martedì 31 marzo 2009

Zone Traffico Limitato:il Consiglio id Stato dà ragione al Comune di Roma

Il Consiglio di Stato dà ragione al Comune di Roma sulle ZTL
Consiglio di Stato , sez. V, decisione 13.02.2009 n° 825
(
Alfredo Matranga) in www.altalex.com


Con la sentenza n. 825/2009 il CdS ha ribaltato la decisione con cui il TAR Lazio aveva accolto il ricorso proposto da un cittadino avverso il provvedimento con cui il comune di Roma, all'esito di accurata istruttoria, e nel quadro di una più ampia manovra volta a ridurre gli effetti nocivi del traffico veicolare all'interno del centro storico, aveva rimodulato il sistema tariffario relativo al rilascio dei permessi di accesso alle zone a traffico limitato individuate nel centro abitato, prevedendo che:
a) ad ogni permesso di accesso, di qualsivoglia categoria, venga abbinata una sola targa;
b) i permessi di accesso senza targa sono vietati;
c) per ogni nucleo familiare residente nel centro, si possono rilasciare non più di tre permessi di accesso, con tariffe e durata variamente modulate;
d) in favore dei residenti, il rilascio di un apposito permesso di solo transito di durata annuale e ad un costo prestabilito di duecento euro.
Il CdS ha accolto l'appello ritenedo che:
a) le scelte tecniche non appaiono abnormi alla luce dell'oggettivo risultato perseguito dal comune, ovvero il decremento delle auto autorizzate a circolare e parcheggiare permanentemente all'interno del centro storico di Roma, con tutte le difficoltà derivanti dalla ristrettezza degli spazi a disposizione;
b) il meccanismo dell'abbinamento una targa - un autoveicolo, ha riguardato tutte le categorie di permessi di accesso al centro storico, sicché non sono neppure ipotizzabili, in astratto, situazioni di disparità di trattamento;
c) è stata prevista la possibilità del rilascio, in favore dei residenti nel centro storico, di appositi permessi di transito (cfr. p. 6, deliberazione n. 410 - 2006 della Giunta del Comune di Roma), in vista del "…raggiungimento di un posto auto in aerea privata".

(Altalex, 27 marzo 2009. Nota di Alfredo Matranga

Consiglio di Stato
Sezione V
Decisione 13 marzo 2009, n. 825

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ANNO 2008
ha pronunciato la seguente
DECISIONE

sui ricorsi riuniti iscritti:
- il primo al NRG 1815\2008, proposto dal Comune di Roma, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pier Ludovico Patriarca ed elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
contro
l'avvocato ................. elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Largo del Teatro Valle, n. 6;
e nei confronti di
ATAC s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Cangiano e presso quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Mura Portuensi, n. 33;
- il secondo al NRG 6081\2008, proposto dall' ATAC s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Cangiano e presso quest'ultimo elettivamente domiciliata in Roma, viale delle Mura Portuensi, n. 33;
contro
................, non costituito;
e nei confronti di
Comune di Roma, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pier Ludovico Patriarca ed elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sezione III, n. 7702 del 6 agosto 2007.
Visti i ricorsi in appello;
visti gli atti di costituzione in giudizio di Luciano Filippo Bracci, del comune di Roma e dell'Ataca s.p.a.;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 5 dicembre 2008 la relazione del consigliere Vito Poli, uditi gli avvocati Bracci, Cangiano e Patriarca;
ritenuto e considerato quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. Con la deliberazione 29 luglio 2006, n. 410, il comune di Roma, all'esito di accurata istruttoria, e nel quadro di una più ampia manovra volta a ridurre gli effetti nocivi del traffico veicolare all'interno del centro storico, ha rimodulato il sistema tariffario relativo al rilascio dei permessi di accesso alle zone a traffico limitato individuate nel centro abitato.
In particolare, per quanto di interesse ai fini della presente controversia:
a) si è previsto che ad ogni permesso di accesso, di qualsivoglia categoria, venga abbinata una sola targa;
b) sono stati vietati permessi di accesso senza targa;
c) per ogni nucleo familiare residente nel centro è stato previsto il rilascio di non più di tre permessi di accesso, con tariffe e durata variamente modulate;
d) è stato previsto, in favore dei residenti, il rilascio di un apposito permesso di solo transito di durata annuale e ad un costo prestabilito di duecento euro.
Avverso tale delibera n. 410 del 2006 - e la comunicazione inviata dall'Atac il successivo 28 novembre 2006 recante il sollecito al rinnovo del permesso di accesso secondo le nuove regole - è insorto davanti al T.a.r. del Lazio .............., residente con la propria famiglia nel centro storico, sollevando un unico complesso motivo rubricato: eccesso di potere per violazione di legge, disparità di trattamento, manifesta ingiustizia, illogicità e irrazionalità, contraddittorietà e difetto di motivazione.
2. L'impugnata sentenza - T.a.r. del Lazio, sezione III, n. 7702 del 6 agosto 2007 -:
a) ha respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno);
b) ha respinto le eccezioni di tardività ed improcedibilità del ricorso;
c) ha respinto la censura con cui si contesta il passaggio dal regime della gratuità a quello della onerosità del permesso di circolazione rilasciato in favore dei residenti nel centro storico (anche tale capo non è stato impugnato);
d) ha accolto la doglianza con cui si lamenta la irrazionalità della previsione di abbinamento del permesso ad una sola targa e dunque ad un solo veicolo;
e) ha compensato le spese di lite.
3. Con due autonomi ricorsi, ritualmente notificati e depositati, il comune di Roma e l'Atac s.p.a. hanno proposto appelli avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. sollevando, nella sostanza, il medesimo ordine di mezzi di gravame; da un lato, infatti, hanno insistito per l'accoglimento delle eccezioni di tardività ed improcedibilità dell'originario ricorso; dall'altro, hanno dedotto l'inammissibilità del ricorso, per violazione dei limiti interni della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, e comunque l'infondatezza dell'unica doglianza accolta dal T.a.r.
4. L'avvocato Bracci si è costituito nel giudizio iscritto al nrg. 1815/2008 deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.
Il comune di Roma e l'Atac si sono costituiti nei rispettivi giudizi per aderire ai corrispondenti appelli.
5. La causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 5 dicembre 2008.
6. Gli appelli, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti a mente dell'art. 335 c.p.c.
Gli appelli sono fondati e devono essere accolti.
Preliminarmente il collegio deve dare atto che il comune di Roma - contrariamente a quanto vagheggiato nelle note d'udienza depositate dall'appellato in data 17 aprile 2008 (pagina 8) - non ha mai prestato acquiescenza all'impugnata sentenza.
Può prescindersi dall'esame dei motivi di gravame con cui si reiterano le eccezioni di irricevibilità ed improcedibilità dell'originario ricorso di primo grado, per omessa tempestiva impugnazione della delibera giuntale n. 410 del 2006, attesa la completa inammissibilità ed infondatezza delle doglianze in esso formulate.
7. Prima di esaminare in dettaglio i motivi di gravame, conviene delineare sinteticamente il quadro dei principi forgiati dalla giurisprudenza di questo Consiglio in ordine alla legittimità dei provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all'interno dei centri abitati (cfr. ex plurimis, Sez. V, 4 marzo 2008, n. 824; Id., 11 dicembre 2007, 6383; Id., 29 maggio 2006, n. 3259; Ad. Plen. 6 febbraio 1993, n. 3).
Circa lo scrutinio della legittimità dei provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all'interno dei centri abitati si è evidenziato come tali atti siano espressione di scelte latamente discrezionali, che coprono un arco molto esteso di soluzioni possibili, incidenti su valori costituzionali spesso contrapposti, che devono essere contemperati, secondo criteri di ragionevolezza.
Quanto alla ragionevolezza delle scelte concretamente assunte dall'autorità comunale si osserva che tale scrutinio può essere effettuato solo ab externo, controvertendosi in sede di legittimità.
Sotto tale angolazione:
a) si reputa legittima la diversità del regime circolatorio in base al tipo, alla funzione ed alla provenienza dei mezzi di trasporto, specie quando la nuova disciplina sia introdotta gradualmente e senza soluzioni di continuità;
b) non si ritengono utilmente proponibili doglianze con cui si lamenta la violazione degli artt. 16 e 41 Cost. quando non sia vietato tout court l'accesso e la circolazione all'intero territorio, ma solo a delimitate, seppur vaste, zone dell'abitato urbano particolarmente esposte alle conseguenze dannose del traffico;
c) si riconosce che la parziale limitazione della libertà di locomozione e di iniziativa economica sia sempre giustificata quando derivi dall'esigenza di tutela rafforzata di patrimoni culturali ed ambientali di assoluto rilievo mondiale o nazionale.
La gravosità delle limitazioni si giustifica anche alla luce del valore primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione all'ambiente, al paesaggio, alla salute (cfr. da ultimo Corte cost. 7 novembre 2007 n. 367).
7.2. Facendo applicazione dei su esposti principi al caso di specie, emerge l'inammissibilità delle censure con cui, nella sostanza, si contestano le conseguenze pratiche delle scelte tecniche discrezionali dell'amministrazione.
Tali censure sono anche infondate nel merito sia per la loro assoluta genericità, sia perché:
a) non è in alcun modo configurabile il lamentato vizio di difetto di motivazione ed istruttoria;
b) le scelte tecniche non appaiono abnormi alla luce dell'oggettivo risultato perseguito dal comune, ovvero il decremento delle auto autorizzate a circolare e parcheggiare permanentemente all'interno del centro storico di Roma, con tutte le difficoltà derivanti dalla ristrettezza degli spazi a disposizione;
c) il meccanismo dell'abbinamento una targa - un autoveicolo, ha riguardato tutte le categorie di permessi di accesso al centro storico, sicché non sono neppure ipotizzabili, in astratto, situazioni di disparità di trattamento;
d) è stata prevista la possibilità del rilascio, in favore dei residenti nel centro storico, di appositi permessi di transito (cfr. p. 6, deliberazione n. 410 - 2006 della Giunta del Comune di Roma), in vista del "…raggiungimento di un posto auto in aerea privata" (p. 7 deliberazione della stessa Giunta n.183 - 1996).
8. In conclusione gli appelli devono essere accolti con la conseguente parziale riforma dell'impugnata sentenza, nella parte in cui ha accolto il ricorso di primo grado, rimanendo confermata nel resto.
Nel particolare andamento del processo il collegio ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di ambedue i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quinta), definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti meglio indicati in epigrafe:
- accoglie gli appelli e per l'effetto, in riforma parziale della sentenza impugnata, respinge in toto il ricorso di primo grado;
- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 dicembre 2008, con la partecipazione di:
Raffaele Iannotta - Presidente
Vito Poli Rel. Estensore - Consigliere
Gabriele Carlotti - Consigliere
Giancarlo Gianbartolemei - Consigliere
Angelica Dell'Utri Costagliola - Consigliere
ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Vito Poli f.to Raffaele Iannotta
IL SEGRETARIO
f.to Cinzia Giglio
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 13/02/09.


Zone Traffico Limitato:il Consiglio id Stato dà ragione al Comune di Roma

Il Consiglio di Stato dà ragione al Comune di Roma sulle ZTL
Consiglio di Stato , sez. V, decisione 13.02.2009 n° 825
(
Alfredo Matranga) in www.altalex.com


Con la sentenza n. 825/2009 il CdS ha ribaltato la decisione con cui il TAR Lazio aveva accolto il ricorso proposto da un cittadino avverso il provvedimento con cui il comune di Roma, all'esito di accurata istruttoria, e nel quadro di una più ampia manovra volta a ridurre gli effetti nocivi del traffico veicolare all'interno del centro storico, aveva rimodulato il sistema tariffario relativo al rilascio dei permessi di accesso alle zone a traffico limitato individuate nel centro abitato, prevedendo che:
a) ad ogni permesso di accesso, di qualsivoglia categoria, venga abbinata una sola targa;
b) i permessi di accesso senza targa sono vietati;
c) per ogni nucleo familiare residente nel centro, si possono rilasciare non più di tre permessi di accesso, con tariffe e durata variamente modulate;
d) in favore dei residenti, il rilascio di un apposito permesso di solo transito di durata annuale e ad un costo prestabilito di duecento euro.
Il CdS ha accolto l'appello ritenedo che:
a) le scelte tecniche non appaiono abnormi alla luce dell'oggettivo risultato perseguito dal comune, ovvero il decremento delle auto autorizzate a circolare e parcheggiare permanentemente all'interno del centro storico di Roma, con tutte le difficoltà derivanti dalla ristrettezza degli spazi a disposizione;
b) il meccanismo dell'abbinamento una targa - un autoveicolo, ha riguardato tutte le categorie di permessi di accesso al centro storico, sicché non sono neppure ipotizzabili, in astratto, situazioni di disparità di trattamento;
c) è stata prevista la possibilità del rilascio, in favore dei residenti nel centro storico, di appositi permessi di transito (cfr. p. 6, deliberazione n. 410 - 2006 della Giunta del Comune di Roma), in vista del "…raggiungimento di un posto auto in aerea privata".

(Altalex, 27 marzo 2009. Nota di Alfredo Matranga

Consiglio di Stato
Sezione V
Decisione 13 marzo 2009, n. 825

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ANNO 2008
ha pronunciato la seguente
DECISIONE

sui ricorsi riuniti iscritti:
- il primo al NRG 1815\2008, proposto dal Comune di Roma, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pier Ludovico Patriarca ed elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
contro
l'avvocato ................. elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Largo del Teatro Valle, n. 6;
e nei confronti di
ATAC s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Cangiano e presso quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Mura Portuensi, n. 33;
- il secondo al NRG 6081\2008, proposto dall' ATAC s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Cangiano e presso quest'ultimo elettivamente domiciliata in Roma, viale delle Mura Portuensi, n. 33;
contro
................, non costituito;
e nei confronti di
Comune di Roma, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pier Ludovico Patriarca ed elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sezione III, n. 7702 del 6 agosto 2007.
Visti i ricorsi in appello;
visti gli atti di costituzione in giudizio di Luciano Filippo Bracci, del comune di Roma e dell'Ataca s.p.a.;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 5 dicembre 2008 la relazione del consigliere Vito Poli, uditi gli avvocati Bracci, Cangiano e Patriarca;
ritenuto e considerato quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. Con la deliberazione 29 luglio 2006, n. 410, il comune di Roma, all'esito di accurata istruttoria, e nel quadro di una più ampia manovra volta a ridurre gli effetti nocivi del traffico veicolare all'interno del centro storico, ha rimodulato il sistema tariffario relativo al rilascio dei permessi di accesso alle zone a traffico limitato individuate nel centro abitato.
In particolare, per quanto di interesse ai fini della presente controversia:
a) si è previsto che ad ogni permesso di accesso, di qualsivoglia categoria, venga abbinata una sola targa;
b) sono stati vietati permessi di accesso senza targa;
c) per ogni nucleo familiare residente nel centro è stato previsto il rilascio di non più di tre permessi di accesso, con tariffe e durata variamente modulate;
d) è stato previsto, in favore dei residenti, il rilascio di un apposito permesso di solo transito di durata annuale e ad un costo prestabilito di duecento euro.
Avverso tale delibera n. 410 del 2006 - e la comunicazione inviata dall'Atac il successivo 28 novembre 2006 recante il sollecito al rinnovo del permesso di accesso secondo le nuove regole - è insorto davanti al T.a.r. del Lazio .............., residente con la propria famiglia nel centro storico, sollevando un unico complesso motivo rubricato: eccesso di potere per violazione di legge, disparità di trattamento, manifesta ingiustizia, illogicità e irrazionalità, contraddittorietà e difetto di motivazione.
2. L'impugnata sentenza - T.a.r. del Lazio, sezione III, n. 7702 del 6 agosto 2007 -:
a) ha respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno);
b) ha respinto le eccezioni di tardività ed improcedibilità del ricorso;
c) ha respinto la censura con cui si contesta il passaggio dal regime della gratuità a quello della onerosità del permesso di circolazione rilasciato in favore dei residenti nel centro storico (anche tale capo non è stato impugnato);
d) ha accolto la doglianza con cui si lamenta la irrazionalità della previsione di abbinamento del permesso ad una sola targa e dunque ad un solo veicolo;
e) ha compensato le spese di lite.
3. Con due autonomi ricorsi, ritualmente notificati e depositati, il comune di Roma e l'Atac s.p.a. hanno proposto appelli avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. sollevando, nella sostanza, il medesimo ordine di mezzi di gravame; da un lato, infatti, hanno insistito per l'accoglimento delle eccezioni di tardività ed improcedibilità dell'originario ricorso; dall'altro, hanno dedotto l'inammissibilità del ricorso, per violazione dei limiti interni della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, e comunque l'infondatezza dell'unica doglianza accolta dal T.a.r.
4. L'avvocato Bracci si è costituito nel giudizio iscritto al nrg. 1815/2008 deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.
Il comune di Roma e l'Atac si sono costituiti nei rispettivi giudizi per aderire ai corrispondenti appelli.
5. La causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 5 dicembre 2008.
6. Gli appelli, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti a mente dell'art. 335 c.p.c.
Gli appelli sono fondati e devono essere accolti.
Preliminarmente il collegio deve dare atto che il comune di Roma - contrariamente a quanto vagheggiato nelle note d'udienza depositate dall'appellato in data 17 aprile 2008 (pagina 8) - non ha mai prestato acquiescenza all'impugnata sentenza.
Può prescindersi dall'esame dei motivi di gravame con cui si reiterano le eccezioni di irricevibilità ed improcedibilità dell'originario ricorso di primo grado, per omessa tempestiva impugnazione della delibera giuntale n. 410 del 2006, attesa la completa inammissibilità ed infondatezza delle doglianze in esso formulate.
7. Prima di esaminare in dettaglio i motivi di gravame, conviene delineare sinteticamente il quadro dei principi forgiati dalla giurisprudenza di questo Consiglio in ordine alla legittimità dei provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all'interno dei centri abitati (cfr. ex plurimis, Sez. V, 4 marzo 2008, n. 824; Id., 11 dicembre 2007, 6383; Id., 29 maggio 2006, n. 3259; Ad. Plen. 6 febbraio 1993, n. 3).
Circa lo scrutinio della legittimità dei provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all'interno dei centri abitati si è evidenziato come tali atti siano espressione di scelte latamente discrezionali, che coprono un arco molto esteso di soluzioni possibili, incidenti su valori costituzionali spesso contrapposti, che devono essere contemperati, secondo criteri di ragionevolezza.
Quanto alla ragionevolezza delle scelte concretamente assunte dall'autorità comunale si osserva che tale scrutinio può essere effettuato solo ab externo, controvertendosi in sede di legittimità.
Sotto tale angolazione:
a) si reputa legittima la diversità del regime circolatorio in base al tipo, alla funzione ed alla provenienza dei mezzi di trasporto, specie quando la nuova disciplina sia introdotta gradualmente e senza soluzioni di continuità;
b) non si ritengono utilmente proponibili doglianze con cui si lamenta la violazione degli artt. 16 e 41 Cost. quando non sia vietato tout court l'accesso e la circolazione all'intero territorio, ma solo a delimitate, seppur vaste, zone dell'abitato urbano particolarmente esposte alle conseguenze dannose del traffico;
c) si riconosce che la parziale limitazione della libertà di locomozione e di iniziativa economica sia sempre giustificata quando derivi dall'esigenza di tutela rafforzata di patrimoni culturali ed ambientali di assoluto rilievo mondiale o nazionale.
La gravosità delle limitazioni si giustifica anche alla luce del valore primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione all'ambiente, al paesaggio, alla salute (cfr. da ultimo Corte cost. 7 novembre 2007 n. 367).
7.2. Facendo applicazione dei su esposti principi al caso di specie, emerge l'inammissibilità delle censure con cui, nella sostanza, si contestano le conseguenze pratiche delle scelte tecniche discrezionali dell'amministrazione.
Tali censure sono anche infondate nel merito sia per la loro assoluta genericità, sia perché:
a) non è in alcun modo configurabile il lamentato vizio di difetto di motivazione ed istruttoria;
b) le scelte tecniche non appaiono abnormi alla luce dell'oggettivo risultato perseguito dal comune, ovvero il decremento delle auto autorizzate a circolare e parcheggiare permanentemente all'interno del centro storico di Roma, con tutte le difficoltà derivanti dalla ristrettezza degli spazi a disposizione;
c) il meccanismo dell'abbinamento una targa - un autoveicolo, ha riguardato tutte le categorie di permessi di accesso al centro storico, sicché non sono neppure ipotizzabili, in astratto, situazioni di disparità di trattamento;
d) è stata prevista la possibilità del rilascio, in favore dei residenti nel centro storico, di appositi permessi di transito (cfr. p. 6, deliberazione n. 410 - 2006 della Giunta del Comune di Roma), in vista del "…raggiungimento di un posto auto in aerea privata" (p. 7 deliberazione della stessa Giunta n.183 - 1996).
8. In conclusione gli appelli devono essere accolti con la conseguente parziale riforma dell'impugnata sentenza, nella parte in cui ha accolto il ricorso di primo grado, rimanendo confermata nel resto.
Nel particolare andamento del processo il collegio ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di ambedue i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quinta), definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti meglio indicati in epigrafe:
- accoglie gli appelli e per l'effetto, in riforma parziale della sentenza impugnata, respinge in toto il ricorso di primo grado;
- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 dicembre 2008, con la partecipazione di:
Raffaele Iannotta - Presidente
Vito Poli Rel. Estensore - Consigliere
Gabriele Carlotti - Consigliere
Giancarlo Gianbartolemei - Consigliere
Angelica Dell'Utri Costagliola - Consigliere
ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Vito Poli f.to Raffaele Iannotta
IL SEGRETARIO
f.to Cinzia Giglio
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 13/02/09.


L'istanza di Condono Edilizio ed i documenti necessari

Condono edilizio:
integrazione e mancata presentazione dei documenti

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 17.12.2008 n° 2897

In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (“2° condono edilizio”) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta.
Il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla “denuncia in catasto”.
Se non viene dato seguito alla formale richiesta di fornire la “prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento” il Comune legittimamente ritiene sussistente l’improcedibilità della domanda e, dunque, nega la sanatoria.
Queste le argomentazioni in diritto con le quali il T.A.R. Puglia ha respinto il ricorso promosso avverso un diniego di condono di opere abusive motivato sulla base della improcedibilità della istanza presentata stante un manifesto inadempimento dell’interessato alle successive richieste di integrazione documentale fatte dal Comune.
Orbene, premesso che il condono (detto anche “sanatoria straordinaria”) è istituto eccezionale, come tale deve essere interpretato non solo nella sua portata giuridico-sostanziale, ma anche per quella procedimentale; così, anche gli adempimenti procedimentali sono tassativamente previsti dalle norme in questione e, dunque, il Comune non può omettere di adempiere ad un dovere di legge (il munirsi, cioè, di taluni documenti finalizzati alla completa istruttoria del procedimento amministrativo) così come il soggetto interessato al buon esito della pratica non può, a sua volta, restare inerte di fronte alle doverose istanze di integrazione recapitategli da parte della p.a. locale.
In tal senso, esistono solo atti e adempimenti documentali che, ritenuti “necessari” per espressa disposizione legislativa ma inadempiuti, provocano l’interruzione del procedimento; gli altri atti, riconducibili – per lo più – alla categoria di quelli richiesti dall’ente in via meramente eventuale (e cioè, non sulla base di norme di legge), non possono – invece – interrompere l’iter procedimentale.
(Altalex, 20 marzo 2009. Nota di Alessandro Del Dotto)

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 17.12.2008 n° 2897
[legge 724/1994 – 2° condono edilizio]
In materia di condono edilizio, la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
(Fonte: Altalex Massimario 9/2009. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)
T.A.R.
Puglia - Bari
Sezione III
Sentenza 3 dicembre - 17 dicembre 2008, n. 2897
(Presidente estensore Urbano)

Fatto e diritto
1.- Con ricorso notificato il 13.11.1997, il nominativo in epigrafe ha domandato l'annullamento, del diniego della sanatoria di opere abusive, richiesta al Comune di Bari l'1.3.1995.
L'atto di rigetto è motivato con riferimento all'art. 2, comma 37, l. 1996, n. 662, che ha modificato l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994, non avendo l'istante risposto nel termine assegnatogli all'invito ad integrare la documentazione a corredo della richiesta di condono.
A sostegno del ricorso, l'interessato deduce che la presentazione della denuncia in catasto, il versamento del conguaglio dell'oblazione e l'atto notorio dell'inesistenza di vincoli a parcheggio sull'opera oggetto di condono, non figurano tra gli atti a corredo della domanda a pena di inammissibilità e non se ne può imporre la presentazione a pena di improcedibilità della stessa.
Il Comune di Bari si è costituito in giudizio.
2. ' Il ricorso è infondato.
2.1. ' In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (2° condono edilizio) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta (cfr., Tar Campania, Napoli, sez. IV, 13 giugno 2007, n. 6138; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 3 febbraio 2003, n. 189).
D'altronde il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla 'denuncia in catasto'.
Non di meno, nei tre mesi successivi all'invito, il ricorrente non ha dato seguito alla formale richiesta, rivoltagli il 3.2.2007, di fornire la 'prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento' e, doverosamente, perciò, il Comune, preso atto dell'improcedibilità della domanda, ha negato la sanatoria.
3. ' In definitiva, il ricorso in esame va respinto.
Sussistono giuste ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE per la PUGLIA, Sede di Bari - Sezione Terza, respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa

L'istanza di Condono Edilizio ed i documenti necessari

Condono edilizio:
integrazione e mancata presentazione dei documenti

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 17.12.2008 n° 2897

In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (“2° condono edilizio”) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta.
Il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla “denuncia in catasto”.
Se non viene dato seguito alla formale richiesta di fornire la “prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento” il Comune legittimamente ritiene sussistente l’improcedibilità della domanda e, dunque, nega la sanatoria.
Queste le argomentazioni in diritto con le quali il T.A.R. Puglia ha respinto il ricorso promosso avverso un diniego di condono di opere abusive motivato sulla base della improcedibilità della istanza presentata stante un manifesto inadempimento dell’interessato alle successive richieste di integrazione documentale fatte dal Comune.
Orbene, premesso che il condono (detto anche “sanatoria straordinaria”) è istituto eccezionale, come tale deve essere interpretato non solo nella sua portata giuridico-sostanziale, ma anche per quella procedimentale; così, anche gli adempimenti procedimentali sono tassativamente previsti dalle norme in questione e, dunque, il Comune non può omettere di adempiere ad un dovere di legge (il munirsi, cioè, di taluni documenti finalizzati alla completa istruttoria del procedimento amministrativo) così come il soggetto interessato al buon esito della pratica non può, a sua volta, restare inerte di fronte alle doverose istanze di integrazione recapitategli da parte della p.a. locale.
In tal senso, esistono solo atti e adempimenti documentali che, ritenuti “necessari” per espressa disposizione legislativa ma inadempiuti, provocano l’interruzione del procedimento; gli altri atti, riconducibili – per lo più – alla categoria di quelli richiesti dall’ente in via meramente eventuale (e cioè, non sulla base di norme di legge), non possono – invece – interrompere l’iter procedimentale.
(Altalex, 20 marzo 2009. Nota di Alessandro Del Dotto)

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 17.12.2008 n° 2897
[legge 724/1994 – 2° condono edilizio]
In materia di condono edilizio, la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
(Fonte: Altalex Massimario 9/2009. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)
T.A.R.
Puglia - Bari
Sezione III
Sentenza 3 dicembre - 17 dicembre 2008, n. 2897
(Presidente estensore Urbano)

Fatto e diritto
1.- Con ricorso notificato il 13.11.1997, il nominativo in epigrafe ha domandato l'annullamento, del diniego della sanatoria di opere abusive, richiesta al Comune di Bari l'1.3.1995.
L'atto di rigetto è motivato con riferimento all'art. 2, comma 37, l. 1996, n. 662, che ha modificato l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994, non avendo l'istante risposto nel termine assegnatogli all'invito ad integrare la documentazione a corredo della richiesta di condono.
A sostegno del ricorso, l'interessato deduce che la presentazione della denuncia in catasto, il versamento del conguaglio dell'oblazione e l'atto notorio dell'inesistenza di vincoli a parcheggio sull'opera oggetto di condono, non figurano tra gli atti a corredo della domanda a pena di inammissibilità e non se ne può imporre la presentazione a pena di improcedibilità della stessa.
Il Comune di Bari si è costituito in giudizio.
2. ' Il ricorso è infondato.
2.1. ' In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (2° condono edilizio) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta (cfr., Tar Campania, Napoli, sez. IV, 13 giugno 2007, n. 6138; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 3 febbraio 2003, n. 189).
D'altronde il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla 'denuncia in catasto'.
Non di meno, nei tre mesi successivi all'invito, il ricorrente non ha dato seguito alla formale richiesta, rivoltagli il 3.2.2007, di fornire la 'prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento' e, doverosamente, perciò, il Comune, preso atto dell'improcedibilità della domanda, ha negato la sanatoria.
3. ' In definitiva, il ricorso in esame va respinto.
Sussistono giuste ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE per la PUGLIA, Sede di Bari - Sezione Terza, respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa

venerdì 27 marzo 2009

News dalla Suprema Corte

www.cortedicassazione.it

SENTENZA N. 10752 UD. 18 FEBBRAIO 2009 - DEPOSITO DEL 11 MARZO 2009


STRANIERI - ESPULSIONE COME MISURA ALTERNATIVA ALLA DETENZIONE - DIRITTO DELLO STRANIERO ALL'ESPULSIONE - SUSSISTENZA

L'espulsione dello straniero prevista dall'art. 16 comma quinto del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, che forma oggetto di un diritto dello straniero, qualora costui si trovi nella condizioni previste dalla legge per poterne usufruire. Resta escluso ogni potere discrezionale del giudice di merito circa la sua concedibilità, ed al pubblico ministero non è conferito il potere di rilasciare il nulla osta all’emissione del relativo provvedimento.


Sentenza n. 10752 del 18 febbraio 2009 – depositata l’11 marzo 2009
(Sezione Prima Penale, Presidente S. Chieffi, Relatore M. Barbarisi)

News dalla Suprema Corte

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SENTENZA N. 10752 UD. 18 FEBBRAIO 2009 - DEPOSITO DEL 11 MARZO 2009


STRANIERI - ESPULSIONE COME MISURA ALTERNATIVA ALLA DETENZIONE - DIRITTO DELLO STRANIERO ALL'ESPULSIONE - SUSSISTENZA

L'espulsione dello straniero prevista dall'art. 16 comma quinto del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, che forma oggetto di un diritto dello straniero, qualora costui si trovi nella condizioni previste dalla legge per poterne usufruire. Resta escluso ogni potere discrezionale del giudice di merito circa la sua concedibilità, ed al pubblico ministero non è conferito il potere di rilasciare il nulla osta all’emissione del relativo provvedimento.


Sentenza n. 10752 del 18 febbraio 2009 – depositata l’11 marzo 2009
(Sezione Prima Penale, Presidente S. Chieffi, Relatore M. Barbarisi)

In caso di doppia residenza fiscale prevale il luogo ove sono rinvenubili i legami personali



"Nel caso in cui una persona fisica abbia la residenza fiscale in due Stati membri della UE, in quanto in entrambi sia individuabile il centro degli interessi vitali, inteso come il luogo con il quale si ha un più stretto collegamento sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali, il problema della doppia residenza fiscale deve essere risolto attribuendola allo Stato in cui sono rinvenibili i legami personali."


Fatto e Diritto
Premesso che P.A. ha proposto ricorso per Cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate ed avverso l’indicata sentenza della CTR del Veneto; che l’Agenzia si è costituita con controricorso;
che, ricorrendo i presupposti per la trattazione in Camera di consiglio a sensi dell’art. 375 c.p.c., sono state acquisite le conclusioni del P.M., che ha chiesto rimettersi la causa alla pubblica udienza;
che nella Camera di consiglio odierna il ricorso è stato deciso.
La sentenza impugnata in relazione alla impugnazione di avvisi di accertamento ERPEF per gli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, ha ritenuto la soggezione all’imposta del P. anche per gli anni 1996 e 1997 per avere mantenuto in Italia il domicilio, come era dato di evincere da circostanze non contestate dell’avere in Italia la sua famiglia, di vivere prevalentemente nel nostro paese ove era amministratore di molteplici società, essere anche abituale frequentatore di un golf club in Italia.
Con l’unico motivo di ricorso, denunziando violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2 e L. n. 448 del 1998, art. 10, comma 1, propone questione se competa o no all’Ufficio dare la prova della residenza in Italia, se detta prova possa essere data per semplici indizi, se detti indizi possano essere rilevanti malgrado il contrasto con le risultanze anagrafiche.
Il ricorso è manifestamente infondato in quanto la sentenza ha fondato la propria decisione sull’accertamento del domicilio e non su quello della residenza, anche se ha rilevato perplessità sulla stessa attesa la mancata esibizione di un certificato di residenza a Monaco o di altri elementi, a prescindere dall’iscrizione all’AIRE per i soli anni 1996 e 1997.
Va aggiunto per completezza che anche se si fosse voluto contestare l’accertamento del domicilio in Italia, come potrebbe evincersi dalla contestazione nel corpo del ricorso della mancanza di prova della prevalenza degli affari all’estero su quelli italiani, si deve rilevare che l’accertamento della CTR è immune da vizi logici e giuridici. Questa Corte, scrutinando analoga questione con sentenza 13803 del 2001, ha precisato in motivazione: deve osservarsi, infine, che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nella sentenza 12 luglio 2001, in causa C - 262-99, Louloudakis c. Stato Ellenico, ha enunciato il principio che “... nel caso in cui una persona abbia legami sia personali sia professionali in due Stati membri, il luogo della sua “normale residenza”, stabilito nell’ambito di una valutazione globale in funzione di tutti gli elementi di fatto rilevanti, è quello in cui viene individuato il centro permanente degli interessi di tale persona e che, nell’ipotesi in cui tale valutazione globale non permetta siffatta valutazione, occorre dichiarare la preminenza dei legami personali”. Affermando tale preminenza, e ribadito che, comunque, il giudice nazionale deve compiere una valutazione globale di tutti gli elementi, sia personali che patrimoniali, la Corte ha elencato alcuni degli elementi rilevanti per l’esistenza dei legami personali, come la presenza fisica della persona e dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo in cui i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo dell’esercizio delle attività professionali, quello dei legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali “nei limiti in cui i detti elementi traducano la volontà di tale persona di conferire una determinata stabilità al luogo di collegamento, a motivo di una continuità che risulti da un’abitudine di vita e dallo svolgimento di rapporti sociali e professionali normali”.
Ed ha concluso affermando il principio: Nel caso in cui una persona fisica abbia la residenza fiscale in due Stati membri della UE, in quanto in entrambi sia individuabile il centro degli interessi vitali, inteso come il luogo con il quale si ha un più stretto collegamento sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali, il problema della doppia residenza fiscale deve essere risolto attribuendola allo Stato in cui sono rinvenibili i legami personali. Va conclusivamente rimarcato come nemmeno in sede di legittimità il P. abbia contestato che il suo centro degli interessi vitali sia rimasto in Italia.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 100,00 per spese vive, Euro 1900,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2008

In caso di doppia residenza fiscale prevale il luogo ove sono rinvenubili i legami personali



"Nel caso in cui una persona fisica abbia la residenza fiscale in due Stati membri della UE, in quanto in entrambi sia individuabile il centro degli interessi vitali, inteso come il luogo con il quale si ha un più stretto collegamento sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali, il problema della doppia residenza fiscale deve essere risolto attribuendola allo Stato in cui sono rinvenibili i legami personali."


Fatto e Diritto
Premesso che P.A. ha proposto ricorso per Cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate ed avverso l’indicata sentenza della CTR del Veneto; che l’Agenzia si è costituita con controricorso;
che, ricorrendo i presupposti per la trattazione in Camera di consiglio a sensi dell’art. 375 c.p.c., sono state acquisite le conclusioni del P.M., che ha chiesto rimettersi la causa alla pubblica udienza;
che nella Camera di consiglio odierna il ricorso è stato deciso.
La sentenza impugnata in relazione alla impugnazione di avvisi di accertamento ERPEF per gli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, ha ritenuto la soggezione all’imposta del P. anche per gli anni 1996 e 1997 per avere mantenuto in Italia il domicilio, come era dato di evincere da circostanze non contestate dell’avere in Italia la sua famiglia, di vivere prevalentemente nel nostro paese ove era amministratore di molteplici società, essere anche abituale frequentatore di un golf club in Italia.
Con l’unico motivo di ricorso, denunziando violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2 e L. n. 448 del 1998, art. 10, comma 1, propone questione se competa o no all’Ufficio dare la prova della residenza in Italia, se detta prova possa essere data per semplici indizi, se detti indizi possano essere rilevanti malgrado il contrasto con le risultanze anagrafiche.
Il ricorso è manifestamente infondato in quanto la sentenza ha fondato la propria decisione sull’accertamento del domicilio e non su quello della residenza, anche se ha rilevato perplessità sulla stessa attesa la mancata esibizione di un certificato di residenza a Monaco o di altri elementi, a prescindere dall’iscrizione all’AIRE per i soli anni 1996 e 1997.
Va aggiunto per completezza che anche se si fosse voluto contestare l’accertamento del domicilio in Italia, come potrebbe evincersi dalla contestazione nel corpo del ricorso della mancanza di prova della prevalenza degli affari all’estero su quelli italiani, si deve rilevare che l’accertamento della CTR è immune da vizi logici e giuridici. Questa Corte, scrutinando analoga questione con sentenza 13803 del 2001, ha precisato in motivazione: deve osservarsi, infine, che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nella sentenza 12 luglio 2001, in causa C - 262-99, Louloudakis c. Stato Ellenico, ha enunciato il principio che “... nel caso in cui una persona abbia legami sia personali sia professionali in due Stati membri, il luogo della sua “normale residenza”, stabilito nell’ambito di una valutazione globale in funzione di tutti gli elementi di fatto rilevanti, è quello in cui viene individuato il centro permanente degli interessi di tale persona e che, nell’ipotesi in cui tale valutazione globale non permetta siffatta valutazione, occorre dichiarare la preminenza dei legami personali”. Affermando tale preminenza, e ribadito che, comunque, il giudice nazionale deve compiere una valutazione globale di tutti gli elementi, sia personali che patrimoniali, la Corte ha elencato alcuni degli elementi rilevanti per l’esistenza dei legami personali, come la presenza fisica della persona e dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo in cui i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo dell’esercizio delle attività professionali, quello dei legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali “nei limiti in cui i detti elementi traducano la volontà di tale persona di conferire una determinata stabilità al luogo di collegamento, a motivo di una continuità che risulti da un’abitudine di vita e dallo svolgimento di rapporti sociali e professionali normali”.
Ed ha concluso affermando il principio: Nel caso in cui una persona fisica abbia la residenza fiscale in due Stati membri della UE, in quanto in entrambi sia individuabile il centro degli interessi vitali, inteso come il luogo con il quale si ha un più stretto collegamento sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali, il problema della doppia residenza fiscale deve essere risolto attribuendola allo Stato in cui sono rinvenibili i legami personali. Va conclusivamente rimarcato come nemmeno in sede di legittimità il P. abbia contestato che il suo centro degli interessi vitali sia rimasto in Italia.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 100,00 per spese vive, Euro 1900,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2008

Il leasing e lo IAS 17

Il contratto di leasing : aspetti operativi e contabili
Corso teorico – pratico di contabilità generale e bilancio del Dott.Enrico Larocca
Il contratto d leasing è un contratto atipico che riassume le caratteristiche di tre contratti tipici: la locazione, il mutuo e la vendita a rate.
La forma più comunemente usata nella pratica aziendale, si denomina locazione finanziaria ( o leasing finanziario).
Gli standard contabili internazionali, in ossequio al principio della «prevalenza della sostanza sulla forma», inquadrano l’acquisizione di un bene strumentale in leasing finanziario, del tutto equivalente all’acquisto di un bene strumentale di proprietà con finanziamento ,ma la Cassazione, ancora oggi, inconformità alla concezione patrimonialistica del bilancio, ritiene illegittima la pratica di iscrivere i beni in leasing, nel bilancio dell’impresa utilizzatrice, come immobilizzazioni materiali nell’attivo e come debito di finanziamento nel passivo, prima dell’esercizio del diritto di riscatto.
Dovendo adempiere alle prescrizioni di cui all’art. 2427 punto 22) del codice civile, occorre fornire queste informazioni in Nota Integrativa.
Il contratto di leasing
Il termine leasing deriva dal verbo inglese to lease che significa affittare. Quindi la matrice terminologica del contratto attiene all’acquisizione in uso ovvero alla locazione.
Sennonché nella pratica aziendale, il contratto presenta i caratteri di tre contratti regolati dal codice civile: il contratto di locazione, il contratto di vendita con patto di riservato dominio e il contratto di mutuo.
Ed è in virtù di queste caratteristiche che gli IAS/IRFS considerano il leasing una formula di acquisizione di immobilizzazioni con finanziamento, in antitesi alla concezione patrimonialistica del bilancio, che considera il contratto a prestazioni reali, finalizzato all’acquisizione in uso.
Esistono diverse forme di leasing che possiamo riassumere in:
1. leasing finanziario: si tratta della forma di leasing più utilizzata nella pratica aziendale, che si sostanzia nell’acquisizione di un bene strumentale con una formula del tutto simile a quella dell’acquisto in proprietà con contrazione di mutuo;
2. leasing operativo: si tratta di una forma di leasing simile nelle caratteristiche al noleggio di beni strumentali;
3. leasing agevolato: si tratta di una formula di leasing che consente alle imprese utilizzatrici di fruire di sconti sugli oneri finanziari previsti dal piano di ammortamento del leasing, accedendo a sovvenzioni di carattere regionale, nazionale o comunitario.
Come è possibile verificare nella grafica che segue, nel leasing finanziario si istituisce un rapporto trilaterale che vede coinvolti tre soggetti: il produttore, la società di leasing e l’utilizzatore.
L’operazione parte con l’ordinativo di acquisto che viene presentato dalla società di leasing al produttore in base alle indicazioni fornite dall’utilizzatore finale.
E’ evidente che, se è vero che in senso giuridico la proprietà del bene, salvo l’esercizio della clausola di riscatto, resta della società di leasing, è altrettanto vero che l’immobilizzazione tecnica è assolutamente avulsa dal ciclo tecnico-produttivo della società proprietaria, cosicché l’ammortamento va calcolato sulla scorta della durata economica che tenga conto del ciclo tecnico dell’utilizzatore.
Che questa sia l’impostazione corretta anche sotto il profilo aziendalistico, lo dimostra il tenore dell’art. 102, co. 7 del TUIR che sul piano fiscale statuisce che l’ammortamento dei beni concessi in leasing, deve essere attuato avendo riguardo ai coefficienti previsti per il settore dell’impresa utilizzatrice.
IAS 17 e leasing finanziario
Esistono considerevoli differenze tra il leasing operativo e il leasing finanziario.
A tal proposito, il principio contabile internazionale IAS 17 indica quali sono le condizioni, al verificarsi delle quali, ricorre la formula di leasing finanziario. Affinché lo stesso possa essere qualificato come contratto di «leasing finanziario» occorre:
1. che l’utilizzatore al termine del contratto sia facoltizzato a diventare proprietario del bene;
2. che la clausola di riscatto si possa ragionevolmente ipotizzare per data, allorquando il prezzo finale del bene risulti sensibilmente inferiore al fair view;
3. che la durata del contratto copra la maggior parte della vita economica del bene e che il valore attuale dei canoni possa essere assunto pari al fair view.
Qualora ricorrano le ipotesi di cui ai punti precedenti, una rappresentazione del leasing con metodo finanziario, con iscrizione dell’immobilizzazione tecnica nello Stato Patrimoniale dell’utilizzatore tra le IMMOBILIZZAZIONI e del corrispondente del debito verso la società di leasing, nella voce DEBITI con separata indicazione delle quote esigibili oltre l’anno, permetterebbe meglio di cogliere le implicazioni economico-patrimoniali di tale scelta acquisitiva.
Sull’impostazione contabile del leasing finanziario, ritenuta più idonea in punto di diritto, già da tempo autorevoli rappresentanti della dottrina aziendalistica avevano affermato in maniera chiara ed univoca che l’unica impostazione contabile ritenuta civilisticamente corretta, era quella basata sul metodo patrimoniale, impostazione questa confermata anche dall’Agenzia delle Entrate che, facendo proprie le argomentazione della Sentenza n. 8292 del 26/05/2003 della Corte di Cassazione, ebbe a precisare che, pur potendo la società di leasing optare per la contabilizzazione dei beni concessi in locazione finanziaria per il metodo cosiddetto “finanziario” e pur potendo di conseguenza l’utilizzatore iscrivere tra le proprie immobilizzazioni i beni in leasing, l’unico soggetto legittimato al calcolo delle quote di ammortamento restava la società concedente e non l’utilizzatore, non essendo quest’ultimo proprietario dei beni in leasing.
Solo al fine di evitare una rappresentazione che potesse violare il principio del «substance over the form», in fase di riforma del diritto societario e nel tentativo di mediare con gli standards contabili internazionali, è stata introdotta la prescrizione di rappresentare in Nota Integrativa, l’effetto della differente modalità di contabilizzazione, attraverso l’obbligo di esporre in apposito prospetto, le conseguenze dell’esposizione del leasing con metodo patrimoniale e con metodo finanziario

Il leasing e lo IAS 17

Il contratto di leasing : aspetti operativi e contabili
Corso teorico – pratico di contabilità generale e bilancio del Dott.Enrico Larocca
Il contratto d leasing è un contratto atipico che riassume le caratteristiche di tre contratti tipici: la locazione, il mutuo e la vendita a rate.
La forma più comunemente usata nella pratica aziendale, si denomina locazione finanziaria ( o leasing finanziario).
Gli standard contabili internazionali, in ossequio al principio della «prevalenza della sostanza sulla forma», inquadrano l’acquisizione di un bene strumentale in leasing finanziario, del tutto equivalente all’acquisto di un bene strumentale di proprietà con finanziamento ,ma la Cassazione, ancora oggi, inconformità alla concezione patrimonialistica del bilancio, ritiene illegittima la pratica di iscrivere i beni in leasing, nel bilancio dell’impresa utilizzatrice, come immobilizzazioni materiali nell’attivo e come debito di finanziamento nel passivo, prima dell’esercizio del diritto di riscatto.
Dovendo adempiere alle prescrizioni di cui all’art. 2427 punto 22) del codice civile, occorre fornire queste informazioni in Nota Integrativa.
Il contratto di leasing
Il termine leasing deriva dal verbo inglese to lease che significa affittare. Quindi la matrice terminologica del contratto attiene all’acquisizione in uso ovvero alla locazione.
Sennonché nella pratica aziendale, il contratto presenta i caratteri di tre contratti regolati dal codice civile: il contratto di locazione, il contratto di vendita con patto di riservato dominio e il contratto di mutuo.
Ed è in virtù di queste caratteristiche che gli IAS/IRFS considerano il leasing una formula di acquisizione di immobilizzazioni con finanziamento, in antitesi alla concezione patrimonialistica del bilancio, che considera il contratto a prestazioni reali, finalizzato all’acquisizione in uso.
Esistono diverse forme di leasing che possiamo riassumere in:
1. leasing finanziario: si tratta della forma di leasing più utilizzata nella pratica aziendale, che si sostanzia nell’acquisizione di un bene strumentale con una formula del tutto simile a quella dell’acquisto in proprietà con contrazione di mutuo;
2. leasing operativo: si tratta di una forma di leasing simile nelle caratteristiche al noleggio di beni strumentali;
3. leasing agevolato: si tratta di una formula di leasing che consente alle imprese utilizzatrici di fruire di sconti sugli oneri finanziari previsti dal piano di ammortamento del leasing, accedendo a sovvenzioni di carattere regionale, nazionale o comunitario.
Come è possibile verificare nella grafica che segue, nel leasing finanziario si istituisce un rapporto trilaterale che vede coinvolti tre soggetti: il produttore, la società di leasing e l’utilizzatore.
L’operazione parte con l’ordinativo di acquisto che viene presentato dalla società di leasing al produttore in base alle indicazioni fornite dall’utilizzatore finale.
E’ evidente che, se è vero che in senso giuridico la proprietà del bene, salvo l’esercizio della clausola di riscatto, resta della società di leasing, è altrettanto vero che l’immobilizzazione tecnica è assolutamente avulsa dal ciclo tecnico-produttivo della società proprietaria, cosicché l’ammortamento va calcolato sulla scorta della durata economica che tenga conto del ciclo tecnico dell’utilizzatore.
Che questa sia l’impostazione corretta anche sotto il profilo aziendalistico, lo dimostra il tenore dell’art. 102, co. 7 del TUIR che sul piano fiscale statuisce che l’ammortamento dei beni concessi in leasing, deve essere attuato avendo riguardo ai coefficienti previsti per il settore dell’impresa utilizzatrice.
IAS 17 e leasing finanziario
Esistono considerevoli differenze tra il leasing operativo e il leasing finanziario.
A tal proposito, il principio contabile internazionale IAS 17 indica quali sono le condizioni, al verificarsi delle quali, ricorre la formula di leasing finanziario. Affinché lo stesso possa essere qualificato come contratto di «leasing finanziario» occorre:
1. che l’utilizzatore al termine del contratto sia facoltizzato a diventare proprietario del bene;
2. che la clausola di riscatto si possa ragionevolmente ipotizzare per data, allorquando il prezzo finale del bene risulti sensibilmente inferiore al fair view;
3. che la durata del contratto copra la maggior parte della vita economica del bene e che il valore attuale dei canoni possa essere assunto pari al fair view.
Qualora ricorrano le ipotesi di cui ai punti precedenti, una rappresentazione del leasing con metodo finanziario, con iscrizione dell’immobilizzazione tecnica nello Stato Patrimoniale dell’utilizzatore tra le IMMOBILIZZAZIONI e del corrispondente del debito verso la società di leasing, nella voce DEBITI con separata indicazione delle quote esigibili oltre l’anno, permetterebbe meglio di cogliere le implicazioni economico-patrimoniali di tale scelta acquisitiva.
Sull’impostazione contabile del leasing finanziario, ritenuta più idonea in punto di diritto, già da tempo autorevoli rappresentanti della dottrina aziendalistica avevano affermato in maniera chiara ed univoca che l’unica impostazione contabile ritenuta civilisticamente corretta, era quella basata sul metodo patrimoniale, impostazione questa confermata anche dall’Agenzia delle Entrate che, facendo proprie le argomentazione della Sentenza n. 8292 del 26/05/2003 della Corte di Cassazione, ebbe a precisare che, pur potendo la società di leasing optare per la contabilizzazione dei beni concessi in locazione finanziaria per il metodo cosiddetto “finanziario” e pur potendo di conseguenza l’utilizzatore iscrivere tra le proprie immobilizzazioni i beni in leasing, l’unico soggetto legittimato al calcolo delle quote di ammortamento restava la società concedente e non l’utilizzatore, non essendo quest’ultimo proprietario dei beni in leasing.
Solo al fine di evitare una rappresentazione che potesse violare il principio del «substance over the form», in fase di riforma del diritto societario e nel tentativo di mediare con gli standards contabili internazionali, è stata introdotta la prescrizione di rappresentare in Nota Integrativa, l’effetto della differente modalità di contabilizzazione, attraverso l’obbligo di esporre in apposito prospetto, le conseguenze dell’esposizione del leasing con metodo patrimoniale e con metodo finanziario

giovedì 26 marzo 2009

presunzione iuris tantum di coincidenza del termine di esecuzione delle opere con quello in cui ne è accertata l'esecuzione

Edilizia

DATA DI ESECUZIONE DELLE OPERE – ONERE A CARICO DELL’IMPUTATO


Tribunale Penale di Nola, Giudice Monocratico, Dr.ssa Daniela Critelli, sentenza depositata il 23 febbraio 2009]

(massima a cura dell’Avv. Angelo Pignatelli)



Massima

In assenza di una prova rigorosa della retrodatazione degli illeciti, il cui onere grava sull’imputato (che è il solo a poter concretamente allegare i relativi elementi), il termine di esecuzione delle opere va ritenuto coincidente con quello in cui ne è stata accertata l’esecuzione. (cfr. Cass. N. 10562/00)

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...