martedì 13 ottobre 2009

La natura dei Contributi di Bonifica:Quando si paga la tariffa relativa al servizio pubblico di fognatura non sono dovuti ex art. 14, co. 2 L. 36/94



Articolo 05.09.09
La natura dei contributi di bonifica …. storia di un camaleonte giuridico




In origine i contributi di bonifica erano volontari e si configuravano come corrispettivo di un servizio reso nell’interesse dei soci dal consorzio di appartenenza; successivamente, l’art.59 del r.d. 13/02/1933 n.215 li ha resi obbligatori e trasformati in persone giuridiche di diritto pubblico, attribuendo loro la potestà di imporre contributi alle proprietà consorziate.


L’imposizione forzosa di tali contributi ha posto il problema della natura giuridica di questi. Secondo un primo orientamento i contributi consortili non sono assimilabili ai tributi se non per alcuni aspetti, fra cui quello delle modalità di esazione; riprova ulteriore ne è la loro mancata inclusione tra quelli devoluti alla cognizione delle commissioni tributarie in base all’elencazione contenuta nell’art. 2 della legge 546 del 31/12/1992.


Secondo una seconda impostazione, prevalente in dottrina e giurisprudenza, i contributi consortili si configurano, in ragione del dettato normativo posto dagli articoli 860 c.c. e dal r.d. n.215 del 13/02/1933 e successive modifiche, come prestazioni patrimoniali di natura pubblicistica, rientrante nella categoria generale dei tributi (Sentenza 9493 del 23 settembre 1998 della Corte di Cassazione SS.UU. Civ.), e, in particolare, delle tasse, con riguardo ai quali la legge fissa direttamente i presupposti e i requisiti per la spettanza del potere impositivo e l’assoggettamento ad esso, rimanendo affidata alla discrezionalità del consorzio solo la loro quantificazione; per cui, in assenza di detti presupposti e requisiti l’imposizione del tributo si qualifica come illegittima.


L’obbligo di contribuire alle opere di bonifica ha, quindi, quali suoi indefettibili presupposti, ex art. 10 del regio decreto n.215 del 1933 e 860 c.c., la proprietà di un immobile che sia incluso nel perimetro consortile e l’esistenza di uno specifico vantaggio direttamente tratto dalle opere consortili stesse e che si traduca in una utilitas per il fondo (Sentenza 7511/93 della Corte di Cassazione Prima Sez. Civ.). 


A tal fine non è sufficiente che l’utilità sia in rapporto eziologico con l’attività consortile e che si riverberi in favore del proprietario di uno di detti immobili, ma è necessario che tale utilitas si traduca in un vantaggio di tipo fondiario, cioè incidente strettamente sull’immobile stesso(Sentenza 968 del 30 gennaio 1998 della Corte di Cassazione SS.UU. Civ.). Tale vantaggio, inoltre, deve essere diretto e specifico, conseguito o conseguibile a causa della bonifica, tale cioè da tradursi in una qualità del fondo (Cass. S.U. n.8960 del 14/10/1996, in Arch. Loc. 1996, PAG.683).


Inoltre, a conforto della tesi “tributaria” dei contributi consortili, è giunta di recente la legge 448 del 2001 che, all’art.12 comma 2, ha attribuito alla competenza delle commissioni tributarie tutte le controversie aventi ad oggetto i “tributi di ogni genere e specie”, facendovi rientrare, quindi, anche le liti aventi ad oggetto i contributi sulla bonifica.


Un terzo orientamento, minoritario in dottrina (Massimiliano Balloriani, Roberto De Rosa, Salvatore Mezzanotte, Manuale Breve Diritto civile, Percorsi Giuffrè, 2008, pag.189 ss), riconduce i contributi sulla bonifica agli oneri reali. La riconducibilità di tali contributi all’onere reale comporta, perciò solo, la debenza del contributo per il sol fatto che gli immobili si trovino nel comprensorio gestito dal Consorzio per cui, di conseguenza, il beneficio dagli stessi fruibile avrebbe potuto essere anche potenziale o futuro.


Optare per la tesi “tributaria” o per quella “reale” non è soltanto una questione dogmatica ma comporta, invece, diverse conseguenze giuridiche.


Ritenere, infatti, il contributo di bonifica una figura peculiare di tassa impone, perciò solo, al giudice tributario di verificare se le attività del consorzio abbiano effettivamente apportato agli immobili presenti nel comprensorio un beneficio attuale e concreto tale da giustificare il giusto e proporzionato corrispettivo. In concreto, quindi, si dovrà valutare se si è verificato un aumento di valore degli immobili in funzione delle attività, opere o strutture del consorzio come, ad esempio, quelle inerenti l’attività manutentiva dei canali consortili o le opere necessarie volte a preservare gli immobili da alluvioni o frane.


Scegliendo, invece, la tesi dell’onere reale il giudice tributario dovrebbe verificare soltanto la titolarità dell’immobile sito nel perimetro oggetto del raggio d’azione del Consorzio e valutare la congruità della prestazione pecuniaria dovuta all’ente creditore. In caso d’inadempimento il Consorzio potrà espropriare il fondo che fungerà, quindi, da garanzia reale (secondo una certa impostazione l’onere reale costituisce una sorta di obbligazione rafforzata dalla garanzia costituita dal fondo).


A parere di chi scrive i contributi di bonifica rientrano in un tertium genus ossia rientrano tra le prestazioni patrimoniali atipiche (sul punto vedi AA.VV., DIRITTO TRIBUTARIO, 2008, Simone, pag.20).


Il contributo sulla bonifica ha lo schema giuridico dell’imposta ma è dovuto dal singolo proprietario o titolare di altro diritto reale per un particolare vantaggio da lui ricevuto e per le spese da lui provocate e poste a carico dell’ente pubblico.


In definitiva si può affermare che il contributo consortile per la bonifica è una entrata pubblica di natura latamente tributaria che l’ente pubblico impositore realizza sotto forma di prelievo coattivo di ricchezza a carico di determinati soggetti, per il fatto che costoro traggono un vantaggio diretto o indiretto dai servizi di bonifica e manutenzione dei canali d’irrigazione, anche senza che essi li abbiano richiesti.


La difficoltà di collocare nella giusta dimensione giuridica i contributi sulla bonifica comporta anche ulteriori interrogativi sia sulla costituzionalità della legge istitutiva dei consorzi di bonifica e sia sulla possibilità di una sovrapposizione impositiva dovuta ai tributi sul servizio idrico integrato. Con riferimento a questi ultimi, infatti, quando gli immobili sono serviti da rete fognaria i proprietari sono tenuti al pagamento della tariffa relativa al servizio di pubblica fognatura e la legge 36/94, all’art.14 comma 2, esenta costoro dal pagamento di qualsiasi altra tariffa al medesimo titolo dovuta ad altri enti. Inoltre, parecchie leggi regionali (vedi, ad esempio, la legge regionale campana n.4 del 25/02/03) hanno espressamente sancito l’esenzione dal contributo consortile per i privati che sono già contribuenti del servizio di pubblica fognatura del comune di residenza per cui l’ulteriore richiesta del tributo di bonifica diverrebbe illegittimo e, se versato, ripetibile ex art.2033 c.c..


Con riferimento alla costituzionalità della legge istitutiva dei consorzi di bonifica occorre ora valutare la compatibilità del r.d. del 23 con l’117 e 118 della Costituzione nonché con l’art.41, secondo comma, della Carta.


Già prima della modifica del titolo V la legge 59/97 e il dlgs. 112/98 stabilivano che le funzioni della difesa del suolo dovevano essere attribuite ai comuni (che hanno già la competenza in materia di primo intervento di protezione civile) e alle province (che già oggi conformano il territorio con il piano territoriale di coordinamento). In base a tali norme ai consorzi di bonifica residuerebbero soltanto le funzioni che riguardano il servizio irriguo, ossia la fornitura d’acqua alle aziende agricole. Se consideriamo che l’agricoltura è una materia oggetto di competenza legislativa regionale (in quanto non compresa negli elenchi previsti dall’art.117) e il governo del territorio è una materia concorrente ex art.117, secondo comma, sembra evidente che l’attuale normativa sembri contrastare con le attuali esigenze di autonomia legislativa e finanziaria garantita alle regioni. Il r.d. del 23 sembrerebbe contrastare anche con l’art.118, ultimo comma, il quale stabilisce che “Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività d’interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà…”. Del resto l’art.860 c.c., norma successiva al r.d. del 23, stabilisce che “i proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio sono obbligati a contribuire nella spesa necessaria per l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle opere in ragione del beneficio che traggono dalla bonifica….” mentre l’art. 862 c.c. afferma che all’escuzione, alla manutenzione e all’esercizio delle opere di bonifica può provvedersi a mezzo di consorzi tra i proprietari interessati. Solo in assenza dell’iniziativa dei privati questi si costituiscono d’ufficio.


Tuttavia la legge del 23 non consente il consorzio ad iniziativa dei privati contrastando con l’art.118, ultimo comma, mentre il r.d. 23 contrasta con l’art. 41 secondo comma e 42 secondo comma della Costituzione nella parte in cui non prevede le cause di scioglimento di tali forme peculiari di consorzio. Non prevedendo specificamente ed espressamente le cause di scioglimento degli stessi potrebbe provocare una compressione intollerabile del diritto di proprietà e, in particolare, di tutte le attività imprenditoriali, soprattutto agricole, insistenti sul comprensorio di bonifica.
 

La natura dei Contributi di Bonifica:Quando si paga la tariffa relativa al servizio pubblico di fognatura non sono dovuti ex art. 14, co. 2 L. 36/94


Articolo 05.09.09
La natura dei contributi di bonifica …. storia di un camaleonte giuridico


In origine i contributi di bonifica erano volontari e si configuravano come corrispettivo di un servizio reso nell’interesse dei soci dal consorzio di appartenenza; successivamente, l’art.59 del r.d. 13/02/1933 n.215 li ha resi obbligatori e trasformati in persone giuridiche di diritto pubblico, attribuendo loro la potestà di imporre contributi alle proprietà consorziate.

L’imposizione forzosa di tali contributi ha posto il problema della natura giuridica di questi. Secondo un primo orientamento i contributi consortili non sono assimilabili ai tributi se non per alcuni aspetti, fra cui quello delle modalità di esazione; riprova ulteriore ne è la loro mancata inclusione tra quelli devoluti alla cognizione delle commissioni tributarie in base all’elencazione contenuta nell’art. 2 della legge 546 del 31/12/1992.

Secondo una seconda impostazione, prevalente in dottrina e giurisprudenza, i contributi consortili si configurano, in ragione del dettato normativo posto dagli articoli 860 c.c. e dal r.d. n.215 del 13/02/1933 e successive modifiche, come prestazioni patrimoniali di natura pubblicistica, rientrante nella categoria generale dei tributi (Sentenza 9493 del 23 settembre 1998 della Corte di Cassazione SS.UU. Civ.), e, in particolare, delle tasse, con riguardo ai quali la legge fissa direttamente i presupposti e i requisiti per la spettanza del potere impositivo e l’assoggettamento ad esso, rimanendo affidata alla discrezionalità del consorzio solo la loro quantificazione; per cui, in assenza di detti presupposti e requisiti l’imposizione del tributo si qualifica come illegittima.

L’obbligo di contribuire alle opere di bonifica ha, quindi, quali suoi indefettibili presupposti, ex art. 10 del regio decreto n.215 del 1933 e 860 c.c., la proprietà di un immobile che sia incluso nel perimetro consortile e l’esistenza di uno specifico vantaggio direttamente tratto dalle opere consortili stesse e che si traduca in una utilitas per il fondo (Sentenza 7511/93 della Corte di Cassazione Prima Sez. Civ.). 

A tal fine non è sufficiente che l’utilità sia in rapporto eziologico con l’attività consortile e che si riverberi in favore del proprietario di uno di detti immobili, ma è necessario che tale utilitas si traduca in un vantaggio di tipo fondiario, cioè incidente strettamente sull’immobile stesso(Sentenza 968 del 30 gennaio 1998 della Corte di Cassazione SS.UU. Civ.). Tale vantaggio, inoltre, deve essere diretto e specifico, conseguito o conseguibile a causa della bonifica, tale cioè da tradursi in una qualità del fondo (Cass. S.U. n.8960 del 14/10/1996, in Arch. Loc. 1996, PAG.683).

Inoltre, a conforto della tesi “tributaria” dei contributi consortili, è giunta di recente la legge 448 del 2001 che, all’art.12 comma 2, ha attribuito alla competenza delle commissioni tributarie tutte le controversie aventi ad oggetto i “tributi di ogni genere e specie”, facendovi rientrare, quindi, anche le liti aventi ad oggetto i contributi sulla bonifica.

Un terzo orientamento, minoritario in dottrina (Massimiliano Balloriani, Roberto De Rosa, Salvatore Mezzanotte, Manuale Breve Diritto civile, Percorsi Giuffrè, 2008, pag.189 ss), riconduce i contributi sulla bonifica agli oneri reali. La riconducibilità di tali contributi all’onere reale comporta, perciò solo, la debenza del contributo per il sol fatto che gli immobili si trovino nel comprensorio gestito dal Consorzio per cui, di conseguenza, il beneficio dagli stessi fruibile avrebbe potuto essere anche potenziale o futuro.

Optare per la tesi “tributaria” o per quella “reale” non è soltanto una questione dogmatica ma comporta, invece, diverse conseguenze giuridiche.

Ritenere, infatti, il contributo di bonifica una figura peculiare di tassa impone, perciò solo, al giudice tributario di verificare se le attività del consorzio abbiano effettivamente apportato agli immobili presenti nel comprensorio un beneficio attuale e concreto tale da giustificare il giusto e proporzionato corrispettivo. In concreto, quindi, si dovrà valutare se si è verificato un aumento di valore degli immobili in funzione delle attività, opere o strutture del consorzio come, ad esempio, quelle inerenti l’attività manutentiva dei canali consortili o le opere necessarie volte a preservare gli immobili da alluvioni o frane.

Scegliendo, invece, la tesi dell’onere reale il giudice tributario dovrebbe verificare soltanto la titolarità dell’immobile sito nel perimetro oggetto del raggio d’azione del Consorzio e valutare la congruità della prestazione pecuniaria dovuta all’ente creditore. In caso d’inadempimento il Consorzio potrà espropriare il fondo che fungerà, quindi, da garanzia reale (secondo una certa impostazione l’onere reale costituisce una sorta di obbligazione rafforzata dalla garanzia costituita dal fondo).

A parere di chi scrive i contributi di bonifica rientrano in un tertium genus ossia rientrano tra le prestazioni patrimoniali atipiche (sul punto vedi AA.VV., DIRITTO TRIBUTARIO, 2008, Simone, pag.20).

Il contributo sulla bonifica ha lo schema giuridico dell’imposta ma è dovuto dal singolo proprietario o titolare di altro diritto reale per un particolare vantaggio da lui ricevuto e per le spese da lui provocate e poste a carico dell’ente pubblico.

In definitiva si può affermare che il contributo consortile per la bonifica è una entrata pubblica di natura latamente tributaria che l’ente pubblico impositore realizza sotto forma di prelievo coattivo di ricchezza a carico di determinati soggetti, per il fatto che costoro traggono un vantaggio diretto o indiretto dai servizi di bonifica e manutenzione dei canali d’irrigazione, anche senza che essi li abbiano richiesti.

La difficoltà di collocare nella giusta dimensione giuridica i contributi sulla bonifica comporta anche ulteriori interrogativi sia sulla costituzionalità della legge istitutiva dei consorzi di bonifica e sia sulla possibilità di una sovrapposizione impositiva dovuta ai tributi sul servizio idrico integrato. Con riferimento a questi ultimi, infatti, quando gli immobili sono serviti da rete fognaria i proprietari sono tenuti al pagamento della tariffa relativa al servizio di pubblica fognatura e la legge 36/94, all’art.14 comma 2, esenta costoro dal pagamento di qualsiasi altra tariffa al medesimo titolo dovuta ad altri enti. Inoltre, parecchie leggi regionali (vedi, ad esempio, la legge regionale campana n.4 del 25/02/03) hanno espressamente sancito l’esenzione dal contributo consortile per i privati che sono già contribuenti del servizio di pubblica fognatura del comune di residenza per cui l’ulteriore richiesta del tributo di bonifica diverrebbe illegittimo e, se versato, ripetibile ex art.2033 c.c..

Con riferimento alla costituzionalità della legge istitutiva dei consorzi di bonifica occorre ora valutare la compatibilità del r.d. del 23 con l’117 e 118 della Costituzione nonché con l’art.41, secondo comma, della Carta.

Già prima della modifica del titolo V la legge 59/97 e il dlgs. 112/98 stabilivano che le funzioni della difesa del suolo dovevano essere attribuite ai comuni (che hanno già la competenza in materia di primo intervento di protezione civile) e alle province (che già oggi conformano il territorio con il piano territoriale di coordinamento). In base a tali norme ai consorzi di bonifica residuerebbero soltanto le funzioni che riguardano il servizio irriguo, ossia la fornitura d’acqua alle aziende agricole. Se consideriamo che l’agricoltura è una materia oggetto di competenza legislativa regionale (in quanto non compresa negli elenchi previsti dall’art.117) e il governo del territorio è una materia concorrente ex art.117, secondo comma, sembra evidente che l’attuale normativa sembri contrastare con le attuali esigenze di autonomia legislativa e finanziaria garantita alle regioni. Il r.d. del 23 sembrerebbe contrastare anche con l’art.118, ultimo comma, il quale stabilisce che “Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività d’interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà…”. Del resto l’art.860 c.c., norma successiva al r.d. del 23, stabilisce che “i proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio sono obbligati a contribuire nella spesa necessaria per l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle opere in ragione del beneficio che traggono dalla bonifica….” mentre l’art. 862 c.c. afferma che all’escuzione, alla manutenzione e all’esercizio delle opere di bonifica può provvedersi a mezzo di consorzi tra i proprietari interessati. Solo in assenza dell’iniziativa dei privati questi si costituiscono d’ufficio.

Tuttavia la legge del 23 non consente il consorzio ad iniziativa dei privati contrastando con l’art.118, ultimo comma, mentre il r.d. 23 contrasta con l’art. 41 secondo comma e 42 secondo comma della Costituzione nella parte in cui non prevede le cause di scioglimento di tali forme peculiari di consorzio. Non prevedendo specificamente ed espressamente le cause di scioglimento degli stessi potrebbe provocare una compressione intollerabile del diritto di proprietà e, in particolare, di tutte le attività imprenditoriali, soprattutto agricole, insistenti sul comprensorio di bonifica.
 

mercoledì 7 ottobre 2009

Abbandono in stato di incapacità: Anziani







Salute,penale,abbandono,anziani

fonte:



http://www.webjus.it/sentenze/28-cassazione-penale/543-e-reato-abbandonare-gli-anziani-non-in-grado-di-provvedere-a-se-stessi-cassazione-319052009







"Questa la premessa maggiore, risulta incensurabile la premessa minore della sentenza che, preso conto della vecchiaia e di taluna infermità, a fronte delle pessime condizioni igieniche personali ed ambientali in cui è stato ritrovato l’offeso, ha ritenuto il suo abbandono in istato di incapacità di provvedere ai propri bisogni elementari."





LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE QUINTA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:



Dott. CALABRESE RENATO LUIGI – PRESIDENTE



1. Dott. CARROZZA ARTURO



2.Dott. ROTELLA MARIO



3. Dott. SANDRELLI GIAN GIACOMO



4. Dott. PALLA STEFANO





ha pronunciato la seguente



SENTENZA



sul ricorso proposto da […]



avverso SENTENZA del 21/11/2008



CORTE APPELLO DI PALERMO





[…]





Ritenuto





1 – La Corte di Appello di Palermo ha confermato la condanna alla pena sospesa di mesi 4 di reclusione con generiche inflitta dal Tribunale di Castelvetrano a […] per l’abbandono ai sensi dell’art.591 CP [1] del coniuge […], ritenuto incapace di badare a se stesso per l’età avanzata e motivi di salute, accertato il 22.8.01.



Il fatto era denunciato dal figlio […] mentre la […] era in casa di villeggiatura altrove. E la Polizia Giudiziaria verificava, come poi testimoniato, che l’uomo si trovava in istato di grave degrado anche igienico, in una stanza adiacente al numero civico dell’abitazione dell’imputata e di altra figlia, intensamente maleodorante di urina, di cui erano impregnate le lenzuola ed il materasso, come il pigiama da lui indossato.



Il ricorso denuncia: violazione dell’art.591 CP e vizio di motivazione, essenzialmente perché la sentenza non ha motivato circa il collegamento tra la situazione di incuria in cui venne trovato il […] e l’asserito stato di incapacità di costui, che invece ha reso dichiarazioni lucide, coerenti e logiche, dimostrando la propria incapacità di determinarsi e correttamente porsi nel tempo e nello spazio. Tali dichiarazioni sono state laconicamente liquidate dalla Corte di Appello con affermazioni apodittiche di irrilevanza.



2 – Il ricorso è infondato.



Giusta lettera dell’art.591 CP, la vecchiaia, al pari di altre non specificate, è intesa causa di incapacità dell’offeso di provvedere a se stesso, alternativa all’infermità fisica o mentale della persona abbandonata. Essa implica la "cura" della persona incapace, se non la sua "custodia", perché le siano assicurate le misure necessarie per l’igiene propria e dell’ambiente in cui vive. Pertanto l’abbandono integra in tal caso l’estremo di condotta criminosa, da cui dipende l’evento di pericolo.



Questa la premessa maggiore, risulta incensurabile la premessa minore della sentenza che, preso conto della vecchiaia e di taluna infermità, a fronte delle pessime condizioni igieniche personali ed ambientali in cui è stato ritrovato l’offeso, ha ritenuto il suo abbandono in istato di incapacità di provvedere ai propri bisogni elementari.



Ed è evidente che non è affatto decisivo ai fini di tale particolare incapacità, l’argomento qui ripetuto della lucidità delle dichiarazioni dell’offeso.



P.Q.M.



rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.



Roma, 2.7.2009.





DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 4 AGOSTO 2009-09-01

Abbandono in stato di incapacità: Anziani



Salute,penale,abbandono,anziani

fonte:

http://www.webjus.it/sentenze/28-cassazione-penale/543-e-reato-abbandonare-gli-anziani-non-in-grado-di-provvedere-a-se-stessi-cassazione-319052009



"Questa la premessa maggiore, risulta incensurabile la premessa minore della sentenza che, preso conto della vecchiaia e di taluna infermità, a fronte delle pessime condizioni igieniche personali ed ambientali in cui è stato ritrovato l’offeso, ha ritenuto il suo abbandono in istato di incapacità di provvedere ai propri bisogni elementari."


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE QUINTA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:

Dott. CALABRESE RENATO LUIGI – PRESIDENTE

1. Dott. CARROZZA ARTURO

2.Dott. ROTELLA MARIO

3. Dott. SANDRELLI GIAN GIACOMO

4. Dott. PALLA STEFANO


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da […]

avverso SENTENZA del 21/11/2008

CORTE APPELLO DI PALERMO


[…]


Ritenuto


1 – La Corte di Appello di Palermo ha confermato la condanna alla pena sospesa di mesi 4 di reclusione con generiche inflitta dal Tribunale di Castelvetrano a […] per l’abbandono ai sensi dell’art.591 CP [1] del coniuge […], ritenuto incapace di badare a se stesso per l’età avanzata e motivi di salute, accertato il 22.8.01.

Il fatto era denunciato dal figlio […] mentre la […] era in casa di villeggiatura altrove. E la Polizia Giudiziaria verificava, come poi testimoniato, che l’uomo si trovava in istato di grave degrado anche igienico, in una stanza adiacente al numero civico dell’abitazione dell’imputata e di altra figlia, intensamente maleodorante di urina, di cui erano impregnate le lenzuola ed il materasso, come il pigiama da lui indossato.

Il ricorso denuncia: violazione dell’art.591 CP e vizio di motivazione, essenzialmente perché la sentenza non ha motivato circa il collegamento tra la situazione di incuria in cui venne trovato il […] e l’asserito stato di incapacità di costui, che invece ha reso dichiarazioni lucide, coerenti e logiche, dimostrando la propria incapacità di determinarsi e correttamente porsi nel tempo e nello spazio. Tali dichiarazioni sono state laconicamente liquidate dalla Corte di Appello con affermazioni apodittiche di irrilevanza.

2 – Il ricorso è infondato.

Giusta lettera dell’art.591 CP, la vecchiaia, al pari di altre non specificate, è intesa causa di incapacità dell’offeso di provvedere a se stesso, alternativa all’infermità fisica o mentale della persona abbandonata. Essa implica la "cura" della persona incapace, se non la sua "custodia", perché le siano assicurate le misure necessarie per l’igiene propria e dell’ambiente in cui vive. Pertanto l’abbandono integra in tal caso l’estremo di condotta criminosa, da cui dipende l’evento di pericolo.

Questa la premessa maggiore, risulta incensurabile la premessa minore della sentenza che, preso conto della vecchiaia e di taluna infermità, a fronte delle pessime condizioni igieniche personali ed ambientali in cui è stato ritrovato l’offeso, ha ritenuto il suo abbandono in istato di incapacità di provvedere ai propri bisogni elementari.

Ed è evidente che non è affatto decisivo ai fini di tale particolare incapacità, l’argomento qui ripetuto della lucidità delle dichiarazioni dell’offeso.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Roma, 2.7.2009.


DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 4 AGOSTO 2009-09-01

Copertura Rischio e Contratto non rientrante tra i tipi riservati ad una professione con albi















Consulenza,legale,lavoro,atipico,assicurazione,

copertura,rischio,civile

fonte:



http://www.iusetnorma.it/news_giurisprudenza/giurisprudenza/cass-321-08-09n18912.htm

Commento:

http://www.telediritto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=956:cass-civ-sez-iii-31-agosto-2009-n-18912-professioni-intellettuali&catid=92:angolo-del-professionista&Itemid=100



"Tutti i motivi indicati sono incentrati sulla questione se la coperture assicurativa comprendesse anche l'attività prestata dal ricorrente, di predisposizione di un contratto di locazione, che non rientra certamente nell'attività tipica del consulente del lavoro, secondo quanto prevede la L. 11 gennaio 1979, n. 12. Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, il contratto di assicurazione aveva per oggetto la responsabilità civile derivante all'assicurato nella sua qualità di esercente la libera professione di consulente del lavoro; si precisava quindi che tale garanzia si estendeva anche alla consulenza fiscale e tributaria,"

...



"la predisposizione di un contratto di locazione, pur non essendo in linea di principio vietata al consulente del lavoro, in quanto si tratta di attività per la quale non è prevista alcuna riserva a favore di specifiche categorie di professionisti"







La Sezione Lavoro



Svolgimento del processo

**** conveniva in giudizio davanti alla Pretura di Siena ****, consulente del lavoro, per essere risarcita delle somme che era stata costretta a pagare a tale **** (ex conduttore di un immobile di sua proprietà) per colpa professionale del convenuto stesso, il quale aveva predisposto il contratto di locazione che prevedeva clausole nulle perchè in violazione della normativa sull'equo canone; la parte attrice era stata condannata a pagare la somma di L. 27.363.129, nonchè quella di L. 1.500.000 al proprio legale.

Il **** si costituiva chiamando in garanzia la ****.

Con sentenza 14 maggio 2001 il Tribunale di Siena condannava il **** al pagamento della somma suddetta, oltre interessi; condannava inoltre la **** a tenere indenne il **** per quanto era stato condannato a pagare alla ****.

La Corte d'Appello di Firenze, con sentenza 24 maggio 2004, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda proposta dal **** nei confronti della **** e condannava il soccombente alle spese di ambedue i gradi.

Propone ricorso per cassazione **** con quattro motivi.

La **** non ha svolto difese.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si denuncia la errata, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in quanto la Corte d'Appello aveva ritenuto che la redazione di un contratto di locazione non fosse propria della professione di consulente del lavoro: poichè non è prevista alcuna riserva per una categoria di professionisti, che siano abilitati alla redazione di detto contratto; la valutazione della sentenza impugnata sarebbe erronea.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di legge in relazione alle norme sulla interpretazione dei contratti (art. 1362 c.c. e segg.), nella parte in cui era stata esclusa la copertura assicurativa per l'attività suddetta. Tale attività non soltanto non sarebbe vietata, ma rientrerebbe comunque nella previsione della polizza, tenuto conto che si tratta di clausole predisposte dalla compagnia su modulo della stessa predisposto e quindi non sarebbe ammessa una interpretazione limitativa e restrittiva.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto cioè della L. 11 gennaio 1979, n. 12, artt. 2 e 13,che disciplina le materie riservate alla competenza dei consulenti del lavoro, tra le quali si ricorso ogni altra funzione che sia affine, connessa e conseguente ... e per quant'altro previsto dalla normativa fiscale e tributaria in genere.

Con il quarto motivo si denuncia l'errata, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punto decisivo della controversia, giacchè la sentenza impugnata aveva omesso di dare alcuna giustificazione sulla esclusione della attività professionale del consulente del lavoro della redazione di contratti di locazione.

Tutti i motivi indicati sono incentrati sulla questione se la coperture assicurativa comprendesse anche l'attività prestata dal ricorrente, di predisposizione di un contratto di locazione, che non rientra certamente nell'attività tipica del consulente del lavoro, secondo quanto prevede la L. 11 gennaio 1979, n. 12. Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, il contratto di assicurazione aveva per oggetto la responsabilità civile derivante all'assicurato nella sua qualità di esercente la libera professione di consulente del lavoro; si precisava quindi che tale garanzia si estendeva anche alla consulenza fiscale e tributaria, quali compilazioni della dichiarazione dei redditi ed allegati, denuncia annuale IVA, compresi i relativi allegati, registrazioni e quant'altro previsto dalla normativa fiscale e tributaria in generale. Si rammenta poi che la L. n. 12 del 1979, art. 2, prevede che il consulente del lavoro svolga per conto del datore di lavoro tutti gli adempimenti previsti da norme vigenti per l'amministrazione del personale dipendente nonchè ogni altra funzione che sia affine, connessa e conseguente a quanto previsto nel comma precedente.

Del tutto ineccepibile risulta quindi la conclusione alla quale perviene la sentenza impugnata, secondo la quale la predisposizione di un contratto di locazione, pur non essendo in linea di principio vietata al consulente del lavoro, in quanto si tratta di attività per la quale non è prevista alcuna riserva a favore di specifiche categorie di professionisti, non rientra tuttavia nè nelle attività tipiche previste per il consulente del lavoro, nè nella previsione contrattuale della polizza assicurativa di cui sopra.

Il ricorso merita quindi rigetto; nulla per le spese poichè la Milano Assicurazioni s.p.a. non ha svolto difese.



P.Q.M.



La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Terza Civile, rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2009.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2009.

Copertura Rischio e Contratto non rientrante tra i tipi riservati ad una professione con albi







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fonte:

http://www.iusetnorma.it/news_giurisprudenza/giurisprudenza/cass-321-08-09n18912.htm
Commento:
http://www.telediritto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=956:cass-civ-sez-iii-31-agosto-2009-n-18912-professioni-intellettuali&catid=92:angolo-del-professionista&Itemid=100

"Tutti i motivi indicati sono incentrati sulla questione se la coperture assicurativa comprendesse anche l'attività prestata dal ricorrente, di predisposizione di un contratto di locazione, che non rientra certamente nell'attività tipica del consulente del lavoro, secondo quanto prevede la L. 11 gennaio 1979, n. 12. Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, il contratto di assicurazione aveva per oggetto la responsabilità civile derivante all'assicurato nella sua qualità di esercente la libera professione di consulente del lavoro; si precisava quindi che tale garanzia si estendeva anche alla consulenza fiscale e tributaria,"
...

"la predisposizione di un contratto di locazione, pur non essendo in linea di principio vietata al consulente del lavoro, in quanto si tratta di attività per la quale non è prevista alcuna riserva a favore di specifiche categorie di professionisti"



La Sezione Lavoro

Svolgimento del processo
**** conveniva in giudizio davanti alla Pretura di Siena ****, consulente del lavoro, per essere risarcita delle somme che era stata costretta a pagare a tale **** (ex conduttore di un immobile di sua proprietà) per colpa professionale del convenuto stesso, il quale aveva predisposto il contratto di locazione che prevedeva clausole nulle perchè in violazione della normativa sull'equo canone; la parte attrice era stata condannata a pagare la somma di L. 27.363.129, nonchè quella di L. 1.500.000 al proprio legale.
Il **** si costituiva chiamando in garanzia la ****.
Con sentenza 14 maggio 2001 il Tribunale di Siena condannava il **** al pagamento della somma suddetta, oltre interessi; condannava inoltre la **** a tenere indenne il **** per quanto era stato condannato a pagare alla ****.
La Corte d'Appello di Firenze, con sentenza 24 maggio 2004, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda proposta dal **** nei confronti della **** e condannava il soccombente alle spese di ambedue i gradi.
Propone ricorso per cassazione **** con quattro motivi.
La **** non ha svolto difese.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la errata, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in quanto la Corte d'Appello aveva ritenuto che la redazione di un contratto di locazione non fosse propria della professione di consulente del lavoro: poichè non è prevista alcuna riserva per una categoria di professionisti, che siano abilitati alla redazione di detto contratto; la valutazione della sentenza impugnata sarebbe erronea.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di legge in relazione alle norme sulla interpretazione dei contratti (art. 1362 c.c. e segg.), nella parte in cui era stata esclusa la copertura assicurativa per l'attività suddetta. Tale attività non soltanto non sarebbe vietata, ma rientrerebbe comunque nella previsione della polizza, tenuto conto che si tratta di clausole predisposte dalla compagnia su modulo della stessa predisposto e quindi non sarebbe ammessa una interpretazione limitativa e restrittiva.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto cioè della L. 11 gennaio 1979, n. 12, artt. 2 e 13,che disciplina le materie riservate alla competenza dei consulenti del lavoro, tra le quali si ricorso ogni altra funzione che sia affine, connessa e conseguente ... e per quant'altro previsto dalla normativa fiscale e tributaria in genere.
Con il quarto motivo si denuncia l'errata, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punto decisivo della controversia, giacchè la sentenza impugnata aveva omesso di dare alcuna giustificazione sulla esclusione della attività professionale del consulente del lavoro della redazione di contratti di locazione.
Tutti i motivi indicati sono incentrati sulla questione se la coperture assicurativa comprendesse anche l'attività prestata dal ricorrente, di predisposizione di un contratto di locazione, che non rientra certamente nell'attività tipica del consulente del lavoro, secondo quanto prevede la L. 11 gennaio 1979, n. 12. Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, il contratto di assicurazione aveva per oggetto la responsabilità civile derivante all'assicurato nella sua qualità di esercente la libera professione di consulente del lavoro; si precisava quindi che tale garanzia si estendeva anche alla consulenza fiscale e tributaria, quali compilazioni della dichiarazione dei redditi ed allegati, denuncia annuale IVA, compresi i relativi allegati, registrazioni e quant'altro previsto dalla normativa fiscale e tributaria in generale. Si rammenta poi che la L. n. 12 del 1979, art. 2, prevede che il consulente del lavoro svolga per conto del datore di lavoro tutti gli adempimenti previsti da norme vigenti per l'amministrazione del personale dipendente nonchè ogni altra funzione che sia affine, connessa e conseguente a quanto previsto nel comma precedente.
Del tutto ineccepibile risulta quindi la conclusione alla quale perviene la sentenza impugnata, secondo la quale la predisposizione di un contratto di locazione, pur non essendo in linea di principio vietata al consulente del lavoro, in quanto si tratta di attività per la quale non è prevista alcuna riserva a favore di specifiche categorie di professionisti, non rientra tuttavia nè nelle attività tipiche previste per il consulente del lavoro, nè nella previsione contrattuale della polizza assicurativa di cui sopra.
Il ricorso merita quindi rigetto; nulla per le spese poichè la Milano Assicurazioni s.p.a. non ha svolto difese.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Terza Civile, rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2009.

martedì 6 ottobre 2009

Riassunzione Giudizio: serve la notifica a tutte le parti





Riassunzione giudizio. Notifica a tutte le parti, necessità



martedì 29 settembre 2009
Tribunale di Nola, ordinanza del 1 dicembre 2008

.

.

Notificazione

.

RIASSUNZIONE GIUDIZIO INTRODOTTO CON RICORSO – OMESSA NOTIFICAZIONE A UNA PARTE – RICHIESTA AUTORIZZAZIONE A PROVVEDERE ALLA “RINOTIFICA” – RIGETTO - NON APPLICABILITA’ DELL’ART. 291 C.P.C. – RIMESSIONE IN TERMINI – NECESSITA’ CAUSE GIUSTIFICATIVE – ASSENZA DOMANDA DI PROROGA EX ART. 154 C.P.C.

.

[Tribunale di Nola, Dott. Francesco Notaro, ordinanza del 1 dicembre 2008]

.

.

.

.

Nell’Ordinanza:

.

>> … in assenza di maggiori giustificazioni in ordine ad un’eventuale possibilità di essere rimesso in termini, l’invocata autorizzazione alla rinnovazione non può essere concessa …

.

.

.

.



TRIBUNALE DI NOLA

II SEZ. CIVILE

Il giudice, a scioglimento della riserva incamerata all’udienza del 13.11.2008

OSSERVA:

--la parte attrice, a seguito dell’istanza di riassunzione depositata in data 24.4.2008, ha provveduto a riassumere il giudizio nei confronti dell’INPS presso la sede di Roma e presso quella di Nola, mentre, pur figurando tra i soggetti cui andava indirizzata la notifica la “A.S. KKKK”, non consta che questa sia stata mai effettuata, mancando qualsiasi attestazione dell’attività relativa da parte dell’ufficiale giudiziario;

--per tale motivo il procuratore della Meviax Axx domanda di essere autorizzato a provvedere alla “rinotifica” dell’atto di riassunzione alla predetta associazione sportiva;

--occorre, pertanto, stabilire se possa tale autorizzazione essere concessa nel caso in cui l’istante, sebbene abbia tempestivamente depositato il ricorso in riassunzione, abbia omesso di curare la successiva notifica;

--è noto, infatti, che parte della giurisprudenza, muovendo dal principio della irrilevanza della successiva notifica del ricorso in riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza ai fini della validità dell’atto de quo, da misurarsi solo rispetto alla tempestività della data di deposito del ricorso, abbia in alcune occasioni affermato che, in assenza di notifica, il giudice dovrebbe fare applicazione analogica dell’art.291 c.p.c., assegnando un termine perentorio al ricorrente per provvedervi;

--la tematica si presenta comune a tutte le ipotesi in cui il legislatore ha previsto l’instaurazione del giudizio (ed in questo caso la sua prosecuzione), utilizzando il modello processuale del ricorso, che ‘ontologicamente’ separa la fase della editio actionis da quella successiva della vocatio in ius;

--è bene ricordare che tale profilo sussiste anche in relazione alla riassunzione, posto che, sebbene non si dubiti che il processo riassunto riprenda dal momento in cui era stato interrotto, ferme restando le decadenze e le attività già espletate, comunque è necessaria una ‘nuova’ vocatio in ius, come si desume inequivocamente dal fatto che l’art.303 c.p.c. richiede che il decreto debba essere notificato alle altre parti in causa e non solo a quella cui si riferiva l’evento interruttivo e che “Se la parte che ha ricevuto la notificazione non comparisce all’udienza fissata, si procede in sua contumacia”, sicché tale declaratoria riguarda anche i soggetti che nella precedente fase si erano regolarmente costituti in giudizio;

--nel rito del lavoro e per quel che concerne in particolare la fase dell’appello o dell’opposizione a decreto ingiuntivo, partendo, appunto, dal dato che il deposito del ricorso fosse sufficiente ai fini della proposizione del gravame o dell’opposizione, si era ritenuto potesse farsi riferimento all’art.421 c.p.c. e conseguentemente all’applicazione analogica dell’art.291 c.p.c. anche nell’evenienza in cui la notifica del ricorso e del decreto fosse stata del tutto omessa o effettuata in luogo che non avesse avuto alcun punto di collegamento con il destinatario o in ogni caso mai entrata nella sfera di conoscibilità di quest’ultimo;

--in verità tale opzione interpretativa si poneva in netto contrasto con l’indirizzo consolidato in tema di rito ordinario, secondo il quale, in quei casi, versandosi in ipotesi non già di nullità della notifica, ma di insistenza della stessa, non potesse trovare ingresso il rimedio apprestato dall’art.291 c.p.c., previsto solo per il caso di ‘mera’ nullità del procedimento notificatorio;

--ad avviso del tribunale, già da un punto di vista concettuale, anche dando ovviamente per scontato che nei casi in cui sia stato previsto il modello del ricorso vi sia una separazione tra la fase relativa all’editio actionis e quella della successivavocatio in ius, non si comprende perché tanto giustifichi un diverso trattamento sul versante della disciplina delle notifiche, che risulta essere regolata compiutamente in via generale; d’altro canto, volendo rimanere ancorati al dettato dell’art.421 c.p.c., il suo primo comma parla di irregolarità “che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi”, dal che non ci si sposta dal dato di partenza che richiede di stabilire perché una notifica inesistente rientri, diversamente da quanto si ritiene nell’ambito del rito ordinario, tra le “irregolarità” che potrebbero essere sanate, nonostante, come si è detto, i modelli notificatori, con le conseguenti implicazioni, siano unitariamente regolamentati per tutti i tipi di procedimento;

--peraltro, sul tema, è di recente intervenuta la Suprema Corte che, pur se in relazione proprio al rito del lavoro – ma con un fugace accenno, nel richiamare l’indirizzo che abilita all’applicazione in via analogica dell’art.291 c.p.c., anche alla mancata notificazione del ricorso in riassunzione e del relativo decreto, così manifestando di voler compiere un ragionamento unitario sul punto – nel comporre il contrasto di indirizzi, ha escluso che possa trovare ingresso il rimedio previsto dall’art.291 cit., tenendo conto delle conseguenze che si avrebbero sulla ragionevole durata del processo (vds. Cass. sez un. n.20604 del 2008);

--in proposito appaiono pertinenti, in via generale, anche le considerazioni svolte sempre dal giudice di legittimità in relazione al mancato deposito dell’avviso di ricevimento nella notifica a mezzo posta (richiamate anche in Cass. n.20604 cit.), che risulta comunque essere indispensabile ai fini della prova della sussistenza della notificazione e che in difetto della relativa produzione, comporta l’impossibilità di fare ricorso all’art.291 c.p.c., abilitando semmai il notificante a richiedere, nel caso di assenza di colpa e previa dimostrazione di essersi attivato invano richiedendo tempestivamente il duplicato all’amministrazione postale, eventualmente la rimessione in termini ex art.184 bis c.p.c. (vds. Cass. sez. un. n.627 del 2008);

--sicché, passando ad esaminare il caso oggetto del giudizio, si osserva che il tribunale, a seguito del ricorso in riassunzione, aveva fissato l’udienza del 13.11.2008 per la prosecuzione del giudizio, con termine per la notifica alle controparti entro il 30.6.2008;

--la difesa della Meviax Axx assume che per mero errore l’ufficiale giudiziario non avrebbe provveduto alla notifica, la quale risulta essere stata fatta nei confronti dell’INPS già in data 10.6.2008, ma non offre alcuna indicazione del momento in cui si sarebbe reso conto di tale omissione e del perché, una volta avvedutosi della mancata notificazione alla A.S. KKKK, non vi abbia posto rimedio entro il 30.6.2008 o, trattandosi di termine ordinario, abbia avanzato domanda di proroga ex art.154 c.p.c., ove si consideri che, in caso di riassunzione del processo, trattandosi di procedimento che prosegue dal momento in cui questo è stato interrotto, non occorreva rispettare il termine di comparizione ex art.163 bis c.p.c.;

--sicché, in assenza di maggiori giustificazioni in ordine ad un’eventuale possibilità di essere rimesso in termini, l’invocata autorizzazione alla rinnovazione non può essere concessa, dovendo la causa essere rinviata per il prosieguo, previa declaratoria di contumace dell’INPS.

P.Q.M.

Rigetta la richiesta di concessione di nuovo termine per la rinnovazione della notifica nei confronti della A.S. KKKK;

dichiara la contumacia dell’INPS e rinvia in prosieguo all’udienza del ….07.2009

Si comunichi.

Nola, 1° dicembre 2008

Il giudice

Dott. Francesco Notaro

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Riassunzione Giudizio: serve la notifica a tutte le parti


Riassunzione giudizio. Notifica a tutte le parti, necessità
martedì 29 settembre 2009
Tribunale di Nola, ordinanza del 1 dicembre 2008
.
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Notificazione
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RIASSUNZIONE GIUDIZIO INTRODOTTO CON RICORSO – OMESSA NOTIFICAZIONE A UNA PARTE – RICHIESTA AUTORIZZAZIONE A PROVVEDERE ALLA “RINOTIFICA” – RIGETTO - NON APPLICABILITA’ DELL’ART. 291 C.P.C. – RIMESSIONE IN TERMINI – NECESSITA’ CAUSE GIUSTIFICATIVE – ASSENZA DOMANDA DI PROROGA EX ART. 154 C.P.C.
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[Tribunale di Nola, Dott. Francesco Notaro, ordinanza del 1 dicembre 2008]
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Nell’Ordinanza:
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>> … in assenza di maggiori giustificazioni in ordine ad un’eventuale possibilità di essere rimesso in termini, l’invocata autorizzazione alla rinnovazione non può essere concessa …
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TRIBUNALE DI NOLA
II SEZ. CIVILE
Il giudice, a scioglimento della riserva incamerata all’udienza del 13.11.2008
OSSERVA:
--la parte attrice, a seguito dell’istanza di riassunzione depositata in data 24.4.2008, ha provveduto a riassumere il giudizio nei confronti dell’INPS presso la sede di Roma e presso quella di Nola, mentre, pur figurando tra i soggetti cui andava indirizzata la notifica la “A.S. KKKK”, non consta che questa sia stata mai effettuata, mancando qualsiasi attestazione dell’attività relativa da parte dell’ufficiale giudiziario;
--per tale motivo il procuratore della Meviax Axx domanda di essere autorizzato a provvedere alla “rinotifica” dell’atto di riassunzione alla predetta associazione sportiva;
--occorre, pertanto, stabilire se possa tale autorizzazione essere concessa nel caso in cui l’istante, sebbene abbia tempestivamente depositato il ricorso in riassunzione, abbia omesso di curare la successiva notifica;
--è noto, infatti, che parte della giurisprudenza, muovendo dal principio della irrilevanza della successiva notifica del ricorso in riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza ai fini della validità dell’atto de quo, da misurarsi solo rispetto alla tempestività della data di deposito del ricorso, abbia in alcune occasioni affermato che, in assenza di notifica, il giudice dovrebbe fare applicazione analogica dell’art.291 c.p.c., assegnando un termine perentorio al ricorrente per provvedervi;
--la tematica si presenta comune a tutte le ipotesi in cui il legislatore ha previsto l’instaurazione del giudizio (ed in questo caso la sua prosecuzione), utilizzando il modello processuale del ricorso, che ‘ontologicamente’ separa la fase della editio actionis da quella successiva della vocatio in ius;
--è bene ricordare che tale profilo sussiste anche in relazione alla riassunzione, posto che, sebbene non si dubiti che il processo riassunto riprenda dal momento in cui era stato interrotto, ferme restando le decadenze e le attività già espletate, comunque è necessaria una ‘nuova’ vocatio in ius, come si desume inequivocamente dal fatto che l’art.303 c.p.c. richiede che il decreto debba essere notificato alle altre parti in causa e non solo a quella cui si riferiva l’evento interruttivo e che “Se la parte che ha ricevuto la notificazione non comparisce all’udienza fissata, si procede in sua contumacia”, sicché tale declaratoria riguarda anche i soggetti che nella precedente fase si erano regolarmente costituti in giudizio;
--nel rito del lavoro e per quel che concerne in particolare la fase dell’appello o dell’opposizione a decreto ingiuntivo, partendo, appunto, dal dato che il deposito del ricorso fosse sufficiente ai fini della proposizione del gravame o dell’opposizione, si era ritenuto potesse farsi riferimento all’art.421 c.p.c. e conseguentemente all’applicazione analogica dell’art.291 c.p.c. anche nell’evenienza in cui la notifica del ricorso e del decreto fosse stata del tutto omessa o effettuata in luogo che non avesse avuto alcun punto di collegamento con il destinatario o in ogni caso mai entrata nella sfera di conoscibilità di quest’ultimo;
--in verità tale opzione interpretativa si poneva in netto contrasto con l’indirizzo consolidato in tema di rito ordinario, secondo il quale, in quei casi, versandosi in ipotesi non già di nullità della notifica, ma di insistenza della stessa, non potesse trovare ingresso il rimedio apprestato dall’art.291 c.p.c., previsto solo per il caso di ‘mera’ nullità del procedimento notificatorio;
--ad avviso del tribunale, già da un punto di vista concettuale, anche dando ovviamente per scontato che nei casi in cui sia stato previsto il modello del ricorso vi sia una separazione tra la fase relativa all’editio actionis e quella della successivavocatio in ius, non si comprende perché tanto giustifichi un diverso trattamento sul versante della disciplina delle notifiche, che risulta essere regolata compiutamente in via generale; d’altro canto, volendo rimanere ancorati al dettato dell’art.421 c.p.c., il suo primo comma parla di irregolarità “che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi”, dal che non ci si sposta dal dato di partenza che richiede di stabilire perché una notifica inesistente rientri, diversamente da quanto si ritiene nell’ambito del rito ordinario, tra le “irregolarità” che potrebbero essere sanate, nonostante, come si è detto, i modelli notificatori, con le conseguenti implicazioni, siano unitariamente regolamentati per tutti i tipi di procedimento;
--peraltro, sul tema, è di recente intervenuta la Suprema Corte che, pur se in relazione proprio al rito del lavoro – ma con un fugace accenno, nel richiamare l’indirizzo che abilita all’applicazione in via analogica dell’art.291 c.p.c., anche alla mancata notificazione del ricorso in riassunzione e del relativo decreto, così manifestando di voler compiere un ragionamento unitario sul punto – nel comporre il contrasto di indirizzi, ha escluso che possa trovare ingresso il rimedio previsto dall’art.291 cit., tenendo conto delle conseguenze che si avrebbero sulla ragionevole durata del processo (vds. Cass. sez un. n.20604 del 2008);
--in proposito appaiono pertinenti, in via generale, anche le considerazioni svolte sempre dal giudice di legittimità in relazione al mancato deposito dell’avviso di ricevimento nella notifica a mezzo posta (richiamate anche in Cass. n.20604 cit.), che risulta comunque essere indispensabile ai fini della prova della sussistenza della notificazione e che in difetto della relativa produzione, comporta l’impossibilità di fare ricorso all’art.291 c.p.c., abilitando semmai il notificante a richiedere, nel caso di assenza di colpa e previa dimostrazione di essersi attivato invano richiedendo tempestivamente il duplicato all’amministrazione postale, eventualmente la rimessione in termini ex art.184 bis c.p.c. (vds. Cass. sez. un. n.627 del 2008);
--sicché, passando ad esaminare il caso oggetto del giudizio, si osserva che il tribunale, a seguito del ricorso in riassunzione, aveva fissato l’udienza del 13.11.2008 per la prosecuzione del giudizio, con termine per la notifica alle controparti entro il 30.6.2008;
--la difesa della Meviax Axx assume che per mero errore l’ufficiale giudiziario non avrebbe provveduto alla notifica, la quale risulta essere stata fatta nei confronti dell’INPS già in data 10.6.2008, ma non offre alcuna indicazione del momento in cui si sarebbe reso conto di tale omissione e del perché, una volta avvedutosi della mancata notificazione alla A.S. KKKK, non vi abbia posto rimedio entro il 30.6.2008 o, trattandosi di termine ordinario, abbia avanzato domanda di proroga ex art.154 c.p.c., ove si consideri che, in caso di riassunzione del processo, trattandosi di procedimento che prosegue dal momento in cui questo è stato interrotto, non occorreva rispettare il termine di comparizione ex art.163 bis c.p.c.;
--sicché, in assenza di maggiori giustificazioni in ordine ad un’eventuale possibilità di essere rimesso in termini, l’invocata autorizzazione alla rinnovazione non può essere concessa, dovendo la causa essere rinviata per il prosieguo, previa declaratoria di contumace dell’INPS.
P.Q.M.
Rigetta la richiesta di concessione di nuovo termine per la rinnovazione della notifica nei confronti della A.S. KKKK;
dichiara la contumacia dell’INPS e rinvia in prosieguo all’udienza del ….07.2009
Si comunichi.
Nola, 1° dicembre 2008
Il giudice
Dott. Francesco Notaro
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Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...