giovedì 5 marzo 2009

La lite temeraria e la colpa grave


SENTENZA N. 2636 DEL 04/02/2009



PROCESSO CIVILE - SPESE GIUDIZIALI - CONDANNA PER COLPA GRAVE
Per la prima volta la Corte ha condannato la parte soccombente ad una somma ulteriore, equitativamente determinata, ravvisando – ai sensi dell’art. 385, u.c. c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006 – un’ ipotesi di colpa grave. Il ricorso per cassazione era stato proposto in forza di procura generale rilasciata in data antecedente alla sentenza impugnata; i presupposti della colpa grave sono stati ravvisati nel carattere evidente e testuale del requisito della procura speciale e nella circostanza che è assolutamente consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui è indispensabile la posteriorità della stessa rispetto alla sentenza impugnata.


Sentenza n. 2636 del 4 febbraio 2009

(Sezioni Unite Civili, Presidente S. Mattone, Relatore R. Rordorf)

La lite temeraria e la colpa grave


SENTENZA N. 2636 DEL 04/02/2009



PROCESSO CIVILE - SPESE GIUDIZIALI - CONDANNA PER COLPA GRAVE
Per la prima volta la Corte ha condannato la parte soccombente ad una somma ulteriore, equitativamente determinata, ravvisando – ai sensi dell’art. 385, u.c. c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006 – un’ ipotesi di colpa grave. Il ricorso per cassazione era stato proposto in forza di procura generale rilasciata in data antecedente alla sentenza impugnata; i presupposti della colpa grave sono stati ravvisati nel carattere evidente e testuale del requisito della procura speciale e nella circostanza che è assolutamente consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui è indispensabile la posteriorità della stessa rispetto alla sentenza impugnata.


Sentenza n. 2636 del 4 febbraio 2009

(Sezioni Unite Civili, Presidente S. Mattone, Relatore R. Rordorf)

Fideiussione a garanzia del pagamento dei canoni di locazione

SENTENZA N. 3525 DEL 13/02/2009a>

FIDEIUSSIONE A GARANZIA DI UNA LOCAZIONE - MOROSITA' DEL CONDUTTORE TALE DA LEGITTIMARE LA DOMANDA DI RISOLUZIONE DA PARTE DEL CONDUTTORE - PERMANENZA DELL'OBBLIGAZIONE DEL FIDEIUSSORE - CONDIZIONI - FATTISPECIE

Qualora un contratto di fideiussione venga stipulato a garanzia del pagamento dei canoni di un contratto di locazione, ove si determini una morosità del conduttore tale da giustificare la domanda di risoluzione da parte del locatore, questi è tenuto a riferire al fideiussore della morosità, onde farsi autorizzare ad attendere il pagamento, in tal modo facendo credito al conduttore con la garanzia del fideiussore; se ciò non avviene, è applicabile la previsione dell'art. 1956 cod. civ., secondo cui in tale ipotesi il fideiussore è liberato dalla propria obbligazione (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, nonostante il fideiussore avesse chiesto di vedere riconosciuta la propria liberazione ai sensi degli artt. 1956 e 1957 cod. civ., aveva omesso di pronunciarsi sul punto, ritenendo il permanere dell'obbligazione di garanzia).


Sentenza n. 3525 del 13 febbraio 2009
(Sezione Terza Civile, Presidente P. Vttoria, Relatore P. D'Amico)

Fideiussione a garanzia del pagamento dei canoni di locazione

SENTENZA N. 3525 DEL 13/02/2009a>

FIDEIUSSIONE A GARANZIA DI UNA LOCAZIONE - MOROSITA' DEL CONDUTTORE TALE DA LEGITTIMARE LA DOMANDA DI RISOLUZIONE DA PARTE DEL CONDUTTORE - PERMANENZA DELL'OBBLIGAZIONE DEL FIDEIUSSORE - CONDIZIONI - FATTISPECIE

Qualora un contratto di fideiussione venga stipulato a garanzia del pagamento dei canoni di un contratto di locazione, ove si determini una morosità del conduttore tale da giustificare la domanda di risoluzione da parte del locatore, questi è tenuto a riferire al fideiussore della morosità, onde farsi autorizzare ad attendere il pagamento, in tal modo facendo credito al conduttore con la garanzia del fideiussore; se ciò non avviene, è applicabile la previsione dell'art. 1956 cod. civ., secondo cui in tale ipotesi il fideiussore è liberato dalla propria obbligazione (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, nonostante il fideiussore avesse chiesto di vedere riconosciuta la propria liberazione ai sensi degli artt. 1956 e 1957 cod. civ., aveva omesso di pronunciarsi sul punto, ritenendo il permanere dell'obbligazione di garanzia).


Sentenza n. 3525 del 13 febbraio 2009
(Sezione Terza Civile, Presidente P. Vttoria, Relatore P. D'Amico)

Responsabilità del notaio per mancata effettuazione delle visure

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza n. 1335 del 20/01/2009 -
Notaio,responsabilità,visure catastali,danno,natura,valore
Ottimo commento da leggere alla fonte Avv. Raffaele Plenteda:
http://www.plentedamaggiulli.it/Giurisprudenza/Cassazione-1335-20%201%202009-1335-notaio-responsabilit%C3%A0-obbligazione-valore-avv%20raffaele-plenteda.html

"l'obbligazione di risarcimento del danno, per inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito, non di valuta, ma di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell'articolo 1224 c.c., comma 2, detta norma attenendo alle conseguenze dannose dell'inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie."

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 18-7-1995, la B. N. d. L. conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Pistoia, il notaio R.M. per sentirlo condannare al pagamento della somma di lire 1.245.404.933, oltre interessi dal 31-5-1994, previo accertamento della sua colpa professionale, nell'espletamento dell'incarico a lui conferito dalla Sezione Speciale per il Credito Industriale presso la B. (poi confluita nella B. s.p.a.). A sostegno della propria domanda, la B. esponeva quanto segue:
con Delib. 7 maggio 1992, l'allora Sezione Speciale per il Credito Industriale della B. N. d. L. (cui, per successive incorporazioni, era succeduta la B. s.p.a.) autorizzò la concessione, alla s.r.l. " C. I. " di Portoferraio, di un finanziamento di lire 1.300.000.000, previa costituzione di un'ipoteca di primo grado sull'immobile ad uso commerciale situato in (...);
con successiva lettera raccomandata del 10-6-1992, la suddetta Sezione conferì a notaio R.M. il mandato di predisporre e, poi, stipulare il contratto di finanziamento, secondo uno schema trasmessogli unitamente ad un "capitolato" che ne doveva formare parte integrante. Contestualmente, il professionista veniva incaricato di accertare e certificare l'esistenza dei presupposti che la B. riteneva necessari per il finanziamento ed, in primo luogo, la circostanza, essenziale ed imprescindibile, che l'immobile da ipotecare fosse di proprietà del futuro mutuatario e che non fosse gravato da qualsiasi iscrizione e/o trascrizione pregiudizievole (nel ventennio), così da poter essere ultimamente assoggettato alla ipoteca di primo grado prevista come necessaria garanzia della restituzione delle somme da erogare. Inoltre, il notaio, entro undici giorni dall'ultimazione di tali adempimenti, avrebbe dovuto trasmettere alla B. un suo "certificato", attestante l'avvenuta esecuzione dei vari adempimenti e, principalmente, l'avvenuta iscrizione ipotecaria di primo grado, sul predetto immobile, completamente libero da qualsiasi gravame pregiudizievole;
di fatto, il notaio R. aveva accettato l'incarico, tanto da aver poi provveduto alla predisposizione e, poi, alla stipula del contratto di finanziamento (in data 11-6-1992 repertorio ...), con il previo invio alla banca di due relazioni scritte. La prima relazione (in data 16-6-1992) attestava, tra l'altro, la libera e piena proprietà dell'immobile costituito in garanzia ipotecaria di primo grado. La seconda relazione (del 6-7-1992) attestava che lo stesso Notaio aveva esaminato i documenti e consultato attentamente le risultanze del Catasto nonchè della Conservatoria dei Registri Immobiliari, riscontrando con certezza la libera proprietà (da parte della società mutuataria) dell'immobile in questione; più esattamente, veniva certificato che, al 16-6-1992 (giorno in cui era stata iscritta l'ipoteca anzidetta), l'immobile risultava libero sia da qualsiasi trascrizione pregiudizievole, sia da iscrizioni ipotecarie, ad eccezione di una accesa per lire 1.431.000.000 in data 14-6-1990, che tuttavia riguardava una posizione debitoria completamente estinta, tanto che erano in corso le formalità di cancellazione. Nello stesso atto, il Notaio R. esprimeva parere favorevole all'erogazione effettiva del finanziamento. Conseguentemente, la Sezione Speciale del Credito Industriale accreditava alla s.r.l. I. l'intera somma mutuata;
la società ora detta veniva, poi, dichiarata fallita dal Tribunale di Livorno, con sentenza del 10-5-1994, e la Sezione, previa tempestiva domanda, era stata ammessa ai passivo quale creditrice ipotecaria "di primo grado", per il suo credito residuo di lire 1.248.404.933. Peraltro, in ulteriore prosieguo, il G.D., a seguito di domanda di insinuazione tardiva, presentata dal C. F. s.p.a., aveva ammesso al passivo il credito di tale istituto, per la somma di lire 1.111.759.848, con garanzia ipotecaria di primo grado sullo stesso immobile di (...), riconosciuta di effettiva spettanza dello stesso C. F. e non della Sezione Speciale. Conseguentemente, il ricavato della vendita fallimentare dell'immobile ora detto, pari a lire 880.000.000, era destinato, per intero, al C. F., mentre nulla avrebbe ricevuto la BN. .
Pertanto, con citazione 6-7-1995, la BN. conveniva in giudizio il notaio R.M. , contestando la negligenza di quest'ultimo nell'adempimento dell'incarico professionale assunto e chiedendo i danni per lire 1.245.404.933, oltre interessi dal 31-5-1994. Il R. , costituendosi in giudizio, chiamava in causa la due compagnie presso le quali era assicurato per la responsabilità professionale, L. N. s.p.a. e U. S. di. A. s.p.a. (poi denominata A. S. s.p.a.), e, in ogni caso, contestava in toto le avverse pretese in quanto infondate in fatto e in diritto; nella denegata ipotesi del riconoscimento di un qualche pregiudizio sofferto dalla B. , chiedeva, comunque, di accertare il colposo concorso do quest'ultima nella produzione dell'evento lesivo, limitando, in ogni caso, l'ammontare del danno risarcibile.
Costituitesi le compagnie di Assicurazioni con sentenza n. 228/2001, depositata in data 8-3-2001, il Tribunale di Pistoia condannava R. M. al pagamento in favore della B. s.p.a. a titolo di risarcimento del danno della somma di lire 311.155.000, oltre interessi secondo il saggio dell'8% annuo su lire 600.000.000 dal 18-7-1995 alla data di deposito della sentenza medesima, nonchè agli interessi secondo la misura legale dal deposito della pronuncia sino al saldo; dichiarava improponibili le domande di garanzia avanziate dal Notaio R. nei confronti de L. N. s.p.a. e di A. S. s.p.a.; disponeva di conseguenza sulle spese di lite.
Proponevano appello, in via principale, il R. e, in via incidentale la B. ; si costituivano le Compagnie e la Corte d'Appello di Firenze, con la decisione in esame n. 150/2004, depositata il 5-2-2004, in parziale riforma dell'impugnata sentenza, condannava il R. al pagamento in favore della B. di euro 85.261,00, oltre interessi.
Ricorrono per cassazione la B. N. d. L. , in via principale, con due motivi, e il R. , in via incidentale, con quattro motivi. Resistono con controricorso la M. A. s.p.a. (già L. N. C J.A.R. s.p.a.) e la A. Su. s.p.a.. Ha depositato memoria la B. N. d. L. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
- Ricorso principale:
Con il primo motivo si deduce violazione degli articoli 1218, 1223 e 1225 c.c. nonchè falsa applicazione dell'articolo 1224 c.c., comma 2.
Si censura l'impugnata decisione nel punto in cui la Corte di merito ha escluso, in mancanza di una specifica richiesta, "la spettanza di qualsiasi rivalutazione del risarcimento dovuto alla B. ", erroneamente qualificandolo debito di valuta.
Si aggiunge che la fattispecie in esame riguarda non già un'obbligazione pecuniaria, ma l'inadempimento della specifica obbligazione di fare, che gravava sul notaio R. , in dipendenza dell'incarico professionale a lui conferito.
Si fa presente, infine, che secondo il costante insegnamento del Supremo Collegio, l'obbligazione risarcitorio che nasce dalla responsabilità contrattuale, deve esser sempre qualificata come debito di valore, poichè, eccettuato il caso regolato dal capoverso dall'articolo 1224 c.c., non ha un originario e ben precisato contenuto pecuniario e non può esser, correttamente, qualificata come "debito di valuta".
Con il secondo motivo si deduce mancanza assoluta di motivazione sull'asserita natura di obbligazione di valuta in relazione all'incarico professionale assunto dal R.
Ricorso incidentale:
Con il primo motivo si deduce violazione degli articoli 1176 e 1223 c.c. in ordine ai profili - erroneamente considerati della diligenza nell'adempimento e della risarcibilità del solo danno che sia conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, e relativo difetto di motivazione.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 1227 c.c. in relazione all'omessa considerazione del concorso di colpa del creditore, e relativo difetto di motivazione.
Con terzo motivo si deduce omessa pronuncia sulla domanda di restituzione delle somme corrisposte dal notaio R. a B. in forza della sentenza, riformata in appello, di primo grado.
Con il quarto motivo si deduce omissione di pronuncia su di una domanda prospettata dalla parte in giudizio, in relazione alla mancata pronuncia sulla domanda di dichiarazione di inefficacia e inopponibilità al notaio R. delle clausole compromissorie contenute nelle polizze assicurative de L. N. s.p.a. e A. s.p.a..
Preliminarmente si dispone la riunione dei ricorsi ai sensi dell'articolo 335 c.p.c..
Fondato e' il ricorso principale, in relazione ad entrambe le censure aventi ad oggetto la natura di debito di valore e non di valuta del debito risarcitorio del R.
Secondo, infatti, il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte (Cass. N. 9517/2002), l'obbligazione di risarcimento del danno, per inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito, non di valuta, ma di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell'articolo 1224 c.c., comma 2, detta norma attenendo alle conseguenze dannose dell'inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie.
E' indubbio che, nella vicenda in esame, il comportamento del R. configura un evidente inadempimento di obbligazione (per quanto accertato, con relativa motivazione, in sede di merito), derivante dall'attività professionale di notaio avente ad oggetto un facere (con specifico riferimento all'accertamento della presenza o meno di iscrizioni pregiudizievoli); in proposito condivisibile e' l'affermazione di questa Corte (Cass. N. 26663/2007) in base alla quale, con specifico riferimento alla vicenda in esame, il suddetto principio (secondo cui l'obbligazione risarcitoria e' sempre debito di valore) opera anche quando si tratta di danni conseguenti ad inadempimento di obblighi che, sebbene nascenti da un contratto che comporta l'esecuzione di prestazioni pecuniarie, abbiano specificato contenuto ed autonoma valenza attinenti ad un diverso facere ed a cosa diversa dal denaro.
Censurabile e', pertanto, l'impugnata decisione là dove afferma che l'obbligazione di risarcimento danno a carico del R. , erroneamente rapportata, per quanto sopra esposto, a inadempimento contrattuale di un'obbligazione pecuniaria, configuri un debito di valuta.
Non meritevole accoglimento e', poi, il ricorso incidentale.
Inammissibili sono i primi due motivi e il quarto in quanto vertenti su un non consentito esame nella presente sede di legittimità di circostanze di fatto, quali la diligenza nell'adempimento, il nesso causale tra fatto e danno, la ricorribilità in concreto dei presupposti per la configurazione del concorso di colpa del creditore e l'interpretazione di clausole compromissorie contenute nelle polizze assicurative.
Assorbito, infine, e' il terzo motivo, a seguito dell'accoglimento del ricorso principale.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta l'incidentale. Cassa l'impugnata decisione in relazione al ricorso accolto, e rinvia anche per le spese della presente fase alla Corte d'Appello di Firenze in diversa composizione.

Responsabilità del notaio per mancata effettuazione delle visure

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza n. 1335 del 20/01/2009 -
Notaio,responsabilità,visure catastali,danno,natura,valore
Ottimo commento da leggere alla fonte Avv. Raffaele Plenteda:
http://www.plentedamaggiulli.it/Giurisprudenza/Cassazione-1335-20%201%202009-1335-notaio-responsabilit%C3%A0-obbligazione-valore-avv%20raffaele-plenteda.html

"l'obbligazione di risarcimento del danno, per inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito, non di valuta, ma di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell'articolo 1224 c.c., comma 2, detta norma attenendo alle conseguenze dannose dell'inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie."

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 18-7-1995, la B. N. d. L. conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Pistoia, il notaio R.M. per sentirlo condannare al pagamento della somma di lire 1.245.404.933, oltre interessi dal 31-5-1994, previo accertamento della sua colpa professionale, nell'espletamento dell'incarico a lui conferito dalla Sezione Speciale per il Credito Industriale presso la B. (poi confluita nella B. s.p.a.). A sostegno della propria domanda, la B. esponeva quanto segue:
con Delib. 7 maggio 1992, l'allora Sezione Speciale per il Credito Industriale della B. N. d. L. (cui, per successive incorporazioni, era succeduta la B. s.p.a.) autorizzò la concessione, alla s.r.l. " C. I. " di Portoferraio, di un finanziamento di lire 1.300.000.000, previa costituzione di un'ipoteca di primo grado sull'immobile ad uso commerciale situato in (...);
con successiva lettera raccomandata del 10-6-1992, la suddetta Sezione conferì a notaio R.M. il mandato di predisporre e, poi, stipulare il contratto di finanziamento, secondo uno schema trasmessogli unitamente ad un "capitolato" che ne doveva formare parte integrante. Contestualmente, il professionista veniva incaricato di accertare e certificare l'esistenza dei presupposti che la B. riteneva necessari per il finanziamento ed, in primo luogo, la circostanza, essenziale ed imprescindibile, che l'immobile da ipotecare fosse di proprietà del futuro mutuatario e che non fosse gravato da qualsiasi iscrizione e/o trascrizione pregiudizievole (nel ventennio), così da poter essere ultimamente assoggettato alla ipoteca di primo grado prevista come necessaria garanzia della restituzione delle somme da erogare. Inoltre, il notaio, entro undici giorni dall'ultimazione di tali adempimenti, avrebbe dovuto trasmettere alla B. un suo "certificato", attestante l'avvenuta esecuzione dei vari adempimenti e, principalmente, l'avvenuta iscrizione ipotecaria di primo grado, sul predetto immobile, completamente libero da qualsiasi gravame pregiudizievole;
di fatto, il notaio R. aveva accettato l'incarico, tanto da aver poi provveduto alla predisposizione e, poi, alla stipula del contratto di finanziamento (in data 11-6-1992 repertorio ...), con il previo invio alla banca di due relazioni scritte. La prima relazione (in data 16-6-1992) attestava, tra l'altro, la libera e piena proprietà dell'immobile costituito in garanzia ipotecaria di primo grado. La seconda relazione (del 6-7-1992) attestava che lo stesso Notaio aveva esaminato i documenti e consultato attentamente le risultanze del Catasto nonchè della Conservatoria dei Registri Immobiliari, riscontrando con certezza la libera proprietà (da parte della società mutuataria) dell'immobile in questione; più esattamente, veniva certificato che, al 16-6-1992 (giorno in cui era stata iscritta l'ipoteca anzidetta), l'immobile risultava libero sia da qualsiasi trascrizione pregiudizievole, sia da iscrizioni ipotecarie, ad eccezione di una accesa per lire 1.431.000.000 in data 14-6-1990, che tuttavia riguardava una posizione debitoria completamente estinta, tanto che erano in corso le formalità di cancellazione. Nello stesso atto, il Notaio R. esprimeva parere favorevole all'erogazione effettiva del finanziamento. Conseguentemente, la Sezione Speciale del Credito Industriale accreditava alla s.r.l. I. l'intera somma mutuata;
la società ora detta veniva, poi, dichiarata fallita dal Tribunale di Livorno, con sentenza del 10-5-1994, e la Sezione, previa tempestiva domanda, era stata ammessa ai passivo quale creditrice ipotecaria "di primo grado", per il suo credito residuo di lire 1.248.404.933. Peraltro, in ulteriore prosieguo, il G.D., a seguito di domanda di insinuazione tardiva, presentata dal C. F. s.p.a., aveva ammesso al passivo il credito di tale istituto, per la somma di lire 1.111.759.848, con garanzia ipotecaria di primo grado sullo stesso immobile di (...), riconosciuta di effettiva spettanza dello stesso C. F. e non della Sezione Speciale. Conseguentemente, il ricavato della vendita fallimentare dell'immobile ora detto, pari a lire 880.000.000, era destinato, per intero, al C. F., mentre nulla avrebbe ricevuto la BN. .
Pertanto, con citazione 6-7-1995, la BN. conveniva in giudizio il notaio R.M. , contestando la negligenza di quest'ultimo nell'adempimento dell'incarico professionale assunto e chiedendo i danni per lire 1.245.404.933, oltre interessi dal 31-5-1994. Il R. , costituendosi in giudizio, chiamava in causa la due compagnie presso le quali era assicurato per la responsabilità professionale, L. N. s.p.a. e U. S. di. A. s.p.a. (poi denominata A. S. s.p.a.), e, in ogni caso, contestava in toto le avverse pretese in quanto infondate in fatto e in diritto; nella denegata ipotesi del riconoscimento di un qualche pregiudizio sofferto dalla B. , chiedeva, comunque, di accertare il colposo concorso do quest'ultima nella produzione dell'evento lesivo, limitando, in ogni caso, l'ammontare del danno risarcibile.
Costituitesi le compagnie di Assicurazioni con sentenza n. 228/2001, depositata in data 8-3-2001, il Tribunale di Pistoia condannava R. M. al pagamento in favore della B. s.p.a. a titolo di risarcimento del danno della somma di lire 311.155.000, oltre interessi secondo il saggio dell'8% annuo su lire 600.000.000 dal 18-7-1995 alla data di deposito della sentenza medesima, nonchè agli interessi secondo la misura legale dal deposito della pronuncia sino al saldo; dichiarava improponibili le domande di garanzia avanziate dal Notaio R. nei confronti de L. N. s.p.a. e di A. S. s.p.a.; disponeva di conseguenza sulle spese di lite.
Proponevano appello, in via principale, il R. e, in via incidentale la B. ; si costituivano le Compagnie e la Corte d'Appello di Firenze, con la decisione in esame n. 150/2004, depositata il 5-2-2004, in parziale riforma dell'impugnata sentenza, condannava il R. al pagamento in favore della B. di euro 85.261,00, oltre interessi.
Ricorrono per cassazione la B. N. d. L. , in via principale, con due motivi, e il R. , in via incidentale, con quattro motivi. Resistono con controricorso la M. A. s.p.a. (già L. N. C J.A.R. s.p.a.) e la A. Su. s.p.a.. Ha depositato memoria la B. N. d. L. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
- Ricorso principale:
Con il primo motivo si deduce violazione degli articoli 1218, 1223 e 1225 c.c. nonchè falsa applicazione dell'articolo 1224 c.c., comma 2.
Si censura l'impugnata decisione nel punto in cui la Corte di merito ha escluso, in mancanza di una specifica richiesta, "la spettanza di qualsiasi rivalutazione del risarcimento dovuto alla B. ", erroneamente qualificandolo debito di valuta.
Si aggiunge che la fattispecie in esame riguarda non già un'obbligazione pecuniaria, ma l'inadempimento della specifica obbligazione di fare, che gravava sul notaio R. , in dipendenza dell'incarico professionale a lui conferito.
Si fa presente, infine, che secondo il costante insegnamento del Supremo Collegio, l'obbligazione risarcitorio che nasce dalla responsabilità contrattuale, deve esser sempre qualificata come debito di valore, poichè, eccettuato il caso regolato dal capoverso dall'articolo 1224 c.c., non ha un originario e ben precisato contenuto pecuniario e non può esser, correttamente, qualificata come "debito di valuta".
Con il secondo motivo si deduce mancanza assoluta di motivazione sull'asserita natura di obbligazione di valuta in relazione all'incarico professionale assunto dal R.
Ricorso incidentale:
Con il primo motivo si deduce violazione degli articoli 1176 e 1223 c.c. in ordine ai profili - erroneamente considerati della diligenza nell'adempimento e della risarcibilità del solo danno che sia conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, e relativo difetto di motivazione.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 1227 c.c. in relazione all'omessa considerazione del concorso di colpa del creditore, e relativo difetto di motivazione.
Con terzo motivo si deduce omessa pronuncia sulla domanda di restituzione delle somme corrisposte dal notaio R. a B. in forza della sentenza, riformata in appello, di primo grado.
Con il quarto motivo si deduce omissione di pronuncia su di una domanda prospettata dalla parte in giudizio, in relazione alla mancata pronuncia sulla domanda di dichiarazione di inefficacia e inopponibilità al notaio R. delle clausole compromissorie contenute nelle polizze assicurative de L. N. s.p.a. e A. s.p.a..
Preliminarmente si dispone la riunione dei ricorsi ai sensi dell'articolo 335 c.p.c..
Fondato e' il ricorso principale, in relazione ad entrambe le censure aventi ad oggetto la natura di debito di valore e non di valuta del debito risarcitorio del R.
Secondo, infatti, il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte (Cass. N. 9517/2002), l'obbligazione di risarcimento del danno, per inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito, non di valuta, ma di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell'articolo 1224 c.c., comma 2, detta norma attenendo alle conseguenze dannose dell'inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie.
E' indubbio che, nella vicenda in esame, il comportamento del R. configura un evidente inadempimento di obbligazione (per quanto accertato, con relativa motivazione, in sede di merito), derivante dall'attività professionale di notaio avente ad oggetto un facere (con specifico riferimento all'accertamento della presenza o meno di iscrizioni pregiudizievoli); in proposito condivisibile e' l'affermazione di questa Corte (Cass. N. 26663/2007) in base alla quale, con specifico riferimento alla vicenda in esame, il suddetto principio (secondo cui l'obbligazione risarcitoria e' sempre debito di valore) opera anche quando si tratta di danni conseguenti ad inadempimento di obblighi che, sebbene nascenti da un contratto che comporta l'esecuzione di prestazioni pecuniarie, abbiano specificato contenuto ed autonoma valenza attinenti ad un diverso facere ed a cosa diversa dal denaro.
Censurabile e', pertanto, l'impugnata decisione là dove afferma che l'obbligazione di risarcimento danno a carico del R. , erroneamente rapportata, per quanto sopra esposto, a inadempimento contrattuale di un'obbligazione pecuniaria, configuri un debito di valuta.
Non meritevole accoglimento e', poi, il ricorso incidentale.
Inammissibili sono i primi due motivi e il quarto in quanto vertenti su un non consentito esame nella presente sede di legittimità di circostanze di fatto, quali la diligenza nell'adempimento, il nesso causale tra fatto e danno, la ricorribilità in concreto dei presupposti per la configurazione del concorso di colpa del creditore e l'interpretazione di clausole compromissorie contenute nelle polizze assicurative.
Assorbito, infine, e' il terzo motivo, a seguito dell'accoglimento del ricorso principale.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta l'incidentale. Cassa l'impugnata decisione in relazione al ricorso accolto, e rinvia anche per le spese della presente fase alla Corte d'Appello di Firenze in diversa composizione.

danno da insidia stradale

Cassazione III civile 2 dicembre 2008 - 23 gennaio 2009, n. 1691
Insidie stradali,circolazione stradale,pedone,risarcimento,responsabilità,danno
Sintesi commento e massima su:
http://www.altalex.com/index.php?idnot=44721

"In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006)."
...
"la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall'art. 2051 cc, è applicabile nei confronti dei comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi"

(Presidente Filadoro - Relatore Federico)

Svolgimento del processo
Con atto notificato il 17.3.98 A. V., premesso che il giorno 16.6.97 circolava in Roma alla guida del proprio ciclomotore e che, giunto all'altezza di via Damiano Chiesa (direzione Balduina), in una curva sinistrorsa il motociclo scivolava sul gasolio presente sul manto stradale, travolgendo esso esponente, che riportava gravi lesioni giudicate guaribili in 40 gg. s.c., conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Comune di Roma per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza di detto sinistro.
Si costituiva il Comune di Roma, che in via preliminare chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa l'impresa A. V., appaltatrice dei lavori di manutenzione stradale all'epoca del sinistro ed unica responsabile dell'evento per cui era causa, ed instava che fosse manlevato e/o rimborsato di quanto si dovesse versare a chicchessia per sorte, interessi e spese.
Si costituiva anche l'Impresa V., chiedendo il rigetto della domanda di manleva e di garanzia proposta dal Comune e di quella principale proposta dall'attore.
Espletata l'istruzione, l'adito Tribunale rigettava la domanda dell'A.: interposto appello da parte di quest'ultimo, si costituivano sia il Comune, che chiedeva il rigetto del gravame e proponeva appello incidentale condizionato per la condanna dell'Impresa V. a manlevarlo e garantire, che quest'ultima impresa, che concludeva per il rigetto di entrambe le domande.
Con sentenza depositata il 5.7.04 la Corte di appello di Roma rigettava entrambi gli appelli, e contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'A., con due motivi, mentre sia il Comune di Roma che l'Impresa V. hanno resistito con controricorso, con cui hanno sollevato ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi ex art. 335 cpc.
A) Ricorso n. 27669/04
1. Il primo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2051 cc, 14 cds, 1655 e segg. cc, nonché illogica, apodittica ed omessa motivazione su più punti decisivi della controversia, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto - pur avendo riconosciuto come provata la preesistenza di gasolio sparso sulla strada, nonché la circostanza che analoghi spargimenti in passato avevano dato luogo a vari sinistri - che al caso di specie non potesse applicarsi il disposto dell'art. 2051 cc, deve ritenersi fondato.
Giustamente, infatti, la ricorrente si duole che in ordine ai danni subiti dall'utente in conseguenza dell'omessa o insufficiente manutenzione delle strade pubbliche la Corte territoriale abbia in modo aprioristico ritenuto che il referente normativo per l'inquadramento della responsabilità della P.A. è costituito, non dall'art. 2051 c.c. (che sancirebbe una presunzione inapplicabile nei confronti della P.A. con riferimento ai beni demaniali quando siano oggetto di un uso generale ed ordinario da parte dei terzi) ma dall'art. 2043 c.c., che impone invece, nell'osservanza della norma primaria del neminem laedere, di far sì che la strada aperta al pubblico transito non integri per l'utente una situazione di pericolo occulto.
In realtà, la Corte di merito ha fatto proprio un orientamento giurisprudenziale ormai obsoleto e che non tiene conto dell'evoluzione della giurisprudenza in subiecta materia a partire dalla nota pronuncia n. 156 del 10.5.1999 della Corte costituzionale.
La quale ebbe, infatti, ad affermare il principio che alla P.A. non era applicabile la disciplina normativa dettata dall'art. 2051 c.c. solo allorquando “sul bene di sua proprietà non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le modalità di uso, diretto e generale, da parte di terzi - un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza dì cause di pericolo per gli utenti”.
Ne deriva che, secondo tale autorevole interprete, il fattore decisivo per l'applicabilità della disciplina ex art. 2051 c.c. debba individuarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l'impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi, considerati meri indici di tale impossibilità, ma all'esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto gli indici suddetti.
In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006).
Questo procedimento di verifica in merito all'esistenza del potere di controllo e vigilanza, di cui si discute, è stato invece totalmente omesso dalla Corte di merito, che si è trincerata dietro l'inapplicabilità in via di principio dell'art. 2051 c.c. alla manutenzione delle strade da parte della P.A.
Alla luce delle considerazioni che precedono va, dunque, affermato il principio che la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall'art. 2051 cc, è applicabile nei confronti dei comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi.
Sintomatico, in questo senso, deve considerarsi la circostanza, anch'essa tenuta presente dalla Corte di merito (ma da questa non valorizzata ai fini della riconducibilità della responsabilità del Comune di Roma nell'ambito di cui all'art. 2051 cc), che ha riguardo alla suddivisione in “zone” della manutenzione delle strade del territorio comunale, affidata in appalto a varie imprese, tra cui quella A. V..
È indubbio, infatti, che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza gravata, tale “zonizzazione” comporta per il Comune, sul piano meramente fattuale, un maggiore grado di possibilità di sorveglianza e di controllo sui beni del demanio stradale, con conseguente responsabilità del Comune stesso per i danni da essi cagionato, salvo ricorso del caso fortuito.
Né può sostenersi che l'affidamento della manutenzione stradale in appalto alle singole imprese sottrarrebbe la sorveglianza ed il controllo, di cui si discute, al Comune, per assegnarli all'impresa appaltatrice, che così risponderebbe direttamente in caso d'inadempimento: infatti, il contratto d'appalto per la manutenzione delle strade di parte del territorio comunale costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell'ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell'art. 14 del vigente Codice della strada, per cui deve ritenersi che l'esistenza di tale contratto di appalto non vale affatto ad escludere la responsabilità del Comune committente nei confronti degli utenti delle singole strade ai sensi dell'art. 2051 cc.
2. Il secondo motivo, con cui viene dedotta la violazione degli artt. 2043 cc e 115 cpc, nonché illogica, apodittica ed omessa motivazione circa un punto decisivo, per non avere la Corte di merito spiegato adeguatamente le ragioni per cui era stata esclusa la sussistenza dì un'insidia o trabocchetto, resta assorbito in conseguenza dell'accoglimento del primo motivo.
B) Ricorso n. 1573/05 e ricorso n. 1701/05
Sia il ricorso incidentale condizionato, con cui il Comune di Roma, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso principale, ripropone la questione dell'obbligo dell'Impresa V. A. a manlevarlo, stante la sua responsabilità nella produzione dell'evento dannoso, che quello incidentale, sempre condizionato all'accoglimento del ricorso principale, con cui l'Impresa predetta deduce l'insussistenza del diritto del Comune di Roma ad essere garantito e manlevato, con la condanna di chi di dovere alla rifusione in suo favore delle spese di tutti i gradi di giudizio, restano assorbiti a seguito dell'accoglimento del primo motivo del ricorso principale.
C) In conclusione, viene accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali condizionati, e conseguentemente la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio della causa dinanzi alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che, oltre che uniformarsi al principio di diritto enunciato al punto 1. della presente sentenza, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio dì cassazione.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali proposti dal Comune di Roma e dall'Impresa A. V., cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa dinanzi alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

danno da insidia stradale

Cassazione III civile 2 dicembre 2008 - 23 gennaio 2009, n. 1691
Insidie stradali,circolazione stradale,pedone,risarcimento,responsabilità,danno
Sintesi commento e massima su:
http://www.altalex.com/index.php?idnot=44721

"In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006)."
...
"la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall'art. 2051 cc, è applicabile nei confronti dei comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi"

(Presidente Filadoro - Relatore Federico)

Svolgimento del processo
Con atto notificato il 17.3.98 A. V., premesso che il giorno 16.6.97 circolava in Roma alla guida del proprio ciclomotore e che, giunto all'altezza di via Damiano Chiesa (direzione Balduina), in una curva sinistrorsa il motociclo scivolava sul gasolio presente sul manto stradale, travolgendo esso esponente, che riportava gravi lesioni giudicate guaribili in 40 gg. s.c., conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Comune di Roma per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza di detto sinistro.
Si costituiva il Comune di Roma, che in via preliminare chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa l'impresa A. V., appaltatrice dei lavori di manutenzione stradale all'epoca del sinistro ed unica responsabile dell'evento per cui era causa, ed instava che fosse manlevato e/o rimborsato di quanto si dovesse versare a chicchessia per sorte, interessi e spese.
Si costituiva anche l'Impresa V., chiedendo il rigetto della domanda di manleva e di garanzia proposta dal Comune e di quella principale proposta dall'attore.
Espletata l'istruzione, l'adito Tribunale rigettava la domanda dell'A.: interposto appello da parte di quest'ultimo, si costituivano sia il Comune, che chiedeva il rigetto del gravame e proponeva appello incidentale condizionato per la condanna dell'Impresa V. a manlevarlo e garantire, che quest'ultima impresa, che concludeva per il rigetto di entrambe le domande.
Con sentenza depositata il 5.7.04 la Corte di appello di Roma rigettava entrambi gli appelli, e contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'A., con due motivi, mentre sia il Comune di Roma che l'Impresa V. hanno resistito con controricorso, con cui hanno sollevato ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi ex art. 335 cpc.
A) Ricorso n. 27669/04
1. Il primo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2051 cc, 14 cds, 1655 e segg. cc, nonché illogica, apodittica ed omessa motivazione su più punti decisivi della controversia, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto - pur avendo riconosciuto come provata la preesistenza di gasolio sparso sulla strada, nonché la circostanza che analoghi spargimenti in passato avevano dato luogo a vari sinistri - che al caso di specie non potesse applicarsi il disposto dell'art. 2051 cc, deve ritenersi fondato.
Giustamente, infatti, la ricorrente si duole che in ordine ai danni subiti dall'utente in conseguenza dell'omessa o insufficiente manutenzione delle strade pubbliche la Corte territoriale abbia in modo aprioristico ritenuto che il referente normativo per l'inquadramento della responsabilità della P.A. è costituito, non dall'art. 2051 c.c. (che sancirebbe una presunzione inapplicabile nei confronti della P.A. con riferimento ai beni demaniali quando siano oggetto di un uso generale ed ordinario da parte dei terzi) ma dall'art. 2043 c.c., che impone invece, nell'osservanza della norma primaria del neminem laedere, di far sì che la strada aperta al pubblico transito non integri per l'utente una situazione di pericolo occulto.
In realtà, la Corte di merito ha fatto proprio un orientamento giurisprudenziale ormai obsoleto e che non tiene conto dell'evoluzione della giurisprudenza in subiecta materia a partire dalla nota pronuncia n. 156 del 10.5.1999 della Corte costituzionale.
La quale ebbe, infatti, ad affermare il principio che alla P.A. non era applicabile la disciplina normativa dettata dall'art. 2051 c.c. solo allorquando “sul bene di sua proprietà non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le modalità di uso, diretto e generale, da parte di terzi - un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza dì cause di pericolo per gli utenti”.
Ne deriva che, secondo tale autorevole interprete, il fattore decisivo per l'applicabilità della disciplina ex art. 2051 c.c. debba individuarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l'impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi, considerati meri indici di tale impossibilità, ma all'esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto gli indici suddetti.
In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006).
Questo procedimento di verifica in merito all'esistenza del potere di controllo e vigilanza, di cui si discute, è stato invece totalmente omesso dalla Corte di merito, che si è trincerata dietro l'inapplicabilità in via di principio dell'art. 2051 c.c. alla manutenzione delle strade da parte della P.A.
Alla luce delle considerazioni che precedono va, dunque, affermato il principio che la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall'art. 2051 cc, è applicabile nei confronti dei comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi.
Sintomatico, in questo senso, deve considerarsi la circostanza, anch'essa tenuta presente dalla Corte di merito (ma da questa non valorizzata ai fini della riconducibilità della responsabilità del Comune di Roma nell'ambito di cui all'art. 2051 cc), che ha riguardo alla suddivisione in “zone” della manutenzione delle strade del territorio comunale, affidata in appalto a varie imprese, tra cui quella A. V..
È indubbio, infatti, che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza gravata, tale “zonizzazione” comporta per il Comune, sul piano meramente fattuale, un maggiore grado di possibilità di sorveglianza e di controllo sui beni del demanio stradale, con conseguente responsabilità del Comune stesso per i danni da essi cagionato, salvo ricorso del caso fortuito.
Né può sostenersi che l'affidamento della manutenzione stradale in appalto alle singole imprese sottrarrebbe la sorveglianza ed il controllo, di cui si discute, al Comune, per assegnarli all'impresa appaltatrice, che così risponderebbe direttamente in caso d'inadempimento: infatti, il contratto d'appalto per la manutenzione delle strade di parte del territorio comunale costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell'ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell'art. 14 del vigente Codice della strada, per cui deve ritenersi che l'esistenza di tale contratto di appalto non vale affatto ad escludere la responsabilità del Comune committente nei confronti degli utenti delle singole strade ai sensi dell'art. 2051 cc.
2. Il secondo motivo, con cui viene dedotta la violazione degli artt. 2043 cc e 115 cpc, nonché illogica, apodittica ed omessa motivazione circa un punto decisivo, per non avere la Corte di merito spiegato adeguatamente le ragioni per cui era stata esclusa la sussistenza dì un'insidia o trabocchetto, resta assorbito in conseguenza dell'accoglimento del primo motivo.
B) Ricorso n. 1573/05 e ricorso n. 1701/05
Sia il ricorso incidentale condizionato, con cui il Comune di Roma, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso principale, ripropone la questione dell'obbligo dell'Impresa V. A. a manlevarlo, stante la sua responsabilità nella produzione dell'evento dannoso, che quello incidentale, sempre condizionato all'accoglimento del ricorso principale, con cui l'Impresa predetta deduce l'insussistenza del diritto del Comune di Roma ad essere garantito e manlevato, con la condanna di chi di dovere alla rifusione in suo favore delle spese di tutti i gradi di giudizio, restano assorbiti a seguito dell'accoglimento del primo motivo del ricorso principale.
C) In conclusione, viene accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali condizionati, e conseguentemente la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio della causa dinanzi alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che, oltre che uniformarsi al principio di diritto enunciato al punto 1. della presente sentenza, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio dì cassazione.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali proposti dal Comune di Roma e dall'Impresa A. V., cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa dinanzi alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

Danno da perdita di chance: le Sezioni Unite 1850 del 29 I 2009


Cassazione civile, SS.UU., sentenza 29.01.2009 n. 1850 - (787)
Perdita di chance,nesso causale,quantificazione,risarcimento,danni,civile
Fonte:
http://www.iusetnorma.it/news_giurisprudenza/giurisprudenza/cass-29-01-09n1850.htm

"il creditore che voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta”
(Cass., sez. L, 20 giugno 2008, n. 16877, m. 603883, Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, m. 578787).

Le Sezioni Unite

Motivi della decisione
1. Riuniti i ricorsi in applicazione dell'art. 335 c.p.c., va esaminato innanzitutto il ricorso incidentale, che propone due questioni pregiudiziali.
2.1 - Con il primo motivo la ricorrente incidentale ripropone infatti 1'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, già proposta nelle fasi di merito.
Sostiene che in tanto il giudice del merito ha dichiarato illegittimi i dinieghi dell'autorizzazione richiesta da G. C., in quanto ha ritenuto illegittimo e perciò disapplicato il regolamento provinciale di cui i provvedimenti controversi erano attuazione. Ma il regolamento provinciale, in quanto atto generale, non poteva essere disapplicato, non essendo idoneo a incidere su posizioni soggettive individuali. E ciò a maggior ragione in una materia, come quella dei servizi pubblici essenziali qual è quello di autoscuola, che l'art. 7 della legge 21 luglio 2005, n. 205, riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale eccepisce la violazione del giudicato formatosi sulla legittimità del regolamento provinciale. Infatti l'unico giudizio promosso davanti al giudice amministrativo, nel quale era stato formalmente impugnato il regolamento, si era concluso con una sentenza dichiarativa della perenzione del processo e mai impugnata. Sicché la legittimità del regolamento non poteva più essere rimessa in discussione.
2.2 - Il ricorso incidentale è infondato.
Quanto al primo motivo, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la domanda risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione per illegittimo esercizio di una funzione pubblica proposta prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1998, modificato poi dalla legge 21 luglio 2000 n. 205, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario anche se venga dedotta la lesione di un interesse legittimo che, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può esser fonte di responsabilità aquiliana e, quindi, dar luogo al risarcimento del danno ingiusto (Cass., sez. I, 17 ottobre 2007, n. 21850, m. 599711). Sicché in questi casi il giudice ordinario adito può procedere direttamente ad accertare l'illegittimità del provvedimento amministrativo nell'ambito della verifica della qualificabilità del fatto controverso come illecito a norma dell'art. 2043 c.c., “non essendo più ravvisabile la pregiudizialità del giudizio di annullamento dell'atto dinanzi al giudice amministrativo, in passato costantemente affermata in quanto solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, unica situazione giuridica soggettiva la cui lesione si riteneva tutelabile dinanzi al giudice ordinario” (Cass., sez. III, 22 luglio 2004, n. 13619, m. 575434, Cass., sez. III, 25 agosto 2006, n. 18486, m. 592067).
Né la natura generale o regolamentare di un atto può essere considerata ostativa alla sua disapplicazione da parte del giudice ordinario, posto che sono appunto i “regolamenti generali e locali”, che, ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, il giudice ha il potere dovere di disapplicare ove illegittimi (Cass., sez. L, 15 febbraio 1985, n. 1304, m. 439393), anche quando sono solo presupposto dell'atto direttamente lesivo della situazione soggettiva individuale (Cass., sez. L, 18 agosto 2004, n. 16175, m. 576531).
Quanto al secondo motivo, si tratta di censura manifestamente infondata, perché la sentenza del Tribunale amministrativo per la Lombardia invocata dal ricorrente dichiarò improcedibile per carenza sopravvenuta di interesse il ricorso di C., che aveva ottenuto alla fine l'autorizzazione lungamente attesa. E la dichiarazione di improcedibilità per carenza di interesse è incompatibile con qualsiasi effetto di giudicato sulla legittimità dell'atto impugnato (Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2006, n. 143).
3.1 - Con il primo motivo del suo ricorso il ricorrente principale deduce violazione degli art. 193 e 194 c.p.c., vizi di motivazione della decisione impugnata, erroneamente fondata su una consulenza tecnica d'ufficio che aveva illegittimamente omesso di rispondere ai quesiti sul danno da mancato guadagno.
Sostiene che il consulente d'ufficio:
a) avrebbe dovuto rispondere ai quesiti postigli, indipendentemente dalla documentazione prodottagli dal consulente di parte e ritenuta carente o inidonea in quanto non ufficiale;
b) avrebbe dovuto accertare direttamente il costo medio di un corso di autoscuola, anche basandosi sulla dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1999 prodotta in giudizio e anche in mancanza di elementi per determinare l'importo dei ricavi medi;
c) avrebbe dovuto determinare il numero dei potenziali utenti dell'autoscuola, fondandosi sul registro degli iscritti per l'anno 1992, anche in mancanza della dichiarazione IVA assurdamente ritenuta indispensabile;
d) avrebbe dovuto determinare la perdita assumendo le necessarie informazioni sui ricavi medi delle autoscuole della provincia, indipendentemente dalla documentazione relativa alla successiva attività della scuola, in quanto l'attore avrebbe potuto anche rinunciare a intraprendere la nuova attività dopo il 1991, senza per questo perdere il diritto al risarcimento dei danni subiti per gli anni precedenti.
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione degli art. 1226 e 2056 c.c., lamentando l'omessa determinazione equitativa dell'entità del danno da mancato guadagno.
Sostiene che, essendo certa l'esistenza del danno, l'incertezza ineliminabile sulla sua entità effettiva ne avrebbe imposto la liquidazione equitativa.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce infine vizi di motivazione nella valutazione delle testimonianze e della documentazione di spesa relativa alla sistemazione dei locali da destinare all'autoscuola.
Sostiene che le prove testimoniali e documentali acquisite avrebbero giustificato la liquidazione anche di tale voce di danno, arbitrariamente esclusa dalla corte d'appello.
3.2 - Anche il ricorso principale deve essere rigettato.
I due primi motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono entrambi infondati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “il creditore che voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta” (Cass., sez. L, 20 giugno 2008, n. 16877, m. 603883, Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, m. 578787).
Nel caso in esame l'attore C., che gestiva anche un'altra autoscuola in un diverso comune e aveva finalmente avviato nel 1992 la nuova autoscuola di Cazzano di Sant'Andrea, era nelle condizioni ottimali per offrire al consulente d'ufficio tutta la documentazione necessaria alla liquidazione in via presuntiva del danno da mancato guadagno.
Come risulta dalla sentenza impugnata, e non è sostanzialmente negato neppure nel ricorso, tale documentazione non fu invece fornita, benché ripetutamente richiesta. Lo stesso elenco degli iscritti all'autoscuola, prodotto solo con riferimento all'anno 1992, era inidoneo a provare qualsiasi danno, posto che il numero degli iscritti risultava insufficiente a coprire le spese di gestione.
Ciò nondimeno il ricorrente lamenta che il consulente non abbia proceduto autonomamente all'acquisizione delle informazioni necessarie.
Ma la consulenza tecnica d'ufficio non può essere destinata a supplire alle iniziative istruttorie cui le parti sono tenute per l'onere probatorio che grava su di esse (Cass., sez. III, 26 novembre 2007, n. 24620, m. 600467, Cass., sez. I, 5 luglio 2007, n. 15219, m. 598314). Mentre la liquidazione equitativa del danno, di cui pure si lamenta l'omissione, è ammessa solo quando non sia possibile o riesca difficoltosa la sua precisa determinazione, non vi si può ricorrere per ovviare all'inadempimento della parte agli oneri probatori che le incombono (Cass., sez. II, 21 novembre 2006, n. 24680, m. 593216, Cass., sez. II, 28 giugno 2000, n. 8795, m. 538126).
Sicché risulta corretta e pertanto incensurabile la motivazione esibita dai giudici del merito per negare il risarcimento del dedotto danno da mancato guadagno.
Quanto alle spese di sistemazione dei locali da destinare ad autoscuola, i giudici del merito non negano che i relativi lavori siano stati effettivamente eseguiti. E quindi sono irrilevanti le prove testimoniali di cui si lamenta in ricorso la mancata valutazione.
I giudici del merito hanno escluso tale voce di danno per la mancanza di prova dell'effettivo esborso da parte del ricorrente della somma cui si riferisce la documentazione di spesa prodotta, che è intestata al proprietario dei locali. E nessuna censura il ricorrente ha proposto con riferimento a tale giustificazione della decisione.
Sicché il terzo motivo del ricorso è inammissibile.
4. Il rigetto di entrambi i ricorsi, con la reciproca parziale soccombenza delle parti, giustifica la compensazione integrale delle spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni unite, riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Danno da perdita di chance: le Sezioni Unite 1850 del 29 I 2009


Cassazione civile, SS.UU., sentenza 29.01.2009 n. 1850 - (787)
Perdita di chance,nesso causale,quantificazione,risarcimento,danni,civile
Fonte:
http://www.iusetnorma.it/news_giurisprudenza/giurisprudenza/cass-29-01-09n1850.htm

"il creditore che voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta”
(Cass., sez. L, 20 giugno 2008, n. 16877, m. 603883, Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, m. 578787).

Le Sezioni Unite

Motivi della decisione
1. Riuniti i ricorsi in applicazione dell'art. 335 c.p.c., va esaminato innanzitutto il ricorso incidentale, che propone due questioni pregiudiziali.
2.1 - Con il primo motivo la ricorrente incidentale ripropone infatti 1'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, già proposta nelle fasi di merito.
Sostiene che in tanto il giudice del merito ha dichiarato illegittimi i dinieghi dell'autorizzazione richiesta da G. C., in quanto ha ritenuto illegittimo e perciò disapplicato il regolamento provinciale di cui i provvedimenti controversi erano attuazione. Ma il regolamento provinciale, in quanto atto generale, non poteva essere disapplicato, non essendo idoneo a incidere su posizioni soggettive individuali. E ciò a maggior ragione in una materia, come quella dei servizi pubblici essenziali qual è quello di autoscuola, che l'art. 7 della legge 21 luglio 2005, n. 205, riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale eccepisce la violazione del giudicato formatosi sulla legittimità del regolamento provinciale. Infatti l'unico giudizio promosso davanti al giudice amministrativo, nel quale era stato formalmente impugnato il regolamento, si era concluso con una sentenza dichiarativa della perenzione del processo e mai impugnata. Sicché la legittimità del regolamento non poteva più essere rimessa in discussione.
2.2 - Il ricorso incidentale è infondato.
Quanto al primo motivo, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la domanda risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione per illegittimo esercizio di una funzione pubblica proposta prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1998, modificato poi dalla legge 21 luglio 2000 n. 205, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario anche se venga dedotta la lesione di un interesse legittimo che, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può esser fonte di responsabilità aquiliana e, quindi, dar luogo al risarcimento del danno ingiusto (Cass., sez. I, 17 ottobre 2007, n. 21850, m. 599711). Sicché in questi casi il giudice ordinario adito può procedere direttamente ad accertare l'illegittimità del provvedimento amministrativo nell'ambito della verifica della qualificabilità del fatto controverso come illecito a norma dell'art. 2043 c.c., “non essendo più ravvisabile la pregiudizialità del giudizio di annullamento dell'atto dinanzi al giudice amministrativo, in passato costantemente affermata in quanto solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, unica situazione giuridica soggettiva la cui lesione si riteneva tutelabile dinanzi al giudice ordinario” (Cass., sez. III, 22 luglio 2004, n. 13619, m. 575434, Cass., sez. III, 25 agosto 2006, n. 18486, m. 592067).
Né la natura generale o regolamentare di un atto può essere considerata ostativa alla sua disapplicazione da parte del giudice ordinario, posto che sono appunto i “regolamenti generali e locali”, che, ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, il giudice ha il potere dovere di disapplicare ove illegittimi (Cass., sez. L, 15 febbraio 1985, n. 1304, m. 439393), anche quando sono solo presupposto dell'atto direttamente lesivo della situazione soggettiva individuale (Cass., sez. L, 18 agosto 2004, n. 16175, m. 576531).
Quanto al secondo motivo, si tratta di censura manifestamente infondata, perché la sentenza del Tribunale amministrativo per la Lombardia invocata dal ricorrente dichiarò improcedibile per carenza sopravvenuta di interesse il ricorso di C., che aveva ottenuto alla fine l'autorizzazione lungamente attesa. E la dichiarazione di improcedibilità per carenza di interesse è incompatibile con qualsiasi effetto di giudicato sulla legittimità dell'atto impugnato (Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2006, n. 143).
3.1 - Con il primo motivo del suo ricorso il ricorrente principale deduce violazione degli art. 193 e 194 c.p.c., vizi di motivazione della decisione impugnata, erroneamente fondata su una consulenza tecnica d'ufficio che aveva illegittimamente omesso di rispondere ai quesiti sul danno da mancato guadagno.
Sostiene che il consulente d'ufficio:
a) avrebbe dovuto rispondere ai quesiti postigli, indipendentemente dalla documentazione prodottagli dal consulente di parte e ritenuta carente o inidonea in quanto non ufficiale;
b) avrebbe dovuto accertare direttamente il costo medio di un corso di autoscuola, anche basandosi sulla dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1999 prodotta in giudizio e anche in mancanza di elementi per determinare l'importo dei ricavi medi;
c) avrebbe dovuto determinare il numero dei potenziali utenti dell'autoscuola, fondandosi sul registro degli iscritti per l'anno 1992, anche in mancanza della dichiarazione IVA assurdamente ritenuta indispensabile;
d) avrebbe dovuto determinare la perdita assumendo le necessarie informazioni sui ricavi medi delle autoscuole della provincia, indipendentemente dalla documentazione relativa alla successiva attività della scuola, in quanto l'attore avrebbe potuto anche rinunciare a intraprendere la nuova attività dopo il 1991, senza per questo perdere il diritto al risarcimento dei danni subiti per gli anni precedenti.
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione degli art. 1226 e 2056 c.c., lamentando l'omessa determinazione equitativa dell'entità del danno da mancato guadagno.
Sostiene che, essendo certa l'esistenza del danno, l'incertezza ineliminabile sulla sua entità effettiva ne avrebbe imposto la liquidazione equitativa.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce infine vizi di motivazione nella valutazione delle testimonianze e della documentazione di spesa relativa alla sistemazione dei locali da destinare all'autoscuola.
Sostiene che le prove testimoniali e documentali acquisite avrebbero giustificato la liquidazione anche di tale voce di danno, arbitrariamente esclusa dalla corte d'appello.
3.2 - Anche il ricorso principale deve essere rigettato.
I due primi motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono entrambi infondati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “il creditore che voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta” (Cass., sez. L, 20 giugno 2008, n. 16877, m. 603883, Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, m. 578787).
Nel caso in esame l'attore C., che gestiva anche un'altra autoscuola in un diverso comune e aveva finalmente avviato nel 1992 la nuova autoscuola di Cazzano di Sant'Andrea, era nelle condizioni ottimali per offrire al consulente d'ufficio tutta la documentazione necessaria alla liquidazione in via presuntiva del danno da mancato guadagno.
Come risulta dalla sentenza impugnata, e non è sostanzialmente negato neppure nel ricorso, tale documentazione non fu invece fornita, benché ripetutamente richiesta. Lo stesso elenco degli iscritti all'autoscuola, prodotto solo con riferimento all'anno 1992, era inidoneo a provare qualsiasi danno, posto che il numero degli iscritti risultava insufficiente a coprire le spese di gestione.
Ciò nondimeno il ricorrente lamenta che il consulente non abbia proceduto autonomamente all'acquisizione delle informazioni necessarie.
Ma la consulenza tecnica d'ufficio non può essere destinata a supplire alle iniziative istruttorie cui le parti sono tenute per l'onere probatorio che grava su di esse (Cass., sez. III, 26 novembre 2007, n. 24620, m. 600467, Cass., sez. I, 5 luglio 2007, n. 15219, m. 598314). Mentre la liquidazione equitativa del danno, di cui pure si lamenta l'omissione, è ammessa solo quando non sia possibile o riesca difficoltosa la sua precisa determinazione, non vi si può ricorrere per ovviare all'inadempimento della parte agli oneri probatori che le incombono (Cass., sez. II, 21 novembre 2006, n. 24680, m. 593216, Cass., sez. II, 28 giugno 2000, n. 8795, m. 538126).
Sicché risulta corretta e pertanto incensurabile la motivazione esibita dai giudici del merito per negare il risarcimento del dedotto danno da mancato guadagno.
Quanto alle spese di sistemazione dei locali da destinare ad autoscuola, i giudici del merito non negano che i relativi lavori siano stati effettivamente eseguiti. E quindi sono irrilevanti le prove testimoniali di cui si lamenta in ricorso la mancata valutazione.
I giudici del merito hanno escluso tale voce di danno per la mancanza di prova dell'effettivo esborso da parte del ricorrente della somma cui si riferisce la documentazione di spesa prodotta, che è intestata al proprietario dei locali. E nessuna censura il ricorrente ha proposto con riferimento a tale giustificazione della decisione.
Sicché il terzo motivo del ricorso è inammissibile.
4. Il rigetto di entrambi i ricorsi, con la reciproca parziale soccombenza delle parti, giustifica la compensazione integrale delle spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni unite, riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

martedì 3 marzo 2009

Elezioni Europee: da Bruxelles riceviamo e gentilmente pubblichiamo

Per la partecipazione al processo politico ed economico che sta muovendo la Comunità Europea,
in vista della maggiore integrazione che seguirà dopo il trattato di Lisbona;

Auspicando un ruolo attivo dell'avvocatura
quale tramite tra il cittadino ed i poteri costituiti.

Per garanitire i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all'attuazione dell'ordinamento per i fini della giustizia.

L'Avvocato Azzeccagarbugli dà il suo piccolo contributo di sensibilizzazione della persona alle temtiche del diritto e della giustizia ...
il tutto in attuazioe dei principi deontologici forensi italiani ed europei.

Ecco quindi il "Manifesto CCBE" sulle Elezioni Europee (a cura di "Conseil des barreaux européens" CCBE)


http://picasaweb.google.it/sagradelluva/ManifestoElezioniEuropee?authkey=Gv1sRgCNfS0drDuMPdswE&feat=directlink

Decreto flussi: le istruzioni per le domande di nulla osta per il lavoro in somministrazione

Le agenzie per il lavoro possono fare domanda di nulla osta per l’ingresso di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro in somministraz...