martedì 31 marzo 2009

L'istanza di Condono Edilizio ed i documenti necessari

Condono edilizio:
integrazione e mancata presentazione dei documenti

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 17.12.2008 n° 2897

In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (“2° condono edilizio”) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta.
Il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla “denuncia in catasto”.
Se non viene dato seguito alla formale richiesta di fornire la “prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento” il Comune legittimamente ritiene sussistente l’improcedibilità della domanda e, dunque, nega la sanatoria.
Queste le argomentazioni in diritto con le quali il T.A.R. Puglia ha respinto il ricorso promosso avverso un diniego di condono di opere abusive motivato sulla base della improcedibilità della istanza presentata stante un manifesto inadempimento dell’interessato alle successive richieste di integrazione documentale fatte dal Comune.
Orbene, premesso che il condono (detto anche “sanatoria straordinaria”) è istituto eccezionale, come tale deve essere interpretato non solo nella sua portata giuridico-sostanziale, ma anche per quella procedimentale; così, anche gli adempimenti procedimentali sono tassativamente previsti dalle norme in questione e, dunque, il Comune non può omettere di adempiere ad un dovere di legge (il munirsi, cioè, di taluni documenti finalizzati alla completa istruttoria del procedimento amministrativo) così come il soggetto interessato al buon esito della pratica non può, a sua volta, restare inerte di fronte alle doverose istanze di integrazione recapitategli da parte della p.a. locale.
In tal senso, esistono solo atti e adempimenti documentali che, ritenuti “necessari” per espressa disposizione legislativa ma inadempiuti, provocano l’interruzione del procedimento; gli altri atti, riconducibili – per lo più – alla categoria di quelli richiesti dall’ente in via meramente eventuale (e cioè, non sulla base di norme di legge), non possono – invece – interrompere l’iter procedimentale.
(Altalex, 20 marzo 2009. Nota di Alessandro Del Dotto)

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 17.12.2008 n° 2897
[legge 724/1994 – 2° condono edilizio]
In materia di condono edilizio, la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
(Fonte: Altalex Massimario 9/2009. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)
T.A.R.
Puglia - Bari
Sezione III
Sentenza 3 dicembre - 17 dicembre 2008, n. 2897
(Presidente estensore Urbano)

Fatto e diritto
1.- Con ricorso notificato il 13.11.1997, il nominativo in epigrafe ha domandato l'annullamento, del diniego della sanatoria di opere abusive, richiesta al Comune di Bari l'1.3.1995.
L'atto di rigetto è motivato con riferimento all'art. 2, comma 37, l. 1996, n. 662, che ha modificato l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994, non avendo l'istante risposto nel termine assegnatogli all'invito ad integrare la documentazione a corredo della richiesta di condono.
A sostegno del ricorso, l'interessato deduce che la presentazione della denuncia in catasto, il versamento del conguaglio dell'oblazione e l'atto notorio dell'inesistenza di vincoli a parcheggio sull'opera oggetto di condono, non figurano tra gli atti a corredo della domanda a pena di inammissibilità e non se ne può imporre la presentazione a pena di improcedibilità della stessa.
Il Comune di Bari si è costituito in giudizio.
2. ' Il ricorso è infondato.
2.1. ' In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (2° condono edilizio) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta (cfr., Tar Campania, Napoli, sez. IV, 13 giugno 2007, n. 6138; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 3 febbraio 2003, n. 189).
D'altronde il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla 'denuncia in catasto'.
Non di meno, nei tre mesi successivi all'invito, il ricorrente non ha dato seguito alla formale richiesta, rivoltagli il 3.2.2007, di fornire la 'prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento' e, doverosamente, perciò, il Comune, preso atto dell'improcedibilità della domanda, ha negato la sanatoria.
3. ' In definitiva, il ricorso in esame va respinto.
Sussistono giuste ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE per la PUGLIA, Sede di Bari - Sezione Terza, respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa

L'istanza di Condono Edilizio ed i documenti necessari

Condono edilizio:
integrazione e mancata presentazione dei documenti

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 17.12.2008 n° 2897

In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (“2° condono edilizio”) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta.
Il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla “denuncia in catasto”.
Se non viene dato seguito alla formale richiesta di fornire la “prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento” il Comune legittimamente ritiene sussistente l’improcedibilità della domanda e, dunque, nega la sanatoria.
Queste le argomentazioni in diritto con le quali il T.A.R. Puglia ha respinto il ricorso promosso avverso un diniego di condono di opere abusive motivato sulla base della improcedibilità della istanza presentata stante un manifesto inadempimento dell’interessato alle successive richieste di integrazione documentale fatte dal Comune.
Orbene, premesso che il condono (detto anche “sanatoria straordinaria”) è istituto eccezionale, come tale deve essere interpretato non solo nella sua portata giuridico-sostanziale, ma anche per quella procedimentale; così, anche gli adempimenti procedimentali sono tassativamente previsti dalle norme in questione e, dunque, il Comune non può omettere di adempiere ad un dovere di legge (il munirsi, cioè, di taluni documenti finalizzati alla completa istruttoria del procedimento amministrativo) così come il soggetto interessato al buon esito della pratica non può, a sua volta, restare inerte di fronte alle doverose istanze di integrazione recapitategli da parte della p.a. locale.
In tal senso, esistono solo atti e adempimenti documentali che, ritenuti “necessari” per espressa disposizione legislativa ma inadempiuti, provocano l’interruzione del procedimento; gli altri atti, riconducibili – per lo più – alla categoria di quelli richiesti dall’ente in via meramente eventuale (e cioè, non sulla base di norme di legge), non possono – invece – interrompere l’iter procedimentale.
(Altalex, 20 marzo 2009. Nota di Alessandro Del Dotto)

TAR Puglia-Bari, sez. III, sentenza 17.12.2008 n° 2897
[legge 724/1994 – 2° condono edilizio]
In materia di condono edilizio, la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
(Fonte: Altalex Massimario 9/2009. Cfr. nota di Alessandro Del Dotto)
T.A.R.
Puglia - Bari
Sezione III
Sentenza 3 dicembre - 17 dicembre 2008, n. 2897
(Presidente estensore Urbano)

Fatto e diritto
1.- Con ricorso notificato il 13.11.1997, il nominativo in epigrafe ha domandato l'annullamento, del diniego della sanatoria di opere abusive, richiesta al Comune di Bari l'1.3.1995.
L'atto di rigetto è motivato con riferimento all'art. 2, comma 37, l. 1996, n. 662, che ha modificato l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994, non avendo l'istante risposto nel termine assegnatogli all'invito ad integrare la documentazione a corredo della richiesta di condono.
A sostegno del ricorso, l'interessato deduce che la presentazione della denuncia in catasto, il versamento del conguaglio dell'oblazione e l'atto notorio dell'inesistenza di vincoli a parcheggio sull'opera oggetto di condono, non figurano tra gli atti a corredo della domanda a pena di inammissibilità e non se ne può imporre la presentazione a pena di improcedibilità della stessa.
Il Comune di Bari si è costituito in giudizio.
2. ' Il ricorso è infondato.
2.1. ' In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (2° condono edilizio) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta (cfr., Tar Campania, Napoli, sez. IV, 13 giugno 2007, n. 6138; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 3 febbraio 2003, n. 189).
D'altronde il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla 'denuncia in catasto'.
Non di meno, nei tre mesi successivi all'invito, il ricorrente non ha dato seguito alla formale richiesta, rivoltagli il 3.2.2007, di fornire la 'prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento' e, doverosamente, perciò, il Comune, preso atto dell'improcedibilità della domanda, ha negato la sanatoria.
3. ' In definitiva, il ricorso in esame va respinto.
Sussistono giuste ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE per la PUGLIA, Sede di Bari - Sezione Terza, respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa

venerdì 27 marzo 2009

News dalla Suprema Corte

www.cortedicassazione.it

SENTENZA N. 10752 UD. 18 FEBBRAIO 2009 - DEPOSITO DEL 11 MARZO 2009


STRANIERI - ESPULSIONE COME MISURA ALTERNATIVA ALLA DETENZIONE - DIRITTO DELLO STRANIERO ALL'ESPULSIONE - SUSSISTENZA

L'espulsione dello straniero prevista dall'art. 16 comma quinto del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, che forma oggetto di un diritto dello straniero, qualora costui si trovi nella condizioni previste dalla legge per poterne usufruire. Resta escluso ogni potere discrezionale del giudice di merito circa la sua concedibilità, ed al pubblico ministero non è conferito il potere di rilasciare il nulla osta all’emissione del relativo provvedimento.


Sentenza n. 10752 del 18 febbraio 2009 – depositata l’11 marzo 2009
(Sezione Prima Penale, Presidente S. Chieffi, Relatore M. Barbarisi)

News dalla Suprema Corte

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SENTENZA N. 10752 UD. 18 FEBBRAIO 2009 - DEPOSITO DEL 11 MARZO 2009


STRANIERI - ESPULSIONE COME MISURA ALTERNATIVA ALLA DETENZIONE - DIRITTO DELLO STRANIERO ALL'ESPULSIONE - SUSSISTENZA

L'espulsione dello straniero prevista dall'art. 16 comma quinto del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, che forma oggetto di un diritto dello straniero, qualora costui si trovi nella condizioni previste dalla legge per poterne usufruire. Resta escluso ogni potere discrezionale del giudice di merito circa la sua concedibilità, ed al pubblico ministero non è conferito il potere di rilasciare il nulla osta all’emissione del relativo provvedimento.


Sentenza n. 10752 del 18 febbraio 2009 – depositata l’11 marzo 2009
(Sezione Prima Penale, Presidente S. Chieffi, Relatore M. Barbarisi)

In caso di doppia residenza fiscale prevale il luogo ove sono rinvenubili i legami personali



"Nel caso in cui una persona fisica abbia la residenza fiscale in due Stati membri della UE, in quanto in entrambi sia individuabile il centro degli interessi vitali, inteso come il luogo con il quale si ha un più stretto collegamento sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali, il problema della doppia residenza fiscale deve essere risolto attribuendola allo Stato in cui sono rinvenibili i legami personali."


Fatto e Diritto
Premesso che P.A. ha proposto ricorso per Cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate ed avverso l’indicata sentenza della CTR del Veneto; che l’Agenzia si è costituita con controricorso;
che, ricorrendo i presupposti per la trattazione in Camera di consiglio a sensi dell’art. 375 c.p.c., sono state acquisite le conclusioni del P.M., che ha chiesto rimettersi la causa alla pubblica udienza;
che nella Camera di consiglio odierna il ricorso è stato deciso.
La sentenza impugnata in relazione alla impugnazione di avvisi di accertamento ERPEF per gli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, ha ritenuto la soggezione all’imposta del P. anche per gli anni 1996 e 1997 per avere mantenuto in Italia il domicilio, come era dato di evincere da circostanze non contestate dell’avere in Italia la sua famiglia, di vivere prevalentemente nel nostro paese ove era amministratore di molteplici società, essere anche abituale frequentatore di un golf club in Italia.
Con l’unico motivo di ricorso, denunziando violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2 e L. n. 448 del 1998, art. 10, comma 1, propone questione se competa o no all’Ufficio dare la prova della residenza in Italia, se detta prova possa essere data per semplici indizi, se detti indizi possano essere rilevanti malgrado il contrasto con le risultanze anagrafiche.
Il ricorso è manifestamente infondato in quanto la sentenza ha fondato la propria decisione sull’accertamento del domicilio e non su quello della residenza, anche se ha rilevato perplessità sulla stessa attesa la mancata esibizione di un certificato di residenza a Monaco o di altri elementi, a prescindere dall’iscrizione all’AIRE per i soli anni 1996 e 1997.
Va aggiunto per completezza che anche se si fosse voluto contestare l’accertamento del domicilio in Italia, come potrebbe evincersi dalla contestazione nel corpo del ricorso della mancanza di prova della prevalenza degli affari all’estero su quelli italiani, si deve rilevare che l’accertamento della CTR è immune da vizi logici e giuridici. Questa Corte, scrutinando analoga questione con sentenza 13803 del 2001, ha precisato in motivazione: deve osservarsi, infine, che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nella sentenza 12 luglio 2001, in causa C - 262-99, Louloudakis c. Stato Ellenico, ha enunciato il principio che “... nel caso in cui una persona abbia legami sia personali sia professionali in due Stati membri, il luogo della sua “normale residenza”, stabilito nell’ambito di una valutazione globale in funzione di tutti gli elementi di fatto rilevanti, è quello in cui viene individuato il centro permanente degli interessi di tale persona e che, nell’ipotesi in cui tale valutazione globale non permetta siffatta valutazione, occorre dichiarare la preminenza dei legami personali”. Affermando tale preminenza, e ribadito che, comunque, il giudice nazionale deve compiere una valutazione globale di tutti gli elementi, sia personali che patrimoniali, la Corte ha elencato alcuni degli elementi rilevanti per l’esistenza dei legami personali, come la presenza fisica della persona e dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo in cui i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo dell’esercizio delle attività professionali, quello dei legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali “nei limiti in cui i detti elementi traducano la volontà di tale persona di conferire una determinata stabilità al luogo di collegamento, a motivo di una continuità che risulti da un’abitudine di vita e dallo svolgimento di rapporti sociali e professionali normali”.
Ed ha concluso affermando il principio: Nel caso in cui una persona fisica abbia la residenza fiscale in due Stati membri della UE, in quanto in entrambi sia individuabile il centro degli interessi vitali, inteso come il luogo con il quale si ha un più stretto collegamento sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali, il problema della doppia residenza fiscale deve essere risolto attribuendola allo Stato in cui sono rinvenibili i legami personali. Va conclusivamente rimarcato come nemmeno in sede di legittimità il P. abbia contestato che il suo centro degli interessi vitali sia rimasto in Italia.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 100,00 per spese vive, Euro 1900,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2008

In caso di doppia residenza fiscale prevale il luogo ove sono rinvenubili i legami personali



"Nel caso in cui una persona fisica abbia la residenza fiscale in due Stati membri della UE, in quanto in entrambi sia individuabile il centro degli interessi vitali, inteso come il luogo con il quale si ha un più stretto collegamento sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali, il problema della doppia residenza fiscale deve essere risolto attribuendola allo Stato in cui sono rinvenibili i legami personali."


Fatto e Diritto
Premesso che P.A. ha proposto ricorso per Cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate ed avverso l’indicata sentenza della CTR del Veneto; che l’Agenzia si è costituita con controricorso;
che, ricorrendo i presupposti per la trattazione in Camera di consiglio a sensi dell’art. 375 c.p.c., sono state acquisite le conclusioni del P.M., che ha chiesto rimettersi la causa alla pubblica udienza;
che nella Camera di consiglio odierna il ricorso è stato deciso.
La sentenza impugnata in relazione alla impugnazione di avvisi di accertamento ERPEF per gli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, ha ritenuto la soggezione all’imposta del P. anche per gli anni 1996 e 1997 per avere mantenuto in Italia il domicilio, come era dato di evincere da circostanze non contestate dell’avere in Italia la sua famiglia, di vivere prevalentemente nel nostro paese ove era amministratore di molteplici società, essere anche abituale frequentatore di un golf club in Italia.
Con l’unico motivo di ricorso, denunziando violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2 e L. n. 448 del 1998, art. 10, comma 1, propone questione se competa o no all’Ufficio dare la prova della residenza in Italia, se detta prova possa essere data per semplici indizi, se detti indizi possano essere rilevanti malgrado il contrasto con le risultanze anagrafiche.
Il ricorso è manifestamente infondato in quanto la sentenza ha fondato la propria decisione sull’accertamento del domicilio e non su quello della residenza, anche se ha rilevato perplessità sulla stessa attesa la mancata esibizione di un certificato di residenza a Monaco o di altri elementi, a prescindere dall’iscrizione all’AIRE per i soli anni 1996 e 1997.
Va aggiunto per completezza che anche se si fosse voluto contestare l’accertamento del domicilio in Italia, come potrebbe evincersi dalla contestazione nel corpo del ricorso della mancanza di prova della prevalenza degli affari all’estero su quelli italiani, si deve rilevare che l’accertamento della CTR è immune da vizi logici e giuridici. Questa Corte, scrutinando analoga questione con sentenza 13803 del 2001, ha precisato in motivazione: deve osservarsi, infine, che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nella sentenza 12 luglio 2001, in causa C - 262-99, Louloudakis c. Stato Ellenico, ha enunciato il principio che “... nel caso in cui una persona abbia legami sia personali sia professionali in due Stati membri, il luogo della sua “normale residenza”, stabilito nell’ambito di una valutazione globale in funzione di tutti gli elementi di fatto rilevanti, è quello in cui viene individuato il centro permanente degli interessi di tale persona e che, nell’ipotesi in cui tale valutazione globale non permetta siffatta valutazione, occorre dichiarare la preminenza dei legami personali”. Affermando tale preminenza, e ribadito che, comunque, il giudice nazionale deve compiere una valutazione globale di tutti gli elementi, sia personali che patrimoniali, la Corte ha elencato alcuni degli elementi rilevanti per l’esistenza dei legami personali, come la presenza fisica della persona e dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo in cui i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo dell’esercizio delle attività professionali, quello dei legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali “nei limiti in cui i detti elementi traducano la volontà di tale persona di conferire una determinata stabilità al luogo di collegamento, a motivo di una continuità che risulti da un’abitudine di vita e dallo svolgimento di rapporti sociali e professionali normali”.
Ed ha concluso affermando il principio: Nel caso in cui una persona fisica abbia la residenza fiscale in due Stati membri della UE, in quanto in entrambi sia individuabile il centro degli interessi vitali, inteso come il luogo con il quale si ha un più stretto collegamento sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali, il problema della doppia residenza fiscale deve essere risolto attribuendola allo Stato in cui sono rinvenibili i legami personali. Va conclusivamente rimarcato come nemmeno in sede di legittimità il P. abbia contestato che il suo centro degli interessi vitali sia rimasto in Italia.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 100,00 per spese vive, Euro 1900,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2008

Il leasing e lo IAS 17

Il contratto di leasing : aspetti operativi e contabili
Corso teorico – pratico di contabilità generale e bilancio del Dott.Enrico Larocca
Il contratto d leasing è un contratto atipico che riassume le caratteristiche di tre contratti tipici: la locazione, il mutuo e la vendita a rate.
La forma più comunemente usata nella pratica aziendale, si denomina locazione finanziaria ( o leasing finanziario).
Gli standard contabili internazionali, in ossequio al principio della «prevalenza della sostanza sulla forma», inquadrano l’acquisizione di un bene strumentale in leasing finanziario, del tutto equivalente all’acquisto di un bene strumentale di proprietà con finanziamento ,ma la Cassazione, ancora oggi, inconformità alla concezione patrimonialistica del bilancio, ritiene illegittima la pratica di iscrivere i beni in leasing, nel bilancio dell’impresa utilizzatrice, come immobilizzazioni materiali nell’attivo e come debito di finanziamento nel passivo, prima dell’esercizio del diritto di riscatto.
Dovendo adempiere alle prescrizioni di cui all’art. 2427 punto 22) del codice civile, occorre fornire queste informazioni in Nota Integrativa.
Il contratto di leasing
Il termine leasing deriva dal verbo inglese to lease che significa affittare. Quindi la matrice terminologica del contratto attiene all’acquisizione in uso ovvero alla locazione.
Sennonché nella pratica aziendale, il contratto presenta i caratteri di tre contratti regolati dal codice civile: il contratto di locazione, il contratto di vendita con patto di riservato dominio e il contratto di mutuo.
Ed è in virtù di queste caratteristiche che gli IAS/IRFS considerano il leasing una formula di acquisizione di immobilizzazioni con finanziamento, in antitesi alla concezione patrimonialistica del bilancio, che considera il contratto a prestazioni reali, finalizzato all’acquisizione in uso.
Esistono diverse forme di leasing che possiamo riassumere in:
1. leasing finanziario: si tratta della forma di leasing più utilizzata nella pratica aziendale, che si sostanzia nell’acquisizione di un bene strumentale con una formula del tutto simile a quella dell’acquisto in proprietà con contrazione di mutuo;
2. leasing operativo: si tratta di una forma di leasing simile nelle caratteristiche al noleggio di beni strumentali;
3. leasing agevolato: si tratta di una formula di leasing che consente alle imprese utilizzatrici di fruire di sconti sugli oneri finanziari previsti dal piano di ammortamento del leasing, accedendo a sovvenzioni di carattere regionale, nazionale o comunitario.
Come è possibile verificare nella grafica che segue, nel leasing finanziario si istituisce un rapporto trilaterale che vede coinvolti tre soggetti: il produttore, la società di leasing e l’utilizzatore.
L’operazione parte con l’ordinativo di acquisto che viene presentato dalla società di leasing al produttore in base alle indicazioni fornite dall’utilizzatore finale.
E’ evidente che, se è vero che in senso giuridico la proprietà del bene, salvo l’esercizio della clausola di riscatto, resta della società di leasing, è altrettanto vero che l’immobilizzazione tecnica è assolutamente avulsa dal ciclo tecnico-produttivo della società proprietaria, cosicché l’ammortamento va calcolato sulla scorta della durata economica che tenga conto del ciclo tecnico dell’utilizzatore.
Che questa sia l’impostazione corretta anche sotto il profilo aziendalistico, lo dimostra il tenore dell’art. 102, co. 7 del TUIR che sul piano fiscale statuisce che l’ammortamento dei beni concessi in leasing, deve essere attuato avendo riguardo ai coefficienti previsti per il settore dell’impresa utilizzatrice.
IAS 17 e leasing finanziario
Esistono considerevoli differenze tra il leasing operativo e il leasing finanziario.
A tal proposito, il principio contabile internazionale IAS 17 indica quali sono le condizioni, al verificarsi delle quali, ricorre la formula di leasing finanziario. Affinché lo stesso possa essere qualificato come contratto di «leasing finanziario» occorre:
1. che l’utilizzatore al termine del contratto sia facoltizzato a diventare proprietario del bene;
2. che la clausola di riscatto si possa ragionevolmente ipotizzare per data, allorquando il prezzo finale del bene risulti sensibilmente inferiore al fair view;
3. che la durata del contratto copra la maggior parte della vita economica del bene e che il valore attuale dei canoni possa essere assunto pari al fair view.
Qualora ricorrano le ipotesi di cui ai punti precedenti, una rappresentazione del leasing con metodo finanziario, con iscrizione dell’immobilizzazione tecnica nello Stato Patrimoniale dell’utilizzatore tra le IMMOBILIZZAZIONI e del corrispondente del debito verso la società di leasing, nella voce DEBITI con separata indicazione delle quote esigibili oltre l’anno, permetterebbe meglio di cogliere le implicazioni economico-patrimoniali di tale scelta acquisitiva.
Sull’impostazione contabile del leasing finanziario, ritenuta più idonea in punto di diritto, già da tempo autorevoli rappresentanti della dottrina aziendalistica avevano affermato in maniera chiara ed univoca che l’unica impostazione contabile ritenuta civilisticamente corretta, era quella basata sul metodo patrimoniale, impostazione questa confermata anche dall’Agenzia delle Entrate che, facendo proprie le argomentazione della Sentenza n. 8292 del 26/05/2003 della Corte di Cassazione, ebbe a precisare che, pur potendo la società di leasing optare per la contabilizzazione dei beni concessi in locazione finanziaria per il metodo cosiddetto “finanziario” e pur potendo di conseguenza l’utilizzatore iscrivere tra le proprie immobilizzazioni i beni in leasing, l’unico soggetto legittimato al calcolo delle quote di ammortamento restava la società concedente e non l’utilizzatore, non essendo quest’ultimo proprietario dei beni in leasing.
Solo al fine di evitare una rappresentazione che potesse violare il principio del «substance over the form», in fase di riforma del diritto societario e nel tentativo di mediare con gli standards contabili internazionali, è stata introdotta la prescrizione di rappresentare in Nota Integrativa, l’effetto della differente modalità di contabilizzazione, attraverso l’obbligo di esporre in apposito prospetto, le conseguenze dell’esposizione del leasing con metodo patrimoniale e con metodo finanziario

Il leasing e lo IAS 17

Il contratto di leasing : aspetti operativi e contabili
Corso teorico – pratico di contabilità generale e bilancio del Dott.Enrico Larocca
Il contratto d leasing è un contratto atipico che riassume le caratteristiche di tre contratti tipici: la locazione, il mutuo e la vendita a rate.
La forma più comunemente usata nella pratica aziendale, si denomina locazione finanziaria ( o leasing finanziario).
Gli standard contabili internazionali, in ossequio al principio della «prevalenza della sostanza sulla forma», inquadrano l’acquisizione di un bene strumentale in leasing finanziario, del tutto equivalente all’acquisto di un bene strumentale di proprietà con finanziamento ,ma la Cassazione, ancora oggi, inconformità alla concezione patrimonialistica del bilancio, ritiene illegittima la pratica di iscrivere i beni in leasing, nel bilancio dell’impresa utilizzatrice, come immobilizzazioni materiali nell’attivo e come debito di finanziamento nel passivo, prima dell’esercizio del diritto di riscatto.
Dovendo adempiere alle prescrizioni di cui all’art. 2427 punto 22) del codice civile, occorre fornire queste informazioni in Nota Integrativa.
Il contratto di leasing
Il termine leasing deriva dal verbo inglese to lease che significa affittare. Quindi la matrice terminologica del contratto attiene all’acquisizione in uso ovvero alla locazione.
Sennonché nella pratica aziendale, il contratto presenta i caratteri di tre contratti regolati dal codice civile: il contratto di locazione, il contratto di vendita con patto di riservato dominio e il contratto di mutuo.
Ed è in virtù di queste caratteristiche che gli IAS/IRFS considerano il leasing una formula di acquisizione di immobilizzazioni con finanziamento, in antitesi alla concezione patrimonialistica del bilancio, che considera il contratto a prestazioni reali, finalizzato all’acquisizione in uso.
Esistono diverse forme di leasing che possiamo riassumere in:
1. leasing finanziario: si tratta della forma di leasing più utilizzata nella pratica aziendale, che si sostanzia nell’acquisizione di un bene strumentale con una formula del tutto simile a quella dell’acquisto in proprietà con contrazione di mutuo;
2. leasing operativo: si tratta di una forma di leasing simile nelle caratteristiche al noleggio di beni strumentali;
3. leasing agevolato: si tratta di una formula di leasing che consente alle imprese utilizzatrici di fruire di sconti sugli oneri finanziari previsti dal piano di ammortamento del leasing, accedendo a sovvenzioni di carattere regionale, nazionale o comunitario.
Come è possibile verificare nella grafica che segue, nel leasing finanziario si istituisce un rapporto trilaterale che vede coinvolti tre soggetti: il produttore, la società di leasing e l’utilizzatore.
L’operazione parte con l’ordinativo di acquisto che viene presentato dalla società di leasing al produttore in base alle indicazioni fornite dall’utilizzatore finale.
E’ evidente che, se è vero che in senso giuridico la proprietà del bene, salvo l’esercizio della clausola di riscatto, resta della società di leasing, è altrettanto vero che l’immobilizzazione tecnica è assolutamente avulsa dal ciclo tecnico-produttivo della società proprietaria, cosicché l’ammortamento va calcolato sulla scorta della durata economica che tenga conto del ciclo tecnico dell’utilizzatore.
Che questa sia l’impostazione corretta anche sotto il profilo aziendalistico, lo dimostra il tenore dell’art. 102, co. 7 del TUIR che sul piano fiscale statuisce che l’ammortamento dei beni concessi in leasing, deve essere attuato avendo riguardo ai coefficienti previsti per il settore dell’impresa utilizzatrice.
IAS 17 e leasing finanziario
Esistono considerevoli differenze tra il leasing operativo e il leasing finanziario.
A tal proposito, il principio contabile internazionale IAS 17 indica quali sono le condizioni, al verificarsi delle quali, ricorre la formula di leasing finanziario. Affinché lo stesso possa essere qualificato come contratto di «leasing finanziario» occorre:
1. che l’utilizzatore al termine del contratto sia facoltizzato a diventare proprietario del bene;
2. che la clausola di riscatto si possa ragionevolmente ipotizzare per data, allorquando il prezzo finale del bene risulti sensibilmente inferiore al fair view;
3. che la durata del contratto copra la maggior parte della vita economica del bene e che il valore attuale dei canoni possa essere assunto pari al fair view.
Qualora ricorrano le ipotesi di cui ai punti precedenti, una rappresentazione del leasing con metodo finanziario, con iscrizione dell’immobilizzazione tecnica nello Stato Patrimoniale dell’utilizzatore tra le IMMOBILIZZAZIONI e del corrispondente del debito verso la società di leasing, nella voce DEBITI con separata indicazione delle quote esigibili oltre l’anno, permetterebbe meglio di cogliere le implicazioni economico-patrimoniali di tale scelta acquisitiva.
Sull’impostazione contabile del leasing finanziario, ritenuta più idonea in punto di diritto, già da tempo autorevoli rappresentanti della dottrina aziendalistica avevano affermato in maniera chiara ed univoca che l’unica impostazione contabile ritenuta civilisticamente corretta, era quella basata sul metodo patrimoniale, impostazione questa confermata anche dall’Agenzia delle Entrate che, facendo proprie le argomentazione della Sentenza n. 8292 del 26/05/2003 della Corte di Cassazione, ebbe a precisare che, pur potendo la società di leasing optare per la contabilizzazione dei beni concessi in locazione finanziaria per il metodo cosiddetto “finanziario” e pur potendo di conseguenza l’utilizzatore iscrivere tra le proprie immobilizzazioni i beni in leasing, l’unico soggetto legittimato al calcolo delle quote di ammortamento restava la società concedente e non l’utilizzatore, non essendo quest’ultimo proprietario dei beni in leasing.
Solo al fine di evitare una rappresentazione che potesse violare il principio del «substance over the form», in fase di riforma del diritto societario e nel tentativo di mediare con gli standards contabili internazionali, è stata introdotta la prescrizione di rappresentare in Nota Integrativa, l’effetto della differente modalità di contabilizzazione, attraverso l’obbligo di esporre in apposito prospetto, le conseguenze dell’esposizione del leasing con metodo patrimoniale e con metodo finanziario

giovedì 26 marzo 2009

presunzione iuris tantum di coincidenza del termine di esecuzione delle opere con quello in cui ne è accertata l'esecuzione

Edilizia

DATA DI ESECUZIONE DELLE OPERE – ONERE A CARICO DELL’IMPUTATO


Tribunale Penale di Nola, Giudice Monocratico, Dr.ssa Daniela Critelli, sentenza depositata il 23 febbraio 2009]

(massima a cura dell’Avv. Angelo Pignatelli)



Massima

In assenza di una prova rigorosa della retrodatazione degli illeciti, il cui onere grava sull’imputato (che è il solo a poter concretamente allegare i relativi elementi), il termine di esecuzione delle opere va ritenuto coincidente con quello in cui ne è stata accertata l’esecuzione. (cfr. Cass. N. 10562/00)

presunzione iuris tantum di coincidenza del termine di esecuzione delle opere con quello in cui ne è accertata l'esecuzione

Edilizia

DATA DI ESECUZIONE DELLE OPERE – ONERE A CARICO DELL’IMPUTATO


Tribunale Penale di Nola, Giudice Monocratico, Dr.ssa Daniela Critelli, sentenza depositata il 23 febbraio 2009]

(massima a cura dell’Avv. Angelo Pignatelli)



Massima

In assenza di una prova rigorosa della retrodatazione degli illeciti, il cui onere grava sull’imputato (che è il solo a poter concretamente allegare i relativi elementi), il termine di esecuzione delle opere va ritenuto coincidente con quello in cui ne è stata accertata l’esecuzione. (cfr. Cass. N. 10562/00)

Infortunistica stradale ed omessa integrazione del contraddittorio


Rca. GdP, omessa integrazione contraddittorio, nullità sentenza


sabato 21 marzo 2009
Tribunale di Nola, sentenza (appello) del 9 dicembre 2008

Risarcimento danni – Rca

GIUDIZIO DI APPELLO IN TEMA DI INFORTUNISTICA STRADALE - OMESSA INTEGRAZIONE DEL CONTRADDITTORIO DA PARTE DEL G.D.P. NEI CONFRONTI DI LITISCONSORTE NECESSARIO - OBBLIGO DI RIMESSIONE DEL GIUDICE DI APPELLO


[Tribunale di Nola, Dott. Alfonso Scermino, sentenza del 9 dicembre 2008]




REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NOLA
Il Tribunale di Nola, II sezione civile, in composizione monocratica nella persona del signor dott. Alfonso Scermino, all’udienza del 9.12.2008, fatte precisare le conclusioni, ha ordinato la discussione orale della causa nella stessa udienza, a norma dell’art. 281 sexies c.p.c., ed ha pronunciato al termine della discussione la seguente
SENTENZA
nella causa n. 2540/2007 R.G., vertente tra
Meviox Axx, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine dell’atto di citazione di primo grado, dall’avv.to ….., con cui elettivamente domicilia in ….,
CONTRO
Tiziox Gxx e Tiziox Rxx , rappresentati e difesi dall’avv. …., giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, con cui elettivamente domicilia …..;
XXXX Ass.ni s.p.a., contumace;
NONCHÉ NEI CONFRONTI DI
KKKK Ass.ni s.c.r.l., in persona del legale rapp.te p.t. , rappresentata e difesa , giusta mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione di primo grado, dall’avv. ….., con cui elettivamente domicilia ….,
dando lettura del dispositivo e dalla concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione nei termini che seguono
.
Con atto di citazione regolarmente notificato Meviox Axx , premettendo che in data 26.10.2002 si verificava un incidente tra il motoveicolo Piaggio tg. …. di proprietà di Tiziox Rxx e il veicolo Fiat Fiorino tg. …. di proprietà di esso attore e che la responsabilità dell’incidente era da ascriversi in via esclusiva al motoveicolo, conveniva in giudizio Tiziox Rxx e la sua compagnia di assicurazione XXXX s.p.a., al fine di vedersi risarcire il danno materiale arrecato al suo mezzo.
Oltre a costituirsi i convenuti per resistere alla domanda, in prime cure produceva comparsa di intervento volontario autonomo Tiziox Gxx, il quale, nella sua qualità di conducente del motoveicolo coinvolto nel sinistro, adduceva la responsabilità esclusiva del mezzo Fiat Fiorino e reclamava anch’egli, dal canto suo, congruo risarcimento.
Sennonchè , sin da principio proprio Tiziox Gxx invocava di estendere il contraddittorio, mediante relativo ordine di integrazione, nei confronti della società MMMM Auto s.p.a., in quanto quest’ultima, a dispetto di quanto affermato da Meviox Axx, risultava dal certificato PRA prodotto in atti, l’unica proprietaria del veicolo asseritamente responsabile al momento del sinistro.
Ma il G.d.P. non ordinava alcuna integrazione del contraddittorio.
Anzi, il G.d.P. di Nola, con sentenza n. 1771/2006 emessa in data 26.6.2006, rigettava la domanda attorea, oltre a quella dell’interventore Tiziox Gxx, in quanto “esisteva precedente giudicato”.
In particolare, osservava il Giudice di Pace che “con (precedente) sentenza n. 1310/2004 il G.d.P. già si era pronunciato in merito alla controversia e perciò , in applicazione del principio del ne bis in idem, il Giudice non poteva esaminare nel merito la domanda del Meviox e quella dell’interventore”.
Con atto di citazione notificato in data 7 e 9 marzo 2007 Meviox Axx proponeva appello avverso la predetta pronuncia.
Deduceva la parte che la decisione era stata erronea in quanto la sentenza n. 1310/2004, asseritamente preclusiva dell’esame del merito della lite, era in realtà intervenuta tra Tiziox Rxx e la MMMM Auto s.p.a. (unitamente alla Verona KKKK s.p.a.), onde non gli era opponibile ex art. 2909 c.c., non essendo stato esso appellante parte di quel giudizio.
Dal che si insisteva nella delibazione del merito della domanda, unitamente all’accoglimento della stessa.
Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 21.6.2007 si costituivano Tiziox Rxx e Tiziox Gxx.
E quest’ultimo, rilevando che il Giudice di prime cure aveva omesso di integrare il contraddittorio nei confronti dell’effettiva proprietaria del Fiat Fiorino tg. ….., cioè la società MMMM s.p.a., avanzava appello incidentale per la rimessione al primo giudice della controversia ex art. 354 c.p.c., laddove solo in tal modo anch’egli avrebbe potuto vedersi esaminare correttamente la sua domanda risarcitoria.
La comparsa di appello incidentale era poi fatta notificare ritualmente anche alla XXXX Ass.ni s.p.a. ed alla KKKK Ass.ni s.p.a. in quanto inizialmente contumaci.
All’esito della notifica, si costituiva la sola KKKK s.p.a., che si associava alle deduzioni del Meviox quale suo consorte di lite.
L’appello incidentale è fondato, assorbendo in via di pregiudizialità logico-giuridica ogni ulteriore statuizione.
Emergeva, invero, in termini inequivoci dagli atti di causa (certificato PRA) che al momento del sinistro (ottobre 2002) l’autoveicolo Fiat Fiorino tg. …. risultava intestato alla società MMMM Auto s.p.a.
Ed è noto che le risultanze del pubblico registro automobilistico avevano il valore quantomeno di una presunzione semplice in ordine alla corrispondente titolarità del mezzo, presunzione che poteva essere vinta con ogni mezzo di prova da parte di colui che, di contro, reclamasse di essere proprietario dello stesso (Cassazione civile , sez. I, 28 settembre 2006, n. 21055).
Sennonchè, nessuna diversa prova documentale era offerta a riguardo dall’attore Meviox Axx , che si era qualificato titolare del mezzo in questione.
Sicchè, essendo stata avanzata una domanda risarcitoria da Tiziox Gxx (interventore) secondo cui la responsabilità esclusiva del sinistro andava imputata al Fiat Fiorino tg. …., una volta già costituita la compagnia di quest’ultimo mezzo , cioè la KKKK Ass.ni s.p.a. (in atti), avrebbe certamente dovuto integrarsi il contraddittorio ex art. 102 c.p.c. con l’unico soggetto che appariva il necessario legittimato passivo della pretesa avanzata dall’interventore.
Tanto, però, non era fatto ed in tal modo il G.d.P. cadeva in errore, non solo perché non teneva conto delle risultanze documentali predette, ma anche perché delibava in ordine alla portata di un giudicato precedente sulla sua controversia senza dapprima far cristallizzare validamente il rapporto processuale su cui ci si doveva pronunciare.
Invero, in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, qualora il danneggiato agisca direttamente contro l'assicuratore (art. 18, comma 1, legge n. 990 del 1969), la domanda deve essere proposta anche contro il responsabile del danno (art. 23 legge citata), cioè il proprietario del veicolo, che assume, per l'effetto, la veste di litisconsorte necessario del primo in sede processuale, con la conseguenza che, ove manchi la prova che la domanda (nella specie, atto di intervento) sia stato notificato anche al detto responsabile, la domanda non va dichiarata improcedibile, dovendosi, per converso, ordinare l'integrazione del contraddittorio nei confronti della parte non evocata in giudizio , ex art. 102, comma 2, c.p.c.
Ne consegue, ancora, che la sentenza con la quale il primo Giudice dichiarava erroneamente la domanda inammissibile o improcedibile, non può che andare annullata ex art. 354, comma 1, e 383, comma 3, c.p.c. , per essere la lite rimessa nuovamente in prime cure (Cassazione civile , sez. III, 17 dicembre 2001, n. 15892).
Spese compensate attesa la natura della pronuncia.
P. Q. M.
Il Tribunale, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando in ordine alla causa in epigrafe,
- Accoglie l’appello incidentale e, rilevata la nullità della sentenza n. 1771/2006 emessa in data 26.6.2006 dal G.d.P. di Nola, dispone la rimessione della causa davanti al primo Giudice;
- Spese interamente compensate;
Così deciso in NOLA il 9.12.2008; si provveda all’immediato deposito in cancelleria.
Il Giudice
dott. Alfonso Scermino
(Allegato al verbale d’udienza del 9.12.2008)


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