", apprezzata in comparazione con la situazione economico-patrimoniale della parte, che questa ha l'onere di allegare e dedurre; il "numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento"; il comportamento della parte istante, sicchè rileva anche il ritardo c/o la mancata presentazione della cd. istanza di prelievo, la quale non incide sul termine di durata ragionevole, ma bene può essere assunto come sintomo di uno attenuato interesse per la controversia; per tutte, Cass. n. 4572 e n. 3515 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, a quelle da ultimo richiamate, aggiungi Cass. n. 6039 del 2009; n. 6898 del 2008);













in virtù della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano, elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale (costituiti appunto, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell'istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l'esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, la quantificazione, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservalo in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di L. 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l'irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno;













le norme disciplinatrici della fattispecie non permettono di riconoscere una ulteriore somma arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell'oggetto e della natura della controversia, poichè il giudice europeo ha affermato che una somma più elevata rispetto al suindicato parametro va riconosciuta, qualora la controversia rivesta una certa importanza, facendo un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali, senza che ciò implichi alcun automatismo, significando soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008); quindi, il giudice del merito può attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, restando escluso uno specifico obbligo di motivazione e/o di pronuncia sul punto, da ritenersi quest'ultima implicita nella liquidazione del danno, con la conseguenza che, se il giudice non si pronuncia sul cd. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (così, tra le altre, Cass. n. 7073, n. 6039 e n. 3515 del 2009; n. 18012 e n. 6898 del 2008).













In applicazione di detti principi, le censure in esame sono manifestamente fondate nella parte in cui il decreto ha liquidato l'equa riparazione nella misura di Euro 500,00 per anno di ritardo, in considerazione del non rilevante valore economico della causa.













Infatti, si tratta di circostanza certo valutabile e che, tuttavia, legittimava una riduzione del parametro minimo della Corte EDU che, secondo l'orientamento di questa Corte, per essere ragionevole non poteva scendere al di sotto di Euro 750,00 per anno di ritardo.













In relazione alle censure accolte, il decreto deve essere cassato con conseguente assorbimento dei motivi concernenti le spese, dovendo comunque esserne effettuata la riliquidazione - e la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.













Pertanto, in applicazione dello standard minimo CEDU - che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius -, individuato nella somma di Euro 750,00 per ciascun anno di ritardo il parametro di indennizzo del danno non patrimoniale (la motivazione della Corte d'appello sullo scarso interesse per il giudizio non è stata adeguatamente censurata e permette di applicare detto parametro), va riconosciuta all'istante la complessiva somma di Euro 500,00, in relazione agli anni eccedenti il triennio (mesi otto, come incensurabilmente accertato dal giudice del merito), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.













Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza - distratte in favore del difensore, per dichiarazione di anticipo - quanto al giudizio di merito e per la metà quanto alla presente fase, dichiarando compensata la residua parte, sussistendo giusti motivi, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso.













P.Q.M.













La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dall'avv. M. A.L., in proprio, quale antistatario; accoglie i primi sei motivi ed il decimo motivo del ricorso, per quanto di ragione, nei termini precisati in motivazione - assorbiti i restanti motivi, concernenti la liquidazione delle spese del giudizio -, cassa il decreto impugnalo e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere alla ricorrente la complessiva somma di Euro 500,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo ed oltre alle spese processuali - per la metà, quanto alla presente fase, compensandosi la restante parte - distratte in favore dell'avv. M.A.L. e liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 905,00 (di cui Euro 385,00 per diritti ed Euro 420,00 per onorari) e, quanto al giudizio di legittimità - per la metà, dichiarando compensata la residua parte - in Euro 450,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.





Dispone che la Cancelleria provveda alle comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.







Così deciso in Roma, il 30 settembre 2009.







Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2009.

Alcune precisazioni sulla quantificazione del danno da irragionevole durata del processo

Equa riparazione, quantificazione del danno non patrimoniale, criteri, precisazioni



Cassazione civile , sez. I, sentenza 14.10.2009 n° 21840






La quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo. Tuttavia, tale cifra deve valere in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non deve essere inferiore a euro 1000 per quelli successivi, in quanto l'irragionevole durata eccedente quest’ultimo periodo determina uevidente aggravamento del danno. (1-2)






(*) Riferimenti normativi: Legge n. 89/2001.


1) In tema di ansia come danno non patrimoniale derivante da irragionevole durata del processo, si veda Corte d'Appello Potenza, sez. lavoro, decreto 10.03.2009.


(2) Si veda il focus di L. Viola: Equa riparazione da irragionevole durata del processo: le novità giurisprudenziali.






(Fonte: Altalex Massimario 41/2009. Cfr. nota di Giuseppe Mommo)





SEZIONE I CIVILE






Sentenza 14 ottobre 2009, n. 21840




Svolgimento del processo






I.V. adiva la Corte d'appello di Napoli, allo scopo di ottenere l'equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al T.a.r. per la Campania, avente ad oggetto la corresponsione di contributi per l'assistenza prestata ad un proprio familiare, proposto nel luglio 1997, deciso con sentenza del 16.3.01, appellata innanzi al Consiglio di Stato.






La Corte d'appello, con decreto del 24.1.2006, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre (in relazione alla domanda concernente il giudizio di primo grado), liquidava per il danno non patrimoniale, per il tempo eccedente detto termine (mesi otto), Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo, quindi, complessivi Euro 334,00, oltre interessi legali dalla data del decreto, condannando la Presidenza del Consiglio dei ministri a pagare le spese del giudizio.






Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso, I. V., affidato a dieci motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.






Motivi della decisione






1.- La ricorrente, con i motivi da 1 a 6 e 10^, denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 6 1 CEDU, della L. n. 89 del 2001 e degli artt. 112 e 132 c.p.c., nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5); dopo avere richiamato una serie di sentenze della Corte di Strasburgo e di questa Corte, sulla premessa dell'efficacia vincolante per il giudice nazionale sia della CEDU, sia della giurisprudenza della Corte EDU, pone le seguenti questioni (riassunte nel primo motivo, ma sostanzialmente reiterate negli altri mezzi, anche in difformità rispetto alla sintesi datane nella rubrica degli stessi):






la liquidazione dell'equa riparazione andrebbe effettuata avendo riguardo all'intera durata del giudizio; il giudice nazionale non potrebbe discostarsi dal parametro stabilito dal giudice europeo (Euro 1.500,00 per anno); nelle cause concernenti controversie di lavoro e/o previdenziali dovrebbe essere riconosciuto un bonus di Euro 2.000,00 e, se il giudice nazionale ciò non fa, incorrerebbe in omessa pronuncia e vizio di motivazione (motivi 2-4 e 6), mentre il ritardo nel deposito dell'istanza di prelievo potrebbe rilevare esclusivamente ai fini della quantificazione del risarcimento (motivo 5); in relazione a detti profili la motivazione del decreto sarebbe viziata (motivo 10).






1.1.- Con i motivi da 7 a 9, è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 6 CEDU e dell'art. 1 del protocollo addizionale, degli artt. 91 e 92 c.p.c., delle tariffe professionali ed omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.), nonchè difetto di motivazione nella parte in cui il decreto avrebbe quantificato in misura insufficiente le spese del giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, art. 132 c.p.c.), discostandosi dai criteri della Corte EDU e dalle liquidazioni operate da questa Corte, non applicando le voci della tariffa prevista per i giudizi contenziosi e riducendo senza motivazione gli importi asseritamente dovuti.






2.- Il ricorso proposto dall'avv. M.A.L., in proprio, quale antistatario, e inammissibile, perchè proposto da soggetto non legittimato.






Secondo l'orientamento di questa Corte, al quale va data continuità, la qualità di procuratore della parte nei cui confronti è stata pronunziata la sentenza impugnata non abilita il suo titolare alla proposizione dell'impugnazione in proprio, neanche quando si controverta unicamente sul punto delle spese processuali, salvo che lo stesso procuratore non ne sia dichiarato antistatario ed i motivi delle proposte censure attengano alla concessione della distrazione (Cass., n. 20321 del 2005; n. 4973 del 1993; n. 7597 del 1990).






Pertanto, resta preclusa al difensore distrattario l'impugnazione in proprio, con riferimento alla pronuncia sulle spese, quando essa attenga alla loro adeguatezza, ovvero all'an, poichè in questa ipotesi l'unica legittimata a sollevare doglianze in merito è la parte rappresentata, quale soggetto comunque obbligato, nel rapporto con il professionista, a soddisfarlo delle sue pretese (Cass. n. 16717 del 2008, n. 11566 del 2008). Il difensore che ha chiesto la distrazione diviene, infatti, parte del giudizio solo nel caso in cui sorga controversia sul provvedimento che ha disposto la distrazione o se il giudice a quo abbia omesso di provvedere sull'istanza (Cass., n. 20121 del 2005; n. 13290 del 2003; n. 12204 del 2003).






In relazione a detto ricorso non deve essere resa pronuncia sulle spese, in quanto la Presidenza del Consiglio dei ministri non ha svolto attività difensiva in riferimento al medesimo.






3.- Preliminarmente, va ribadito che alla pronuncia di accoglimento parziale per manifesta fondatezza, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, non ostano le conclusioni del F.G., poichè che la decisione del ricorso presenta aspetti d'evidenza compatibili con l'immediata decisione, sia pure in senso difforme a dette conclusioni (Cass. n. 5704 del 2008; n. 23842 e n. 13748 del 2007).






I motivi sintetizzati nel p. 1, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente fondati entro i termini e nei limiti di seguito precisati.






Alle questioni poste con detti mezzi va data soluzione ribadendo i seguenti principi, più volti affermati da questa Corte:






il giudice italiano deve interpretare la L. n. 89 del 2001 in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della L. n. 89 del 2001; qualora ciò non sia possibile ed egli dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto all'art. 117 Cost., comma 1, restando escluso che possa procedere alla "non applicazione" della prima (Corte cost. n. 348 e n. 349 del 2007; in riferimento alla legge in esame Cass. S.U. n. 1338 del 2004);






la precettività, per il giudice nazionale, della giurisprudenza della Corte EDU non concerne il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo per l'equa riparazione, essendo per il primo vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è rilevante soltanto il periodo eccedente il termine ragionevole, in virtù di una modalità di calcolo che non incide sulla complessiva attitudine di detta legge ad assicurare l'obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata de processo (per tutte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 1566 e n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007);






i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea, che ha fissato un parametro tendenziale di Euro 1.000,00/Euro 1.500,00 per anno, non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali:






l'entità della "posta in gioco", apprezzata in comparazione con la situazione economico-patrimoniale della parte, che questa ha l'onere di allegare e dedurre; il "numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento"; il comportamento della parte istante, sicchè rileva anche il ritardo c/o la mancata presentazione della cd. istanza di prelievo, la quale non incide sul termine di durata ragionevole, ma bene può essere assunto come sintomo di uno attenuato interesse per la controversia; per tutte, Cass. n. 4572 e n. 3515 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, a quelle da ultimo richiamate, aggiungi Cass. n. 6039 del 2009; n. 6898 del 2008);






in virtù della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano, elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale (costituiti appunto, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell'istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l'esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, la quantificazione, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservalo in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di L. 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l'irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno;






le norme disciplinatrici della fattispecie non permettono di riconoscere una ulteriore somma arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell'oggetto e della natura della controversia, poichè il giudice europeo ha affermato che una somma più elevata rispetto al suindicato parametro va riconosciuta, qualora la controversia rivesta una certa importanza, facendo un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali, senza che ciò implichi alcun automatismo, significando soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008); quindi, il giudice del merito può attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, restando escluso uno specifico obbligo di motivazione e/o di pronuncia sul punto, da ritenersi quest'ultima implicita nella liquidazione del danno, con la conseguenza che, se il giudice non si pronuncia sul cd. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (così, tra le altre, Cass. n. 7073, n. 6039 e n. 3515 del 2009; n. 18012 e n. 6898 del 2008).






In applicazione di detti principi, le censure in esame sono manifestamente fondate nella parte in cui il decreto ha liquidato l'equa riparazione nella misura di Euro 500,00 per anno di ritardo, in considerazione del non rilevante valore economico della causa.






Infatti, si tratta di circostanza certo valutabile e che, tuttavia, legittimava una riduzione del parametro minimo della Corte EDU che, secondo l'orientamento di questa Corte, per essere ragionevole non poteva scendere al di sotto di Euro 750,00 per anno di ritardo.






In relazione alle censure accolte, il decreto deve essere cassato con conseguente assorbimento dei motivi concernenti le spese, dovendo comunque esserne effettuata la riliquidazione - e la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.






Pertanto, in applicazione dello standard minimo CEDU - che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius -, individuato nella somma di Euro 750,00 per ciascun anno di ritardo il parametro di indennizzo del danno non patrimoniale (la motivazione della Corte d'appello sullo scarso interesse per il giudizio non è stata adeguatamente censurata e permette di applicare detto parametro), va riconosciuta all'istante la complessiva somma di Euro 500,00, in relazione agli anni eccedenti il triennio (mesi otto, come incensurabilmente accertato dal giudice del merito), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.






Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza - distratte in favore del difensore, per dichiarazione di anticipo - quanto al giudizio di merito e per la metà quanto alla presente fase, dichiarando compensata la residua parte, sussistendo giusti motivi, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso.






P.Q.M.






La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dall'avv. M. A.L., in proprio, quale antistatario; accoglie i primi sei motivi ed il decimo motivo del ricorso, per quanto di ragione, nei termini precisati in motivazione - assorbiti i restanti motivi, concernenti la liquidazione delle spese del giudizio -, cassa il decreto impugnalo e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere alla ricorrente la complessiva somma di Euro 500,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo ed oltre alle spese processuali - per la metà, quanto alla presente fase, compensandosi la restante parte - distratte in favore dell'avv. M.A.L. e liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 905,00 (di cui Euro 385,00 per diritti ed Euro 420,00 per onorari) e, quanto al giudizio di legittimità - per la metà, dichiarando compensata la residua parte - in Euro 450,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.


Dispone che la Cancelleria provveda alle comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.



Così deciso in Roma, il 30 settembre 2009.



Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2009.

domenica 29 novembre 2009

Le annotazioni contabili effettuate dal portiere non sono utilizzabili ai fini della ricostruzione delle spese sostenute dal condominio



(26/11/2009)

Corte d'Appello Napoli Sezione II Civile, Sentenza del 1 settembre 2009, n. 2593





La quantificazione delle spese sostenute dal condominio può essere effettuata unicamente sulla base della documentazione fiscalmente idonea e cioè recante data certa, nonché l'identificazione dei soggetti che effettuano e ricevono le prestazioni e l'identificazione precisa della spesa; gli scritti e le annotazioni provenienti da terze persone, anche se legate al condominio da un rapporto di lavoro, come accade per i portieri, non solo non sono utilizzabili a tale medesimo fine, ma non hanno alcun valore probatorio circa l'esistenza di entrate o uscite imputabili al condominio.









Le annotazioni contabili effettuate dal portiere non sono utilizzabili ai fini della ricostruzione delle spese sostenute dal condominio

(26/11/2009)
Corte d'Appello Napoli Sezione II Civile, Sentenza del 1 settembre 2009, n. 2593


La quantificazione delle spese sostenute dal condominio può essere effettuata unicamente sulla base della documentazione fiscalmente idonea e cioè recante data certa, nonché l'identificazione dei soggetti che effettuano e ricevono le prestazioni e l'identificazione precisa della spesa; gli scritti e le annotazioni provenienti da terze persone, anche se legate al condominio da un rapporto di lavoro, come accade per i portieri, non solo non sono utilizzabili a tale medesimo fine, ma non hanno alcun valore probatorio circa l'esistenza di entrate o uscite imputabili al condominio.




news dalla Suprema Corte

SENTENZA N. 22823 DEL 28 OTTOBRE 2009











LAVORO SUBORDINATO - STAGIONALITA' - PROTRAZIONE NEGLI ANNI DEL RAPPORTO - PART TIME VERTICALE





In tema di lavoro stagionale, è valida la pattuizione con la quale le parti dispongono che il rapporto di lavoro stagionale tra loro intercorrente prosegua per vari anni e non si estingua alla fine di ciascuna stagione, essendo qualificabile il relativo rapporto come lavoro subordinato part-time di tipo verticale.



Testo Completo: Sentenza n. 22823 del 28 ottobre 2009



(Sezione Lavoro, Presidente G. Sciarelli, Relatore S. Monaci)

news dalla Suprema Corte

SENTENZA N. 22823 DEL 28 OTTOBRE 2009





LAVORO SUBORDINATO - STAGIONALITA' - PROTRAZIONE NEGLI ANNI DEL RAPPORTO - PART TIME VERTICALE


In tema di lavoro stagionale, è valida la pattuizione con la quale le parti dispongono che il rapporto di lavoro stagionale tra loro intercorrente prosegua per vari anni e non si estingua alla fine di ciascuna stagione, essendo qualificabile il relativo rapporto come lavoro subordinato part-time di tipo verticale.

Testo Completo: Sentenza n. 22823 del 28 ottobre 2009

(Sezione Lavoro, Presidente G. Sciarelli, Relatore S. Monaci)
Animali,cani,guinzagli,comuni,contestazione immediata,contestazione differita, ausiliari del traffico



http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=88976&idCat=120

"Per contro va ricordato che in tema di sanzioni amministrative, ad eccezione delle infrazioni al codice della strada, per le quali vige una disciplina specifica, l’art.14 della legge 24 novembre 1981,n.689, consente la contestazione differita della violazione quando non vi sia stata possibilità – condizione da intendere in senso ampio – di contestazione immediata. Ne consegue la possibilità di indicare le ragioni del differimento della contestazione anche in sede giudiziaria, come lo stesso ricorrente afferma essere avvenuto nella specie, qualora l’opponente sollevi contestazione sul punto. (Cass. 4287/05; 3128/05)."















CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE



SECONDA SEZIONE CIVILE



SENTENZA



Fatto e diritto



Il Giudice di Pace di Carovilli con sentenza del 31/12/2005 rigettava l’opposizione proposta da […] avverso il Comune di Pescolanciano, per l’annullamento del verbale di due ordinanze ingiunzione – n.3 e 4 del 2005 – emesse dal Sindaco di quel comune, per sanzionare la circolazione in centro abitato di due cani privi di guinzaglio e museruola. Rilevava che non era necessaria la contestazione immediata delle violazioni; che la contestazione successiva era stata adeguata e che risultava incontrovertibilmente che i cani del […] circolavano liberamente e incustoditi in prossimità di abitazioni.



[…] ha proposto ricorso per cassazione, notificato l’8 luglio 2006. Il Comune di Pescolanciano ha resistito con controricorso.



Avviata la trattazione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, il procuratore generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso perché manifestamente fondato.



Preliminarmente va disatteso il rilievo, contenuto in controricorso, relativo al disposto dell’art.366 bis c.p.c. e alla mancata formulazione dei quesiti ivi previsti. La norma è erroneamente invocata, poiché essa si applica ai ricorsi avverso sentenze rese dopo il 2 marzo 2006, mentre quella impugnata è stata pronunciata nel 2005.





Con il primo e secondo motivo di ricorso il […] lamenta che non sia stata dichiarata la nullità delle ordinanze opposte, in quanto non precedute da contestazione immediata dell’illecito o almeno dalla mancata indicazione dei motivi che avevano reso impossibile la contestazione stessa.



Le censure non hanno pregio. Per sostenerle il ricorrente invoca principi dettati da questa Corte con riferimento alle violazioni del codice della strada, rette dalla normativa speciale. Per contro va ricordato che in tema di sanzioni amministrative, ad eccezione delle infrazioni al codice della strada, per le quali vige una disciplina specifica, l’art.14 della legge 24 novembre 1981,n.689 [1], consente la contestazione differita della violazione quando non vi sia stata possibilità – condizione da intendere in senso ampio – di contestazione immediata. Ne consegue la possibilità di indicare le ragioni del differimento della contestazione anche in sede giudiziaria, come lo stesso ricorrente afferma essere avvenuto nella specie, qualora l’opponente sollevi contestazione sul punto. (Cass. 4287/05; 3128/05).



Risulta invece fondato il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta che non sia stata indicata la norma di legge violata, ma soltanto un’ordinanza comunale, che vieta la circolazione degli animali in centro abitato. Deduce inoltre che egli aveva rispettato l’ordinanza, poiché il proprio cane si trovava lungo un tratturo nei pressi della propria abitazione e non nel centro abitato. La sentenza impugnata presta il fianco alla doglianza, (che non è inammissibile censura di merito, ma attiene alla motivazione resa sul punto relativo alla nozione di centro abitato), giacché il Giudice di Pace ha desunto l’esistenza della violazione dal fatto che i cani del […] circolavano liberamente "in prossimità di altre abitazioni, e dunque nel pieno centro abitato del comune", circostanza riscontrata dalla cartografia in atti. Il giudicante ha quindi equiparato al centro abitato la presenza di alcune abitazioni, ma tale equiparazione è concettualmente errata, poiché la mera presenza di "altre abitazioni" (è da intendere oltre quella dell’opponente) non è di per sé prova della ubicazione in centro abitato. È invece positivo riscontro del contrario, poiché altrimenti sia il verbale, contestato sul punto, che la sentenza avrebbero potuto (e dovuto) indicare il nome della via in cui avvenne il fatto e gli altri elementi oggettivi e inequivocabili che connotano la nozione di centro abitato, senza ricorrere a un’indicazione presuntiva talmente vaga da fornire implicitamente prova della inconsistenza dell’ipotesi sostenuta.



Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo anche con riguardo al giudizio di primo grado.



Si fa luogo, con decisione ex art.384 c.p.c., all’accoglimento dell’originaria opposizione, giacché non sono da esperire ulteriori accertamenti di fatto per dichiarare la nullità degli atti opposti, a causa dell’errata nozione di centro abitato applicata dal Giudice di Pace.



P.Q.M.



La Corte rigetta primo e secondo motivo di ricorso. Accoglie il terzo. Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione originaria. Condanna parte controricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in euro 600,00 per onorari e 100,00 per esborsi, quanto al giudizio di primo grado e in euro 400,00 per onorari e 200 per spese con riguardo al giudizio di legittimità, oltre accessori di legge.





Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile tenuta il 20 maggio 2009.





DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 NOVEMBRE 2009-11-18











Animali,cani,guinzagli,comuni,contestazione immediata,contestazione differita, ausiliari del traffico

http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=88976&idCat=120
"Per contro va ricordato che in tema di sanzioni amministrative, ad eccezione delle infrazioni al codice della strada, per le quali vige una disciplina specifica, l’art.14 della legge 24 novembre 1981,n.689, consente la contestazione differita della violazione quando non vi sia stata possibilità – condizione da intendere in senso ampio – di contestazione immediata. Ne consegue la possibilità di indicare le ragioni del differimento della contestazione anche in sede giudiziaria, come lo stesso ricorrente afferma essere avvenuto nella specie, qualora l’opponente sollevi contestazione sul punto. (Cass. 4287/05; 3128/05)."







CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

SENTENZA

Fatto e diritto

Il Giudice di Pace di Carovilli con sentenza del 31/12/2005 rigettava l’opposizione proposta da […] avverso il Comune di Pescolanciano, per l’annullamento del verbale di due ordinanze ingiunzione – n.3 e 4 del 2005 – emesse dal Sindaco di quel comune, per sanzionare la circolazione in centro abitato di due cani privi di guinzaglio e museruola. Rilevava che non era necessaria la contestazione immediata delle violazioni; che la contestazione successiva era stata adeguata e che risultava incontrovertibilmente che i cani del […] circolavano liberamente e incustoditi in prossimità di abitazioni.

[…] ha proposto ricorso per cassazione, notificato l’8 luglio 2006. Il Comune di Pescolanciano ha resistito con controricorso.

Avviata la trattazione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, il procuratore generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso perché manifestamente fondato.

Preliminarmente va disatteso il rilievo, contenuto in controricorso, relativo al disposto dell’art.366 bis c.p.c. e alla mancata formulazione dei quesiti ivi previsti. La norma è erroneamente invocata, poiché essa si applica ai ricorsi avverso sentenze rese dopo il 2 marzo 2006, mentre quella impugnata è stata pronunciata nel 2005.


Con il primo e secondo motivo di ricorso il […] lamenta che non sia stata dichiarata la nullità delle ordinanze opposte, in quanto non precedute da contestazione immediata dell’illecito o almeno dalla mancata indicazione dei motivi che avevano reso impossibile la contestazione stessa.

Le censure non hanno pregio. Per sostenerle il ricorrente invoca principi dettati da questa Corte con riferimento alle violazioni del codice della strada, rette dalla normativa speciale. Per contro va ricordato che in tema di sanzioni amministrative, ad eccezione delle infrazioni al codice della strada, per le quali vige una disciplina specifica, l’art.14 della legge 24 novembre 1981,n.689 [1], consente la contestazione differita della violazione quando non vi sia stata possibilità – condizione da intendere in senso ampio – di contestazione immediata. Ne consegue la possibilità di indicare le ragioni del differimento della contestazione anche in sede giudiziaria, come lo stesso ricorrente afferma essere avvenuto nella specie, qualora l’opponente sollevi contestazione sul punto. (Cass. 4287/05; 3128/05).

Risulta invece fondato il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta che non sia stata indicata la norma di legge violata, ma soltanto un’ordinanza comunale, che vieta la circolazione degli animali in centro abitato. Deduce inoltre che egli aveva rispettato l’ordinanza, poiché il proprio cane si trovava lungo un tratturo nei pressi della propria abitazione e non nel centro abitato. La sentenza impugnata presta il fianco alla doglianza, (che non è inammissibile censura di merito, ma attiene alla motivazione resa sul punto relativo alla nozione di centro abitato), giacché il Giudice di Pace ha desunto l’esistenza della violazione dal fatto che i cani del […] circolavano liberamente "in prossimità di altre abitazioni, e dunque nel pieno centro abitato del comune", circostanza riscontrata dalla cartografia in atti. Il giudicante ha quindi equiparato al centro abitato la presenza di alcune abitazioni, ma tale equiparazione è concettualmente errata, poiché la mera presenza di "altre abitazioni" (è da intendere oltre quella dell’opponente) non è di per sé prova della ubicazione in centro abitato. È invece positivo riscontro del contrario, poiché altrimenti sia il verbale, contestato sul punto, che la sentenza avrebbero potuto (e dovuto) indicare il nome della via in cui avvenne il fatto e gli altri elementi oggettivi e inequivocabili che connotano la nozione di centro abitato, senza ricorrere a un’indicazione presuntiva talmente vaga da fornire implicitamente prova della inconsistenza dell’ipotesi sostenuta.

Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo anche con riguardo al giudizio di primo grado.

Si fa luogo, con decisione ex art.384 c.p.c., all’accoglimento dell’originaria opposizione, giacché non sono da esperire ulteriori accertamenti di fatto per dichiarare la nullità degli atti opposti, a causa dell’errata nozione di centro abitato applicata dal Giudice di Pace.

P.Q.M.

La Corte rigetta primo e secondo motivo di ricorso. Accoglie il terzo. Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione originaria. Condanna parte controricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in euro 600,00 per onorari e 100,00 per esborsi, quanto al giudizio di primo grado e in euro 400,00 per onorari e 200 per spese con riguardo al giudizio di legittimità, oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile tenuta il 20 maggio 2009.


DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 NOVEMBRE 2009-11-18





lunedì 23 novembre 2009

Rito sommario di cognizione: le prime pronunce

Rito sommario di cognizione



Rito sommario di cognizione: la prima decisione (illustrativa) è del Tribunale di Varese





Il rito sommario non può iscriversi nell’alveo dei procedimenti a cognizione sommaria. Pare, in particolare, da condividere l’opinione di chi ha parlato di “rito semplificato” di cognizione.



L’ultimo momento utile per delimitare il ventaglio delle richieste istruttorie è l’udienza di prima comparizione, ove le parti possono specificare le prove già richieste nei propri atti o formulare istanza per quelle determinate dall’altrui difesa.



Le parti possono formulare richieste istruttorie sino alla pronuncia del giudice in ordine alla decidibilità della controversia con le forme del sommario (art. 702-ter, comma V, c.p.c.) e, dunque, sino all’ordinanza che provvede sulle richieste di prova indicando gli atti di istruzione ritenuti rilevanti.



In ordine alla decidibilità nelle forme del sommario (…) il giudice è chiamato a valutare nell’ordine:



a. l’oggetto “originario” del processo ed i fatti costitutivi della domanda (anche in relazione al valore della causa);



b. le eventuali domande riconvenzionali e quelle nei confronti di terzi e le difese svolte in sede di costituzione dal convenuto e dai terzi;



c. l’impostazione complessiva del sistema difensivo del convenuto (e dei terzi), da cui desumere le questioni, di fatto e di diritto, controverse tra le parti, tenendo anche conto di singole eccezioni di rito e di merito, nonché delle richieste istruttorie già formulate o comunque prospettate quale thema probandum.













Tribunale di Varese - Sezione prima civile - ordinanza 18 novembre 2009













Giudice Buffone













































L’attrice evoca in giudizio la convenuta assumendo di avere versato a favore di quest’ultima la complessiva somma di euro 8.120,00 ma di non avere ricevuto, come previsto dal sinallagma pattuito, la controprestazione pari ad una partita di fornitura di capi di abbigliamento. Chiede, per l’effetto, il risarcimento del danno (in via equitativa) e la ripetizione dell’importo versato a titolo di corrispettivo, previa declaratoria dell’inadempimento del partner negoziale.





























1. Verifiche preliminari













L’odierna controversia rientra tra quelle indicate nell’art. 702-bis, comma I, c.p.c. e, prima facie, è sussistente la competenza territoriale di questo Tribunale.













Preliminare alla decisione in ordine alle richieste istruttorie è la previa qualificazione giuridica del rito sommario di cognizione, nel senso di procedimento di plena cognitio ovvero nel senso di tutela sommaria. Come noto, la dottrina sul punto è divisa. Secondo taluni il rito sommario dovrebbe farsi confluire nei procedimenti sommari non cautelari, tenuto conto della sua collocazione topografica nel codice di rito e vista la sua stessa definizione legislativa. Alcuni commentatori, peraltro, qualificano il suddetto rito come bifasico: il primo grado sarebbe la fase sommaria del giudizio; il secondo grado sarebbe la fase a cognizione piena e, dunque, non un appello.













Altra dottrina reputa che il rito sommario sia a tutti gli effetti un rito ordinario a cognizione piena, atteso che, tra l’altro, si conclude con un provvedimento che passa in giudicato.













A parere di questo giudice, va condivisa l’opinione di quanti in dottrina hanno ritenuto che il rito sommario non possa iscriversi nell’alveo dei procedimenti a cognizione sommaria. Pare, in particolare, da condividere l’opinione di chi ha parlato di “rito semplificato” di cognizione. Diverse sono le ragioni che conducono a ritenere tale conclusioni l’unica corretta, all’esito del procedimento ermeneutico:













a) in primo luogo, è prevista espressamente la “comunicabilità” tra il rito sommario di cognizione e quello ordinario, atteso che la conversione determina il passaggio di una controversia tra binari paralleli, non ipotizzabile, certo, ove si trattasse di riti ontologicamente differenziati;













b) vi è, poi, che la delega legislativa contenuta nella Legge 69/2009 propone, de jure condendo, la concentrazione dei procedimenti civili in tre soli riti di cognizione ove spicca anche il sommario che è collocato nell’ambito dei procedimenti civili di natura contenziosa nei quali prevalgono caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione: aver richiamato, come uno dei tre modelli di riferimento, il procedimento “sommario” sta a significare che quest’ultimo si colloca al di fuori delle tutele sommarie;













c) l’ordinanza con cui viene definito il procedimento sommario di cognizione produce gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. (art. 702-quater, comma I, c.p.c.) e, dunque, come si è autorevolmente scritto, è un processo di cognizione speciale, alternativo al processo a cognizione piena ed idoneo ad impartire tutela dichiarativa nella stessa identica misura di quest’ultimo.













Ne segue - come si è abilmente sostenuto in dottrina - che il procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis ss. c.p.c. “è in realtà un processo a cognizione piena, poiché nella sua destinazione prevale la funzione di accertare definitivamente chi ha ragione e chi ha torto tra le parti, rispetto alle funzioni che sono proprie dei procedimenti sommari, ma sono completamente assenti dal profilo legislativo di questo istituto”.





























2. Istruzione sommaria













Reputa, preliminarmente, questo giudice, che le difese svolte dalle parti non richiedano una istruzione non sommaria e che, per l’effetto, l’attuale controversia possa essere decisa con le forme del processo sommario di cognizione.













Si badi: se il giudice deve decidere sulle sorti del sommario alla prima udienza (fissata ex art. 702-bis, comma III, c.p.c.), ciò vuol dire che la piattaforma probatoria deve essersi per tale momento processuale già stabilizzata, quanto fa ritenere che la natura fisiologica del rito e la sua auspicata celerità impongano alle parti di individuare il thema probandum già negli scritti introduttivi del giudizio, seppur nelle forme snelle del sommario e, dunque, senza le solennità tipiche del giudizio ordinario (ad es., articolazione dei capitoli per i testi). Si vuol dire che l’ultimo momento utile per delimitare il ventaglio delle richieste istruttorie è l’udienza di prima comparizione, ove le parti possono specificare le prove già richieste nei propri atti o formulare istanza per quelle determinate dall’altrui difesa; si può dubitare circa l’articolazione - solo all’udienza di prima comparizione - di “nuove prove” dirette, diverse da quelle già previste negli atti introduttivi, atteso che il sommario, se è snello nell’istruzione, è formale e procedimentalizzato nell’introduzione. E, però, ragioni di ordine sistematico e di coerenza con il rito, impongono di ritenere che le parti possono formulare richieste istruttorie sino alla pronuncia del giudice in ordine alla decidibilità della controversia con le forme del sommario (art. 702-ter, comma V, c.p.c.) e, dunque, sino all’ordinanza che provvede sulle richieste di prova indicando gli atti di istruzione ritenuti rilevanti. Oltre tale sbarramento, alle parti non è consentito dedurre nuovi mezzi di prova poiché si incorrerebbe nel rischio di favorire atteggiamenti difensivi secundum eventum litis, ovvero meramente orientanti a provocare una conversione del rito ove al percorso scelto dal giudice per l’istruzione del sommario si ritenga di preferire il procedimento ordinario. Resta salvo il potere di provvedere a nuovi mezzi di prova ex officio, anche su impulso delle parti, dopo o durante l’istruzione probatoria, ove il giudice lo ritenga necessario, ma senza che possa più provvedersi alla conversione del rito.













Quanto alla valutazione in ordine alla decidibilità nelle forme del sommario, questo giudice reputa di dovere aderire ai suggerimenti dei primi commentatori della riforma (legge 18 giugno 2009 n. 69), secondo i quali il giudice è chiamato a valutare nell’ordine:













a. l’oggetto “originario” del processo ed i fatti costitutivi della domanda (anche in relazione al valore della causa);













b. le eventuali domande riconvenzionali e quelle nei confronti di terzi e le difese svolte in sede di costituzione dal convenuto e dai terzi;













c. l’impostazione complessiva del sistema difensivo del convenuto (e dei terzi), da cui desumere le questioni, di fatto e di diritto, controverse tra le parti, tenendo anche conto di singole eccezioni di rito e di merito, nonché delle richieste istruttorie già formulate o comunque prospettate quale thema probandum.













Il parametro valutativo da assumere quale primario riferimento per il giudizio di “decidibilità” nelle forme del sommario è, dunque, sicuramente l’“oggetto” della causa ed il complesso articolato di difese ed eccezioni introitate nel giudizio, passando, anche, per le richieste istruttorie articolate dalle parti e le eventuali istanze per la estensione del contraddittorio ad altri soggetti. Non è un caso che l’art. 702-ter, comma III, c.p.c. richiami espressamente “le difese svolte dalle parti”, ai fini della eventuale conversione.













All’esito delle valutazioni che precedono, il giudice, tenuto conto della complessità oggettiva e soggettiva della causa, deve prefigurarsi il percorso che, a suo giudizio, si prospetta per la decisione e, dunque, verificarne la sua compatibilità con le forme semplificate. La compatibilità va esclusa ove venga meno uno degli assi portanti del giudizio sommario e, cioè: I) celerità dei tempi e II) snellezza delle forme.













Sulla scorta delle osservazioni dell’autorevole dottrina, il giudice, però, può anche valutare tout court l’eventuale manifesta fondatezza/infondatezza della domanda (detto a contrario, la manifesta infondatezza/fondatezza della difese del convenuto) ove, ad esempio, nonostante la complessità globale del giudizio, una questione di diritto sia idonea a risolvere la lite.













Alla luce delle argomentazioni sin qui svolte, l’istruzione sommaria è quella che dà la stura ad un processo (in concreto) veloce e snello, a prescindere dall’eventuale complessità (in astratto) del fascicolo del procedimento.













Orbene, applicando le regole di diritto sin qui illustrate al caso di specie, è chiaro che sia non solo possibile ma anche opportuna una istruzione sommaria. Ed, infatti, va in primo luogo osservato che l’azione esperita può beneficiare di un riparto degli oneri probatori di favore per il creditore (art. 1218 c.c. come interpretato dalle SS.UU. 13533/2001), cosicché l’istruzione è circoscritta ad una verifica del titolo negoziale (documentale) e dell’esatto adempimento (onere probatorio gravante sul debitore). Va, poi, rilevato che il processo presenta un indice minimo di complessità soggettiva (due parti) e che non è stato esteso il perimetro del procedimento, vuoi in senso soggettivo (vocatio in ius di terzi), vuoi in senso oggettivo (domande riconvenzionali).













Per tali motivi, non va disposta la conversione ex art. 702-ter, comma III, c.p.c. e può provvedersi alla decisione in ordine agli atti di istruzione cui provvedere.





























3. Atti di istruzione













L’attore ha dedotto ed allegato documentalmente il proprio adempimento, avendo fornito prova scritta del bonifico effettuato nei confronti della convenuta. Ha, poi, dato prova documentale del rapporto intercorso tra le parti, anche allegando la corrispondenza in itinere intervenuta tra i contraenti ed avente, essenzialmente, ad oggetto le ragioni per cui, a fronte del pagamento anticipato della merce, il debitore non provvedesse ad eseguire la sua prestazione.













La convenuta non si è costituita.













Orbene, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca ai sensi dell’art. 1218 c.c. deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533 in Corriere Giur., 2001, 12, 1565; Cass. civ., Sez. Unite, 24/03/2006, n. 6572). Ed, infatti, la disciplina dell’onere della prova assume un rilievo particolare nell’ambito dell’inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ove il Codice civile (art. 1218) introduce una presunzione - definita dalla dottrina - “semplificante”, in deroga alla regola generale dell’art. 2697 c.c., accollando al debitore, che non abbia eseguito esattamente la prestazione dovuta, l’onere di provare che l’inadempimento o il ritardo siano stati provocati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (salvo, ovviamente, provare fatti estintivi, modificativi o impeditivi dell’altrui pretesa; es. l’avvenuto esatto adempimento).













Alla luce delle considerazioni che precedono, va rigettata la richiesta di prova orale formulata dall’attrice atteso che, fornita prova documentale del rapporto ed allegato l’altrui inadempimento, è onere del debitore fornire prova liberatoria ex art. 1218 c.c.





























4. Calendario del processo













La Legge 18 giugno 2009 n. 69 ha introdotto nelle disposizioni di attuazione al codice di rito, l’art. 81-bis c.p.c., in virtù del quale, il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati. Reputa questo Tribunale che il calendario del processo non sia applicabile al rito semplificato di cognizione. La funzione della calendarizzazione delle udienze, infatti, risponde all’esigenza di “programmare”, con le parti, la durata del procedimento civile, con indicazione dei singoli arresti procedimentali che si andranno a seguire nel tempo e tanto al fine di garantire un tempo ragionevole di definizione del giudizio. Se, allora, questa è la ratio essa non si rileva sintonica con il giudizio sommario ove, come già si è detto, il rito è già per sua natura celere e snello. Ma vi è di più: l’introduzione del calendario andrebbe a vulnerare la stessa natura ontologica del rito sommario. Si andrebbe, infatti, ad introdurre un elemento di rigidità nell’istruttoria deformalizzata del procedimento semplificato (“il giudice provvede nel modo che ritiene più opportuno”). Non va sottaciuto, poi, che l’art. 81-bis cit. segue all’art. 81 il quale è chiaramente modellato sul processo ordinario di cognizione atteso che regola la fissazione delle singole udienze di istruzione.













Per i motivi illustrati, nel giudizio sommario il giudice non deve provvedere alla fissazione del calendario del processo, atteso che il suddetto incombente non è compatibile con “i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa” (secondo la dizione della delega legislativa conferita per la riorganizzazione dei riti civili, v. legge 69/2009).













Ad ogni modo, non essendovi istruttoria nel caso di specie, il calendario, comunque, non dovrebbe essere annesso alla odierna pronuncia.













La causa va rinviata per la discussione finale, abilitando il difensore a produrre, entro quella data, uno scritto difensivo conclusivo e riepilogativo delle richieste.













P.Q.M.













letto ed applicato l’art. 702-ter, comma V, c.p.c.













rinvia













la causa per la discussione all’udienza del 18 dicembre 2009 ore 10.30.

















































Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...